Consiglio di Stato, sez. IV, n. 99/2005: al giudice amministrativo resta (a seguito della sentenza 204/2004 della Corte Cost.) la giurisdizione sulle controversie con le quali la occupazione sia avvenuta in forza di provvedimenti di cui si contesti la legittimità; al contrario, la cognizione spetta al giudice ordinario quando non si impugni alcun atto amministrativo, ma più semplicemente, il proprietario faccia valere la lesione del suo bene. Consiglio di stato |
sentenza : 99/05 del 21/01/2005
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R E P U B B L I C A I T A L I A N A

N.99/2005

Reg. Dec.

N. 4537 Reg. Ric.

Anno 2003

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

Sul ricorso r.g.n. 4537/2003 proposto in appello da X, Y, quest’ultimo anche quale procuratore generale di Z, di W, tutti rappresentati dagli avvocati Carolina Valensise, Giovanni Tallandini e Francesco Scaglione, domiciliati presso la prima in Roma alla via Monte delle Gioie n.13/18,

contro

Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto p.t., rappresentata e difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma alla via dei Portoghesi n.12,

ENAS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis in Roma alla via dei Portoghesi n.12,

e nei confronti di

ing. K spa, in persona del l.r.p.t., non costituita,

J srl, in persona del l.r.p.t., non costituita,

per l’annullamento

della sentenza n.33/2003 notificata in data 3.2.2003 con la quale il TAR della Calabria, sezione di Reggio Calabria, sul ricorso per l’annullamento del decreto del Prefetto di Reggio Calabria 17.7.2001, prot.807 settore II, LL.PP. , notificato il 12.9.2001, con il quale l’ENAS era autorizzato ad occupare immobili, già di proprietà dei ricorrenti in Bova Marina, e per il risarcimento dei danni da periodi di occupazione illegittima, occupazione acquisitiva, occupazione di mero fatto, con irreversibile trasformazione, creazione di relitti non utilizzabili, modificazione e scorretta insufficiente nuova regimazione del deflusso naturale delle acque meteoriche, con la conseguenza di un allagamento della restante proprietà e il rischio di allagamento.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’ANAS;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Relatore alla udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Consigliere Sergio De Felice;

Udito l'avv. Francesco Scaglione;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione di Reggio Calabria, gli attuali appellanti proponevano ricorso per l’annullamento del decreto del Prefetto di Reggio Calabria 17.7.2001, prot.807 settore II, LL.PP. , notificato il 12.9.2001, con il quale l’ENAS era autorizzato ad occupare immobili, già di proprietà dei ricorrenti in Bova Marina, e per il risarcimento dei danni da periodi di occupazione illegittima, occupazione acquisitiva, occupazione di mero fatto, con irreversibile trasformazione, creazione di relitti non utilizzabili, modificazione e scorretta insufficiente nuova regimazione del deflusso naturale delle acque meteoriche, con la conseguenza di un allagamento della restante proprietà e il rischio di allagamento.

In fatto, con decreto del Ministro LL.PP. 15.5.86 veniva approvato il progetto di ammodernamento della SS.106 e, dichiarata la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, venivano fissati i termini per lavori e espropriazioni, in trentasei mesi e cinque anni.

Con successivo decreto del 7.3.1988 le procedure espropriative erano delegate alla impresa K aggiudicataria del relativo appalto, che, con decreto 5.5.1988, n.588, del Prefetto di Reggio Calabria, veniva autorizzata a occupare di urgenza, per tre anni, gli immobili di proprietà di ***, **, *, in Bova Marina, in catasto fg.37, partt. 34,36,37,17,16, 14 per una estensione di mq.47.500, e così provvedeva a immettersi nel possesso dei beni in data 27.6.1988.

La occupazione, pur ricadendo nell’ambito di applicazione della proroga biennale ex art. 22 L.22 maggio 1991, n.158, scadeva il 15.5.1991 per decadenza della dichiarazione di pubblica utilità.

In data 3.2.1993 veniva emesso nuovo decreto di occupazione, sulla base di nuova dichiarazione di pubblica utilità del 12.11.1992, correlata dalla approvazione del progetto 14 marzo 1986, n.6171, e dalla perizia di variante dell’8 maggio 1991, n.14206, con nuova fissazione dei termini ai sensi dell’art. 13 L.1865 n.2359 in cinque anni, fino al 12.11.1997.

Il nuovo piano particellare interessava quasi tutta la proprietà dei ***, in catasto fg.37, che era stata oggetto della precedente occupazione, nonché aree comprese in particelle non interessate dalla precedente occupazione, quali le particelle 35,87,88,85,86, per un totale di mq.51,930.

La procedura era nuovamente delegata alla ditta Mazzitelli, che con decreto prefettizio 3.2.93, n.62, era autorizzata alla occupazione di urgenza fino al 12.11.97, e in data 16.3.93 provvedeva alla immissione in possesso.

In tale circostanza la società, secondo gli appellanti, occupava di fatto anche cospicue aree limitrofe non comprese nel piano parcellare, ed esattamente mq.7750 per il sedime stradale e mq.16.360 trasformati in discarica di materiale di risulta.

Mentre durante il periodo di occupazione i terreni occupati non venivano trasformati, in tale seconda fase le opere erano eseguite, e tutte le aree impegnate erano irreversibilmente modificate.

In data 18.8.1998 l’ANAS riapprovava il vecchio progetto dell’opera e una variante che, ricomprendendo le aree occupate di fatto, estendeva da mq.51930 a mq.61400 la superficie già appartenuta agli appellanti, e, secondo l’appello, da tempo in buona parte definitivamente trasformata, e quindi già divenuta di proprietà dell’amministrazione.

Fissava in giorni 365 il termine per il compimento dei lavori e in giorni 1825 il termine per le espropriazioni, con scadenza il 18 agosto 2003.

In data 30 giugno 1999 la impresa **, medio tempore subentrata alla società * nell’appalto, notificava ai *** due decreti prefettizi che, richiamata la nuova dichiarazione di pubblica utilità del 18.8.1998, autorizzavano la occupazione di 3.865 mq. della part.2 e 11.650 mq. della part.34 ma, non potendosi procedere all’accertamento della consistenza effettiva della part.34 a cagione dei lavori già effettuati su di essa, la formale immissione in possesso era rinviata sine die.

Con atto del 30.5.2000 la Prefettura avvisava dell’inizio della nuova procedura ablatoria per il compimento della variante SS106 agli odierni appellanti, i quali provvedevano a notificare a tutti i soggetti interessati un atto stragiudiziale, con cui diffidavano la Prefettura dal proseguire una procedura ablatoria per aree già acquistate alla sfera dell’occupante a titolo originario ed illecito.

