Ambiente in genere. Coltivazione di cave
Decisione in materia di contivazione di cave, illecito ammnistrativo e danno ambientale
Ricorsi 2256/01, 2257/01, 2671/01, 494/02, 1047/03, 2846/03, 3090/03, 268/05, 2140/06 e 2295/06 Sent. n. 4029/07
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Umberto Zuballi Presidente relatore
Claudio Rovis Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui seguenti dieci ricorsi riuniti, tutti proposti dalla società Ca’ Vico srl:
n. 1.
ricorso n. 2256/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Provincia di Padova, in persona del Presidente in carica, non costituitasi;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
del provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5 ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali;
del provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del Comune di San Martino di Lupari recante diniego di concessione in sanatoria;
Visto il ricorso, notificato il 19 ottobre 2001 e depositato presso la Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 novembre 2001;
n. 2.
ricorso n. 2257/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 310 del 28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospensione lavori;
dell’ordinanza 341 del 1 ottobre 2001 della Regione Veneto recante anch’essa ordine di sospensione lavori di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 16 ottobre 2001 e depositato presso la Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 21 novembre 2001;
n. 3.
ricorso n. 2671/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 375 del 2 novembre 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospendere ogni attività di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2001 e depositato presso la Segreteria il 5 dicembre 2001, con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 29 gennaio 2002;
n. 4.
ricorso n. 494/02, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
dell’ordinanza 14 gennaio 2002 prot. 502 n.3 con la quale il Responsabile dell'area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari le ha prescritto di presentare, entro trenta giorni, il programma di smaltimento dei rifiuti abbandonati presso l'area di cava coltivata dalla ricorrente.
Visto il ricorso, notificato il 14 febbraio 2002 e depositato presso la Segreteria il 28 febbraio 2002, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 13 marzo 2002;
n. 5.
ricorso n. 1047/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
della ordinanza n. 81, in data 27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982";
della nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e della relazione ad essa allegata;
della lettera in data 31.3.2003, prot. n. 2633/46.02 a firma del Dirigente Regionale avente ad oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione documentazione";
del verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003;
sui motivi aggiunti al ricorso 1047/03
per l’annullamento:
della relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003;
della nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003;
Visto il ricorso, notificato il 10 maggio 2003 e depositato presso la Segreteria il 14 maggio 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 settembre 2003 e quello della Regione, depositato il 3 ottobre 2003;
Visti i motivi aggiunti depositati il 24 settembre 2007;
n. 6.
ricorso n. 2846/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
Giovanni Battista Pisani, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Perona e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
della deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del Commissario ad Acta, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. Diniego approvazione";
del decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
del parere di regolarità tecnica;
della nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari;
e condanna
a mente dell'art. 35 del d.lvo 98/80 del Commissario ad Acta arch. Giovanni Battista Pisani, del Comune di San Martino di Lupari e della Regione Veneto al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi per effetto della mancata approvazione del "Piano attuativo per il recupero ambientale della Cava di Campagnalta";
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2003 e depositato presso la Segreteria il 4 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 22 febbraio 2005 e quello della Regione, depositato il 11 marzo 2006 e del controinteressato, depositato il 22 febbraio 2005;
n. 7.
ricorso n. 3090/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
l’ARPAV, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Isabella Andreasi Bassi e Chiara Sigismondi e domiciliata presso la propria sede in Venezia Mestre via Lissa 6;
per l’annullamento:
del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San martino di Lupari;
della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
della nota comunale n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002;
della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di Padova, nella misura che sarà loro addebitata al pagamento dei danni tutti patiti e patiendi.
sui motivi aggiunti al ricorso 3090/03 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
del verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
del verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di Padova e Comune di San Martino di Lupari;
Visto il ricorso, notificato il 1 dicembre 2003 e depositato presso la Segreteria il 11 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 16 novembre 2004, della Provincia, depositato il 12 aprile 2006, quello della Regione, depositato il 17 gennaio 2004 e dell’ARPAV, depositato il 6 febbraio 2004;
Visti i motivi aggiunti, depostati il 2 ottobre 2007;
n. 8.
ricorso n. 268/05, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed selettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
e condanna
della Provincia di Padova al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi ex artt 34 e 35 del d.1 98/80;
Visto il ricorso, notificato il 31 gennaio 2005 e depositato presso la Segreteria il 5 febbraio 2005, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia, depositato il 4 ottobre 2005 e quello della Regione, depositato il 10 marzo 2005;
n. 9.
ricorso n. 2140/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
e nei confronti di
Pietro Zorzato,Giuseppe Rigo, Paolo Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio non costituitisi;
PER
il risarcimento danni nei confronti del Comune e dell’ex sindaco Pietro Zorzato e dei tre funzionari comunali sopra citati;
Visto il ricorso, notificato il 31 ottobre 2006 e depositato presso la Segreteria il 9 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio 2007;
n. 10.
ricorso n. 2295/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
la Commissione tecnica provinciale per le attività estrattive, non costituitasi;
il Dirigente Servizio Cave della Provincia di Padova, non costituitosi;
per l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
dell' atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Silani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti";
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di Padova, nella misura che sarà loro addebitata, al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi, ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo n 80/98, come modificato dall'art 7 della legge 205/2000.
e sui motivi aggiunti al ricorso 2295/06 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, in data 15.12.2006, avente il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R. 5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2, del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
Visto il ricorso, notificato il 16 novembre 2006 e depositato presso la Segreteria il 23 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio 2007, della Provincia, depositato il 19 dicembre 2006 e quello della Regione, depositato il 7 dicembre 2006,
Visti i motivi aggiunti depositati il 5 ottobre 2007;
*****
Viste le memorie prodotte dalle parti in tutti i ricorsi;
Visti gli atti tutti delle cause;
Uditi nella pubblica udienza del 15 novembre 2007 - relatore il presidente Zuballi – gli avvocati Prandstraller e Zambelli per la ricorrente ditta Ca’ Vico, Brunetti per la Regione, Dal Prà e Voci per la Provincia, Borella e Piovesan per il Comune, Andreasi per l’ARPAV e Piovesan in sostituzione di Stivanello Gussoni per il controinteressato Giovanni Battista Pisani;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
1. Con il primo ricorso, rubricato al n. 2256/01, la società ricorrente impugna il provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5 ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali nonché il provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del Comune di San Martino di Lupari recante diniego di concessione in sanatoria.
Fa presente di essere subentrata ad altra ditta, e di essersi vista revocare l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati inquinanti. In seguito chiese alcune concessioni in sanatoria per alcune vasche di decantazione. Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il rilascio delle concessioni in sanatoria, mentre la Provincia ha sospeso l'autorizzazione allo scarico nel suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto i loro presupposti fattuali non corrisponderebbero ai dati reali; secondo la ricorrente ditta invero gli impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano già esistenti. Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente motivato, e comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già costruite.
Più in dettaglio la prima censura, rivolta avverso il diniego di sanatoria, sottolinea che il provvedimento contrasterebbe con la concessione n. 102/88 rilasciata alla ditta EMI – dante causa della ricorrente - nel 1988 da cui risulterebbe l’esistenza delle vasche e la loro natura di scavi in terra per la decantazione di liquidi di lavaggio.
Il secondo motivo, riguardante il decreto provinciale di sospensione provvisoria alla scarico, muove anch’esso dalla constatazione che le vasche sarebbero già state autorizzate e comunque che esse erano connesse con l’attività estrattiva.
La Provincia resiste in giudizio contestando le tesi attoree.
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2. Con il ricorso rubricato al n 2257/01 la ditta impugna l’ordinanza n 31 del 28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospensione lavori e l’ordinanza n. 341 del 1 ottobre 2001 sempre della Regione Veneto recante anch’essa ordine di sospensione lavori di escavazione.
I motivi di ricorso sono i seguenti.
1. Mancata indicazione nell'ambito preciso delle presunte escavazioni non autorizzate in relazione ai precedenti provvedimenti autorizzativi. La Regione avrebbe fatto confusione tra la zona di escavazione e l'area di recupero ambientale.
2. Erronea e arbitraria applicazione dell'articolo 29 della legge regionale veneta n. 44 del 1982; ad avviso dell’interessata il sopralluogo del 21 giugno del 2001 effettuato dall'agenzia regionale preposta ARPAV dopo una campionatura faceva emergere la mancanza di inquinamenti. Quanto all'escavazione abusiva essa non è stata affatto dimostrata.
Resiste in giudizio la Regione confutando in fatto e diritto le tesi attoree.
*****
3. Con il terzo ricorso, rubricato al n. 2671/01 la medesima ditta impugna l'ordinanza n. 375 della regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato qualsiasi lavoro di coltivazione della cava. Il presente ricorso viene proposto anche come motivi aggiunti al precedente ricorso numero 2257 del 2001.
La ditta fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato, laddove i valori rientrano nella norma e il valore di arsenico in particolare dipende dalla situazione del territorio.
I campioni poi risultano inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda gli scarichi inquinanti.
L’Avvocatura dello Stato, che difende la Regione Veneto, eccepisce l’inammissibilità del ricorso 2671/01 che conterrebbe solo censure di merito.
Contesta in ogni caso le asserzioni di parte ricorrente.
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4. Con il quarto ricorso, sub. n 494/02, la società Ca’ Vico impugna l'ordinanza del comune in cui le si ordina di presentare un programma di smaltimento dei rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1 Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre del 1999. L'ordinanza del sindaco deve essere preceduta da un'accurata indagine conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
Resiste in giudizio il Comune che confuta entrambi i motivi di gravame.
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5. Con il ricorso 1047/03 la ditta Ca’ Vico impugna l’ordinanza n. 81, di data 27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale, ing. Andrea Costantini della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982"; impugna altresì la nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e la relazione ad essa allegata nonché la lettera in data 31.3.2003, prot. n. 2633/46.02 a firma del Dirigente Regionale ing. Andrea Costantini, avente ad oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione documentazione"; e infine il verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003.
In via di fatto la ditta ricorrente espone che, avendo il Comune di San Martino di Lupari esperito un sopralluogo nell'ambito della cava ed avendo constatato che erano in corso operazioni di pulizia e di decespugliamento di alcuni alberi posizionati sulla sponda sud, e segnalato il fatto alla Regione, il Dirigente Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul presupposto che sarebbero state disattese le precedenti ordinanze. Seguiva poi, previa redazione del relativo verbale, l'apposizione materiale dei sigilli.
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione dell'art. 32 della L.R. 1982/44 e successive modificazioni ed integrazioni. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente in tanto può essere statuita l’apposizione dei sigilli in quanto vi sia un'accertata inadempienza al provvedimento di sospensione. Nella specie, entrambe le ordinanze, quella n. 310 del 28 agosto 2001 e quella n. 375 del 2 novembre 2001, impongono la immediata sospensione dei lavori di coltivazione del bacino interessato, intesi quale attività di estrazione e di sistemazione ambientale, laddove la pulizia del terreno e il decespugliamento di alcuni alberi, non si traduce in alcun mancato rispetto dell'ordine di sospensione dei lavori di coltivazione, intesi quali interventi di estrazione ovvero di ricomposizione ambientale.
2) Eccesso di potere per illogicità ed inadeguatezza sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente l’apposizione dei sigilli presuppone l’accertata inadempienza all'ordine di sospensione, per cui deve essere assunta solo una volta che vi sia la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
3) Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990. Violazione della procedura.
Secondo la ditta ricorrente il provvedimento di apposizione dei sigilli avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento.
Resistono in giudizio la Regione e il Comune contestando le tesi avversarie.
Il Comune in particolare eccepisce l’inammissibilità del ricorso per quanto concerne gli atti imputabili al Comune, che non avrebbero contenuto provvedimentale e non risulterebbero quindi lesivi. Il ricorso sarebbe poi improcedibile perché l’ordinanza di apposizione dei sigilli non sarebbe più efficace.
Con appositi motivi aggiunti la ditta ricorrente impugna la relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003 e la nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003 deducendo le seguenti censure:
1. Violazione dei principi di imparzialità, correttezza, buona amministrazione e trasparenza, del giusto procedimento, del principio del contraddittorio, degli articoli 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e carenza di motivazione.
Il sopralluogo è avvenuto senza alcun previo avviso e senza alcun contraddittorio.
2. Violazione della legge 689/81 e del principio della personalità della responsabilità.
3. Carenza di istruttoria.
Sui motivi aggiunti, il Comune ne eccepisce l’inammissibilità trattandosi di atti privi di contenuto provvedimentale.
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6. Con il ricorso 2846/03 la ditta Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del Commissario ad Acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd). Diniego approvazione";
il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari.
Dopo aver ricostruito in fatto la vicenda, la ditta illustra i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 7-8-9-10-13 della legge 1150 del 1942. Violazione degli artt. 28-29-30 della legge 5 agosto 1978 n. 457. Violazione degli artt. 8-9-10-11-15 della L.R. 85/61. Illogicità. Sviamento di potere. Carenza di motivazione. Difetto di istruttoria.
Osserva la ditta che il Commissario ad Acta, ha respinto il Piano Attuativo per il recupero ambientale della Cava Campagnalta, di iniziativa privata, previsto dal 3° comma dell'art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Martino di Lupari, sul duplice presupposto della incompatibile coesistenza dell'attività di cava, con l'impegno della ricomposizione ambientale imposta dal decreto n. 227 del 18 settembre 2003 di revoca ex art. 31 della L.R. n. 44 del 1982 dell'autorizzazione estrattiva e con l'onere del risanamento del sito, a seguito della messa a dimora di rifiuti e di limi inquinanti sul fondale, ed alla precarietà della stabilità delle sponde e della carenza di elementi essenziali per una corretta elaborazione del Piano attuativo.
Secondo la ditta ricorrente, il ragionamento sarebbe illegittimo proprio in ragione di entrambi i presupposti invocati.
Secondo la ditta ricorrente, quanto al primo elemento (copresenza dell'attività di cava e onere di rispettare gli interventi di ricomposizione stabiliti dell'Amministrazione Provinciale di Padova), non andrebbe dimenticato che gli strumenti urbanistici, nell'assolvere alle funzioni di pianificazione del territorio, hanno la potestà di disciplinare, anche attraverso norme e prescrizioni direttamente vincolanti, l'attività estrattiva.
Ne consegue che la compresenza dell'attività estrattiva non costituisce né può costituire ostacolo alla disciplina urbanistica.
2 Eccesso di potere per illogicità. Sviamento di potere. Vizio della funzione. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'assunto del Commissario ad acta appare maggiormente incongruo, qualora si ponga a mente che la cava Campagnalta ha costituito oggetto di provvedimento revocativo dell'autorizzazione a suo tempo rilasciata.
L'attività estrattiva è, quindi, venuta meno per cui sarebbe venuta meno la paventata incompatibilità tra l'inizio dei lavori attuativi del Piano di recupero e la prosecuzione di quelli estrattivi.
3. Eccesso di potere per ulteriore illogicità. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad Acta si sarebbe limitato a registrare la adozione dei provvedimenti relativi all'intervento estrattivo, attribuendo, peraltro, loro valenza preclusiva sull'approvazione - richiesta - del Piano attuativo, senza in alcun modo verificarne la fondatezza e senza neppure domandarsi in che misura fossero o meno compatibili con un Piano di Recupero.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
Osserva la ditta che il Piano di recupero in questione è stato presentato al protocollo del Comune di S. Martino di Lupari nel lontano 1998.
Secondo la ditta ricorrente, la pratica, sotto il profilo tecnico, era, quindi, da ritenersi perfezionata per cui sarebbe illogico ed illegittimo, che il Commissario ad acta abbia ritenuto incompleto e non approvabile un piano che il Comune e per esso gli uffici competenti avevano qualificato meritevole di essere trasmesso al Consiglio per l'approvazione.
5) Eccesso di potere per sviamento. Illogicità. Carenza di motivazione. Erroneità di presupposto e di interpretazione. Violazione della procedura.
Secondo la ditta ricorrente, la pretesa di fondare il diniego dell'approvazione del Piano di recupero sulla carenza di elaborati del Piano stesso non sarebbe tale da giustificare il diniego.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad acta confonderebbe il proprio ruolo e la propria funzione con quello di un organo deputato non già all'approvazione, in via esclusiva, del Piano Attuativo, ma ad un suo controllo, quasi di legittimità.
Inoltre l'aggiornamento del Piano quotato avrebbe dovuto essere richiesto in via istruttoria ovvero disposto quale condizione di adeguamento.
Inoltre, secondo la ditta ricorrente, anche la corrispondenza del piano quotato finale, con il risanamento e del fondale della cava e della precarietà delle sponde avrebbe dovuto costituire oggetto di prescrizione.
Analogo discorso vale per il testo della convenzione il cui perfezionamento era rimesso, in fase approvativa, al Commissario ad acta.
Secondo la ditta ricorrente, non dissimile è il discorso, anch'esso del tutto marginale, concernente l'integrazione del sistema di piste ciclo-pedonali con quelle da prevedere nel quadrante nord-est.
6. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo. 98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge 205 del 2000.
Secondo la ditta ricorrente, la mancata approvazione del Piano di recupero presentato dalla ditta Cà Vico da oltre cinque anni, comporterebbe un danno gravissimo non potendo venire l'area in questione utilizzata secondo le prescrizioni contenute nel P.R.G.
Resistono in giudizio la Regione, il Comune e il commissario ad acta architetto Giovanni Battista Pisani, che eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva, trattandosi di atti propri del Comune e ad esso imputabili.
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7. Va ora esaminato il ricorso n. 3090/03 proposto per:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari (art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
l’annullamento della nota n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
I motivi del ricorso sono i seguenti:
1.Violazione degli artt. 7 e segg. della legge 241 del 1990. Violazione della procedura. Carenza di motivazione.
