Pubblico Ministero e poteri coercitivi cautelari reali
di Mario CANALE (magistrato)
Nota a Cass. III, n° 23116/05 del 20/06/05 (c.c. 28/04/05), Maiello, Pres. Postiglione, est. Franco pubblicata in Archivio della nuova procedura penale, n° 5/2007, p. 628
la sentenza commentata è visinabile qui

Cass. Sez. III, n° 23116/05 del 20/06/05 (c.c. 28/04/05), Maiello, Pres. Postiglione, est. Franco.

Pubblico Ministero – Esecuzione provvedimenti cautelari reali – Competenza e funzioni– Fondamento

Misure cautelari reali – esecuzione – modalità – rimedi esperibili.

Il potere di determinare le modalità esecutive di una misura cautelare reale, quale il sequestro preventivo, spetta al pubblico ministero ai sensi dell’art. 655 c.p.p.

Avverso il provvedimento con il quale il pubblico ministero stabilisce modalità esecutive è esperibile il rimedio giurisdizionale dell’incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 665 e 666 c.p.p.

 
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Con la sentenza in esame la III sezione della S.C. di Cassazione torna a ribadire un principio dalla stessa più volte affermato con precedenti pronunzie richiamate in quella in parola: “È pacifico che il potere di determinare le modalità esecutive di una misura cautelare reale, quale il sequestro preventivo, spetti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 655 c.p.p.. Ma è altrettanto pacifico che avverso il provvedimento con il quale il pubblico ministero stabilisce tali modalità esecutive sia esperibile il rimedio giurisdizionale dell’incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 665 e 666 c.p.p.

 

            L’esame del provvedimento e di quelli del medesimo orientamento[1] suscita non poche perplessità.

 

            Prima di passare all’esame dei profili di censura che possono essere mossi alla sentenza, appare opportuno ricostruire il contesto fattuale all’interno delle quali tutte le pronunzie di tale orientamento sono nate.

 

            Ed invero, tutte le pronunzie sono relative a questioni di esecuzione di decreti di sequestro preventivo aventi ad oggetto immobili abusivi ultimati in violazione della disciplina penale di cui alla previgente disciplina della L. n° 47/85, ora sostituita dal D.P.R. n° 380/01. Nessuna pronunzia avente ad oggetto diversa violazione penale è stata reperita da chi scrive né è citata dalla Suprema Corte.

La risoluzione di controversie relative alla esecuzione delle misure cautelari reali approda alla Suprema Corte di legittimità con l’affermarsi di quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene legittimo il sequestro preventivo degli immobili abusivi ancorché ultimati[2].

È evidente che prima dell’affermarsi di tale orientamento non si poteva neppure ipotizzare un problema esecutivo del sequestro perché nessuno poteva avere un interesse a godere della disponibilità “effettiva” di un bene sottoposto a sequestro che non fosse immediatamente utilizzabile e fruibile. Ed è altrettanto evidente che neppure il pubblico ministero si era mai posto il problema dell’esecuzione di decreti di sequestro preventivo aventi ad oggetto immobili ultimati e vieppiù, nella maggior parte dei casi, abitati.

            Nasce così il cd. provvedimento di sgombero ovvero un provvedimento con il quale il p.m. determina le modalità esecutive del decreto di sequestro preventivo e ciò al fine al fine di evitare che l’esistenza della misura cautelare reale sia resa vana a causa della materiale disponibilità del manufatto realizzato ed al fine di inibire il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche derivanti dall’uso degli edifici abusivamente realizzati che il sequestro tende ad evitare.

 

            Il paradigma normativo al quale sembrano rifarsi gli uffici requirenti è quello di cui al combinato disposto degli artt. 92 e 104 disp. att. c.p.p. relativo alla disciplina delle modalità esecutive dei provvedimenti cautelari reali, secondo cui – nella fase delle indagini preliminari – il provvedimento cautelare è trasmesso dalla cancelleria del Giudice che lo ha emesso “al Pubblico Ministero che ne ha fatto richiesta, il quale ne cura l’esecuzione” con le modalità che ritiene necessarie ed utili a salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto.

L’esecuzione spetta, invece, direttamente al Giudice che ha emesso il provvedimento qualora sia già stata esercitata l’azione penale[3].

 

Quali i mezzi di tutela avverso tale provvedimento?