In data 11 settembre 2001 gli appellanti odierni ricevevano la notifica del decreto prefettizio di occupazione di urgenza del 17 luglio, con il quale l’ENAS era autorizzato a occupare in via temporanea e urgente sino al 21.10.2003 mq.3865 della part.2 e per intero le part.136 e 139 (derivate da frazionamento rispettivamente della part. 34 e della part.36), estese rispettivamente mq.6830 e mq.5280.

Tale decreto ultimo veniva impugnato dai ***, che osservavano da un lato che la part.36, da cui deriva la part.139, non rientrava nel piano particellare del 1998, e dall’altro lato che la nuova procedura andava a riguardare aree in buona parte già di proprietà dell’amministrazione a causa della loro irreversibile trasformazione.

Con riguardo alla domanda di annullamento il primo giudice la rigettava, in quanto la dichiarazione di pubblica utilità del 18 agosto 1998 (che riapprovava il progetto del 14 marzo 1986, n. 6171) copriva anche le particelle ritenute non incluse dai ricorrenti; dall’altro lato, il primo giudice osservava che in caso di già avvenuta accessione invertita, il decreto sarebbe stato, al limite, da considerare inutiliter dato, e non già illegittimo.

Poiché il piano particellare allegato alla dichiarazione di pubblica utilità contemplava i due lotti di terreno, estesi oltre 14.000 mq., rientranti nella particella 36, legittimamente la sub-particella 139 costituirebbe oggetto dell’impugnato decreto prefettizio.

Oltre alla domanda di annullamento del decreto prefettizio, i ricorrenti di primo grado chiedevano :

a) la restituzione delle aree comprese nel piano parcellare approvato con D.M.12.11.1992 non trasformate;

b) la realizzazione delle opere di deflusso al mare delle acque meteoriche, necessarie per la salvaguardia della rimanente proprietà da altri allagamenti;

c) il risarcimento della occupazione illegittima dal 15.5.1991 al 16.3.1993 delle aree occupate in forza del decreto del Prefetto di Reggio Calabria 5.5.1988, n.588, pari a L.701.893.835, oltre accessori;

d) il risarcimento per la perdita della proprietà delle aree comprese nel piano parcellare approvato con D.M.12.11.1992 e irreversibilmente trasformate pari a L.4.553.382.680, oltre accessori;

e) il pagamento (rectius, risarcimento) del valore delle aree occupate di fatto e trasformate o in sedime delle opere, o in discariche irrecuperabili e intercluse, pari a L.2.464.425.725, oltre accessori;

f) il pagamento dei frutti perduti a causa degli allagamenti dell’autunno 1996, pari a 70 milioni, oltre accessori;

g) il risarcimento per la perdita di proprietà dei terreni occupati il 15 ottobre 2001.

La sentenza del giudice di primo grado respingeva la domanda di annullamento del decreto di occupazione 17.7.2001 del Prefetto di Reggio Calabria; dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, rispetto alla domanda di ordinare all’ANAS l’adeguamento delle opere di drenaggio e a quella di risarcimento dei danni provocati dagli allagamenti per carenza di quelle opere; respingeva la domanda di risarcimento per il periodo di occupazione illegittima delle aree occupate in forza del decreto 5.5.98 n.588 del Prefetto di Reggio Calabria, non irreversibilmente trasformate, dalla data di decadenza del detto decreto (15.5.92) alla data (16.3.93) di esecuzione del nuovo decreto di occupazione 3.2.93, prot.n. 62,del Prefetto di Reggio Calabria; respingeva la domanda di restituzione dei mq.3.860 di aree non trasformate e detenute illegittimamente, dopo la decadenza del provvedimento che ne aveva autorizzata la occupazione; respingeva la domanda di risarcimento per aree, non occupate di fatto ma trasformate in discarica e relitti, o intercluse tra vecchia e nuova sede stradale e la ferrovia; accoglieva le domande risarcitorie per occupazione acquisitiva e per occupazione di fatto da sconfinamento, liquidando il danno con riferimento al valore di L.68.880, riferito all’anno 1993.

Veniva dichiarata inammissibile, perché non ritualmente proposta, la domanda di risarcimento del danno per i suoli occupati il 15 ottobre 2001.

Con l’atto di appello vengono dedotte le censure di violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

In relazione alla domanda di annullamento del decreto prefettizio di occupazione del 17.7.2001, si deduce la sua illegittimità, in quanto esso non può riguardare quanto non ricompreso nel progetto approvato.

Vengono reiterate le domande di adeguamento delle opere di drenaggio e di risarcimento per i frutti perduti, sulle quali il giudice di primo grado ha declinato la giurisdizione.

Viene reiterata la domanda di restituzione delle aree non trasformate, comprese nel piano parcellare, approvato con D.M. 12.11.1992, occupate il 16.3.1993, in forza del decreto 3.2.1993, prot.n.62, del Prefetto di Reggio Calabria, decaduto il 12.11.1997, respinta in primo grado erroneamente, perché si è ritenuto che, trattandosi di domanda di retrocessione parziale, non vi fosse la dichiarazione di inservibilità. Al contrario, secondo gli appellanti, si tratterebbe di richiesta di restituzione di beni non trasformati, che non possono che essere restituiti, nonostante la riapprovazione del progetto del 18.8.1998 e la reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità che sarebbe scaduta il 18.8.2003.

Si insiste nella domanda, respinta in primo grado, di risarcimento del danno per occupazione illegittima della aree occupate, per il primo periodo (maggio 1991-marzo1993) in forza del decreto del Prefetto di Reggio Calabria 7.3.1988, decaduto il 15.5.1991, non trasformate durante la prima occupazione e rioccupate il 16.3.1993, in forza del decreto prefettizio 3.2.1993, n.62, e per le aree occupate di fatto dal 13.11.1997 e non trasformate.

Il giudice di primo grado ha ritenuto non provato che le aree non fossero state restituite tra la decadenza del primo decreto e la esecuzione del secondo, mentre gli odierni appellanti avevano prodotto il verbale di immissione in possesso, che avrebbe dovuto comportate l’inversione dell’onere della prova, e quindi della riconsegna, a carico della parte intimata.

Viene reiterata in appello la domanda con la quale si pretende il risarcimento subito per le aree che, pur non occupate, sarebbero rimaste intercluse o inutilizzabili, perché coperte da materiale di risulta. Il giudice di primo grado aveva rigettato tale domanda, perché non sufficientemente dimostrata la interclusione.

Gli appellanti insistono per l’accoglimento della pretesa suddetta, ritenendone soddisfatto l’onere probatorio.

Con riguardo alla domanda di risarcimento della proprietà di mq.3.865 della particella 2, occupata il 15 ottobre 2001, il giudice di primo grado l’ha dichiarata inammissibile processualmente, perché non ritualmente notificata alle altre parti.