La ditta Ca’ Vico fa presente che con nota regionale n. 1174/4602, in data 5.2.2002, notificata il 6.02.2002, le è stato comunicato "l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta" con le finalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32 e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza al disposto dell'art. 7 della L.N. 241/90."
Dalla disamina della nota, emerge, quindi, che si è data comunicazione dell'avvio del procedimento in ordine, ai provvedimenti di sospensione, decadenza, revoca, apposizione di sigilli e sanzioni. Secondo la ricorrente ditta, il ventaglio dei provvedimenti da assumere, ciascuno diverso dall'altro, con il richiamo, altresì, al procedimento sanzionatorio che costituisce fase autonoma rispetto agli altri provvedimenti, non la avrebbe posta in grado di conoscere quale procedimento in effetti intendesse instaurare la Regione Veneto ed in relazione ad esso quale provvedimento intendesse assumere. Risulterebbe, in tal modo violata la procedura di garanzia e le finalità proprie degli artt. 7 e seguenti della legge n 241 del 1990.
2. Violazione dell'art 31 della L.R. 44 del 1982. Incompetenza. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
Nella specie, il provvedimento revocatorio è stato assunto dal Dirigente della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua e non dall’organo politico.
Secondo la Ca’ Vico, in contrario, non varrebbe il richiamo alla delibera della Giunta regionale n. 400 dell'8 febbraio 2000 di delega al Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua del potere di emanazione del provvedimento di revoca dell'autorizzazione dell'attività di cava, di cui al procedimento previsto dalla L.R. 44/82, in quanto la Regione Veneto, non potrebbe discostarsi dal dettato normativo e quindi non potrebbe ritualmente conferire a propri funzionari una competenza riservata per legge agli organi politici.
3. Violazione dell'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni. Sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento revocatorio non potrebbe essere assunto per mere ragioni di opportunità ma trova titolo giustificativo in situazioni eccezionali, cioè in ragione della sopravvenuta manifestazione di fenomeni naturali, non imputabili al titolare della attività estrattiva che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza nell'uno e/ o nell'altro caso da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
Secondo la ditta, i fatti che possono portare ad una revoca discendono da evenienze naturali, neppure prevedibili al momento del rilascio dell'autorizzazione; in ogni caso non addebitabili alla attività dell'imprenditore e, altresì, estranei alla fase progettuale e alle autorizzazioni intervenute, per cui è prevista la determinazione di un indennizzo a favore del soggetto che subisce il provvedimento revocatorio.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento assunto dalla Regione Veneto, che muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva, esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così come delineato dall'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Con tale motivo la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base del provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo scarico non consentito.
Secondo la ditta ricorrente le argomentazioni svolte dimostrano due cose: in primo luogo, come erroneamente la Regione Veneto abbia dato applicazione al dettato dell'art. 31 della L.R. 82/44; in secondo luogo come tutte le censure siano pressoché prive di fondamento.
Il che conduce, sotto altro profilo, a ritenere illegittima la procedura applicata nella fattispecie de qua.
Secondo la ricorrente ditta, si vorrebbe sanzionare la inaffidabilità della ditta Ca' Vico nella prosecuzione della attività per estrazione ed illeciti non verificatisi, per il pericolo e non per il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione, per addebiti che riguardano altre imprese diverse dalla Ca' Vico.
5. Violazione sotto altro profilo della procedura. Violazione dell'art. 10 della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni.
L'art. 10, della legge n. 241 del 1990, stabilisce che i soggetti di cui all'art.7 e quelli intervenuti ai sensi dell'art. 9 hanno diritto di presentare memorie e documenti, che l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all' oggetto del procedimento.
Nella specie non risulterebbe alcuna disamina delle deduzioni, anche scritte, fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l. nelle sedute della C.T.R.A.E..
6. Eccesso di potere per sviamento di potere. Ulteriore violazione dell'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982. Erroneità di presupposto. Indeterminatezza. Carenza di motivazione.
La Regione ipotizza un danno ambientale e un onere economico per il risanamento demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova e "da ritenersi comunque, interamente, a carico dei responsabili".
Si tratta – secondo la Ca’ Vico, di un’ipotesi sanzionatoria non prevista dal legislatore ex art. 31 e che non rientra nella competenza valutativa della Regione Veneto.
7. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo. 98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000.
La disposta revoca dell'autorizzazione alla coltivazione della cava comporta un grave pregiudizio economico per la Società ricorrente, di cui chiede il ristoro.
Con appositi motivi aggiunti al ricorso 3090/03 vengono impugnati:
la nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
la nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
il parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
la delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
il verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
la nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
il verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di Padova e Comune di San Martino di Lupari.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Violazione degli articoli 23 e 28 della lr n. 1 del 1997, degli articoli 31 e 43 della lr n. 44 del 1982 e del principio di legalità.
2. Errore di fatto, travisamento, difetto di istruttoria, violazione dell’articolo 33 della lr 44 del 1982 perplessità, violazione art 117 dei principi di cui alla legge n. 349 del 1986.
3. Si insiste sulla risarcibilità del danno.
Resistono in giudizio la Regione, la Provincia, il Comune e l’ARPAV.
Quanto ai motivi aggiunti il Comune ne contesta la stessa ammissibilità, in quanto non riguarderebbero atti lesivi.
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8. Con il ricorso n. 268/05 viene chiesto:
l’annullamento della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
annullamento, altresì dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
annullamento, del pari, della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione di legge. Violazione del titolo IV della L.R. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni. Violazione della procedura. Incompetenza.
L'Amministrazione provinciale intende procedere alla quantificazione del danno ambientale che, a suo dire, sarebbe conseguenza degli interventi abusivi perpetrati dalla ditta Cà Vico. Sennonché la l.r. n. 44 del 1982 e, segnatamente, il suo titolo IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea le sanzioni da applicare, non ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i criteri di quantificazione dello stesso.
Secondo la ditta, il primo comma del citato art. 31 nel mentre stabilisce la corresponsione di un equo indennizzo a favore del soggetto costretto a subire la revoca dell'autorizzazione, mantiene fermo per il titolare solo l'obbligo di procedere alla ricomposizione del sito secondo le prescrizioni contenute nell'atto autorizzatorio. Non sarebbe previsto altro onere, visto che il beneficiario dell'autorizzazione subisce già il danno della revoca del proprio titolo.
In ogni caso il danno ambientale non può che essere accertato o definito nei suoi elementi attuativi dalla Regione Veneto essendo quest'ultimo l'ente che ha provveduto al rilascio e alla revoca del titolo autorizzatorio.
Donde, nel caso di specie, l'incompetenza (assoluta) della Provincia.
Invero la Ca’ Vico rileva che l'art. 43 della L.R. n. 44 del 1982, nell'indicare le funzioni amministrative che in regime transitorio permangono in capo alla Regione, individua anche l'istituto della revoca ex art. 31. Viene esclusa pertanto una potestà sanzionatrice che investe in un soggetto diverso dalla Regione.
2) Eccesso di potere per incompetenza. Violazione dell'art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
I provvedimenti di quantificazione del danno ambientale, volendone ammettere l'adozione, non rientrerebbero nella sfera di competenza di un organo collegiale quale la Giunta (provinciale), bensì in quella del funzionario dirigente ex art. 107 del D.lgs 2000/267.
La delibera della Giunta appare, quindi, sotto tale profilo illegittima.
3) Violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r. 82/44. Violazione della procedura. Difetto di istruttoria. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
L'onere del ripristino ambientale insorge, secondo l'esplicita dizione dell'art. 33 della L.R. n. 44 del 1982, solo una volta che sia stato ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria e ancora solo allorquando tale addebito, nella sua precisa quantificazione, sia ascritto dal Giudice all'imprenditore che ha agito senza o in violazione totale o parziale del titolo di escavo.
Secondo la Ca’ Vico, mancando l'abuso ovvero sussistendo fondati elementi che lo fanno ritenere inesistente, e, comunque, essendo incerto l'ammontare della sanzione, non può essere neppure statuito il ripristino e, a maggior ragione, non può essere preteso alcun danno ambientale.
Analogo discorso varrebbe per l'accertamento di mc. 213.718 di asporto di materiale abusivo al quale non è seguita alcuna ingiunzione. Anzi da parte della Procura della Repubblica di Venezia, che ha archiviato gli esposti avanzati, è stato ritenuto insussistente qualsiasi abuso.
Con la conseguenza che mancando in entrambe le ipotesi l'abuso ed anzi, per una di esse, non figurando neppure iniziate alcune delle fasi statuite dagli artt. 14 - 16 - 18 della legge 689/1981 non solo non si potrebbe accertare la sussistenza di un danno ambientale, ma neppure ipotizzarlo visto che ne difettano i presupposti sostanziali e formali.
4. Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni.
La Provincia di Padova ha adottato la delibera n. 608 del 22/11/2004 volta alla quantificazione del danno ambientale e con lettera in data 15/12/2004 è stata data comunicazione dell'avvio del procedimento.
Secondo la Ca’ Vico tale comunicazione avrebbe dovuto precedere e non già seguire, come, invece, è avvenuto, la citata delibera giuntale.
5. Eccesso di potere per sviamento. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta la P.A., in presenza di abusi appartenenti a materie ed ambiti differenziati, avrebbe dovuto specificare i criteri e le disposizioni normative da applicare. Né sarebbe ammissibile che la definizione della quantificazione del danno ambientale sia rimessa a soggetti estranei all'Amministrazione. Secondo la ditta il procedimento sanzionatorio per rispondere a criteri di obiettività deve nascere da un'istruttoria compiuta dagli uffici della P.A. e non da soggetti esterni. Si sarebbe, pur sempre, dovuto accertare se il piano di ripristino, che ex secondo comma lett. c dell'art. 15 della L.R. 44 del 1982 ha accompagnato il progetto per il rilascio del titolo autorizzatorio ed è stato sussunto nella relativa delibera della Regione Veneto, anch'esso da attuare, fosse o meno tale da superare in tutto o in parte i danni ambientali preconizzati.
6) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione. La ditta contesta in dettaglio e nel merito gli abusi contestati.
7) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di presupposto. Difetto di istruttoria e di motivazione.
La contestazione di mc. 40.583 riguardante l'area fuori cava già di proprietà Pollon s.r.l. non avrebbe nulla a che vedere con il sito della cava Campagnalta dal quale è stato stralciato con la D.G.R. n. 2427 del 26/05/94. Le due aree sono diverse l'una dall'altra, ma soprattutto la prima ha costituito oggetto di cava in tempi remotissimi.
8) Incoerenza. Insussistenza dei fatti. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Addebita la Provincia di Padova alla Ca' Vico di sedimentare sul fondo cava materiale limoso per uno spessore di mt. 1,20 circa proveniente dal vaglio e frantumazione della ghiaia.
Si tratta di materiale già esistente dai primordi dell'apertura della cava in questione. L'addebito, pertanto, della Provincia oltre che assolutamente pretestuoso risulterebbe giuridicamente infondato.
9) Ulteriore carenza di presupposto. Insussistenza di ogni addebito. Mancata valutazione delle relazioni. Illogicità. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
La ditta contesta le misurazioni relative al materiale inquinante invenuto, in particolare l’arsenico il cui valore è comparabile con quello riscontrato nei terreni agricoli circostanti la cava.
Le analisi dell'A.R.P.A.V. dimostrano che la Ca' Vico non ha provocato o dato effetto a nessun tipo di inquinamento.
10 Sulla risarcibilità del danno.
La ditta sottolinea, come la P.A. e, segnatamente, l'Amministrazione provinciale di Padova, saranno chiamate a risarcire i danni subiti.
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9. Con il ricorso n. 2140/06 la ditta chiede il risarcimento dei danni derivanti dal comportamento della Regione e di quattro funzionari comunali.
Formula le seguenti richieste istruttorie:
- ordine di produzione al Comune di San Martino di Lupari, ai sensi dell'art. 21 comma IV della L 1034/71, dei fascicoli esistenti presso il Comune degli atti amministrativi riguardanti: a) le Ordinanze contro Ca' Vico n. 51 prot. 9088 del 02.08.1999 e n. 70 prot. 14708 del 26.11.1999; b) verbale del sopralluogo 21.06.2001 effettuato presso la cava "Campagnalta", di proprietà Ca' Vico, dal Comune di San Martino di Lupari; c) Nota 9995 in data 27.08.2001 del Sindaco Pietro Zorzato alla Regione Veneto; d) Verbale della riunione 29.10.2001 prot. n. 12684 awenuta presso il Comune di San Martino di Lupari, contenente la dichiarazione del Direttore Generale dott. Giuseppe Bortolini e del geom. Giuseppe Stefano Baggio ai funzionari della Provincia di Padova che Ca' Vico aveva asportato dalla cava "Campagnalta" mc 300.000 più del consentito dall'autorizzazione regionale; e) Verbali degli accessi nella cava Campagnalta effettuati dal Comune di San Martino di Lupari attraverso i funzionari Paolo Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio avvenuti il 10.07.01, 28.08.01, 03.09.01, 11.09.01, 20.09.01 - o nelle date degli accessi risultanti al Comune; f) fascicolo del sopralluogo contenente il sopralluogo effettuato il 20.12.2001 nella cava "Campagnalta" con prelevamento di campioni che ARPAV ritenne non regolarmente prelevati e richiesta del Sindaco all'ARPAV che le analisi fossero fatte ugualmente per poterle usare contro Ca' Vico; g) Trasmissione completa della corrispondenza intercorsa tra il Sindaco di San Mattino di Lupari e Regione Veneto avente ad oggetto le ripetute richieste comunali di bloccare in sede regionale le attività estrattive e lavorative di Ca' Vico nella cava "Campagnalta" prima e dopo l'emissione dell'Ordinanza regionale n. 375 del 02.11.2001 con cui veniva sospesa dalla Regione qualsiasi attività lavorativa di coltivazione estrazione e sistemazione ambientale della cava "Campagnalta".
Chiede che venga disposta l'acquisizione dei Fascicoli d'Ufficio relativi ai ricorsi n. 2139/99, n. 3068/99, n. 256/00 giacenti presso la sez. II del TAR del Veneto, promossi da Ca' Vico contro il Comune di San Martino di Lupari (PD) e rinunciati in seguito all'accordo intervenuto tra il Comune e la soc. Ca' Vico s.r.l., con cui il Comune avrebbe rilasciato l'autorizzazione di ricupero ambientale di un settore della cava "Campagnalta" e Ca' Vico avrebbe rinunciato agli atti della causa civile n.80575/99 R.G. Trib. Padova-Sez. Dist. Cittadella e di ricorsi di cui sopra.
La ditta chiede che si voglia ordinare al Comune di San Martino di Lupari la trasmissione dei fascicoli corrispondenti ai documenti sopra indicati ai sensi dell'art. 21co. VI L 1034 del 1971 e art. 35 D.Lgs 80/98 nonché l'acquisizione al processo da parte della Segreteria dei fascicoli sopra indicati.
La ditta in successiva memoria ha rinunciato all'ammissione dei mezzi di prova per testi dedotti nel ricorso in quanto ritiene che dai documenti già acquisiti al processo, eventualmente integrati con quelli che il Comune è tenuto ad esibire, la prova delle circostanze di fatto su cui si basa il ricorso per risarcimento danni si possano tranquillamente ricostruire.
Mantiene invece l'istanza di C.T.U. sull'entità dei danni subiti dalla soc. Ca' Vico in seguito all'arresto completo di tutti i lavori, avvenuto per specifica volontà del Comune anche mediante istanza rivolta dal medesimo alla Regione Veneto.
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10. Con il ricorso n. 2295/06 la ditta Ca’ Vico chiede:
l’annullamento, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
l’annullamento, se ed in quanto necessario, dell'atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
l’annullamento, ancora, della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
l’annullamento, altresì, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
l’annullamento della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
l’annullamento, altresì, se ed in quanto necessario, della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
l’annullamento della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti".
I motivi di ricorso sono i seguenti:
La ditta ricorrente riproduce i motivi già dedotti avverso la revoca dell’autorizzazione.
Deduce poi i seguenti motivi di illegittimità in via autonoma.
Quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale.
1) Incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, tuttavia, non ha alcuna competenza in merito alla determinazione del danno ambientale né è legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria in sede giudiziale o stragiudiziale, come, invece, è avvenuto nel caso di specie.
In particolare, l'art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo secondario.
La legittimazione all'azione di risarcimento del danno ambientale e le relative competenze in materia spettano, quindi, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, laddove il ruolo delle Regioni e degli Enti locali è solo di supporto (e di delega).
2) Violazione dell'art. 11 delle preleggi. Violazione del principio di irretroattività. Violazione del principio tempus regit actum. Difetto di istruttoria.
Il risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal menzionato art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente.
Prima del 1986 la risarcibilità del danno all'ambiente non era prevista dalla legge.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento è, peraltro, viziato anche per eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto il consulente della Provincia ( e la Provincia stessa) ha erroneamente ritenuto che le violazioni fossero tutte posteriori al 1986. II che sarebbe smentito per tabulas dal contenuto della delibera di Giunta regionale n. 1313/1979, con cui è stata autorizzata la prosecuzione dell'attività di cava.
3) Prescrizione.
Nella relazione tecnica dell'arch. Sillani - e, quindi, nel provvedimento della Provincia che ad essa relazione si richiama - vengono assunte a base del calcolo del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio degli inerti.
Ora, se si esclude la violazione A 1.12 che è stata contestata nell'anno 2002, tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo prima della notificazione del provvedimento che quantifica il danno ambientale, impugnato nella presente sede.
