LIMITI PER LE REGIONI IN MATERIA DI TUTELA AMBIENTALE
Nota alla sentenza n. 61 del 2009 della Corte Costituzionale

di Arturo Carone - Dottorando di ricerca in Ius Publicum Europaeum Teoria e storia del diritto e delle istituzioni, Università degli Studi di Siena
Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 st1\:*{behavior:url(#ieooui) } /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-style-parent:""; font-size:10.0pt;"Times New Roman";}
 

Con la decisione che s’intende commentare la Consulta ha ripreso l’ormai peculiare questione della ricostruzione delle competenze tra Stato e Regioni in tema di “tutela dell’ambiente” che ancor oggi crea confusione in merito alle potestà legislative ripartite dall’art. 117 Cost. a seguito della riforma realizzata con la legge costituzionale 3/2001.

Con ricorsi depositati rispettivamente nel febbraio e giugno del 2008 e successivamente riuniti, il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva giudizio di legittimità costituzionale impugnando gli artt. 14, commi 1, 2, 3 e 6 e 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 3/12/2007 n. 31 e dell’art. 64 della legge della Regione Valle d’Aosta 13/03/2008 n. 5 con le quali la Regione Valle d’Aosta aveva disciplinato la gestione dei rifiuti sul territorio regionale e la gestione delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali sia di sorgente che termali.

Più specificamente, i commi 1, 2, 3 e 6 dell’art. 14 della legge regionale 31/2007 e l’art. 64 della legge regionale 5/2008 (che ha sostituito il comma 5 del predetto art. 14): individuano, rispetto alla vigente normativa nazionale, condizioni specifiche al presentarsi delle quali gli inerti da scavo non costituiscono rifiuti e non sono soggetti alla relativa disciplina nazionale; regolano la destinazione di questi inerti da scavo e sottraggono in ordine alla realizzazione quanto all’esercizio le aree di stoccaggio al regime ordinario previsto dal D.Lgs. 152 del 2006.

L’art. 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 31/2007, invece, esclude che il raggruppamento dei rifiuti urbani e di quelli speciali assimilabili agli urbani in frazioni merceologiche omogenee, ai fini della raccolta e successive operazioni, costituiscano operazioni di smaltimento o di recupero, consentendo ai comuni la realizzazione di isole ecologiche senza la necessità di osservare le procedure previste dagli artt. 208 e 216 del D.Lgs. 152/06.

In merito ai commi 1, 2, 3 e 6 dell’art. 14 della legge regionale 31/2007 e dell’art. 64 della legge regionale 5/2008, in relazione al combinato disposto degli artt. 117, 1° comma della Costituzione e 2, 1° comma, dello statuto speciale per la Valle d’Aosta, nonché della giurisprudenza della Corte di Giustizia (viene richiamata in proposito la sentenza del 18/04/2008 causa C-9/00), la difesa erariale aveva censurato le disposizioni impugnate, ritenendo che tali articoli prevedevano un’interpretazione difforme della nozione giuridica di rifiuto definita dalla direttiva 2006/12/CE, nonché un’ esclusione di taluni inerti da scavo dal campo di applicazione della normativa statale dei rifiuti e conseguentemente una disciplina divergente e di minore tutela ambientale rispetto a quella dell’art. 186 del D.Lgs. 152 del 2006.

Per quanto riguarda l’art. 21 della legge della Regione Valle d’Aosta 31/2007, la difesa erariale faceva presente che tale disposizione avrebbe comportato una riduzione dei limiti di tutela ambientale statali, ed in particolar modo avrebbe consentito la realizzazione e l’esercizio di nuovi impianti di smaltimento e recupero di rifiuti senza alcuna autorizzazione.

Con sentenza n. 61 del 2009 la Corte costituzionale si è espressa dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2, 3 e 6 della legge della Regione Valle d’Aosta 31/2007, nonché dell’art 64 della legge regionale 5/2008 e contestualmente dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 21 della suddetta legge della Regione Valle d’Aosta  n. 31 del 2007.

Al fine di comprendere meglio questa decisione, il primo nodo da sciogliere è la collocazione della disciplina sui rifiuti nel riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, sancito dall’art. 117 della nostra Carta costituzionale, secondo il noto criterio delle materie, per poi analizzare come tale criterio sia stato messo in crisi.