Gli appellanti insistono nella domanda, della quale le controparti avrebbero in sostanza accettato il contraddittorio, in quanto da intendersi come consequenziale all’annullamento dell’atto impugnato, e pertanto proponibile in maniera non rituale, solo successivamente alla proposizione della domanda di annullamento.

Con riguardo alle domande accolte, nell’an, dal primo giudice, gli appellanti contestano la liquidazione sul quantum effettuata in sentenza, perché effetto di errore materiale.

In definitiva, con l’atto di appello si chiede quanto segue:

1) l’annullamento del decreto 17.7.2001 del Prefetto di Reggio Calabria (o la dichiarazione che esso sia inutiliter dato), e la dichiarazione e condanna che anche i 3865 mq. della particella 2 fl.37, trasformati irreversibilmente nelle more del giudizio, poiché non restituibili, vanno risarciti per equivalente;

2) la condanna dell’ANAS alla effettuazione dei lavori anti-allagamento;

3) la condanna dell’ANAS alla restituzione delle aree occupate il 16.3.1993 e non utilizzate né funzionali al progetto;

4) la condanna dell’ANAS al risarcimento del danno per le seguenti causali:

a) per occupazione illegittima dal 15.5.1991 al 16.3.1993, dei 47500 mq. oggetto della prima, in ordine di tempo, occupazione e per occupazione illegittima di terreni non trasformati, occupati dal 13.11.1997 (fine della seconda occupazione illegittima) alla data di restituzione;

b) per perdita della proprietà delle aree occupate il 16.3.1993 (in forza del decreto ministeriale del 12.11.1992) e irreversibilmente trasformate;

c) per perdita della proprietà delle aree irreversibilmente trasformate e acquisite per occupazione usurpativa;

d) per la perdita di valore delle aree occupate di fatto, per sconfinamento;

e) per la perdita delle aree occupate in forza del decreto del 17.7.2001, e irreversibilmente trasformate nel corso del giudizio.

Con memoria del 9 settembre 2004 gli appellanti hanno dedotto che, nonostante la intervenuta sentenza n.204 del 6-7- luglio 2004 del giudice delle leggi, possa ritenersi che, se è venuta meno la giurisdizione del giudice amministrativo sulle occupazioni completamente di fatto, senza alcuna previa dichiarazione di pubblica utilità, potrebbero comunque restare nella cognizione del giudice amministrativo le controversie di tipo risarcitorio nascenti dalle c.d. occupazione acquisitive, o c.d. usurpative o di fatto, determinate da decadenza dei termini di efficacia o dall’annullamento del decreto di occupazione e/o della dichiarazione di pubblica utilità.

Resterebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo, in quanto la Corte Costituzionale ha fatto salve le pretese risarcitorie conseguenti al sindacato di legittimità su atti e provvedimenti, sia le pretese derivanti da c.d. occupazione acquisitiva, conseguenti all’annullamento di decreto di occupazione e/o di espropriazione, sia le pretese derivanti dalla prima forma di c.d. occupazione usurpativa (sia di mero fatto che) derivante dall’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.

Si deduce, in ogni caso, che non essendovi contestazione o impugnazione in punto di giurisdizione, su cui pure il primo giudice si è espressamente pronunciato, si sarebbe formato il giudicato interno sulla stessa, con esaurimento del rapporto e intangibilità dello stesso anche a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale.

Con atto depositato in data 25 ottobre 2004 e ritualmente notificato, gli appellanti hanno proposto atto di rinunzia parziale all’appello, relativamente al capo di domanda della sentenza che ha accolto la domanda risarcitoria (per le aree irreversibilmente trasformate a seguito di dichiarazione di p.u., occupazione legittima, e senza l’intervento del decreto di esproprio, e per le aree occupate di fatto per la realizzazione della strada), prima impugnata soltanto sul quantum della ottenuta liquidazione; osservano che sulle domande sulle quali già il primo giudice ha declinato la giurisdizione (adeguamento delle opere, frutti non ottenuti e risarcimento dei danni derivanti dall’allagamento), non potrà che esservi conferma della pronuncia di primo grado; per le altre domande respinte nel merito in primo grado (restituzione delle aree occupate in forza del primo decreto di occupazione e non trasformate; risarcimento del danno da occupazione illegittima, nei 670 giorni compresi tra il 15.5.1991 e il 16.3.1993 dei 47.500 mq. oggetto della prima occupazione; risarcimento per occupazione illegittima delle aree non trasformate e da restituire, dalla scadenza della occupazione legittima-13.11.1997- alla data di restituzione effettiva; risarcimento per perdita di valore, svalutazione, di 16360 mq. trasformati in discarica e interclusi e resi inutilizzabili; risarcimento per la occupazione successiva al decreto prefettizio impugnato del 17.7.2001), il giudice di appello dovrà trattenere la giurisdizione o declinarla, senza pregiudizi per azioni future.

Con memoria difensiva del 3 novembre 2004 l’Avvocatura dello Stato, in difesa del Ministero dell’Interno e dell’ANAS, deduce che sulle domande di risarcimento per accessione invertita e occupazione di fatto si sarebbe formato il giudicato, a seguito della rinuncia parziale all’appello notificata il 13 ottobre 2004; si deduce che gli appellanti hanno rinunciato anche al motivo di appello relativo alle domande di adeguamento delle opere di drenaggio e al risarcimento dei frutti perduti per l’allagamento, avendo affermato che questo giudice non potrebbe che confermare il decisum di primo grado sul punto; si deduce la inammissibilità della censura, perché formulata per la prima volta in secondo grado, circa la parziarietà del decreto di occupazione rispetto al piano parcellare; con riguardo alla domanda di risarcimento del danno, derivante dalla perdita della proprietà di terreni occupati il 15 ottobre 2001, dichiarata inammissibile perché non ritualmente proposta, dal primo giudice, nonché per le altre domande, si insiste per il rigetto dell’appello.

Alla udienza del 16 novembre 2004 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.Ai fini dell’ inquadramento della causa in esame, appare opportuno elencare le varie domande proposte dagli odierni appellanti, al fine di valutarne la giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, alla luce della nota sentenza della Corte Costituzionale n.204/2004.