Trattandosi di (asserito) illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione quinquennale risulta, pertanto, ampiamente decorso per tutte le altre violazioni oggetto di contestazione.
4) Erronea interpretazione dell'art. 33 L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 legge 349 del 1986.
Ferme ed assorbenti le considerazioni precedenti, va osservato che la contestazione del danno ambientale presenta, nel caso di specie, caratteristiche di assoluta originalità.
Infatti, non risulta nella casistica giurisprudenza che si sia ravvisato, né contestato alcun danno ambientale in presenza di scavi abusivi. L'ipotesi tipica di danno ambientale è rappresentata, invece, dall'inquinamento atmosferico con fumi tossici o dallo sversamento di rifiuti che intaccano, ad esempio, una falda acquifera.
Infatti, non vi è alcuna compromissione di una res communis omnium, in quanto le cave, come si desume dall'art. 826 cod. civ., possono appartenere allo Stato o al privato e, nel caso di specie, appartengono al privato. Quindi non è stato sottratto alcun bene collettivo.
Donde l'insussistenza del danno ambientale.
5) Difetto ed illogicità della motivazione.
Le considerazioni svolte nella precedente censura evidenziano l'illegittimità del provvedimento di quantificazione del danno ambientale sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente, infatti, l'arch. Sillani, per fondare l'esistenza di un danno ambientale, tenta di attribuire al sito in questione un particolare pregio, con una motivazione e con argomentazioni, tuttavia, spesso contraddittorie e, comunque, parziali.
Donde l'ulteriore illegittimità del provvedimento di quantificazione del danno ambientale.
6) Violazione dell'art. 10 della legge 241/1990. Difetto ed illogicità della motivazione sotto altro profilo.
La ditta Ca' Vico, notiziata del procedimento di determinazione del danno ambientale, ha presentato osservazioni, con cui esponeva le ragioni per cui non poteva configurarsi alcun danno ambientale. La Provincia, nell'impugnato provvedimento, si è limitata ad affermare che le osservazioni non erano accoglibili "per le conclusioni cui perviene la relazione di quantificazione del danno nonché per quanto disposto col presente provvedimento".
Secondo la ditta ricorrente, la cripticità della motivazione addotta - da ritenersi inesistente - comporta l'ulteriore illegittimità degli impugnati provvedimenti per difetto di motivazione e per violazione dell'art. 10 della legge 241/1990.
Donde anche l'illogicità delle motivazioni addotte.
7) Insussistenza, sotto il profilo soggettivo, degli elementi costitutivi del danno ambientale.
L'art. 18 della L.N. 349/1986 richiede, ai fini della determinazione del danno ambientale, la sussistenza di un fatto doloso o colposo (analogamente dispone, per le sanzioni amministrative, l'art. 689/1981).
Elemento soggettivo che, nel caso di specie, difetta completamente.
8) Erronea quantificazione del danno. Illogicità. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, ove si ritenessero infondate le contestazioni svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un danno ambientale, comunque sarebbe erroneamente calcolato, per eccesso, il quantum dovuto dalla ditta Ca'Vico.
Si tratta di contestazioni prive di un supporto logico, del tutto apodittiche, fondate su parametri inconsistenti, avulsi dai valori di mercato, di cui non è stata fornita alcuna indicazione.
Quanto al provvedimento prot. 106038/2006 con cui sono state disposte direttive e tempi per la ricomposizione ambientale la Ca’ Vico deduce.
1) Violazione degli articoli 31, 33 e 43 della L.R. 44/1982. Incompetenza. Eccesso di potere per contraddittorietà. Violazione della legge 689/1981. Prescrizione. Violazione degli articoli 3 e 7 della legge 241/1990. Mancato avviso di avvio del procedimento. Violazione dell'art. 48 L.R. 11/2001.
Secondo la ditta ricorrente, se si è inteso demandare alla Provincia la determinazione delle prescrizioni sulla ricomposizione ambientale ex art. 31 L.R. 44/1982, è giocoforza escludere l'applicazione delle sanzioni amministrative ex art. 33 stessa legge.
Risulta, pertanto, incomprensibile che nelle premesse dell'atto impugnato si affermi la competenza provinciale ai sensi dell'art. 33 L.R. 44/1982. Il che evidenzia il difetto di motivazione, di istruttoria e lo sviamento che affligge gli atti impugnati.
2) Violazione, sotto altro profilo, dell'art. 31 L.R. 44/1982. Difetto di motivazione.
L'art. 32 L.R. 44/1982 prevede, quale compensazione per la revoca del titolo estrattivo, un'indennità commisurata - è da ritenere - al mancato guadagno conseguente all'impossibilità di ulteriormente coltivare il giacimento.
L'Amministrazione non ha provveduto a quantificare alcun indennizzo né ha motivato le ragioni per le quali non intendeva procedervi, contro il chiaro disposto dell'art. 31.
Donde il difetto di motivazione oltre che la violazione dell'art. 31 L.R. 44/1982.
3) Violazione dell'art. 10 L.N. 241/1990. Difetto di motivazione sotto altro profilo.
Sulle osservazioni presentate dalla ditta Ca' Vico e dal Sig. Meneghini (protocollate al n. 4276 della Provincia), l'Amministrazione non ha controdedotto, pur essendovi tenuta ai sensi dell'art. 10 L.N. 241/1990.
4. Sul risarcimento del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgs. 98/80 e dell' art. 7 della legge n. 205 del 2000.
Le Amministrazioni con il provvedimento di revoca da un lato, con quello intimatorio e ripristinatorio dall'altro, hanno ingenerato un danno gravissimo in capo ai ricorrenti.
La ditta con appositi motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, ín data 15.12.2006, avente il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R. 5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2,del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Incompetenza e difetto di legittimazione, contraddittorietà manifesta. La censura ricalca quella analoga di cui al ricorso principale.
2. Errore di fatto, contraddittorietà, travisamento e difetto di istruttoria. La ditta contesta i risultati cui è pervenuta la commissione tecnica regionale.
3. Insussistenza di un pregiudizio ambientale risarcibile.
4. Infine la ditta insiste per il risarcimento del danno subito.
Anche nell’ultimo ricorso rubricato al n. 2295/06 resistono in giudizio la Provincia e il Comune confutando in fatto e diritto le tesi avversarie.
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11. Dopo ampia, approfondita e animata discussione svoltasi nella pubblica udienza del 15 novembre 2007, la causa è stata introitata per la decisione.
D I R I T T O
1.0. I ricorsi in epigrafe vanno tutti riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, come del resto auspicato sia da parte ricorrente sia dalle parti resistenti. In particolare le richieste di risarcimento danni proposte dalla Ca’ Vico srl, sia in via autonoma nel ricorso 2140/06 sia nell’ambito dei restanti ricorsi, presuppongono l’esame congiunto di tutte le cause in epigrafe.
Invero, la causa cardine risulta quella relativa alla revoca dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, di cui al ricorso 3090/03, laddove le cause precedenti, riguardando sospensioni cautelative dell’attività e l’apposizione di sigilli, in qualche modo appaiono prodromiche a detta revoca, mentre le cause successive, relative alla quantificazione del danno ambientale e alla richiesta di risarcimento danni da parte della ditta, ne risultano in qualche modo consequenziali.
Occorre appena aggiungere che le questioni degli accertamenti tecnici risultano decisive nella presente controversia, che in ultima analisi riguarda una compromissione ambientale.
1.1. Ciò detto, per ragioni di economia espositiva, prima di affrontare l’esame dei singoli ricorsi, conviene esaminare le più rilevanti questioni che concernono in vario modo tutti i gravami.
Va premesso che la cava di cui si controverte si colloca in una zona particolarmente sensibile dal punto di vista ambientale, sia in quanto situata nell’ambito della “fascia di ricarica degli acquiferi” alla cui falda freatica attingono numerosi acquedotti veneti, sia in quanto essa risulta inclusa nel bacino afferente alla laguna veneta, ambiente la cui delicatezza non deve essere sottolineata.
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2.0 Venendo alla storia della cava, si rileva che, come risulta dalla documentazione in atti, nel comparto "Campagnalta" insistevano originariamente due cave, separate da un istmo, ed intestate rispettivamente alle ditte E.M.I. s.n.c. (D.G.R. 1313 del 13 marzo 1979) e al consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 342 del 22 gennaio 1980), le quali avrebbero dovuto concludere la coltivazione e correlativamente la sistemazione ambientale entro il 31.12.1988.
Entrambe le cave avevano ottenuto numerose proroghe; invero con D.G.R. 9043 del 28.12.1988 e con D.G.R. 7980 del 22.12.1989 erano stati procrastinati i termini per la coltivazione dell'area C.E.M.I.C., dapprima dal 31.12.1989 al 30.06.1990, e poi dal 31.12.1990 al 31.03.1991; con D.G.R. 9026 del 28.12.1988, i termini per l'estrazione nell'area E.M.I. erano stati prorogati dal 31.12.1989 al 30.06.1990, per essere poi ulteriormente differiti con D.G.R. 7127 del 12.12.1989 (dal 31.12.1990 al 30.06.1991).
La D.G.R. 7118 del 18.12.1990, che assentiva alla proroga dei lavori di sistemazione ambientale al 30.06.1995, era stata annullata dal TAR Veneto su istanza del Comune di San Martino di Lupari (sentenza n. 10/93, confermata dal Consiglio di Stato, n. 804/99).
Infine, con D.G.R. 2315 del 17.05.1993, la ricorrente Ca' Vico s.r.l. era subentrata nell'autorizzazione di cava già rilasciata a favore di E.M.I., per poi subentrare anche nell'attività del consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 4630 del 4.10.1994).
Successivamente, a seguito della frana dell’istmo che separava le due cave, la Regione, con D.G.R. 2427 del 26.05.1994 (relativa all'area E.M.I., già appartenente a Ca' Vico) e con D.G.R. 2728 del 26.05.1994 (per quanto riguarda l'area C.E.M.I.C.), attestava l'esistenza di un "unico e omogeneo comparto estrattivo, sede di un laghetto di cava", sollecitando la presentazione di un unico progetto di ricomposizione ambientale "finalizzato prioritariamente al recupero in senso naturalistico del bacino lacustre, attraverso la rimodellazione delle sponde e una riprofilatura delle scarpate" e “fondato su capisaldi certi e riconoscibili".
Infine con D.G.R. 5609 del 22.11.1994 la Regione autorizzava il progetto di ricomposizione presentato dalla Ca' Vico in data 08.09.1994, vincolando la movimentazione del materiale di risulta disponibile al recupero in senso naturalistico del bacino, per la restituzione delle caratteristiche ambientali originarie. Si prevedeva altresì l'inclusione nell’area di cava di ulteriori mappali, precedentemente non autorizzati per favorire una migliore ricomposizione ambientale globale.
Veniva inoltre concessa la proroga del termine per la conclusione dei lavori di coltivazione (estrazione e sistemazione) al 30.06.1998.
Successivamente il decreto regionale- Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, n. 311 del 17.07.1998, accoglieva l'istanza di proroga di Ca' Vico, concedendo termine fino al 30.06.2003.
2.1. Sorge a questo punto la questione, decisiva nelle cause in discussione, circa la natura della citata autorizzazione regionale n. 5609 del 22 novembre 1994. Si tratta invero di qualificarla come un’autorizzazione alla coltivazione di cava ovvero di riqualificazione ambientale con contestuale possibilità di utilizzo commerciale del materiale in esubero rispetto a quello necessario per la ricomposizione stessa.
Va premesso che sussistono margini di ambiguità contenuti nell’autorizzazione de qua.
Da un lato invero nelle premesse si richiama il DGR n 2427 del 26 maggio 1994 che contestualmente prorogava il termine dei lavori di coltivazione e ordinava alla ditta di presentare un progetto di ricomposizione ambientale. Inoltre nel medesimo DGR 5609 si sottolineano a pagina 4 punti 1, 2 e 3 le finalità e modalità del ripristino ambientale.
Nel dispositivo si parla invece di proroga dei termini di coltivazione, intesi come estrazione e sistemazione, sia pure con le prescrizioni e condizioni previste, tra cui preminente risulta l’obbligo di ripristino ambientale.
Rimangono invero elementi apparentemente contraddittori nel citato provvedimento, anche perché il materiale asportabile e quindi commerciabile era comunque notevole. Tuttavia questo Collegio è giunto alla conclusione che si trattava di un progetto di ricomposizione ambientale con contestuale autorizzazione all’estrazione di ulteriore materiale, non già di un ampliamento della cava in atto. Invero tale qualificazione è l’unica conforme alla normativa vigente e applicabile, per cui nell’oggettiva incertezza va scelta – adottando gli usuali canoni ermeneutici in tema di interpretazione degli atti amministrativi - una qualificazione che renda conforme a norma l’autorizzazione.
Invero, la qualificazione dell’autorizzazione de qua come ripristino appare rispettosa dell'art. 44, comma 1, lettera a), della L.R. 44 del 1982, il quale stabilisce che - fino all'entrata in vigore del PRAC - le autorizzazioni o concessioni per l'ampliamento delle cave in atto o per l'apertura di nuove cave destinate all'estrazione di materiale del gruppo A (sabbia e ghiaia) possano essere rilasciate esclusivamente nei Comuni elencati nell'allegato n. 1 della stessa legge regionale, tra i quali non è incluso il Comune di San Martino di Lupari.
Va poi aggiunto che il piano regolatore del Comune di San Martino di Lupari, include la cava nella zona F, "Area a verde attrezzato per la pesca sportiva" e non già nella zona adibita a cave.
Ne discende che la D.G.R. 5609/94 non può essere considerata come una mera autorizzazione alla coltivazione di cava in senso proprio, ma come un progetto di ricomposizione ambientale con contestuale prelievo di materiale.
Del resto tale natura risulta l’unica possibile e appare comunque favorevole alla Ca’ Vico, che altrimenti non avrebbe potuto legittimamente operare.
Le conseguenze appaiono ovvie; se si tratta di un progetto di ricomposizione ambientale, gli aspetti relativi alla protezione dagli inquinamenti e ricostruzione di un habitat accettabile vanno ritenuti prevalenti rispetto alla pur consentita estrazione di materiale.
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3.0. Altra rilevante questione riguarda le escavazioni non autorizzate, connesse ad una erronea rappresentazione dello stato dei luoghi nel progetto di ricomposizione ambientale autorizzato con D.G.R. 5604/94.
Appare ovvia la considerazione relativa alla difficoltà di ricostruire in fatto lo stato dei luoghi, compromesso dalla protratta coltivazione della cava; infatti numerose e spesso contrastanti tra di loro sono le perizie prodotte in causa, per cui questo giudice ha dovuto necessariamente selezionare i vari accertamenti tecnici privilegiando, secondo gli usuali criteri, quelli di provenienza da parti pubbliche che, per l’autorevolezza dei redattori, per le argomentazioni utilizzate e per la qualità intrinseca sono apparsi i più attendibili.
3.1. La questione centrale riguarda a tutta evidenza la quota da cui calcolare l’escavazione e la coltivazione della cava, e quindi di conseguenza l’eventuale abusività delle escavazioni.
In questo quadro assume un rilievo particolare la posizione del caposaldo, anche se questo Collegio non può fare a meno di sottolineare come il suo valore non possa essere considerato assoluto, ma vada rapportato alle considerazioni relative al piano di campagna circostante.
In definitiva, il caposaldo costituisce solo un mezzo, importante ma non certo l’unico, per valutare la quota di partenza della cava da cui calcolare le escavazioni autorizzate o meno. Invero, quale che sia la carta utilizzata, il caposaldo assolve la sola funzione di riferimento per tracciare le curve di livello.
Va rammentato che il progetto di ricomposizione presentato in data 8.09.1994 ai fini dell'autorizzazione regionale non conteneva alcuna indicazione del caposaldo, da utilizzare per il computo delle quote, laddove negli allegati grafici successivamente depositati in Regione in data 1.12.1994, compariva un caposaldo a 47,50 m.
3.2. Peraltro, essendo emerso che detto caposaldo non era compatibile con la rappresentazione delle curve altimetriche indicate nel medesimo progetto, la Provincia di Padova provvide a calcolare i quantitativi estratti facendo riferimento al piano di campagna preesistente alle escavazioni e quotato a livello mare (m 45,73), accertando di conseguenza la quantità di materiale estratto non autorizzato.
Sul punto si rileva poi come la materiale esistenza di un cippo di cemento a 47,50 slm, non è sufficiente a sostenere che le curve altimetriche designate nelle tavole progettuali fossero state calcolate a partire proprio da quel punto di riferimento.
Infatti, a parte che la dimenticanza dell’evidenziazione del caposaldo nelle tavole progettuali prodotte dalla ditta appare imputabile alla stessa, in ogni caso detto caposaldo va rapportato al piano di campagna contermine.
La questione si complica in quanto le cartografie utilizzate nel tempo dalle parti in causa non risultano omogenee, in quanto le carte topografiche dell’Istituto geografico militare e quelle della Carta tecnica regionale per lo stesso luogo danno quote sul livello del mare differenziate di circa 2 metri.
3.3. Tornando al caposaldo, il tecnico professionista incaricato dalla Provincia di Padova - p.i. Mosca - per accertare possibili infrazioni addebitabili alla Ca' Vico, ha posto a fondamento della propria relazione non già i dati discendenti dalle quote progettuali e da quelle del caposaldo, bensì deduzioni ricavate dalle sezioni dei progetti stessi, proprio per la non assoluta valenza probatoria del caposaldo stesso e della cartografia disponibile.
Lo stesso tecnico ha, inoltre, preso a riferimento il piano di campagna circostante deducendone la quota generale altimetrica.