            È pacifico che non possa farsi ricorso al Tribunale del Riesame, competente solo in ordine al titolo cautelare e non in ordine alle sue modalità esecutive. Esclusa la possibilità di ricorrere direttamente per abnormità, alla Suprema Corte[4] non restava che l’escamotage dell’incidente di esecuzione perché – come si legge nella pronunzia in esame – una diversa interpretazione “si porrebbe in contrasto sia con l’art. 24 Cost. sia con l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

            Il fondamento normativo di tale affermazione risiederebbe negli artt. 655 e 665 c.p.p. secondo cui il Pubblico Ministero cura d’ufficio l’esecuzione dei provvedimenti del Giudice, che – a sua volta – è competente a conoscere dell’esecuzione degli stessi.

 

            La costruzione dogmatico giuridica operata dalla corte della nomofilachia non convince per diversi ordini di ragioni e, finalizzata come appare a trovare uno spazio di tutela per gli interessati, perde di vista gli ordinari strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento.

 

            In primo luogo, utilizza parametri normativi che non appartengono alla fase delle indagini preliminari e della cognizione. Quando l’art. 655 c.p.p. indica nel P.M. l’esecutore dei provvedimenti del Giudice si riferisce alla sola esecuzione del giudicato e non al ruolo ed ai compiti del P.M.: se così non fosse la norma in questione sarebbe stata inserita nella parte del codice relativa ai soggetti ed in particolare nella parte relativa al Pubblico Ministero.

 

            In secondo luogo, va oltre, se non contro, lo stesso dettato normativo di riferimento degli artt. 92 e 104 disp. att. c.p.p. che limita alla sola fase della indagini preliminari il potere/dovere del p.m. di eseguire i provvedimenti cautelari, stabilendone le modalità esecutive in rapporto alle esigenze cautelari da salvaguardare.

Quale ambito applicativo avrebbe – secondo l’interpretazione della Cassazione – l’art. 92 disp. att. c.p.p. allorquando prevede che il provvedimento cautelare deve essere trasmesso all’organo che deve provvedere all’esecuzione se è sempre e solo il p.m. a dare esecuzione ai provvedimenti del Giudice?

 

            In terzo luogo, genera una pericolosa e quanto mai strana diarchia in ordine alle questioni relative al provvedimento cautelare. Infatti, se ai sensi dell’art. 665, co. 1, c.p.p. “[… …] competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato” ben potrebbe verificarsi il caso della coesistenza di un doppio giudice del titolo cautelare nel caso di provvedimento emesso in corso di indagini preliminari in fascicolo giunto ormai alla fase della cognizione ed eventualmente della decisione. Né si rinviene nell’ordinamento processuale la “diversa disposizione di legge” di cui all’art. 665 c.p.p. che potrebbe evitare tale duplicazione.

 

            Infine, non si vede per quale ragione le argomentazioni della S.C. di Cassazione – se fossero esatte – non dovrebbero essere ritenute applicabili anche alle misure cautelari personali coercitive con il paradosso di poter accedere al rimedio dell’incidente di esecuzione per disquisire in ordine alle modalità (di notte piuttosto che di giorno! con l’ausilio dei CC piuttosto che della Polizia di Stato!) con le quali si è data esecuzione ad un’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere.

La conclusione appare tanto obbligata quanto paradossale!

 

            Ad avviso di chi scrive, la questione in ordine all’incidente di esecuzione avverso le modalità esecutive delle misure cautelari reali è mal posta e deve essere ricondotta all’ambito che le è proprio: quello delle esigenze cautelari e della loro salvaguardia.

 

            Non si deve dimenticare l’ambito fattuale nel quale è nata la questione giuridica: l’esecuzione del decreto di sequestro preventivo di immobili abusivi ultimati ed abitati, decreto di sequestro preventivo che è legittimo solo allorquando siano rispettati i criteri indicati dalle SS.UU. della S.C. di Cassazione con la ormai nota pronunzia del marzo 2003.

 

            Secondo le SS.UU., in sintesi, sussistono esigenze cautelari in grado di legittimare il sequestro preventivo di immobili ultimati allorquando si sia approfondita “la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto [… …]. In altri termini, il giudice deve determinare, in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare”.