Gli appellanti hanno proposto già in primo grado, e reiterato in appello, le seguenti domande:

a) annullamento del decreto che autorizza la occupazione d’urgenza (17.7.2001), con censura nella quale si deduce che la particella n.36 non rientrava nel piano parcellare del 1998, e dall’altro lato, che buona parte delle aree sarebbe già divenuta di proprietà della amministrazione, a seguito di irreversibile trasformazione (domanda rigettata perché infondata dal primo giudice, e reiterata in appello);

b) la restituzione delle aree non trasformate (domanda rigettata dal primo giudice in quanto qualificata di retrocessione parziale, e in mancanza di dichiarazione di inservibilità, reiterata in appello, pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.204/2004);

c) la condanna alla realizzazione di opere anti-allagamento, a tutela di altre aree di proprietà (sulla quale il primo giudice ha declinato la giurisdizione, e gli appellanti, con la rinuncia all’appello, hanno sostenuto che il giudice di appello non può che confermare la impugnata sentenza, in punto di giurisdizione);

d) il risarcimento per occupazione illegittima di aree occupate negli anni 1991-1993 (domanda rigettata dal primo giudice per infondatezza, reiterata in appello) e dal 13.11.1997 alla restituzione (formulata per la prima volta in appello, secondo la eccezione formulata dalla Avvocatura dello Stato);

e) il risarcimento per irreversibile trasformazione di aree comprese nel piano parcellare, a seguito di legittima, e non impugnata dichiarazione di pubblica utilità, di decreto di occupazione, senza decreto di esproprio (domanda accolta nell’an dal primo giudice, impugnata sul quantum con l’appello, ma oggetto di rinuncia successiva);

f) risarcimento del danno per aree occupate di fatto, non comprese nel piano particellare (domanda accolta nell’an dal primo giudice, impugnata sul quantum con l’appello, ma oggetto di successiva rinuncia);

g) per i danni derivanti dalla perdita dei frutti, a causa dell’allagamento (domanda sulla quale il primo giudice ha declinato la giurisdizione, e in relazione alla quale nell’atto di rinuncia si sostiene che il giudice di appello dovrebbe confermare la impugnata sentenza in punto di giurisdizione).

h) il risarcimento dei danni subiti per la perdita della proprietà dei suoli occupati il 15 ottobre 2001, domanda dichiarata inammissibile dal giudice di primo grado, perché non ritualmente proposta e notificata alla controparte.

2.In via preliminare di rito, va osservato che, con atto ritualmente notificato alle altre parti e depositato, gli appellanti hanno rinunciato alle domande di appello relative alle pretese, accolte solo in parte in primo grado, relative alle azioni risarcitorie per irreversibile trasformazione e per occupazione di aree limitrofe.

L'Avvocatura dello Stato non ha contestato la rinunzia.

Deve ritenersi che la rinunzia, ritualmente notificata ed accettata dalla controparte, a domande autonome di appello preclude al collegio qualsiasi valutazione sul punto, anche per quanto concerne la formazione e gli effetti del cosiddetto giudicato implicito, nonché per quanto attiene alla propria giurisdizione, ed il collegio non debba fare altro che dare atto della preclusione da intervenuta rinuncia (Consiglio di Stato, V, 3 aprile 2000, n.1902).

Pertanto, in relazione alle domande di appello relative alle pretese per risarcimento dei danni da irreversibile trasformazione e per le aree occupate di fatto, accolte in parte in primo grado e impugnate con l’appello soltanto sul quantum, il Collegio non può fare altro che dare atto della rinuncia all’appello.

3.Prima di affrontare la questione di giurisdizione, in relazione alle varie altre domande, il giudice adito deve porsi il problema, sollevato dagli appellanti, della rilevabilità di ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice di appello, anche in difetto di impugnazione sul punto, pure a seguito di espressa pronuncia del giudice di primo grado.

Sul punto, si è sostenuto che il difetto di giurisdizione sia rilevabile di ufficio in qualunque stato e grado del processo amministrativo, a nulla rilevando che sulla giurisdizione il giudice di primo grado si sia pronunciato con statuizione espressa, dovendosi escludere, fino a quando il rapporto processuale resti pendente e sempre che sulla giurisdizione stessa non sia intervenuta una decisione della Corte di Cassazione come giudice della giurisdizione, che tale statuizione sia suscettiva di passare in cosa giudicata (C. Stato, ad.plen., 28 ottobre 1980, n.42; C. Stato, IV, 4 febbraio 1999, n.112; C. Stato, VI, 25 marzo 1998, n.390).

In senso contrario, per la tesi della inammissibilità del rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice di appello, in difetto di specifica impugnazione sul punto, si è sostenuto, da parte di altra giurisprudenza, che il principio della rilevabilità di ufficio del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del giudizio, vada coordinato con il sistema delle impugnazioni, e in particolare troverebbe un limite nel giudicato interno sulla giurisdizione, che si formerebbe quando il primo giudice si sia pronunciato, esplicitamente o implicitamente sul punto di giurisdizione, con statuizione non impugnata, con la conseguenza che il giudice di appello non potrebbe rilevare di ufficio il proprio difetto di giurisdizione, se la giurisdizione sia stata affermata dal primo giudice con statuizione non appellata sul punto e quindi passata in giudicato (tra tante, Cassazione SS.UU.28 gennaio 1998, n.850, 30 maggio 1991, n.6149; Cassazione sezione lavoro, 17 giugno 1996, n.5529; 9 febbraio 1990, n.942; Consiglio di Stato, IV, 14 aprile 1998, n.621; IV, 23 febbraio 1998, n.329).

Il Collegio ritiene di dovere aderire alla prima tesi, in quanto, ai sensi del dato letterale dell’art. 30 L.TAR, il difetto di giurisdizione può essere rilevato di ufficio in ogni stato e grado del processo (in tal senso anche Cassazione a Sezioni Unite, 28 ottobre 1986, n.835).

Vale inoltre il principio che il mutamento di legge in punto di giurisdizione, risultante dalla citata pronuncia della Corte Costituzionale, incide sul presente giudizio, perché le sentenze che dichiarano la illegittimità costituzionale di una norma hanno efficacia retroattiva, operando una ricognizione di un vizio originario e intrinseco della norma stessa, con conseguente impossibilità di assimilare tale evento alla abrogazione a seguito di successione di legge successiva.

L’art. 30 L. 87 del 11 marzo 1987, stabilisce che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione”; la pronuncia di incostituzionalità vale anche, pertanto, nei rapporti pendenti.

Né osta a tale efficacia la regola della irrilevanza ai fini della competenza dei mutamenti della legge successivi alla proposizione della domanda (art. 5 c.p.c., principio della perpetuatio jurisdictionis), in quanto l’intervento della Corte Costituzionale non segna una variazione rispetto al precedente quadro normativo, né, come detto, si può equiparare a legge sopravvenuta, ma elimina, annulla, in tutto o in parte, con forza retroattiva (con il predetto limite dei rapporti non esauriti), la norma già presente nell’ordinamento a causa di un contrasto “ab origine” con i precetti della Costituzione.

Resta salvo, quindi, solo il limite dei rapporti esauriti al momento di pubblicazione della sentenza, e sono tali quelli accertati con sentenza passata in giudicato o già consolidati, ma non sono tali quelli in cui il giudice di primo grado si sia espressamente pronunciato sulla giurisdizione, anche se non vi sia stata impugnazione espressa sul punto.