In conclusione sul punto, la presenza e l’attendibilità del caposaldo non risultano assolute, ma vanno rapportate alla concreta situazione del terreno, il che rende corretta la constatazione di materiale abusivamente estratto dalla ricorrente, che costituisce una delle fondamentali ragioni poste a fondamento di vari provvedimenti impugnati e in particolare della revoca dell’autorizzazione.
3.4. Risulta quindi necessario rifarsi alle valutazioni tecniche, tra cui spicca per la sua esaustività e completezza la relazione della ditta AGEPI sas di data 5 dicembre 2002, nonché la nota della Provincia di Padova n 6272/2003 di data 23 gennaio 2003 che elenca ben 14 accertamenti da cui emerge la esistenza di escavazioni abusive.
Come già spiegato, le indagini peritali, effettuate per conto della Provincia di Padova, stabiliscono che la mera indicazione del "caposaldo" presente in loco- sia pure con l'attribuzione di una certa quota - è insufficiente a dimostrare che le curve di livello disegnate nelle tavole del 1.12.1994 siano calcolate a decorrere da quel punto di riferimento.
Inoltre il verbale di riunione tra Comune, Provincia e Regione del 01.02,2002 attesta che "da un immediato confronto tra la rappresentazione progettuale e la Carta Tecnica Regionale che risale ai rilievi aerofotogrammetrici” risulta che “le quote di terreno circostante la cava non corrispondono alle quote indicate nel progetto ai limiti dello scavo con differenze variabili da 50 centimetri a 4 metri”.
Infine l'arch. Dario Brigo - consulente della Regione Veneto in forza della D.G.R. 3884 del 13.12.2005, incaricato di produrre un'adeguata relazione tecnica, - al termine del lavoro di accertamento dichiara che gli allegati al progetto approvato con D.R.G. 5609/1994 offrono una ricostruzione meramente teorica dello stato dei luoghi, anziché una corretta rappresentazione della realtà.
3.5. Le escavazioni abusive - cioè eccedenti i limiti autorizzati - hanno formato poi oggetto di accurato esame da parte della Commissione tecnica provinciale attività di cava (CTPAC) di Padova, in particolare nel parere reso in data 4 febbraio 2003, nelle sedute del 16 gennaio 2003, 6 febbraio 2003, 13 marzo 2003, nel sopralluogo del 27 marzo 2003 e infine nella seduta conclusiva dell’ 8 maggio 2003.
Appare logico quindi sostenere che l’esame di un organo tecnico qualificato, effettuato tra l’altro in numerose sedute e in contraddittorio con la ditta ricorrente, abbia acclarato con sufficiente certezza l’abusività di alcune escavazioni, a nulla rilevando in questa sede l’ammontare esatto del materiale abusivamente estratto, dato questo di difficile calcolo in una situazione compromessa e alterata.
Ne consegue che sussistono indizi plurimi, sufficienti, precisi e concordanti sulla correttezza dell’assunto provinciale secondo cui la ditta, anziché movimentare la quantità di terreno autorizzata al fine della ricomposizione ambientale, aveva asportato anche un’ulteriore consistente quantità di ghiaia.
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4.0. Altra rilevante questione da esaminare in via preliminare riguarda gli scarichi abusivi di reflui industriali e il conseguente pericolo di contaminazione.
Occorre appena rilevare come lo scarico non autorizzato di liquidi reflui, provenienti dal lavaggio degli inerti, direttamente nel lago di cava, può essere fonte di pregiudizi irreparabili, in una zona dove la falda idrica, da cui si ricavano acque destinate al consumo umano, si trova a soli due metri di profondità dal terreno.
Dagli atti di causa risulta che la ditta ha attivato uno scarico non autorizzato di acque reflue industriali, originarie dalle attività di estrazione e lavorazione degli inerti, e riversate nel laghetto di cava a mezzo di una tubazione sporgente.
In particolare ciò emerge dalle relazioni ARPAV- Dipartimento Provinciale di Padova- DPA/08550/T3602/A2 del 4.11.1999; n. 84/99/gpz/GPZ/ARPAV del 22.10.1999, e dalla nota del medesimo ARPAV del 4 ottobre 2001.
Va poi ricordata tra i numerosi documenti la relazione di sopralluogo del Comune di San Martino di Lupari del 27 luglio 1999 da cui sono emerse palesi irregolarità nello scarico di acque reflue, tra cui vasche di decantazione rivestite da materiale difettoso e quindi non impermeabili, oltre alla mancanza di un registro di carico e scarico delle stesse acque reflue stoccate nelle vasche.
La successiva relazione datata 30 luglio 1999 ha ulteriormente precisato che il fossato in cui confluiscono le acque reflue era privo di ogni protezione impermeabile risultando “un vero e proprio scarico sul terreno”, che non era noto lo scarico terminale di dette acque, che nella parte ovest del bacino di cava risultavano depositati materiali inerti, limi e materiale proveniente da demolizioni.
4.1. E’ ben vero che la Provincia di Padova in data 23.3.2000, vista la documentazione presentata, nonché sentito il parere dell'A.R.P.A.V., ha autorizzato la ditta Ca' Vico allo scarico delle acque, ma detta autorizzazione con validità sino al 20.3.2004 è stata sospesa con provvedimento n. 728/DEP/ 2001. Va rilevato che detta autorizzazione è successiva alle ispezioni comunali sopra citate e comunque non consentiva lo scarico nel terreno con le modalità riscontrate.
Lo scarico di acque reflue industriali nel laghetto di cava senza autorizzazione è stato tra l’altro oggetto della vicenda penale a carico del legale rappresentate della Ca’ Vico conclusasi con un patteggiamento di cui alla sentenza n. 21 del 2003 depositata il 31 marzo 2003 del Tribunale ordinario di Padova – Sezione di Cittadella.
Certamente questo Collegio non ignora che da una sentenza patteggiata non può desumersi alcuna prova della sussistenza dei fatti contestati all’imputato, ma tuttavia tale pronuncia costituisce pur sempre un indizio nel senso della presenza di scarichi abusivi.
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5.0. Correlata strettamente alla questione precedente, almeno dal punto di vista causale, è quella riguardante l'elevata concentrazione di sostanze chimiche nocive.
Numerose sono le indagini effettuate sul sito di cava che attestano come nei campioni di terreno, nel limo e nel fondale del lago siano sedimentate sostanze chimiche dannose, in percentuali che si discostano dai valori medi.
Tra le altre di particolare rilevanza la relazione del dott. Avola ("Indagine ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul terreno situato in zona limitrofa cava Campagnalta") sui campioni prelevati il 15.11.2001, da cui emerge che, sulla base della classificazione di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 47, superano i valori della concentrazione limite vari campioni per quanto riguarda l'arsenico e uno per quanto riguarda il cadmio.
Per quanto concerne il cadmio, l'alta concentrazione è confermata dalla Relazione Tecnica AGEPI del 5 agosto 2002.
Altresì la percentuale di alluminio supera i valori massimi consentiti, come risulta dalla nota della Provincia di Padova, n. 118222 del 26.11.2002, che recepisce i rapporti di prova effettuati dall'ARPAV in data 08.07.2002. Anche la percentuale massima di magnesio superava i limiti di norma.
A tale proposito va poi aggiunto che dalle analisi eseguite da ARPAV non può in alcun modo desumersi, come invece sostiene la ricorrente, "la correttezza dei lavori effettuati dalla CA' Vico S.r.l.".
Inoltre in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15 mg/kg.. Se ne desume che il terreno originario della cava e quindi il limo residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto endemico.
5.1. Inoltre, i certificati di analisi in questione, evidenziano sia un superamento dei valori limite di emissione dei materiali in sospensione totale previsti dalla tab. 3 allegata ai D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, - colonna relativa allo scarico in acque superficiali - sia la presenza, se pur minima, di idrocarburi, in contrasto con quanto previsto dall'autorizzazione emessa dalla Provincia di Padova n. 544/DFP/2000, prot. 17883 del 23 marzo 2000; detta autorizzazione, rilasciata sulla base della documentazione allegata alla domanda dalla ditta Ca' Vico S.r.l., prevede che le acque reflue dell'attività di lavaggio inerti vengano avviate ad un impianto di sedimentazione all'interno di un bacino chiuso.
Orbene, dalle analisi eseguite sulle acque di scarico all'interno del tubo di acciaio che veicola le acque di lavaggio nel laghetto di cava, nel laghetto a nord dell'impianto di dragaggio, in una cisterna di acciaio con deflusso al piazzale e nel bacino di raccolta e depurazione delle acque, risulta, invece, la presenza di un ulteriore scarico di acque di lavaggio, immesse direttamente nelle vasche della cava, nonché uno scarico sul suolo, con deflusso nelle acque della cava, evidentemente non autorizzati. Ciò è evidenziato anche dalla presenza di idrocarburi che non avrebbero dovuto essere presenti nei campioni di acqua prelevati.
5.2. Per completezza, va aggiunto che la Regione Veneto, avvalendosi della consulenza dell'ingegnere ambientale Mariacristina Armellin (D.G.R. 3884 del 13.12.2005), ha ulteriormente esaminato la questione ambientale; il sopralluogo eseguito nella cava in data 19.02.2007 ha evidenziato un peggioramento della situazione, anche per la mancanza di manutenzione.
5.3. La questione dell’arsenico merita un ulteriore approfondimento.
Sulla concentrazione di arsenico, la ditta ricorrente sostiene la sua natura endemica nella zona, citando a sostegno la nota dell’Arpav - Centro agroambientale - del 5 febbraio 2002. Sennonché la cartina allegata a detta nota evidenzia per il Comune di San Martino di Lupari una concentrazione media di 12.1, ben inferiore a quella riscontrata nei campioni.
Appare quindi ragionevole sostenere che elementi chimici possono venire a contatto con l'acqua accumulata nella falda idrica, con evidente pericolo per i numerosi pozzi privati e l’intero sistema acquedottistico esistente nell'area.
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6.0 Altra questione concerne il limo.
La documentazione depositata evidenzia la presenza di limi sepolti nel lago di cava e limi sepolti nel piazzale di cava.
Sul punto va detto che se il limo si può considerare un prodotto naturale dell’escavazione di ghiaia, tuttavia era obbligo per la ditta asportarlo e pulirlo, né era consentito il suo stoccaggio in ogni zona dell’ambito di cava.
Inoltre l'autorizzazione di cava consentiva l'estrazione di ghiaia fino ad una profondità massima di circa trenta metri: ne discende che la profondità della ghiaia rispetto al piano di campagna circostante non deve essere a meno di trenta metri; risulta invece dalla documentazione in atti che ad una profondità di trenta metri, nel laghetto, non vi è ghiaia ma uno strato di limo dello spessore di 5/8 metri, sicché appare ragionevole dedurne che è stato estratto un ulteriore strato di ghiaia dello spessore di altrettanti metri, per l'intero fondo del laghetto, ed al posto del materiale estratto è stato posto limo. Non è poi possibile che il limo sia prodotto dal lavaggio della ghiaia, perché a tale scopo la ditta ha sempre sostenuto di aver predisposto apposite vasche.
6.1. Nella zona è stata altresì riscontrata una presenza anomala di idrocarburi, come emerge dalla relazione dell’ARPAV Dipartimento provinciale di Padova del 4 ottobre 2001.
6.2. Nella cava sono stati poi trovati tre bidoni galleggianti, di cui uno con numerose fessure e perdite.
La presenza nella cava di materiale estraneo, come materiale edile e rifiuti in genere, non viene negata da parte ricorrente, anche se ne minimizza la quantità; si tratta comunque di materiale trovato in numerose ispezioni, e che la ditta non era certo autorizzata a collocare nella zona. La presenza di tale materiale denota almeno una negligenza in vigilando da parte della Ca’ Vico.
In particolare l'ARPAV nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre 1999 rilevò "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in superficie la presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile provenienza esterna al bacino di cava".
I tecnici comunali in un sopralluogo del luglio 1999 rilevavano che era stata eseguita "una operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non autorizzato e si notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a inerti, limi e in alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto 1999 con la quale vietò a Cà Vico di depositare nella cava materiale di risulta proveniente dall'esterno. La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso 2139/99, ora estinto per rinuncia, per cui non risulta più contestabile l’accumulo nella zona di materiale di risulta proveniente dall'esterno.
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7.0. Per quanto concerne le scarpate prospicienti il laghetto di cava, vari accertamenti tecnici, non contestati sul punto dalla ricorrente, ne hanno accertato la difformità rispetto agli obblighi di ricomposizione assunti dalla ditta. In particolare viene in rilievo la relazione integrativa AGEPI del 5 dicembre 2002.
7.1. Conclusivamente sulle questioni generali, risulta dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio che la ditta Ca’ Vico ha scavato ghiaia in quantità superiori a quelle autorizzate, ha proceduto a scaricare le acque reflue in siti e con modalità non consentite, ha accumulato vari rifiuti nell’area di cava, ha versato sul terreno sostanze inquinanti, non ha proceduto a una corretta ricomposizione delle scarpate.
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8.0. Si passa ora all’esame del primo ricorso rubricato sub 2256/01.
La società ricorrente, subentrata ad altra ditta, si vide revocare l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati inquinanti. In seguito chiese una concessione in sanatoria per alcune vasche di decantazione.
Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il rilascio della concessione in sanatoria, mentre la provincia ha sospeso l'autorizzazione allo scarico del suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto, ad avviso della Ca’ Vico, sostanzialmente non corrisponderebbero ai dati reali; infatti secondo la ricorrente gli impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano già esistenti. Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente motivato, e comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già costruite.
In questa vicenda evidentemente assumono particolare rilievo i presupposti di fatto, come documentati in causa.
Esaminando per primo il provvedimento comunale gravato conviene riprodurne alcuni aspetti salienti:
“la ditta Ca' Vico in data 24.12.1999 ha presentato istanza a sanatoria di n. 2 vasche di decantazione e rispettivi impianti tecnologici;
in data 9 febbraio 2000 a nome e per conto della ditta Ca' Vico il geom. Domenico Borgo ha richiesto la sostituzione degli elaborati grafici presentati in data 22 febbraio 2000;
il sottoscritto ha chiesto con formale comunicazione l'epoca di realizzazione delle vasche e annessi.
La succitata richiesta è da intendersi come fatto sostanziale e non formale in quanto con verbali di accertamento dell'ufficio ecologia comunale e della polizia municipale in data 23 luglio 1999 e 27 luglio 1999 si constatava l'inesistenza della vasche così come riportate dagli elaborati grafici presentati.
In risposta a tale richiesta la ditta Ca' Vico con nota del 4 marzo 2000 comunica che la costruzione delle vasche come risulta da documenti della ditta EMI sono in essere dal 12.08.1988, e ciò in palese contrasto con i verbali di sopralluogo della Polizia Municipale;
Detta risposta è ritenuta da Questo Ufficio evasiva e contraddittoria non risultando in atti né denuncia di inizio lavori né indicazione del direttore lavori né, tantomeno, la fine dei suddetti lavori.
Si chiedeva, pertanto, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà al fine di poter procedere alla richiesta di sanatoria”;
In data 17 aprile 2000 la ditta Cà Vico ribadisce che le vasche risultano in essere dal 1988 e non produce alcuna dichiarazione sostitutiva;
A questo punto non era possibile per il Comune procedere al rilascio della concessione in sanatoria emergendo chiaramente la contraddizione tra i verbali di sopralluogo e la comunicazione della Cà Vico: per sanare l'opera la conoscenza dell'epoca di realizzo è prevista dall'art. 97 comma 3 della L. 61/85 al fine di accertare la doppia conformità (epoca di realizzo ed epoca della domanda).
Per quanto riguarda la domanda di autorizzazione allo scarico la stessa, presentata alla provincia di Padova come previsto dalla legge regionale n. 33/85 e D.Lgs. 152/99, è da intendersi quale domanda preventiva in quanto i lavori per la costruzione dei manufatti presuppongono un provvedimento autorizzativo comunale.
Infatti l'autorizzazione preventiva provinciale prevede testualmente: "La presente autorizzazione è rilasciata a soli fini della legislazione per la tutela delle acque dall'inquinamento di esclusiva competenza provinciale e non sostituisce i provvedimenti di competenza di altri Enti; con particolare riferimento ai provvedimenti dei Comuni in materia urbanistica ed igienico sanitaria e dell'ente gestore del corpo idrico ricettore (Genio Civile, Magistrato delle acque, consorzi di bonifica) in materia di concessioni idrauliche":
Il certificato di regolare esecuzione del direttore dei lavori presuppone quindi:
la concessione edilizia come previsto dalle leggi regionali 61/85 e L.R. 44/82, la figura del Direttore dei lavori, la data di inizio e termine lavori, la rispondenza del progetto approvato alle opere eseguite.
Pertanto, il Comune vista anche la nota pervenuta a questa Amministrazione in data 29.09.2001 a firma dell'ing. Aldo Lorenzetto, il quale precisa che la sua dichiarazione non deve intendersi quale "certificato di regolare esecuzione" non comparendo egli quale direttore dei lavori né tantomeno come collaudatore, ha ritenuto che la ditta Ca' Vico non fosse in possesso dei requisiti di legge per l'avvio dell'impianto di sedimento e trattamento e lavorazioni ghiaie sito in Via Castellana n. 64 così come ribadito dalla Provincia di Padova con comunicazione del 1 ottobre 2001 prot.n. 82199.”
Il Collegio rileva innanzi tutto che la domanda di sanatoria implica di per sé l'ammissione implicita dell'abusività delle vasche; inoltre, il comune aveva accertato con apposite ispezioni e relativi verbali in data 23 luglio 1999 e 27 luglio 1999 l'inesistenza delle vasche come riportate negli elaborati grafici annessi alla domanda di sanatoria.