La disciplina dei rifiuti, data la sua natura tecnica e gestionale, fortemente legata ai luoghi di produzione e trattamento dei rifiuti, sembrerebbe appartenente alla materia, concorrente fra Stato e Regioni, del governo del territorio, ma la disciplina dei rifiuti, in realtà, si colloca nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema come ribadito dalla consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale (si vedano in particolare le sentenze nn. 62, 149 e 227 del 2008). Le stesse modalità per governare il territorio, infatti, sono spesso inevitabilmente connesse con l’ambiente, nonché con la salute pubblica e necessitano di una disciplina uniforme (pensiamo ad esempio ai possibili impatti negativi sulla falda acquifera causati potenzialmente dal percolato in mancanza di una uniforme e adeguata disciplina dei rifiuti quale è oggi quella sancita a livello statale).

Come accennato, la qualificazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, ha messo in crisi la classica suddivisione della potestà legislativa disciplinata dall’art 117 secondo il criterio delle “materie”. La tutela dell’ambiente deve infatti, necessariamente, anche a livello legislativo, tener conto della sua peculiare natura a carattere trasversale, nonché del principio di integrazione come previsto dall’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea. A tal proposito la Corte costituzionale ha giustamente offerto un’interpretazione dell’art 117 della nostra Carta costituzionale che va oltre i suoi “confini letterali” legittimando anche le Regioni a legiferare per perseguire finalità di tutela dell’ambiente, con l’unico limite di non prevedere standard inferiori rispetto a quelli stabiliti a livello statale, consentendo anzi, salvo eccezioni (in considerazione degli altri interessi da ponderare) e in conformità del principio di “maggior livello di tutela” previsto dall’art. 174 del Trattato dell’Unione Europea, di legiferare a tutela dell’ambiente introducendo standard più rigorosi di quelli sanciti a livello statale.

Nelle competenze attribuite alla Regione, infatti, la Consulta evidenzia attraverso le sue sentenze (da ultimo le sentenze nn. 214 e 277 del 2008) un potere insito degli enti regionali di legiferare anche in merito ad una “materia trasversale”, come quella della tutela dell’ambiente, che da una prima e superficiale lettura dell’art. 117 sembra di competenza esclusiva dello Stato, ma di cui s’impone una concreta attuazione data l’indiscussa elevazione dell’ambiente a valore costituzionalmente protetto.

La disciplina dei rifiuti si colloca quindi, come visto, nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e perciò ben avrebbe fatto secondo il principio d’integrazione la regione Valle d’Aosta ad “integrare” una legge sulla gestione delle cave, delle miniere e delle acque minerali naturali sia di sorgente che termali con norme attinenti alla tutela dell’ambiente, ma, nello specifico, disposizioni come quelle poc’anzi citate, che escludevano l’operatività della normativa nazionale sui rifiuti in quelle determinate fattispecie non potevano che essere considerate costituzionalmente illegittime, in quanto comportavano una riduzione della tutela dell’ambiente (da ultimo sentenza 10 del 2009). E’ evidente, infatti, che un allargamento delle maglie della disciplina nazionale sui rifiuti, ad opera del legislatore regionale, non possa assolutamente considerarsi rispettosa del principio di “maggior livello di tutela”; anzi, all’opposto tale allargamento è in contrasto con gli standard minimi di tutela, andando a reintrodurre eventualmente nel mercato, mediante il riciclo, sostanze potenzialmente dannose, in pieno contrasto con la disciplina ambientale che costituisce un limite alla disciplina per le Regioni le quali, come osservato, non possono assolutamente derogare in peius il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato.

Per quanto riguarda il secondo argomento d’analisi rintracciabile nella sentenza in commento, l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 31 del 2007 ci aiuta a comprendere meglio l’elevazione a valore costituzionalmente protetto della tutela dell’ambiente contestuale  al riconoscimento (peculiare) di “materia-trasversale” della  stessa: infatti, l’intento dell’art. 21 rispecchia quello dell’art. 208, prevedendo la non necessità dell’autorizzazione ambientale per i centri di conferimento dei rifiuti urbani meglio conosciuti come isole ecologiche e quindi non limitando gli standard di tutela ambientale minimi, ma  consentendo ai comuni di favorire la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti e stabilendo una concreta semplificazione in materia di adempimenti amministrativi ma sempre nel rispetto delle norme comunitarie e nazionali.

In conclusione, sebbene bisogna dar merito all’imponente lavoro interpretativo della Consulta, che nel corso degli anni ha indiscutibilmente sancito la più importante qualificazione dell’ambiente all’interno del nostro ordinamento, questa recente sentenza conferma le evidenti difficoltà, e ancora oggi valutate caso per caso, della spesso inconciliabile convivenza della tutela ambientale come “valore” e come “materia trasversale” sotto il “tetto” della nostra Carta costituzionale.



La decisione è consultabile qui: http://www.lexambiente.it/article-5085--0-0.html