Infatti, finché sulla giurisdizione non sia intervenuta una decisione della Corte di Cassazione, la statuizione su di essa non è da considerare passata in giudicato, non essendo preclusiva della declaratoria in sede di appello una pronuncia espressa del giudice di merito non specificamente impugnata dalla parte soccombente (in tal senso questa sezione, N.6328/2004 del 27 settembre 2004).

D’altronde, la questione di giurisdizione deve essere risolta dal giudice adito per il merito, in via preliminare, dal momento che la giurisdizione è un presupposto del processo, e anzi, il primo dei presupposti processuali.

4.In ordine alle restanti domande, va in primo luogo affrontata la reiterata, in secondo grado, domanda di annullamento del decreto di occupazione di urgenza del 17.7.2001.

Tale atto viene contestato, in primo luogo per mancata corrispondenza con il piano particellare, e in secondo luogo perché riguarderebbe suoli di cui l’amministrazione già sarebbe divenuta proprietaria, a seguito di irreversibile trasformazione.

Trattandosi di impugnazione di un provvedimento amministrativo, che rientra nella generale giurisdizione di legittimità, non è controversa la giurisdizione del giudice amministrativo.

Nel merito, la censura è infondata sotto il primo profilo, in quanto la diversità delle particelle, come già rilevato dal primo giudice, deriva solo da frazionamento, e la contestata particella n.36 (da cui deriva la n.139) era contemplata nel progetto approvato in data 18.8.1998 (in riapprovazione del progetto del 14 marzo 1986).

Sotto il secondo profilo, deve osservarsi che il fatto che il decreto di occupazione vada a toccare aree già irreversibilmente trasformate, come dedotto dagli appellanti, renderebbe tale atto del tutto inutile e improduttivo di effetti, sicchè anche la impugnazione si profilerebbe piuttosto inammissibile per carenza di interesse.

D’altronde, la tutela relativa ad aree di terreno, perdute perché su di esse si è verificata accessione invertita, avviene a mezzo della proposta azione risarcitoria.

5.In relazione alle altre domande di risarcimento, una volta dato atto della rinuncia parziale all’appello, relativamente alle domande per danni da irreversibile trasformazione e per occupazione di fatto da sconfinamento, restano da esaminare le seguenti domande:

la domanda di restituzione delle aree comprese nel piano parcellare approvato con D.M. 12.11.1992, non trasformate; la domanda per danni per periodo di occupazione illegittima per il primo periodo di tempo (dal 15.5.1991 fino al 16.3.1993), e dal 13.11.1997 in poi;

la domanda per realizzare opere di deflusso anti-allagamento;

la domanda per i danni corrispondenti ai frutti perduti;

la domanda per i danni subiti a seguito della occupazione avvenuta in data 15 ottobre 2001.

In relazione alla domanda di restituzione delle aree, prima ancora che la sua infondatezza, va dichiarato il difetto di giurisdizione, trattandosi di azione restitutoria a tutela della proprietà, anche per quanto si specificherà successivamente in relazione al riparto di giurisdizione.

Allo stesso modo, va confermato, come tra l’altro già ammesso dagli appellanti nell’atto di rinunzia, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a domande di condanna ad un facere per la realizzazione di opere anti-allagamento, così come per la domanda di risarcimento dei danni subiti, in misura dei frutti perduti a causa degli allagamenti, trattandosi di domande risarcitorie pure, per lesioni alle posizioni proprietarie.

Residua da esaminare la domanda di risarcimento dei danni da occupazione illegittima per il periodo maggio 1991-luglio 1993 e dal 13.11.1997 in poi.

6.A prescindere da altri profili di rito (e dalla eccezione di inammissibilità della pretesa relativa al periodo dal 13.11.1997 in poi, perché proposta solo in grado di appello per la prima volta), va verificata la sussistenza della (o il difetto di) giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, in relazione a domande per risarcimento da occupazione di fatto avvenute nel passato, completamente scollegate, nella domanda di parte, da impugnazioni di atti e provvedimenti (la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di occupazione sulla base dei quali si è dato luogo alla occupazione de qua), e pertanto dovute a “meri comportamenti” dell’amministrazione (e quindi piuttosto a scorretto operato o a scorrette esecuzioni di provvedimenti).

La questione da risolvere attiene quindi alla giurisdizione per risarcimento derivante da occupazione ritenuta fatto illecito (tale anche se non si è verificata la irreversibile trasformazione), pur se rientrante in una vicenda espropriativa, sulla base di dichiarazione di pubblica utilità decaduta per decorrenza dei termini.

Al proposito, il Collegio ritiene di dover, seppure sinteticamente, richiamare le problematiche del riparto di giurisdizione in materia di occupazioni c.d. espropriative.

Prima della richiamata pronuncia del giudice delle leggi, in tema di riparto di giurisdizioni, la prevalente giurisprudenza, così come anche la impugnata sentenza di primo grado, riteneva che rientrassero nella giurisdizione esclusiva in materia urbanistica (ex art. 34 D.Lgs.80/1998 e L.205/2000), le controversie attinenti alla occupazione acquisitiva (per accessione invertita) o usurpativa, e anche quando si trattava di esperimento della sola tutela risarcitoria avverso attività di tipo espropriativo, in presenza di (legittima, o illegittima e annullata) dichiarazione di pubblica utilità.

Ai fini del riparto di giurisdizione, in una concezione più ampia della materia espropriativa (connessa alla urbanistica), si poteva anche ritenere irrilevante la distinzione tra fattispecie di occupazione acquisitiva e fattispecie di occupazione usurpativa, in quanto entrambe rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estesa ai comportamenti posti in essere nell’ambito dell’uso del territorio.

Per la tesi ommicomprensiva della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si era ritenuto che la valutazione della pretesa restitutoria o risarcitoria in forma specifica, presuppone un accertamento sul modo in cui il potere pubblico è stato in concreto esercitato, sicchè la logica concentrazionistica in tema di giurisdizione esclusiva faceva propendere anche in tale caso per la estensione della cognizione del giudice della funzione amministrativa (Consiglio Stato, IV, 14 dicembre 2002, n.6921; Ad. Plenaria n.4 del 26 marzo 2003).

Altra giurisprudenza aveva ritenuto che, ai sensi dell’art. 34 D.Lgs.80/1998, come sostituito dall’art. 7 L.205/2000, rientrasse nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno in conseguenza della accessione invertita ovvero della c.d. occupazione acquisitiva, mentre, in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità, e comunque nella ipotesi di mera occupazione senza titolo, in cui non si verifica la fattispecie acquisitiva, ma soltanto un fatto illecito, generatore di danno, ovvero la c.d. occupazione usurpativa, la controversia rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario (Consiglio di Stato, IV, 9 luglio 2002, n.3819).