Si veda in particolare la cartografia depositata in causa dalla Provincia in data 21 novembre 2001 dalla quale emerge una completa discrasia tra la posizione delle vasche indicata dalla ditta e quella accertata dal Comune.
L'asserzione della ditta che le vasche fossero esistenti alla data del 12 agosto 1988 non risulta poi sorretta da alcuna idonea documentazione, che pure era facilmente reperibile presso la ditta dante causa, come le comunicazioni di inizio lavori, i certificati di ultimazione e collaudo.
A questo punto il diniego di concessione in sanatoria appare un atto dovuto, in quanto non risultava comprovato il momento di edificazione di dette vasche, necessario ai fini dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità, prevista dall'articolo 97 della legge regionale n. 61 del 1985.
8.1. Risulta poi dalla documentazione in atti che la ditta aveva scaricato le acque reflue in una vasca priva di tenuta stagna, come è emerso dall'accertamento in contraddittorio disposto dal Tar del Veneto ed eseguito in data 8 febbraio del 2000 (e ancor prima dalla relazione di sopralluogo redatta dal Comune in data 30 luglio 1999).
Sempre sulla questione delle sanatoria, si osserva che gli ispettori dell'ARPAV avevano accertato la presenza di una vasca di recente realizzazione, affatto diversa da quella autorizzata dall'originaria concessione edilizia del 1988.
8.2. Passando ora al decreto provinciale, conviene riprodurne i tratti salienti:
omissis
“RICHIAMATO il decreto n' 544/DEP del 23.03.2000 con il quale la ditta Cà Vico è stata autorizzata preventivamente allo scarico su suolo di acque reflue industriali dell'insediamento produttivo sopraindicato;
VISTA la nota datata 18.06.2001 (prot. Prov n. 52289 del 4.07. 2001), con la quale la ditta ha trasmesso ìl certificato di regolare esecuzione delle opere datato 15.05.2001, rilasciato dal Direttore dei Lavori ing. Aldo Lorenzetto.
VISTA la nota datata 28.09.2001 (proc. Prov n. 80494 del 1 10.2001), trasmessa via fax, con la quale l'ing. Aldo Lorenzetto comunica che il documento del 15 05.2001 è stato erroneamente intitolato "Certificato di regolare esecuzione" e che deve intendersi come "Verbale di stato del luoghi" in merito alla presenza nel cantiere in oggetto di vasche di decantazione.
VISTA la nota della Provincia prot. n. 81299 del 1 10.2001, con la quale la Ditta è stata invitata a presentare il Certificato di regolare esecuzione delle opere;
VISTA la nota del 28 09 2001, prot. n 81457, pervenuta alla Provincia in data 2.10.2001, prot n° 81457, del Comune di S.Martino di Lupari con la quale si comunica che il certificato di regolare esecuzione del 15.052001 non corrisponde ad alcun progetto depositato presso il Comune e mai assentito con il rilascio della prevista concessione edilizia;
PRESO ATTO delle note del 1. 10. 2001 e 2.10.2001 con le quali la Ditta ha esposto al Comune, alla Regione e alla Provincia la propria situazione in merito al rilascio della concessione edilizia:”
omissis
Il decreto provinciale quindi risulta motivato con un duplice ordine di motivi: il primo, la mancanza di un vero e proprio certificato di regolare esecuzione delle opere; invero, correttamente la provincia ha qualificato il certificato così denominato come verbale di stato dei luoghi, conformente a quanto precisato dallo stesso redattore ingegnere Aldo Lorenzetto con apposita nota di data 29 settembre 2001.
In secondo luogo, la provincia fa presente che detto certificato non corrispondeva ad alcun progetto depositato presso il comune e nemmeno a quanto assentito dalla concessione edilizia. In sostanza, la mancanza di un certificato di regolare esecuzione rendeva impossibile l'autorizzazione allo scarico, subordinata proprio a tale documentazione.
La sospensione quindi dell'autorizzazione risultava un atto dovuto da parte della provincia di Padova, in ultima analisi fondata sulla medesima questione e quindi sull’inesistenza delle vasche come realizzate e sulla loro non conformità con l’originaria concessione edilizia.
8.3. Conclusivamente sul ricorso n 2256/01, per quanto detto esso risulta infondato, in primo luogo in quanto i presupposti fattuali dei due provvedimenti impugnati risultano corroborati da idonea e univoca documentazione e in secondo luogo in quanto la stessa ditta Ca’ Vico, con la domanda di sanatoria, dimostra di ritenere abusivi i manufatti.
Infine lo stesso tecnico incaricato dalla ditta dichiara di non aver redatto un certificato di regolare esecuzione dei lavori ma un certificato di stato dei luoghi, con il che viene meno ogni dimostrazione della conformità delle vasche alla originaria concessione.
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9.0. Con il ricorso rubricato al n. 2257/01 la ditta impugna due ordinanze della regione Veneto con cui si ordina la sospensione dei lavori di estrazione della cava e in generale di qualsiasi attività estrattiva.
Va premesso che le ordinanze impugnate, che sospendono l’attività di cava in via temporanea e cautelativa, risultano superate dalla successiva ordinanza n 375 del 2 novembre 2001 impugnata con il ricorso n 2671/01 che ha sospeso l’attività della cava sempre in via cautelativa ma a tempo indeterminato.
Dal momento però che parte ricorrente argomenta la richiesta del risarcimento danni anche dal comportamento a suo dire “persecutorio” della pubblica amministrazione, di cui sarebbero sintomo anche i due atti gravati con il presente ricorso, appare utile esaminarlo anche nel merito.
Le censure come visto in fatto sono due:
la prima, sostanzialmente di carenza dei presupposti, riguarda la mancata indicazione nelle due delibere impugnate dell'ambito preciso delle presunte escavazioni non autorizzate, in riferimento ai provvedimenti autorizzativi. In particolare vi sarebbe una confusione tra l'area di escavazione e l’area di recupero ambientale.
9.1. L’assunto della ditta ricorrente non può essere condiviso.
Invero, la prima ordinanza gravata del 28 agosto 2001 richiama il verbale di sopralluogo effettuato in data 21 giugno 2001 congiuntamente da personale della Provincia, dell’ARPAV e del Comune, e che conviene riprodurre nelle parti che qui interessano:
“L’area interessata, della superficie di circa 40-50.000 m2, si presenta coperta da fitta vegetazione spontanea, erbacea ed arbustiva.
Sul posto si è proceduto all'effettuazione di scavi e trincee mediante escavatore meccanico, fino alla profondità programmata di 6 mt., secondo la numerazione riportata nella planimetria allegata, che individua la collocazione di massima delle trincee.
Trincea n. 1 Si evidenzia terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 2 Terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 3 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; da 1 a 5 mt. circa è presente uno strato di materiale limoso, presumibilmente limi da lavaggio inerti. Oltre 5 mt. ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea, presenta una marcata tendenza a franare.
E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V. un campionamento di tale materiale, per verificare la presenza di eventuali composti inquinanti.
Trincea n. 4 Terreno di riporto fino a circa 1 mt., quindi limi fino alla profondità di circa 5 mt.. Successivamente ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea, manifesta una marcata tendenza a franare.
Sono stati rinvenuti nel materiale escavato rifiuti vari quali stoffe, inerti, fili plastici.
Trincea n. 5 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; presenza di limo da 1 a 5 mt. circa, quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta una marcata tendenza a franare. Nel materiale escavato è stato rinvenuto un significativo blocco di cemento, con presenza di pezzi d'asfalto. E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V., un campionamento del materiale limoso, per verificare la presenza di eventuali composti inquinanti.
Trincea n. 6 Terreno di riporto fino ad 1.5-2 mt.. Presenza di uno strato di materiale limoso sottostante fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta tendenza a franare.
Trincea n. 7 Terreno di riporto fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 8 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 9 Terreno di riporto fino a circa 3.2 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 10 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti frammenti di rifiuti inerti, seppure in modeste quantità.
Trincea n. 11 Terreno di riporto fino a circa 4 mt., quindi ghiaia Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti, seppure in modeste quantità frammenti di rifiuti inerti in superficie.
Trincea n. 12 La trincea è realizzata in corrispondenza della rampa posta in prossimità del laghetto. Terreno di riporto fino a circa 3.5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 13 Terreno di riporto fino a circa 1.5 mt., quindi ghiaia Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 14 Terreno di riporto fino a circa 2 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
L'insieme del sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di 4-5.7 mt. dal p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità minore (1.5-2 mt.) in vicinanza del laghetto, ove il piano di campagna si presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt. rispetto all'area circostante esterna al perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenze di rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S-0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 3, 4, 5 e 6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale presumibilmente limi da lavaggio inerti. Si rimane in attesa degli esiti analitici sui campioni effettuati per una valutazione sull'eventuale caratteristica contaminante di tali materiali.”
9.2. Inoltre si evidenzia che in allegato al verbale anzidetto è riportata una planimetria da cui si evincono i punti precisi in cui sono state realizzate le trincee esplorative, tutte collocate all'interno del perimetro dell'area di intervento autorizzato.
Risulta poi che il piano di campagna del sito sondato era più basso di circa tre metri rispetto all'area circostante. Infine il substrato ghiaioso è stato rinvenuto a circa otto metri di profondità rispetto alla quota del piano di campagna circostante.
Sussistevano quindi fondati dubbi di escavazione non autorizzata, non solo in quanto effettuata oltre i limiti concessi, ma altresì in una zona che non prevedeva l'asportazione di alcun tipo di materiale di scavo.
9.3. Inoltre, con provvedimento prot. n. 92208 del 6.11.2000, la Provincia di Padova aveva contestato alla ditta di aver effettuato lavori di coltivazione dí cava in assenza ed in difformità dall'autorizzazione.
Emerge inoltre che l'escavazione ha interessato anche il mappale n. 120, senza che l'estrazione del relativo materiale in esso ricadente fosse mai stata oggetto di alcuna autorizzazione.
Va aggiunto che un’ulteriore escavazione abusiva è stata rilevata a seguito dell'indagine condotta dal Dott. Fernando Ronco, nel novembre 2000, dalla cui relazione risulta, tra l'altro, che i terreni in loco sono caratterizzati da ghiaie, sabbie e sabbie con ghiaia diffuse in tutto il territorio oggetto dell'indagine, evidenziando una situazione del tutto anomala.
9.4. La seconda ordinanza impugnata, recante la reiterazione della sospensione per ulteriori 30 giorni, afferma che “persistono le ragioni già espresse” nella precedente ordinanza; richiama poi la nota 1 ottobre 2001 della Provincia che comunica l’effettuazione di ulteriori rilievi da cui risulta la necessità di altri accertamenti al fine di verificare la presenza di eventuali escavazioni non autorizzate.
La seconda ordinanza appare poi corroborata da ulteriori indagini, successive a quelle sopra citate, in particolare i sopralluoghi effettuati dal Comune nelle date del 3 settembre 2001, 11 settembre 2001 e 20 settembre 2001.
9.5. In sostanza, la prima censura risulta smentita dalla documentazione in atti, non solo in quanto l'area in cui sono state effettuate le indagini e rilevate le anomalie appare individuata con precisione, ma altresì in quanto la decisione di sospendere l’attività, ripetesi solo temporaneamente e in via cautelativa, risulta congruamente motivata in entrambe le ordinanze.
9.6. Va ora esaminata la seconda censura, relativa alla presunta erronea ed arbitraria applicazione dell'art. 29 della L.R. Veneto n. 44 del 1982.
Invero, detto articolo 29 prevede la possibilità di ricorrere alla sospensione cautelativa dei lavori in caso di inosservanza dell’autorizzazione, quando siano necessari ulteriori accertamenti ed in ogni caso quando si tratti di interventi abusivi.
Nel caso invero ricorre pacificamente l’ipotesi di necessità di ulteriori accertamenti, a seguito di ripetute verifiche, in quanto dai verbali dei sopralluoghi effettuati emergeva un’inosservanza dell’autorizzazione se non già l’abusivita di alcune escavazioni.
Inoltre è stata accertata la presenza di materiali di rifiuto, per cui sussisteva la necessità di procedere alla temporanea sospensione dei lavori allo scopo di effettuare tutti i necessari e complessi accertamenti tecnici al fine della tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
Il ricorso si appalesa quindi infondato.
*****
10.0. Con il ricorso n. 2671/01 la medesima ditta impugna l'ordinanza 375 della regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato qualsiasi lavoro di coltivazione della cava. Il presente ricorso viene presentato anche come motivi aggiunti al precedente ricorso n. 2257 del 2001.
L’istante fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato, laddove i valori riscontrati rientrerebbero nella norma e il valore di arsenico in particolare dipenderebbe dalla situazione del territorio. I campioni prelevati poi risulterebbero inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda gli scarichi inquinanti.
10.1. Conviene riportare di seguito l’ordinanza 375 impugnata:
PREMESSO che con deliberazione della Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994, intestata alla ditta Cà Vico srl con sede. in via A. Velo n. 55 - Fontaniva (PD), prorogata con Decreto n. 311 del 17.07.1998, è stato approvato un intervento presso un bacino estrattivo in Comune di San Martino di Lupari -(PD), già interessato da precedenti provvedimenti autorizzativi;
VISTO il verbale relativo al sopralluogo congiunto del 21.06.2001, per verificare la presenza di eventuali rifiuti interrati nell'area posta ad ovest del laghetto, dal quale è emerso, tra l'altro; quanto segue: "L'insieme dei sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di 4-- 5.7 mt. dal p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità minore (1.5 – 2 mt.) in vicinanza del laghetto, ove il piano dí campagna si presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt. rispetto all'area circostante esterna la perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenza di rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S--0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 4, 5 e 6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale presumibilmente limi da lavaggio inerti. -(omissis}
Con riferimento all'abbassamento del piano di campagna dell'area interessata,- rispetto a quello esterno al perimetro della Ditta ed al rilevamento di ghiaia solo ad una significativa profondità dal piano di campagna, il geom. S. Baggio del Comune e l'Arch. M. Rossetto della Provincia Serv. Cave, si aggiorneranno per verificare l'eventuale presenza di attività di escavazione abusiva.'
VISTA l'ordinanza, n. 310; del 28/08/2001, con la quale è stato immediatamente sospeso in via cautelativa, alla ditta Ca' Vico s.r.1, qualsiasi lavoro estrattivo nella cava di sabbia e ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA”;
VISTA l'ordinanza n. 341 in data 01.10.2001 del Dirigente regionale, con cui il termine di sospensione dei lavori imposto con la precedente ordinanza n 310 in data 28.08-.2001 è stata prorogato di ulteriori trenta giorni;
VISTA la nota in data 04.10.2001 n. D/11593/ST.V7499/a2 dell'ARPAV Prov. PD, dalla quale emerge, tra l'altro, che le acque di lavaggio vengono immesse nel laghetto nonchè sul suolo con deflusso nello stesso laghetto di cava e tali scariche non risultano essere autorizzati;
lo scarico non autorizzato delle acque reflue nel Laghetto è stato segnalato all'Autorità Giudiziaria: in tutti i campioni prelevati, sia di acque superficiali che di acque reflue, si riscontra la presenza di idrocarburi totali;
nello scarico nel laghetto e sul suolo è stato evidenziato il superamento dei limiti stabiliti dalla tab. 3, allegato 5, colonna acque superficiali del D.Lgs. 152/99, relativamente al parametro solidi sospesi totali;
in entrambi i campioni di terreno (limo) prelevati è stato riscontrato un valore di Arsenico leggermente superiore ai limiti previsti dalla tabella A del D. M. 471/99, riferita peraltro ai siti contaminati;
VISTA l'ordinanza di convalida sequestro preventivo emessa dal Tribunale di Padova in data 11.10.2001 (n. 8859/99 r nr e n. 8456/01 r p), relativa agli impianti per la lavorazione degli inerti (barcone, nastri, vaglio, frantoio) presso la cava "CAMPAGNALTA";
VISTO il verbale in data 15.10.2001, relativo alla riunione tenutasi alla presenza di incaricati della Regione Veneto, della Provincia di Padova e del Comune di San Martino di Lupari, cui ha fatto seguito un sopralluogo in cava, dal quale emerge che è stato convenuto un programma di accertamenti che comporta quanto segue:
verifica planoaltimetrica dello scavo sotto falda;
verifica delle condizioni delle sponde in ordine alla loro geometria ed all'eventuale presenza di materiali di riporto, con relativa campionatura;
prelievo di campioni dal fondo, allo scopo di evidenziare la natura del materiale ed il contatto con il sedime naturale originariamente in posto;
verifica della geometria delle sponde sotto falda, in relazione all'eventuale presenza di sottostavi, con possibile formazione di profili a sbalzo;
verifica della corrispondenza tra gli scavi ed il progetto autorizzato, in termini planimetrici;
VISTA la relazione di sopralluogo tenutosi presso l'insediamento della ditta Cà Vico srl in via Castellana n- 64 - San Martino di Lupari il giorno 26.10.2001 da parte di incaricati del Comune di San Martino di Lupari, dal quale risulta, tra l'altro, che alcuni dipendenti "con l'ausilio di mezzi meccanici, stavano eseguendo lavori di sistemazione delle sponde con terreno di risulta depositato in loco.". Da tale verbale risulta inoltre che "detti lavori erano stati eseguiti sulle sponde nord, est e su quasi tutta la sud del laghetto di cava";
VISTO il verbale della riunione in data 29.10.2001 (prot. n. 12684), tenutasi presso il Comune di San Martino di Lupari alla presenza di incaricati della Provincia di Padova e del Comune di San Martino di Lupari, dal quale emerge, tra l'altro, che:
"1. gli scavi sono stati effettuati sull'area catastalmente censita non solo al mappale 119 - t. 8, ma anche interessando il mappale 118 - fg. 8, escluso dalla ricomposizione ambientale. Il mappale 119 fg. 8, interessato parzialmente al progetto di ricomposizione ambientale per interventi che prevedevano "l'asporto di circa 50.000. mc" -(punto 41.1.2. del progetto di ricomposizione ambientale approvato con D.G.R. n. 5609 del 22.11.1994), è stato invece oggetto di escavazioni e asporti ben superiori per circa 300.000 mc emersi già nel sopralluogo congiunto eseguito in data 21.06.2001 allo scopo principale di verificare la natura dei riporti effettuati. Tale evidenza ha richiesto e richiederà l'effettuazione di accertamenti ulteriori e più precisi al fine di determinare le quantità di materiale escavato in difformità; in tempi brevi la provincia dí Padova contesterà alla ditta l'escavazione in difformità e applicherà la relativa sanzione."