 

            Ebbene, se questi sono i canoni che devono informare la decisione di imporre misura cautelare reale appare evidente che non possano esservi spazi per la determinazione di modalità esecutive di un decreto di sequestro preventivo diverse da quelle che determinino una effettiva sottrazione del godimento e della disponibilità della cosa da parte dell’indagato o di terzi e ciò perché solo in tal modo si può evitare una “effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto”.

            Per contro, tutti quegli immobili abusivi ultimati e vieppiù abitati la cui libera disponibilità non determina una “effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto” non dovranno e non potranno essere oggetto di cautela reale e, di conseguenza, non dovranno essere sottratti alla libera disponibilità di alcuno.

 

            In definitiva, se la libera disponibilità di un immobile abusivo aggrava il cd. carico urbanistico non può non sottrarsene la libera disponibilità all’indagato o a terzi.

            Le preoccupazioni della Suprema Corte di ricavare spazi di tutela – addirittura in ossequio alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo – non hanno ragione di essere perché è stata la stessa Suprema Corte a dettare rigorosi criteri interpretativi e limiti per l’applicazione della cautela reale avente ad oggetto immobili abusivi ultimati.

Le decisioni non conformi ai criteri dettati in sede di nomofilachia vanno revocate in sede di impugnazione cautelare o di cognizione, senza alcun bisogno di ricorrere ad un sistema parallelo di vaglio (e di impugnazione) del provvedimento cautelare con censure “solo formalmente rivolte contro il provvedimento del p.m. [che] finirebbero per cogliere più sostantivamente – ma in modo del tutto improprio – l’atto impositivo della misura cautelare[5].

 

            Quanto sin qui si è tentato di sostenere con ricorso ad argomentazioni in diritto ben si concilia anche con argomentazioni in fatto.

Non si comprende, invero, quali modalità esecutive diverse dal cd. sgombero possano essere adottate dal Giudice chiamato a vagliare e sindacare quelle disposte dal P.M.. Forse che l’esigenza cautelare di evitare l’aggravio del cd. carico urbanistico può essere salvaguardata senza sottrarre la libera disponibilità del bene o magari autorizzandone l’utilizzo solo di notte o solo durante alcune ore del giorno? Ma se ciò è possibile allora è necessario revocare il decreto di sequestro preventivo perché illegittimo.

 
Mario Canale
(magistrato)


[1] Nella pronunzia in commento sono citate Cass. III, n° 22655 del 19.02.01 Cc. (dep. 04.06.01), rv. 219162, Bagnasco e Cass. III, n° 21735 del 25.03.03 Cc. (dep. 16.05.03), rv. 224672, Massa. Si sono occupate della problematica anche Cass. III, n° 45872 del 21.11.01 Cc. (dep. 24.12.01), Taddei, non massimata, e Cass. III, n° 1371 del 10.11.04 (dep. 20.01.05), Sannino +1, est. Onorato, non massimata. Di orientamento contrario appare Cass. V, n° 484 del 25.01.00 Cc. (dep. 24.02.00), Fusaro.

[2] Cfr. in tal senso e solo a titolo esemplificativo Cass. Sez. III, n° 2897 del 21/09/00, Muscariello; Cass. III, n° 3067, ud. 30/10/01, Improta; Cass. III, n° 2964, c.c. 17/10/01, Di Falco A. +1; Cass. III, 11/01/02, Luongo; Cass. III, n° 433, c.c. 14/03/02, Mirengo; Cass. III, n° 147, c.c. 30/01/02, Izzo M.G.. Di segno contrario solo Cass. 3.7.2001, Minopoli. Un punto fermo è stato posto dalle SS.UU. con sentenza n. 12878 del 20.3.2003.

[3] Contro il dato testuale dell’art. 92 disp. att. c.p.p. è Cass. III, n° 1371 del 10.11.04 (dep. 20.01.05), Sannino +1, est. Onorato, non massimata, che espressamente attribuisce al P.M. il potere/dovere di eseguire il decreto di sequestro preventivo anche dopo l’esercizio dell’azione penale. Il fondamento giuridico dell’affermazione è specificato più oltre nel testo.

[4] cfr. Cass. III, n° 45872 del 21.11.01 Cc. (dep. 24.12.01), Taddei, non massimata.

[5] L’osservazione è di Cass. III, n° 45872 del 21.11.01 Cc. (dep. 24.12.01), Taddei, che ha dichiarato non abnorme il cd. provvedimento di sgombero del p.m., unica pronunzia in cui non si fa riferimento alla esperibilità dell’incidente di esecuzione.