L’istituto della occupazione acquisitiva (ma a tal fine, per alcuni, anche la usurpativa) rientrerebbe, per la tesi più estensiva della giurisdizione del giudice amministrativo, nella ampia nozione di urbanistica, in quanto strumentale alla stessa, in quanto vicenda di fatto che (v. Corte Costituzionale n.118 del 1995) ha effetti simili alla espropriazione rituale e legittima, nel senso che l’acquisto a favore della pubblica amministrazione del nuovo bene risultante dalla trasformazione del territorio, si fonda sulla realizzazione di un’opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità.

D’altronde, rientravano ex art. 34 D.Lgs.80/1998 nella cognizione del giudice amministrativo anche i comportamenti, posti sullo stesso piano di “atti e provvedimenti”, e appunto la occupazione acquisitiva (ma in parte anche quella c.d. usurpativa) rientrerebbe appunto tra i comportamenti.

La legge ha inoltre attribuito al giudice amministrativo la potestà di disporre il risarcimento del danno, sia in forma specifica che generica, e quindi anche del potere di risarcire il privato dei danni subiti a seguito di occupazione espropriativa.

La occupazione acquisitiva (o appropriativa o accessione invertita) è fatto illecito e quindi fonte di danno da risarcire e non di indennità, laddove l’art. 34 riserva al giudice ordinario le sole indennità.

L’accertamento del fatto illecito ricomprende quindi la indagine sostanziale del potere espropriativo, in relazione alla esistenza di efficace dichiarazione di pubblica utilità (senza la quale si sarebbe in presenza del diverso fenomeno della c.d. occupazione usurpativa) e di una intempestiva definizione della procedura di esproprio, definita invece a mezzo del comportamento fattuale, consistente nella irreversibile trasformazione dell’area dopo lo scadere del periodo legittimo di occupazione.

La Cassazione a Sezioni Unite (ordinanza n.43 del 2000) aveva del pari ritenuto, salvo poi sollevare la questione di costituzionalità per eccesso di delega, che rientrassero nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie relative a diritti alla riacquisizione del bene occupato sine titulo (per originaria carenza e successiva inefficacia del titolo stesso), il diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, il diritto al risarcimento del danno prodotto dalla accessione invertita o espropriazione sostanziale.

Altre problematiche solleva la diversa ipotesi definita come occupazione usurpativa, che si verifica quante volte la attività di costruzione sia seguita a dichiarazione di pubblica utilità mancante, nulla o annullata.

In tali ipotesi, mancherebbe quel fine teleologico, attribuito invece al bene mediante una precedente e perdurante dichiarazione di pubblica utilità.

In tale fattispecie, non sussistendo quel vincolo funzionale, che consente di privilegiare la situazione della pubblica amministrazione, la stessa sarebbe tenuta alla restituzione del bene.

La occupazione usurpativa, in quanto appartenente ai meri fatti illeciti, sarebbe, secondo altra opinione giurisprudenziale, su riportata, riservata alla cognizione del giudice ordinario.

La distinzione generale, dottrinaria e giurisprudenziale tra la occupazione acquisitiva e quella usurpativa consiste quindi nella circostanza che solo la prima è sorretta da valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità, mentre la seconda non è assistita da tale atto (per cui non può operare la fattispecie estintivo-costitutiva della accessione invertita) e l’interesse pubblico che l’opera tende a realizzare viene perseguito in via di mero fatto, senza che la prevalenza dell’interesse pubblico dichiarato prevalente rispetto ad altri interessi sia stato considerato in una valutazione comparativa ed esternata nella sede del procedimento amministrativo e a mezzo di atti amministrativi.

Conseguentemente, non necessariamente il privato è costretto ad esperire il solo rimedio risarcitorio (pur possibile, con valenza abdicativa), ma potrebbe optare per la tutela restitutoria del bene.

Quando sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità, in seguito ad annullamento della relativa delibera, non si verifica il fenomeno della occupazione acquisitiva, ma piuttosto un illecito di carattere permanente, con conseguente obbligo di risarcimento integrale del danno, pari all’intero valore del terreno occupato (in tal senso Consiglio di Stato, IV, 9 luglio 2001, n.3819; Consiglio di Stato, IV, 14 giugno 2001, n.3169; Cassazione civile, I, 16 maggio 2003, n.7643).

Nella fattispecie all’esame del Collegio, si tratta, in verità, di azione di risarcimento per danni derivanti non già da occupazione acquisitiva (e cioè dichiarazione di pubblica utilità, occupazione, e comportamento di fatto consistente nella irreversibile trasformazione, che comporterebbe la perdita della proprietà per accessione invertita, domanda oggetto di rinuncia parziale all’appello), né di azione per occupazione usurpativa (per mancanza di dichiarazione di pubblica utilità, o per nullità della stessa, o per annullamento a seguito di sua impugnazione in via giurisdizionale), ma piuttosto di occupazione prima legittima, perché supportata da legittima e non impugnata dichiarazione di pubblica utilità, mai contestata, e poi divenuta illegittima, o meglio illecita, a causa della inerzia e dello scorretto operato della amministrazione (che provvedeva successivamente ad iniziare altre procedure ablatorie).

A seguito della decadenza per decorso dei termini della dichiarazione di pubblica utilità, la occupazione dovrebbe intendersi successiva sì a legittima dichiarazione di pubblica utilità, ma non succeduta a sua volta dal rispetto delle procedure e dei suoi tempi all’uopo previsti dalla legge, e quindi valutabile, ex post, alla stregua di una attività, di un operato, quindi di un mero comportamento, qualificabile come fatto illecito di tipo aquiliano.

Nella specie, la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità si pone come vicenda che incide sulla perdurante validità della dichiarazione e sulla sua efficacia.

Tale effetto non è determinato dall’annullamento giurisdizionale (o amministrativo) della relativa dichiarazione a causa di una sua illegittimità iniziale, ma, piuttosto, dalla inerzia della amministrazione, dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione conseguente alla decadenza del termine di efficacia della occupazione a suo tempo disposto, che comporta l’effetto del venir meno del presupposto di una legittima (e non illecita) occupazione.

Sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è intervenuta, come noto, la sentenza del giudice delle leggi n.204 del 2004, che ha affermato, al punto 3.4.3, che l’art. 34 citato “si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva- oltre gli atti e i provvedimenti attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso soggetti equiparati) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia- anche i comportamenti, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita, nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici- alcun pubblico potere”.