VISTA la nota fax in data 31.10.2001 a. 90887 della Provincia di Padova, con la quale è stato fatto presente che gli accertamenti di competenza sulla parte emersa oggetto di ricomposizione ambientale sono stati conclusi e che si sta provvedendo alla relativa contestazione nei confronti della ditta. La Provincia. di Padova, richiamando quanto emerso nella sopracimta riunione. del 15.10.2001, ha altresì. chiesto la reiterazione dell'ordinanza dí sospensione. lavori n. 310/01;
Considerato che da quanto sopra esposto si configurano le ipotesi di scavo abusivo sul mappale n. 118 fg. 8 e di scavo difforme sul mappale n. 119 fg. 8 del Comune di San Martino di Lupari;
RITENUTO condivisibile il programma di accertamenti nell'ambito delle competenze di cui alla L.R. n. 44/82, espresso nel sopracitato verbale del 15.10.2001, allo scopo di verificare esaustivamente le condizioni generali del sito estranivo, con particolare riferimento alla condizione degli scavi sotto falda ed all'eventuale presenza di materiali incompatibili con la destinazione d'uso del sito;
CONSIDERATO che eventuali attività all'interno dell'area autorizzata possono arrecare una sostanziale alterazione allo stato dei luoghi, in rapporto all'estensione dell'area stessa ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento delle indagini prospettate, anche in vista di possibili contestazioni di natura tecnica;
TENUTO CONTO che gli impianti di cava sono comunque sottoposti a sequestro preventivo giudiziario;
ATTESO CHE l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver accertato che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che non è interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o comunque incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la destinazione d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di consentire al Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a questa Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le opportune e necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato dalla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica;
CONSIDERATO che nel caso di riconosciute alterazioni ambientali o di presenze inquinanti il sito deve essere sottoposto con urgenza ad interventi specifici di risanamento, valutati e progettati in base allo stato dei luoghi al momento degli accertamenti. Data la complessità di tali accertamenti, che richiedono cognizioni multidisciplinari, da coordinare sia dal punto di vista della raccolta dei dati informativi sullo stato dei luoghi, sia nell'individuazione degli elementi analitici, entrambi valutati in un quadro ambientale e regolamentare.
RILEVATO che l'indagine di cui al punto precedente, da condurre in un ambito territoriale esteso ed interessato per la maggior parte da un battente d'acqua di alcune decine di metri, necessita di un notevole impiego di risorse umane, economiche e tecnologiche da approntare in un arco di tempo difficilmente prevedibile;
RITENUTO necessario di avvalersi di quanto disposto dal I° comma dell'art. 29 della L.R. 7.9.1982, n. 44, che concede la facoltà cautelativa di sospendere i lavori quando si verifichi sia l'inosservanza delle prescrizioni del provvedimento autorizzativo, nonché quando siano necessari ulteriori accertamenti in vista dell'adozione di specifici provvedimenti;
PRESO ATTO che a norma dell'art. 29 della L.R. n. 44/82 l'ordine di sospensione dei lavori è comunque disposto, quando si tratti di lavori abusivi;
VISTI la L.R. 7.9.1982, n. 44, e l'art. 42, 3° comma, della L.R. 5:2.1996, n. 6, con cui è. stato stabilito che, sino alla entrata in vigore del piano provinciale dell'attività di cava, le funzioni attribuite a Presidente della Giunta Regionale sono esercitate dal Dirigente del Dipartimento per la Geologia e le Attività Estrattive ora Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua;
ORDINA
1) di sospendere immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale) nell'ambito del perimetro dell'intervento autorizzato con deliberazione della Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994, intestata alla ditta Ca’ Vico con sede in Fontaniva (PD), nonchè sul mappale n. 118 fg. 8 del Comune di San Martino di Lupari (PD);
di stabilire che il presente provvedimento ha efficacia a tempo indeterminato, fino all'ultimazione delle necessarie indagini ed all'adozione di un apposito conseguente provvedimento;
3) di consentire comunque agli Enti competenti qualsiasi intervento di vigilanza, controllo o verifica nell'ambito delle proprie competenze, sia con personale proprio che a mezzo di appositi incaricati;
4) di provvedere alla notifica del presente provvedimento alla ditta Ca' Vico S.r.L. a mezzo di un incaricato regionale, oppure a mezzo del messo comunale di Fontaniva e di trasmetterlo al Presidente della Provincia di Padova ed al Sindaco del Comune di San Martino di Lupari, nonché di pubblicarlo, per estratto, sul B.U.R. della Regione Veneto;
INVITA
la Provincia di Padova ed il Comune di San Martino di Lupari, per quanto di rispettiva competenza a trasmettere tempestivamente i risultati degli accertamenti in corso e di eventuali ulteriori iniziative in tal senso.”
10.2. Da quanto testé riportato emerge che l’ordinanza gravata fa riferimento sostanzialmente a cinque aspetti, tutti emergenti dagli accertamenti tecnici citati:
l’abbassamento del piano di campagna rispetto alla zona circostante, e quindi il sospetto di escavazioni abusive;
la rilevata presenza di rifiuti derivanti da attività di demolizione, costruzione e scavi;
la presenza di rilevanti quantità di limi;
la presenza di scarichi non autorizzati di acque reflue nel laghetto;
il superamento del limite di arsenico previsto.
Nell’atto gravato viene poi menzionato il verbale della riunione di data 29 ottobre 2001 da cui emerge un asporto superiore a quello consentito nei mappali 118 e 119.
In conclusione viene ordinato alla ditta di sospendere a tempo indeterminato e in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione della cava, cioè sia l’estrazione di materiale sia la sistemazione ambientale.
10.3. Viene in sostanza fatta applicazione dell’articolo 29 della legge regionale n. 44 del 1982 che prevede in caso di attività abusiva la sospensione di ogni attività.
Si tratta di una sospensione a tempo indeterminato, ma pur sempre cautelativa, in attesa cioè di ulteriori accertamenti tecnici.
Infatti il presupposto giuridico dellì’applicazione dell’articolo 29 della ripetuta lr 44 del 1982 è non già la certezza che le violazioni vi siano state, il che sarà oggetto di ulteriori accertamenti, ma l’esigenza di non compromettere medio tempore gli interessi ambientali e di salute in presenza di consistenti indizi del mancato rispetto di quanto stabilito dalla normativa e dall’autorizzazione alla coltivazione della cava.
Appare quindi arduo contestare che la Regione, in presenza di plurimi accertamenti i quali evidenziavano un fondato sospetto del mancato rispetto di rilevanti obblighi incombenti sulla Ca’ Vico, dovesse procedere alla sospensione.
10.4. Invero anche l’ordinanza n 375 costituisce una tappa di avvicinamento a quello che sarà il provvedimento fondamentale della complessa vicenda, cioè la revoca dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, oggetto del ricorso n. 3090/03.
Va poi rilevato che risulterebbe sufficiente uno solo dei cinque aspetti menzionati nell’ordinanza impugnata per sorreggerla, vale a dire l’escavazione superiore a quella consentita, la presenza di rifiuti, quella di sostanze inquinanti, gli scarichi non conformi e infine la questione dei limi.
Per quanto detto il ricorso 2671/01 risulta infondato, laddove i profili sopra indicati, già sopra oggetto di considerazioni introduttive alla parte di diritto, verranno esaminati in dettaglio nel corso dell’esame dei successivi ricorsi, in particolare del n 3090/03, in quanto in questa sede preme rilevare non già l’esattezza dei rilievi ma la loro plausibilità, unico elemento necessario per giustificare l’ordinanza impugnata, avente valore meramente cautelativo in attesa di ulteriori accertamenti.
*****
11.0. Con il ricorso rubricato al n. 494/02 la società Ca’ Vico impugna l'ordinanza del comune in cui le si ordina di presentare un programma di smaltimento dei rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1. Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre 1999. Secondo la ditta ricorrente, l'ordinanza del sindaco dovrebbe essere preceduta da un'accurata indagine conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
11.1. Conviene riprodurre le parti salienti dell’ordinanza qui impugnata:
“Vista la D.G.R.V. n. 3560 del 16.11.1999, concernente "Criteri e modalità di carattere operativo da seguire per l'adozione e l'attuazione dei provvedimenti amministrativi di cui agli arti. 14 e 17 del D. Lgs. N. 22/1997 di competenza del Sindaco";
Visto il verbale di sopralluogo in data 21.06.2001, sottoscritto da personale ispettivo della Provincia, del Comune e dell'ARPAV in cui viene evidenziata la presenza, presso l'area di proprietà della società Cà Vico S.r.l., sita in Via Castellana, n. 64, di rifiuti derivanti da attività dí demolizione, costruzione e scavi, con presenza di asfalto e rilevanti quantità di limi;
Vista la nota dell'A.R.P.A.V. — Dipartimento Provinciale di Padova, prot. n. D/11593/ST.V7499/a2 del 04.10.2001, in cui a seguito degli accertamenti svolti, si evidenzia che in entrambi i campioni di limo prelevati nel corso del sopralluogo del 21.06.2001, è stato riscontrato un valore di Arsenico superiore ai limiti previsti dalla tabella A del D.M 471/1999, riferita peraltro ai siti contaminati;
Vista la nota prot. n. 83418, del 08.10.2001, della Provincia di Padova — Settore Ambiente, in cui a seguito dell'accertamento della presenza di rifiuti e la presenza su campioni di materiale prelevato di concentrazioni di arsenico superiori ai limiti di cui al D.M.A. n. 471/1999 si suggerisce l'emissione di apposita ordinanza per la rimozione, l'avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi;”
Da quanto riprodotto emerge che l’ordinanza ha a presupposto il sopralluogo di data 21 giugno 2001 da cui emergeva tra l’altro la presenza di rifiuti e di rilevanti quantità di limi. Viene inoltre citata la nota dell’ARPAV del 4 ottobre 2001 in cui si evidenziava che nei campioni di limo si era riscontrato un valore di arsenico superiore a quello consentito.
Va quindi rilevato che, contrariamente a quanto assume la ditta ricorrente, l’ordinanza risulta preceduta da un’adeguata attività istruttoria, in particolare da un sopralluogo.
11.2. Si rileva poi come la responsabilità di Cà Vico nell'abbandono dei rifiuti sull'area sia stata puntualmente accertata dal Comune.
Invero i tecnici dell'ARPAV, nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre 1999, rilevarono "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in superficie la presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile provenienza esterna al bacino di cava".
Analoga circostanza era già stata segnalata dai tecnici comunali a seguito di un sopralluogo del luglio 1999 nel quale si precisava che era stata eseguita "una operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non autorizzato e si notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a inerti, limi e in alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
11.3. Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto 1999 con la quale vietò alla Cà Vico di depositare nella cava materiale di risulta proveniente dall'esterno.
La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso 2139/99, ora estinto per rinuncia, per cui non risulta contestabile l’accumulo nella zona di materiale di risulta proveniente dall'esterno.
Ne discende come l'ordinanza oggetto del ricorso non sia che la mera conseguenza del procedimento apertosi nel 1999 con l’accertamento dell'esecuzione da parte di Cà Vico di lavori di sbancamento non autorizzati sul terreno a sud ovest della cava, lavori seguiti dal deposito di cumuli di materiale da demolizione e scavi.
Inoltre l'ARPAV ha rilevato, con verbale del 21 giugno 2001, che per il riempimento dell'area in precedenza sbancata erano stati utilizzati rifiuti di vario tipo: inerti da demolizioni e scavo con presenza di asfalto, blocchi di cemento, stoffe, fili plastici e limo da lavaggio di inerti.
Il tentativo della ricorrente di accollare ad altri la responsabilità del deposito dei rifiuti risulta infondato, atteso che gli accertamenti compiuti dal Comune e dall'ARPAV le hanno attribuito la responsabilità dell'interramento dei rifiuti, a parte l’ovvia responsabilità in vigilando di chi gestisce la cava.
Risulta quindi evidente che è stata effettuata un’accurata istruttoria e la prima censura quindi risulta infondata.
11.4. Quanto alla seconda censura, relativa ad una presunta erroneità ed arbitrarietà della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute, oltre a quanto osservato più sopra in via generale, si rileva quanto segue.
Innanzi tutto i sondaggi sono stati eseguiti a campione e non si conosce il quantitativo esatto di rifiuti speciali (come fili plastici, stoffe, cemento e asfalto) interrati nell'area; ma anche ove si trattasse di una scarsa quantità, comunque essi andavano rimossi e smaltiti in una discarica autorizzata e ciò sarebbe sufficiente a rendere legittimo il provvedimento.
11.5. Va ribadito poi che nel mappale dove vennero rinvenuti i rifiuti non doveva essere effettuato alcun interramento di materiali di risulta, considerato che non vi era stata autorizzata alcuna attività estrattiva.
Infine la DGR 24 marzo 1998, n. 924 autorizza a smaltire nella cava solo ed esclusivamente i residui della lavorazione della ghiaia presente in quella cava, ma non materiale di altra provenienza.
11.6. Quanto poi alla presenza di arsenico si richiama quanto sopra illustrato.
Inoltre, in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15 mg/kg.. Se ne deduce che il terreno originario della cava e quindi il limo residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto endemico.
Anche il ricorso 494 risulta quindi infondato.
*****
12.0. Nel ricorso n 1047/03, come illustrato in fatto, la ditta Ca’ Vico espone che, avendo il Comune di San Martino di Lupari, a mezzo dei propri funzionari, esperito un sopralluogo nell'ambito della cava e segnalato l’esito alla Regione, il Dirigente Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul presupposto che sarebbero state disattese le precedenti ordinanze; seguiva, previa redazione del relativo verbale, l'apposizione dei sigilli.
12.1. Conviene esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune in relazione agli atti comunali che non avrebbero contenuto provvedimentale e pertanto non sarebbero idonei a ledere gli interessi della ricorrente.
L’eccezione risulta parzialmente fondata per quanto concerne la nota prot. 4017 del 26 marzo 2003, che è una mera lettera di accompagnamento, e quanto al verbale del 27 marzo 2003 che contiene la descrizione delle operazioni materiali compiute per apporre i sigilli.
Invece la relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003 contiene la descrizione di quanto rilevato da personale del Comune, ma costituisce sicuramente il fondamento dell’ordinanza regionale n 81 del 27 marzo 2003, cioè dell’apposizione dei sigilli e quindi ben poteva essere impugnata assieme all’atto che ne ha fatto propri i contenuti.
Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace, né produttiva di effetto alcuno l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, essendo stato adottato il decreto n. 227 del 18 settembre 2003 (impugnato con ricorso n. 3090/2003) che ha revocato alla Cà Vico l'autorizzazione a coltivare la cava, si osserva come l’interesse sussista se non altro per il risarcimento dei danni, che - nella prospettazione dell’interessata - riguarda tutti gli atti gravati con l’intera serie dei ricorsi.
Il ricorso va quindi esaminato nel merito.
12.2. Il primo motivo censura l'ordinanza regionale per violazione dell'articolo 32 della L.R. 44 del 1982, nonché per erroneità del presupposto, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e sviamento di potere.
Invero, l'apposizione dei sigilli è prevista dall'art.32 della L.R.44 del 1982 come sanzione da adottare quando il privato violi l'ordine di sospensione dei lavori emesso dalla Regione, per cui per stabilire se vi sia stata violazione dell'ordine di sospensione se ne deve verificare in concreto il contenuto.
Ergo la questione riguarda quanto disposto dall’ordinanza n. 375 del 2001 la cui violazione è stata la ragione dell’apposizione dei sigilli.
Detta ordinanza, oggetto del precedente ricorso 2671/01, sospendeva "immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale) nell'ambito del perimetro della cava”.
Nella motivazione dell'ordinanza di sospensione si precisava che "eventuali attività all'interno dell'area autorizzata possono arrecare una sostanziale alterazione dello stato dei luoghi, in rapporto all'estensione dell'area stessa ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento delle indagini prospettate, anche in vista di possibili contestazioni dí natura tecnica" e ancora che "l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver accertato che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che non è interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o comunque incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la destinazione d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di consentire al Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a questa Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le opportune e necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato dalla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica..".
12.3. Ad avviso di questo Collegio i lavori fatti eseguire dalla ricorrente, anche se consistenti in una pulizia della vegetazione, si ponevano in contrasto con l'ordinanza di sospensione n. 375 del 2001, anche per la ragione che potevano risultare prodromici se non altro alla sistemazione ambientale, espressamente vietata, sicchè la Regione ha legittimamente disposto l'apposizione dei sigilli.
Inoltre risulta dal verbale che l’operatore incaricato dalla ditta ha dichiarato di aver asportato “qualche sacchetto di rifiuti indifferenziati" con ciò provvedendo alla ricomposizione ambientale, rimuovendo rifiuti abusivamente collocati sul terreno di cava, e quindi in violazione dell’ordinanza succitata.