Ne deriva che dall’ambito di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo devono intendersi esclusi i comportamenti della P.A. non collegati all’esercizio di un potere autoritativo, quali, appunto (ciò vale sia in tema di occupazione sia c.d. acquisitiva che usurpativa), le fattispecie, relative ai casi, come quello in esame, in cui si lamenta la illiceità della occupazione, ma non si deduce (in assoluto e comunque non nei termini) la illegittimità di uno degli atti antecedenti la stessa, e pertanto la pretesa risarcitoria sarebbe derivante da un mero comportamento dell’amministrazione.

Il giudice amministrativo resta pertanto competente giurisdizionalmente a decidere controversie con le quali la occupazione sia avvenuta in forza di provvedimenti di cui si contesti la legittimità (tale è la domanda dell’appellante trattata al punto 7 della presente decisione).

Al contrario, la cognizione spetta al giudice ordinario quando non si impugni, come nella specie, alcun atto amministrativo, ma più semplicemente, il proprietario faccia valere la lesione del suo bene.

A parte la problematica del significato, in teoria generale, della nozione di “comportamento”, e cioè se in essa vadano ricomprese o incluse, vicende quali le dichiarazioni implicite, i silenzi, i comportamenti solo concludenti, le vie di fatto, le attività solo esecutive (scorrettamente) di altri atti, in ogni caso la occupazione è di fatto e rientra in un fatto illecito se, come nella specie, completamente disgiunto dalla contestazione di atti amministrativi,valutabile ai sensi dell’art. 2043 c.c.(che non a caso si riferisce ad un “fatto”, ma che tuttavia, secondo la migliore opinione, si riferisce agli atti, considerata la necessità della capacità di intendere e di volere ex art. 2046 c.c.).

La occupazione (ormai) di fatto, quale attività (non già un atto) di cui si deduce la illiceità, viene sottoposta, nella specie, alla cognizione dell’adito giudice, in difetto di impugnazione di atti e provvedimenti posti a suo fondamento.

Se in diritto civile il comportamento (concludente) è il comportamento complessivo in difetto di una volontà dichiarata, in diritto amministrativo con tale nozione si indicano figure in cui l’oggettivo operare della amministrazione produce conseguenze giuridiche, ma in mancanza di (o comunque di diretta riconduzione a) provvedimenti amministrativi o espresse dichiarazioni di volontà.

E’ evidente, inoltre, che tali comportamenti sono sussumibili, rispetto alle situazioni precedenti del passato (atti e provvedimenti che li legittimano o possono essere non più in grado di legittimarli) dalle quali originano, non già sotto il parametro di legittimità, o del suo contrario, la illegittimità (applicabili agli atti e ai provvedimenti), ma piuttosto sub specie facti, come fatto lecito o illecito, e pertanto, per il futuro, costitutivi, ex artt. 1173 e 2043 c.c., della obbligazione di risarcire il danno.

Per tali comportamenti, incidenti su posizioni di diritto soggettivo, deve pertanto essere ritenuta sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, poiché principio fondamentale del nostro ordinamento, secondo il giudice delle leggi, è quello secondo cui, salvi i casi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, la tutela dei diritti soggettivi è esercitata davanti al giudice ordinario (in tal senso, anche questa medesima sezione del Consiglio di Stato, 27 settembre 2004, n.6328).

Né in tali ipotesi è ravvisabile la giurisdizione generale di legittimità del medesimo giudice amministrativo (nell’ambito della quale lo stesso “conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno”, come recita il primo periodo, comma terzo, dell’art. 7 L.1034/1971), in quanto nella suddetta occupazione, da un lato, non sono configurabili situazioni di interesse legittimo, e dall’altro lato la tutela risarcitoria non è invocata, come già detto, come consequenziale ad alcun atto, di cui si asserisca la illegittimità.

Con altra sentenza (n.281 del 28 luglio 2004) il giudice delle leggi ha altresì stabilito che è incostituzionale l’art. 34, commi 1 e 2, D.L.vo 1998/80 nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e di urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34 commi 1 e 2 D.L.vo 1998/80, comporta la necessità di interpretare il successivo art. 35 nel senso che il potere di riconoscere i diritti patrimoniali conseguenziali relativi alle controversie in materia edilizia ed urbanistica, ivi incluso il risarcimento del danno, è limitato alle sole ipotesi in cui il giudice amministrativo era già munito di giurisdizione, tanto di legittimità che esclusiva.

La sentenza n.204/2004 del 5 luglio 2004 della Corte Costituzionale, da un lato riconoscendone la validità costituzionale e dall’altro limitando (impedendone cioè un utilizzo generalizzato, non trattandosi di “materia” autonoma), la potestà giurisdizionale del giudice amministrativo di tipo risarcitorio, (non consentendola, per esempio, in caso di azioni risarcitorie pure, per danni derivanti da fatti commessi al di fuori dell’esercizio della funzione amministrativa) ha chiarito che “…la portata demolitoria della stessa non investe in alcun modo l’art. 7 L.205/2000 nella parte in cui sostituisce l’art. 35 D.Lgs.80/1998, in quanto il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non costituisce sotto alcun profilo una nuova materia attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

L’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente, in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta la tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l’art. 13 L.19 febbraio 1992 n.142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost..”

L’interprete deve quindi trarre le conclusioni sul riparto di giurisdizione in materia espropriativa, sia alla luce dell’orientamento giurisprudenziale formatosi nei recenti anni, di vigenza del sistema di riparto c.d. per blocchi di materie, che della sentenza del giudice delle leggi.

La prima considerazione è che la Corte Costituzionale non ha inciso sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di controversie relative ad atti e provvedimenti incidenti in materia urbanistica (salvo poi dover accertare da un lato la distinzione in materia tra gli atti e i provvedimenti, dall’altro il rapporto tra diritti soggettivi compresi nella giurisdizione esclusiva e il diritto al risarcimento del danno, inteso come mero completamento di tutela, e ancora tra la medesima tutela risarcitoria e gli oramai esclusi comportamenti che ne sono una possibile fonte).

La Corte Costituzionale ha escluso dalla cognizione del giudice amministrativo soltanto i comportamenti.

Poiché, per dottrina generale, ogni atto è prima di tutto un fatto, deve ritenersi che, con riferimento alla nozione di comportamento, ci si riferisca ai casi in cui non vi è (o non vi è più) esercizio di potere amministrativo, oppure alle manifestazioni tacite di volontà, oppure, ancora, ai comportamenti attuativi o esecutivi, o alle c.d. vie di fatto (la voie de fait della dottrina francese), o semplicemente a attività successive (anche scorrette) a provvedimenti amministrativi; sotto altro aspetto, per distinguere i comportamenti da altre categorie (atti e provvedimenti), si potrebbe fare nuovamente riferimento alla vecchia dicotomia che comprende la carenza di potere (astratta o concreta), contrapposta al cattivo uso del potere.

Quando si agisce, come nella specie, per risarcimento per danni da occupazione prima sorretta da dichiarazione di pubblica utilità, e poi colorata da “illiceità”, perché (come dimostra la decadenza) non seguita nei termini da atti successivi legittimi (esproprio) o illegittimi (trasformazione irreversibile, nel quale caso sarebbe stata chiara la illiceità del fatto, come l’acquisto a favore della amministrazione), la giurisdizione non appartiene (più) al giudice amministrativo.

Né rileva che, in fatto, sullo stesso terreno occupato si sia verificata successivamente una espropriazione (formale o sostanziale), in quanto le precedenti occupazioni e dichiarazioni di pubblica utilità, per le quali si agisce, rispetto alle attività successive, sono inoppugnabili, non attaccate e oramai degradate a mero fatto storico.

La Cassazione a Sezioni Unite 6 giugno 2003, n.9139/2003 osservava che anche i comportamenti possono esprimere l’esercizio del potere amministrativo, purchè ancorati all’esercizio di un potere amministrativo; successivamente distingueva i comportamenti meramente materiali (come tali non riconducibili all’esercizio di un potere amministrativo), dai comportamenti che risultino espressione di una volontà provvedimentale.

Concludeva nel senso che in materia espropriativa anche un comportamento tenuto dalla p.a. possa assumere rilevanza quale espressione di potere amministrativo, se collegabile ad un fine pubblico.

Anche la Cassazione a Sezioni Unite 10978/2004 aveva però già ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario, per le azioni restitutorie connesse ad attività amministrativa, realizzata in assenza (o in scadenza) di dichiarazione di pubblica utilità.

La su menzionata sentenza della Cassazione SS.UU. n.9139/2003, già prima della sentenza del giudice delle leggi, aveva ritenuto che i fatti di occupazione usurpativa, sussumibili in meri comportamenti materiali produttivi di danno ingiusto, ricadevano nella cognizione del giudice ordinario, non configgente con la riserva di giurisdizione esclusiva.

Appare quindi chiaro, a maggior ragione oggi, che la giurisdizione esclusiva in caso di occupazione a fini espropriativi, cancellata dalla legge la parola “comportamenti”, non può ricomprendere, come invece era dato interpretare in precedenza (pur tra contrasti giurisprudenziali in relazione alle ipotesi varie di occupazione usurpativa, sopra in breve riportati), condotte solo materiali, anche se miranti alla cura dell’interesse pubblico, e anche se costituenti lo sbocco (pur se scorretto) di procedimento amministrativo caratterizzato da efficace dichiarazione di pubblica utilità.

Già questa sezione del Consiglio di Stato si è espressa nel senso che dovrebbe dichiararsi il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo su controversie quale quella in questione (n.6328 del 27 settembre 2004).

La domanda di risarcimento attinente a danni derivanti da occupazione divenuta illegittima (rectius, illecita), e quindi qualificabile ex post come mera occupazione di fatto, perché protrattasi oltre il termine di legge senza che ad essa abbia fatto seguito il tempestivo decreto di esproprio (né la irreversibile trasformazione), poteva in precedenza rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto riconducibile alle previsioni contenute nel primo comma dell’art. 34 D.Lgs.80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett.b), L.205/2000, a norma del quale erano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia (Consiglio Stato, IV, 14 dicembre 2002, n.6921; Ad. Plenaria n.4 del 26 marzo 2003).

Tale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è venuta meno per effetto della sentenza del giudice delle leggi n.204 del 2004, che ha affermato, al punto 3.4.3, che l’art. 34 citato “si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva- oltre gli atti e i provvedimenti attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso soggetti equiparati) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia- anche i comportamenti, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita, nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici- alcun pubblico potere”.

Dopo la sentenza del giudice delle leggi, pertanto, resterebbe esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo proprio nelle ipotesi che in precedenza vi ricadevano secondo l’opinione prevalente (azione risarcitoria per irreversibile trasformazione, a seguito di occupazione legittima, ma senza decreto di esproprio), mentre, al contrario, vertendosi in primo luogo su impugnazione di atti ritenuti illegittimi (dichiarazione di pubblica utilità o della occupazione), e poi di azione sul risarcimento (onde evitare il c.d. doppio binario, criticato anche dalla sentenza n.204/2004 della Corte Cost., ma che potrebbe resistere per altro verso, in situazioni nelle quali varie specie di occupazioni si intersecano, come avviene sovente nella pratica e come dimostra la fattispecie oggetto del presente giudizio) vi rientrerebbero giudizi relativi a occupazioni illegittime (o usurpative), sulle quali sussisteva un certo contrasto giurisprudenziale.

7.Con riguardo alla domanda di risarcimento del danno per occupazione avvenuta in data 15.10.2001, dichiarata inammissibile perché non ritualmente notificata, dal primo giudice, l’appello va respinto, essendo principio pacifico che la domanda nuova, quale è appunto quella diretta a risarcire i danni consequenziali all’atto impugnato (il decreto che autorizza la occupazione di urgenza del 17.7.2001), pur ricadente nella giurisdizione dell’adito giudice, anche per le considerazioni precedenti (trattasi di danno consequenziale e quindi di una esigenza di completamento della tutela demolitoria e/o conformativa secondo Corte Cost. 204/2004), va proposta a mezzo di atto ritualmente notificato e depositato nelle forme di rito, anche a mezzo di ricorso per motivi aggiunti.

La suddetta domanda, peraltro, a prescindere dalla sua inammissibilità, è comunque da respingere nel merito, in quanto infondata, per il ben noto principio della pregiudizialità.

Il rigetto della domanda demolitoria determina ex se la inammissibilità e comunque il rigetto della azione risarcitoria, che richiede al contrario il presupposto del preventivo o congiunto esperimento con successo della azione di illegittimità avverso l’atto che fa parte della fattispecie di illecito (“L’azione di risarcimento di un può essere proposta solo a condizione che sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia stato coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari” (Ad.Pl. C. Stato, 4/2003).

8.In conclusione, ai sensi di cui in motivazione, in parte va dato atto della rinuncia parziale all’appello; in parte qua va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (per la domanda restitutoria e per i danni da occupazione di fatto per il periodo 1991-1993 e per il periodo successivo al 13.11.1997), con conseguente annullamento senza rinvio; per il resto si rigetta l’appello, con conseguente conferma parziale della sentenza di primo grado.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

in parte dà atto della rinuncia all’appello; in parte annulla senza rinvio per difetto di giurisdizione; per il resto, in rigetto dell’appello, conferma la impugnata sentenza. Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 novembre 2004, con l’intervento dei magistrati:

Stenio Riccio, Presidente

Dedi Rulli, Consigliere

Bruno Mollica, Consigliere

Carlo Deodato, Consigliere

Sergio De Felice, Consigliere, est.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Sergio De Felice Stenio Riccio

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

21/01/2005


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