12.4. In sostanza la nota comunale prot. n. 4017 del 26.03.2003 documenta l'avvio di un programma di rimozione dei rifiuti in assenza di un programma di smaltimento, contrariamente all'ordinanza del Comune n. 3 del 14.01.2002 e alla diffida prot. 502/10556 del 30.08.2002, l'inizio delle operazioni di sistemazione ambientale, malgrado la sospensione dei lavori di cui all’ordinanza n. 375/2001 che lo vietava in via cautelativa e infine la violazione dell'art. 51, comma 1, d.lgs. 22/1997 per aver attivato la raccolta e il trasporto di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione.
Ne discende l’infondatezza della doglianza.
12.5. La seconda censura lamenta un eccesso di potere per illogicità ed inadeguatezza sotto altro profilo.
Sostiene invero la ditta istante che l’apposizione dei sigilli costituisce un provvedimento che menoma gravemente la sfera di autonomia dell'imprenditore, e che presuppone la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
In sostanza non si sarebbe accertato se i lavori abbiano violato le finalità dell'ordinanza di sospensione e che la ditta fosse consapevole di violarla.
Quanto al contrasto con l'ordinanza di sospensione, la censura ricalca quella precedente, sopra confutata.
Quanto alla riferibilità dell’attività alla responsabilità della ditta ricorrente, gli esecutori dei lavori hanno dichiarato di essere stati incaricati di eseguirli dal vicepresidente della Cà Vico. Inoltre essi hanno esibito il registro di carico e scarico dei rifiuti della società.
Si aggiunga che il legale rappresentante di Cà Vico, pur informato del sopralluogo, ha rifiutato di parteciparvi e nel contempo non ha contestato l'operato di quanti erano presenti nella cava.
12.6. Con il terzo motivo di ricorso si censura l'ordinanza di apposizione dei sigilli per omessa comunicazione di avvio del procedimento.
La doglianza non ha pregio, trattandosi di un provvedimento che va assunto con urgenza a fronte del rischio di alterazione dello stato dei luoghi su di un sito che si sospetta gravemente inquinato.
Riassumendo, l'ordinanza comunale trova fondamento nel potere di vigilanza sull'eventuale abusività o difformità dei lavori dal permesso di ricerca, dall'autorizzazione o dalla concessione di cava, che ai sensi dell'art. 28, L.R. 44/82 spetta al Comune territorialmente interessato, salva trasmissione al presidente della Provincia (o Regionale, vigendo il regime transitorio ex art. 43) per l'adozione dei provvedimenti di competenza.
12.7. Per completezza va rilevato che il provvedimento comunale assunto a fondamento del decreto n. 81/2003 rivestiva carattere amministrativo e non sanzionatorio, per cui va esclusa la stessa applicazione della legge n. 689/81. Sulla base di tale legge l'apposizione dei sigilli ex art. 260 ha lo scopo si assicurare la conservazione delle cose sequestrate, previa sottoscrizione dell'autorità giudiziaria.
Nel caso di specie invece il decreto dirigenziale n. 81/2003 assolveva a finalità cautelari e non afflittive.
Come visto l'apposizione dei sigilli ex art. 32 L.R. 44/82 era giustificata dalla violazione di un'ordinanza di sospensione dei lavori, motivata a sua volta dall'urgenza di ulteriori accertamenti in vista dell'adozione di un provvedimento di decadenza o di revoca del premesso di intervenire nel sito di cava.
12.8. Vanno ora esaminati i motivi aggiunti al ricorso 1047/03. con cui vengono impugnati il verbale di sopralluogo del 22 marzo 2003 redatto da un agente di polizia municipale e dal responsabile del settore ecologia del Comune di San Martino di Lupari e la lettera di accompagnamento del 26 marzo 2003, n. 4017 con la quale il verbale di cui sopra è stato inviato agli enti competenti.
12.9. Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, si richiama quanto sopra evidenziato sul ricorso principale.
Per quanto riguarda poi gli atti comunali oggetto dei motivi aggiunti, il Comune ne eccepisce l'inammissibilità trattandosi di atti non aventi natura provvedimentale.
L’eccezione va accolta per quanto concerne la nota prot. 4017 del 26 marzo 2003 che risulta una lettera di accompagnamento, laddove l'atto del 22 marzo 2003, qualificabile come un verbale di sopralluogo, è un atto presupposto all’apposizione dei sigilli di cui all’ordinanza regionale 81/03, per cui può essere impugnato assieme alla stessa.
12.10. Nel primo motivo aggiunto la ricorrente si lamenta di non essere stata informata preventivamente del sopralluogo; inoltre il relativo verbale le sarebbe dovuto essere notificato prima dell'inoltro all'autorità competente per darle modo di contraddire.
Sulla prima questione si osserva che nessuna disposizione di legge – del resto nemmeno invocata dalla ditta ricorrente - impone di preannunciare l'esecuzione di sopralluoghi, in quanto trattasi di attività di vigilanza che deve essere svolta senza alcun preavviso proprio per risultare efficace.
Circa la pretesa di ricevere copia del verbale prima del suo inoltro agli organi competenti, si osserva che l’accertatore deve solo riferire quanto accertato a chi è titolare del potere di assumere provvedimenti.
12.11. Il secondo motivo aggiunto riguarda la pretesa violazione della legge n. 689/81 e del principio di personalità della responsabilità.
A parte quanto sopra evidenziato sulla non applicabilità della legge invocata, che non riguarda la fattispecie, si osserva che la questione riguarda invero il procedimento penale e non comporta alcuna illegittimità degli atti di accertamento compiuti. Quanto alla responsabilità della ditta essa emerge da quanto fin qui evidenziato in relazione al ricorso principale.
12.12. Con il terzo motivo aggiunto si censura il verbale del 22 marzo 2003 per carenza di istruttoria, in quanto gli accertamenti non sarebbero stati effettuati alla presenza di un responsabile della ditta e la carenza di contraddittorio avrebbe impedito di acquisire tutti gli elementi utili per valutare il caso.
La doglianza appare infondata in via di fatto ancor prima che di diritto; risulta dagli atti di causa che i verbalizzanti hanno chiesto la presenza del legale rappresentante di Cà Vico, che si è rifiutato di presenziare al sopralluogo, ma che non ha mai disconosciuto d'aver dato l'incarico agli addetti di eseguire i lavori.
Conclusivamente sia il ricorso n 1047/03 sia i relativi motivi aggiunti risultano infondati.
*****
13.0. Con il ricorso n. 2846/03 la Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del commissario ad acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd) - Via Velo. Diniego approvazione";
se ed in quanto necessario, il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica, allegato sub A;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari;
Va innanzi tutto estromesso dal presente ricorso il Commissario ad acta, che non presenta alcuna legittimazione passiva in quanto i suoi atti sono direttamente imputabili all’ente per cui opera.
13.1. Il diniego gravato nella parte motiva riporta la nota comunale del 23 luglio 2003 che conteneva alcune prescrizioni alla Ca’ Vico tra cui quelle di seguito riportate:
"5) Dovrà essere rivisto lo schema di convenzione allegato al progetto concordando con l'amministrazione comunale tempi e modi di attuazione e subordinando, inoltre, l'inizio dei lavori all'avvenuta dichiarazione di estinzione della cava ai sensi dell'art. 25 della l.r. 44/1982;
6) per quanto riguarda il perimetro di cava dovrà essere presentato un progetto "definitivo" per le opere di consolidamento delle sponde, dovrà essere previsto inoltre l'arretramento del fronte di scavo degli edifici progettati e per quanto riguarda i lidi ovest ed est dovrà essere prevista la possibilità dí balneazione per una trentina di metri, il tutto dovrà essere corredato da una perizia geologica che l'amministrazione sí riserva di far verificare da un geologo di propria fiducia”.
Sostanzialmente il provvedimento viene assunto per la mancata ottemperanza alle testé riportate prescrizioni.
13.2. A tale proposito rileva altresì la relazione istruttoria che si riporta in parte qua:
"In proposito si rileva che la bozza di schema di convenzione allegata al progetto presentato in data 04.07.2001, non contiene la clausola indicata al punto 5 della nota del Comune del 30.03.2001, non contemplando, in particolare, la clausola subordinante l'inizio dei lavori, previsti dal piano di recupero, all'avvenuta dichiarazione di estinzione della cava, ai sensi dell'art. 25 della l. r. n, 44/1982, estinzione che presuppone l'avvenuta ultimazione dei lavori di ricomposizione ambientale della cava, conformemente alle prescrizioni contenute nell'autorizzazione regionale.
Infatti lo schema di convenzione si limita a prevedere l'intenzione della Cà Vico di cessare l’attività di cava impegnandosi a riconvertirla ad altri usi, senza per altro assumere il preciso impegno previsto al punto 5 della nota comunale del 30.01.2001.
omissis
Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, il piano di recupero, presentato il 04.072001, non è suscettibile dí approvazione per il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nella più volte richiamata nota del 30.03.2001",
Si rileva poi come il commissario ad acta, esaminato attentamente il contenuto del piano di recupero, ne ha rilevato varie carenze (pag. 9 e 10 della deliberazione impugnata, lettere da c) ad f)) spiegando altresì le ragioni del diniego a pag. 10-11.
In particolare il commissario ha ritenuto indispensabile l'ottemperanza ai contenuti del decreto n. 227 del 18 settembre 2003 emesso dal dirigente regionale della direzione geologia e ciclo dell'acqua, e cioè:
"La realizzazione da parte della ditta Cà Vico ai sensi dell'art. 32 della I. 44/1982, di tutti gli interventi necessari alla ricomposizione ambientale della cava 'Campagnalta" anzidetta, secondo le direttive ed i tempi stabiliti dall'amministrazione provinciale di Padova;
quantificazione da parte della Provincia di Padova del danno ambientale prodotto in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla messa a dimora di rifiuti di vario genere, alla presenza sul fondale di limo contenente sostanze inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle sponde, il cui onere economico di risanamento è da ritenersi comunque interamente a carico dei responsabili'”.
Per queste ragioni, dunque, il commissario ha ritenuto che "il piano urbanistico attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta interessata abbia ottemperato a quanto contenuto nel precedente considerato e cioè alla ricomposizione ambientale della cava ed al suo risanamento".
13.3. In secondo luogo il commissario ha rilevato le deficienze degli elaborati cartografici, con particolare riferimento al "piano quotato attuale".
Ciò premesso risulta agevole l’esame delle censure.
13.4. Con il primo motivo la Ca' Vico si lamenta del fatto che il commissario abbia subordinato l'approvazione al piano di recupero alla previa ricomposizione ambientale, prescritta dalla legge regionale che disciplina l'attività estrattiva.
Invero le dotte disquisizioni di parte ricorrente, corredate da una dovizia di riferimenti giurisprudenziali, circa l’autonomia degli strumenti urbanistici che astrattamente possono disciplinare anche l’attività estrattiva, non colgono nel segno, sia in quanto ignorano l’obbligo giuridico di ricomposizione ambientale della zona, sia in quanto nel caso il piano di recupero era espressamente condizionato da numerose prescrizioni.
Invero la ricomposizione ambientale è prescritta dall'art. 25 della lr 44 del 1982 ed è imposta, nel caso concreto, dall'autorizzazione regionale e ribadita dal decreto regionale.
Appare quindi corretta la decisione del commissario di stabilire che "il piano urbanistico attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta interessata abbia ottemperato .... alla ricomposízione ambientale della cava ed al suo risanamento”.
Va poi aggiunto che le ragioni ostative all'approvazione sono plurime, ciascuna delle quali in grado di per sè sola di sorreggere la mancata approvazione del piano.
13.5. Con il secondo motivo la delibera commissariale viene impugnata sotto il profilo dell'illogicità e dello sviamento in quanto il commissario ad acta avrebbe omesso di considerare che l'attività estrattiva è venuta meno per effetto del provvedimento di revoca da parte della giunta regionale.
A parte che la censura ove fondata porterebbe all’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, e che la revoca è stata impugnata da Ca' Vico con il ricorso n. 3090/03, il Comune non può interferire sull'attività di controllo della coltivazione e della ricomposizione ambientale che appartiene alla competenza di altri enti. Inoltre è stata la ditta a presentare il piano di ricomposizione ambientale, per cui la sua approvazione le avrebbe consentito di realizzarlo indipendentemente dalla revoca. In sostanza la revoca opera su di un piano diverso rispetto alla ricomposizione ambientale e altresì rispetto al risarcimento del danno ambientale.
13.6. La terza censura ripropone in altra forma quanto esposto con la seconda doglianza.
13.7. Con il quarto motivo la Ca' Vico denuncia uno sviamento e illogicità per il fatto che il commissario ha negato l'approvazione del piano di recupero che l'ufficio tecnico aveva dichiarato "meritevole di approvazione"; la ricorrente sul punto omette di considerare la nutrita serie di condizioni che la ditta non ha minimamente rispettato e le congrue motivazioni addotte nel provvedimento.
Inoltre, come ben noto, l’organo decidente non è affatto vincolato dalle risultanze degli uffici tecnici, i cui compiti sono meramente preparatori e istruttori.
13.8. Con la quinta censura vengono passate in rassegna le altre ragioni ostative all'approvazione del piano di recupero, individuate dal commissario, in particolare relative alla documentazione prodotta; si tratta anche in tal caso di una reiterazione delle doglianze già proposte.
L’infondatezza delle varie censure comporta che la richiesta di risarcimento danni non può essere accolta.
In conclusione sul ricorso, il diniego di approvazione del piano di recupero appare diretta conseguenza del comportamento di Ca' Vico, che non ha adempiuto alle varie prescrizioni emesse via via da Regione, Provincia e Comune.
*****
14.0. Con il ricorso n 3090/03 la ditta chiede:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD) (art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento, se ed in quanto necessario della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
l’annullamento della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
l’annullamento egualmente della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
l’annullamento, sempre se ed in quanto necessario, della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000.
14.1. Il ricorso, come visto centrale in tutta la complessa vicenda, va esaminato in dettaglio.
La prima censura concerne una presunta violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 241 del 1990, oltre che violazione della procedura e carenza di motivazione, in quanto la nota di avvio del procedimento sarebbe talmente generica, menzionando varie tipologie di procedimento, da non consentire una adeguata partecipazione.
Su tale aspetto si rileva che la nota del Servizio Cave della Provincia datata 15 dicembre 2004 n. 128286 si riferisce al procedimento di quantificazione del danno ambientale. Ci si trova poi in una fase prodromica rispetto alla quantificazione vera e propria del danno ambientale, per cui alla Ca’ Vico vengono garantite le esigenze di partecipazione previste dalla legge 241 del 1990.
14.2. Venendo al secondo motivo, secondo la Ca' Vico, il decreto di revoca sarebbe inficiato dal vizio di incompetenza e di violazione dell’articolo 31 della LR 44 del 1982, poiché emanato dal Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua anziché dalla Giunta Regionale, nelle cui attribuzioni rientrerebbe la revoca di autorizzazione alla coltivazione di cava ai sensi del combinato disposto degli artt. 31, c. 2 e 43, della L.R. n. 44 del 1982.
Ritiene questo Collegio che alla fattispecie sia applicabile l'art. 28, c. 2, L.R. 1/97, il quale, lasciando 'ferme le attribuzioni e le funzioni degli organi elettivi regionali come previste dalla Costituzione, dallo Statuto, dalle leggi e in particolare dalle disposizioni del Titolo II della presente legge", in tutti i procedimenti amministrativi già disciplinati dalla vigente legislazione regionale sostituisce i Dirigenti alla Giunta e al suo Presidente, ai fini dell'adozione del provvedimento finale nell'esercizio dei compiti di gestione tecnica, amministrativa e finanziaria. Correlativamente l'art. 23, c. 2, lettera c), delle medesima L.R. 1/97, stabilisce che all'organo dirigenziale spettano infatti "tutti gli atti e i provvedimenti di diretta competenza, ivi compresi quelli relativi a progetti interessanti l'attività di ogni servizio della direzione regionale".
La citata disciplina regionale, si conforma ai principi cardine fissati dal legislatore statale con il d.l.gs. 29/93.
A sua volta, la L.R. 1/97, costituisce il fondamento della D.G.R. 400/2000, che definisce le competenze dirigenziali nell'ambito dei procedimenti amministrativi regionali.
Inoltre lo stesso art. 43, c. 4, L.R. 44/82, stabilisce che "Sino all'entrata in vigore del Ppac tutte le funzioni amministrative attribuite alle Province dalla presente legge in tema di autorizzazione, concessione, permesso di ricerca, consorzi, sospensione, decadenza, revoca e apposizione di sigilli, sono esercitate dalla Regione intendendosi sostituiti la Regione, la Giunta regionale ed il Dirigente del Dipartimento competente, rispettivamente alla Provincia, alla Giunta provinciale e al suo presidente ogni qualvolta a questi ultimi facciano riferimento le norme predette".
Ne discende l’infondatezza della censura di incompetenza.
14.3. Nella terza doglianza la Ca’ Vico deduce la violazione dell’articolo 31 della lr 44 del 1982, sviamento, errore dei presupposti, carenza di istruttoria e motivazione.
Come esposto in narrativa, secondo la ditta ricorrente, il provvedimento revocatorio non potrebbe essere assunto per mere ragioni di opportunità ma trova titolo giustificativo unicamente in situazioni eccezionali, cioè in ragione della sopravvenuta manifestazione di fenomeni naturali, non imputabili al titolare dell’attività estrattiva che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza nell'uno e/o nell'altro caso da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
In sostanza ad avviso della Ca’ Vico il provvedimento assunto dalla Regione Veneto, che muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva, esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così come delineato dall'art. 31 della L.R. 82/44.
L’assunto della ricorrente ditta non può essere condiviso; vi osta innanzi tutto il dato letterale, in quanto il primo comma dell’articolo 31 della LR 44 del 1982 lega la revoca ad una generica “alterazione“ della situazione geologica e idrogeologica e soprattutto aggiunge “o siano intervenuti altri fattori tali da rendere non tollerabile la prosecuzione dell’attività di cava”. Non vi è alcun riferimento ai soli fatti naturali, per cui si deve ritenere che la revoca possa essere disposta anche in presenza di gravi inadempienze della ditta che coltiva la cava.
In altre parole, il provvedimento revocatorio può essere assunto in ragione di eventi che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
Quindi i fatti che possono portare ad una revoca possono discendere anche da eventi addebitabili alla stessa attività dell'imprenditore, tra cui irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva.
Del resto l’istituto della revoca, ora normato dalla novellata legge 241 del 1990, consente nel pubblico interesse il ritiro di un atto originariamente legittimo in presenza di un mutamento della situazione fattuale, come appunto avvenuto nel caso.
La censura quindi appare infondata, laddove i presupposti per la revoca formano oggetto di altra apposita censura.
14.4. Quanto alla quarta censura, recante eccesso di potere per sviamento, erroneità di presupposto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, con cui la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base del provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo scarico non consentito, è sufficiente richiamare quanto sopra illustrato nelle premesse in diritto.
14.5. Quanto alla doglianza con cui si lamenta la violazione dell'art. 10 della legge n.241 del 1990 in quanto nella specie non risulterebbe alcuna disamina delle deduzioni, anche scritte, fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l. nelle sedute della C.T.R.A.E, basti rilevare che al contrario dalla documentazione in atti emerge come la posizione della ditta sia stata ripetutamente considerata nelle numerose sedute e negli accertamenti tecnici effettuati anche in loco.
Inoltre la motivazione degli atti impugnati e in particolare della revoca confuta nella sostanza le argomentazioni della Ca’ Vico, laddove non sussiste alcuna necessità di richiamarle espressamente.
In questa vicenda poi non sono certo mancati gli accertamenti tecnici e peritali.
14.6. Va poi analizzata la sesta censura di sviamento di potere, di ulteriore violazione dell'art. 31 della L.R. 44 del 1982, erroneità di presupposto, indeterminatezza e carenza di motivazione, nell’assunto che la Regione ipotizzerebbe un danno ambientale e un onere economico per il risanamento demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova per cui si tratterebbe di ipotesi sanzionatoria non prevista dal legislatore ex art. 31 e che non rientrerebbe nella competenza valutativa della Regione Veneto.
La doglianza appare inconferente, in quanto la Regione lungi dall’assumersi compiti che non le spettano, demanda proprio alla Provincia – competente a riguardo - il compito di valutare i presupposti per la valutazione e quantificazione del danno ambientale, il che forma oggetto di successivo ricorso.
Come più volte rilevato, una cosa è la ricomposizione ambientale ex articolo 33 della lr 44 del 1982, altra cosa è la revoca ex articolo 31 della medesima legge e infine ancora diverso è l’istituto del risarcimento del danno ambientale.
14.7. Quanto alla risarcibilità del danno, l’acclarata legittimità dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale rende superfluo l’esame della relativa doglianza.
14.8. Quanto ai motivi aggiunti al ricorso 3090/03 si rileva innanzi tutto che essi ripetono in sostanza le censure di cui al ricorso principale, per cui valgono le considerazioni sopra illustrate.
Vengono poi impugnati provvedimenti regionali che hanno mero rilievo endoprocedimentale, inserendosi nell'iter amministrativo conclusosi con l'adozione del decreto di revoca del Dirigente Regionale- Direzione Geologia e Attività Estrattive, n. 227/03.
Si tratta, più precisamente, del verbale di riunione tra Regione, Provincia e Comune del 1.02.2002, nonché del parere della C.T.R.A.E. del 16.01.2003, che rivestono carattere meramente istruttorio, e come tali sono inidonei ad incidere negativamente sulla sfera giuridica della ricorrente.
Tanto più che le censure proposte si riflettono sul decreto di revoca, che per sopravvenute ragioni di interesse pubblico "ha ritirato" non una delibera di autorizzazione alla coltivazione di cava, bensì un complesso progetto di ricomposizione ambientale finalizzato prioritariamente al recupero in senso naturalistico del bacino lacustre, attraverso una rimodellazione delle sponde e una riprofilatura delle scarpate, al fine di consentire l'accesso diretto all'acqua e la formazione di zone adatte all'instaurarsi della tipica vegetazione lacustre, nonché la creazione di insenature e promontori per l'articolazione del bacino.
14.9. Venendo al dettaglio, non sussiste la violazione degli articoli 23 e 28 della lr 1 del 1997 e degli articoli 31 e 43 della lr 44 del 1982, dedotta nel primo motivo aggiunto, in quanto come sopra osservato nell’esame del ricorso principale la competenza sulla base della lr 1 del 1997 spetta al dirigente.
La seconda censura dei motivi aggiunti relativa ad una presunta violazione dell’articolo 33 della lr 44 del 1982, dell’articolo 117 e dei principi di cui alla legge 349 del 1986, costituisce una reiterazione di questioni di fatto attinenti al caposaldo, alle curve altimetriche e in genere alla misurazioni delle escavazioni abusive già ripetutamente esaminate.
In conclusione, sia il ricorso 3090/03 sia i relativi motivi aggiunti risultano infondati.
*****
15.0. Con il ricorso 268/05 la Ca’ Vico chiede l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
15.1. La prima censura concerne la violazione del titolo IV della L.r. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni, della procedura e l’incompetenza.
Secondo la ditta ricorrente la l.r. 44 del 1982 e, segnatamente, il suo titolo IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea le sanzioni da applicare, non ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i criteri di quantificazione dello stesso. Pertanto la procedura programmata dall'Amministrazione provinciale che si prefigge di quantificare e sanzionare un asserito danno ambientale risulterebbe priva di qualsiasi giuridico fondamento.
La censura non ha pregio.
Il potere sanzionatorio della Provincia, discende dalle violazioni contestate a Ca' Vico delle prescrizioni regionali contenute nella D.G.R. 5609/1994.
Quanto alla violazione dell'art. 33, L.R. 44/82, nella parte in cui attribuisce alla Provincia la potestà di reprimere le alterazioni ambientali, la ricorrente asserisce che la tutela del bene "ambiente" andrebbe devoluta in via esclusiva allo Stato.
Al contrario, anche dopo la riforma costituzionale del 2001, la "tutela dell'ambiente", più che una "materia" in senso stretto, rappresenta un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da queste; ma ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione, o di quella "residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale.
Peraltro, la materia del "governo del territorio", rientrante nella potestà legislativa concorrente ex art. 117, c. 3, Cost. comprende, in linea di principio, tutto ciò che attiene all'uso del territorio, compresa la localizzazione di impianti o attività.
A maggior ragione, la potestà di reprimere lo "scorretto" uso delle risorse in occasione dell'estrazione di cava va devoluta alla Regione, legittimata ad attribuire le relative competenze alla Provincia.
15.2. Con la seconda doglianza la ditta Ca’ Vico deduce l’incompetenza e la violazione dell'art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
Questo Collegio ritiene che i provvedimenti di quantificazione del danno ambientale, anche per la valenza discrezionale delle valutazioni sottese, rientrino nella sfera di competenza della Giunta provinciale, esulando dai compiti del funzionario dirigente ex art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
15.3. La terza censura di violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r. n 44 del 1982, difetto di istruttoria, di erroneità di presupposto e carenza di motivazione, non fa altro che contestare la stessa sussistenza dell’abuso, e quindi i presupposti della revoca già esaminati nel ricorso 3090/03.
15.4. Circa la presunta violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni (quarta censura) in quanto la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto precedere e non già seguire la delibera giuntale, si rileva che la ditta ha potuto partecipare compiutamente al procedimento, tanto più che la quantificazione del danno ambientale non era ancora completata.
Invero, la funzione primaria della comunicazione di avvio del procedimento consiste nell'apporto collaborativo del soggetto interessato; il quale, con le proprie delucidazioni e scritti difensivi può evidenziare alla P.A. il percorso che questa andrà ad intraprendere e le irritualità di quello che ha in animo di formalizzare. Ed è proprio quello che è avvenuto nel procedimento de quo nei confronti della Ca’ Vico.
15.5. Quanto alla quinta doglianza di sviamento, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, basti rilevare come la motivazione appare congrua e dettagliata, anche in quanto il provvedimento gravato con il ricorso 268/05 ha come antecedente logico la revoca dell’autorizzazione, oggetto del precedente gravame sub 3090/03.
15.6. Quanto al fatto che la quantificazione del danno ambientale sia rimessa a soggetti estranei all'Amministrazione cioè a consulenti esterni, si tratta di una scelta giustificata, in considerazione della complessità degli accertamenti e dei calcoli da effettuare. Né va confuso il danno ambientale con il ripristino, previsto dal secondo comma lett. C) dell'art. 15 della L.R. 44 del 1982.
15.7. Quanto alla sesta censura recante sviamento di potere, illogicità e carenza di istruttoria, oltre che a difetto di motivazione, con tale doglianza la ditta non fa altro che riprodurre le contestazioni sui singoli addebiti mossi alla Ca’ Vico e già più volte esaminati.
Lo stesso dicasi per la questione degli scavi riguardanti l'area fuori cava già di proprietà della Pollon s.r.l.
15.8. Un’ulteriore censura di incoerenza, insussistenza dei fatti, carenza di istruttoria e di motivazione riguarda i limi, ma anche su tale argomento si è già ampiamente discettato.
Del pari già confutata risulta la nona doglianza relativa alla presenza, nel fondo cava, di arsenico, di magnesio e alluminio in concentrazione superiore a quella consentita.
Stesso discorso con riferimento allo scarico nelle acque in assenza di autorizzazione.
Data l’infondatezza di tutte censure, non necessita pronunciarsi sulla risarcibilità del danno.
Conclusivamente il ricorso risulta infondato.
*****
16.0. La ditta ricorrente con il ricorso 2140 del 2006 agisce chiedendo il risarcimento danni nei confronti del Comune, dell’ex sindaco e di tre funzionati comunali.
Dopo aver riprodotto l’atto di citazione notificato il 3 gennaio 2002 nonché i quesiti posti al giudice ordinario, a seguito della declaratoria della carenza di giurisdizione, ripropone la causa in danni dianzi a questo TAR.
Infatti l'iniziativa giudiziaria è la riproposizione di quella già intrapresa avanti il Tribunale di Padova, sezione di Cittadella, con atto di citazione notificato il 5 gennaio 2002, e decisa con sentenza del 5 agosto 2006 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia.
16.1. Preliminarmente bisogna ricordare che quasi la totalità dei provvedimenti citati nel ricorso dai quali Cà Vico fa discendere la propria richiesta di risarcimento del danno sono stati impugnati con i ricorsi sopra esaminati e come visto risultati infondati.
Quanto alla domanda di risarcimento avanzata in relazione alle ordinanze n. 51 e 70 del 1999, si osserva che la ditta attrice impugnò l'ordinanza n.51 davanti al TAR Veneto (ricorso n.2139/99) ma ha poi rinunciato ai ricorsi nn.2139/99 e 256/00 e i con decreti decisori dell'8 marzo 2002 (rispettivamente n.997 e 998) í due ricorsi sono stati dichiarati estinti per rinuncia.
Quanto all’ordinanza n. 70 del 26 novembre 1999 recante l’ordine di demolizione di manufatti abusivi la Cà Vico ricorse al TAR e il relativo ricorso n.3068/99 è stato dichiarato estinto con decreto decisorio n. 2067 del 12 luglio 2001.
Conseguentemente il presente ricorso è inammissibile per la parte relativa al risarcimento dei danni derivanti dalle ordinanze n.51 e n. 70 del 1999.
Come ben noto una condanna al risarcimento del danno in sede di giudizio amministrativo presuppone che si accerti l'illegittimità dei provvedimenti impugnati e che gli stessi vengano annullati: nella specie peraltro i ricorsi contro le due ordinanza di cui si discute si sono estinti - a seguito di rinuncia ai ricorsi di Cà Vico - sicché è venuta meno la possibilità di conoscere l'illegittimità e di annullare i due atti di cui si discute e conseguentemente di dar corso alla richiesta risarcitoria.
16.2. La Cà Vico ha chiesto altresì al Tribunale di accertare l'illegittimità dei provvedimenti e dei comportamenti del Comune di San Martino di Lupari in relazione ai fatti successivi alle due ordinanze come esposti nei punti 1) 2) 3) 4) dell'atto di citazione trascritto nel corpo del ricorso, tra cui:
1. il sequestro preventivo degli impianti di lavorazione di inerti dell'8 ottobre 2001. Innanzitutto si tratta di un sequestro penale, sicché l’attività non è riferibile al Comune ma allo Stato, laddove il provvedimento non appare censurabile, in quanto il decreto provinciale n.544/dep/2000 del 23 marzo 2000, subordina l'attivazione dello scarico alla presentazione alla Provincia e all'ARPAV del certificato di regolare esecuzione delle opere mancante.
Inoltre la Cà Vico aveva violato sia la prescrizione data dalla Provincia di Padova di non attivare lo scarico sia l'ordinanza della Regione che sospendeva l'attività estrattiva.
La ricorrente ritiene poi illegittima da parte del Comune l'esecuzione di sopralluoghi nell'area di cava trattandosi di un ente "incompetente ad intervenire in ambito di cava dov'è competente solo la Regione"; su tale punto si rileva che ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 44 del 1982 "le funzioni di vigilanza sui lavori di ricerca e di coltivazione dei materiali di cava circa la loro abusività o difformità dalla presente legge, dal permesso di ricerca, dall'autorizzazione o dalla concessione spettano al Comune territorialmente interessato che le esegue di intesa con la Provincia e nel caso di inerzia con la Regione".
16.3. Sul provvedimento della Provincia di Padova 8.10.2001 con cui è stata sospesa l'autorizzazione allo scarico basta richiamare quanto esposto a proposito del ricorso n 2256/01.
Anche sulla mancata approvazione del piano di recupero, si rileva che – contrariamente a quanto assume la Ca’ Vico - non risulta alcun accordo tra la stessa e il Comune in base al quale il secondo si sarebbe impegnato a rilasciare un'autorizzazione di recupero ambientale in cambio dell'abbandono da parte della prima della causa intentata avanti al Tribunale di Padova e della rinuncia ai tre ricorsi pendenti avanti al TAR Venezia; un tale accordo se fosse mai stato concluso sarebbe efficace solo se rivestisse la forma scritta.
Il ricorso risulta in definitiva infondato.
*****
17.0. Va ora esaminato il ricorso 2295/06, con cui si chiede l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (San Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
dell'atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti";
17.1. A parte l’illegittimità derivata da quella del decreto di revoca, impugnato con separato ricorso già esaminato, si deducono le seguenti censure:
quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale, la ditta deduce l’incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, non avrebbe alcuna competenza in merito alla determinazione del danno ambientale, né sarebbe legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria.
In particolare, l'art. 18 della legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo secondario.
La censura non ha pregio.
Invero la ditta ricorrente muove dall’erroneo convincimento che l’atto gravato sia una ingiunzione o una citazione in un giudizio di condanna; al contrario si tratta di atto endoprocedimeentale idoneo a individuare le misure più acconce per rimediare al danno ambientale.
Invero, nel caso la disciplina applicabile è la legge n. 349 del 1986, trattandosi di danni e fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del d. lgs 152 del 2006, per cui la legittimazione spetta anche all’ente territoriale.
17.2. Va ora esaminata la seconda censura relativa ad una presunta violazione dell'art. 11 delle preleggi e del principio dell’irretroattività, in quanto il risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal menzionato art. 18 della ripetuta legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente.
Sennonché, in caso di illecito extracontrattuale ogni danno causato è imputabile al responsabile; invero il danno ambientale era all’epoca tutelato ex art 2043 cc. La ditta Ca’ Vico, ancorché subentrata ad altra ditta, avrebbe dovuto comunque procedere alla ricomposizione ambientale e risponde in ogni caso dei danni anche ambientali provocati dalla sua negligente condotta.
17.3. La ditta eccepisce altresì, con la terza censura, la prescrizione, in quanto nella relazione tecnica dell'arch. Sillani e, quindi, nel provvedimento della Provincia che ad essa relazione si richiama, vengono assunte a base del calcolo del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio degli inerti. Secondo la Ca’ Vico, se si esclude una violazione che è stata contestata nell'anno 2002, tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo prima della notificazione del provvedimento che quantifica il danno ambientale, impugnato nella presente sede, da cui deriverebbe l’opponibilità della prescrizione.
L’assunto dela Ca’ Vico non si può condividere, in quanto nel caso specifico le conseguenze dannose della condotta antigiuridica hanno carattere permanente e anzi, data la loro natura di compromissione ambientale, si aggravano con il trascorrere del tempo.
17.4. Quanto alla doglianza relativa all’erronea interpretazione dell'art. 33 L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 della legge 349 del 1986. in quanto, ad avviso della ditta, non risulterebbe nella casistica giurisprudenziale che si sia mai ravvisato un danno ambientale in presenza di scavi abusivi, si rileva che l’assunto di parte ricorrente non può essere condiviso. Invero un danno all’ambiente inteso come res communis omnium può ben discendere anche da estrazioni non autorizzate e dalle plurime violazioni sopra evidenziate, tutte pericolose per la salute pubblica.
17.5. La ricorrente ditta deduce altresì un difetto ed illogicità della motivazione in quanto l'arch. Sillani, per dimostrare la sussistenza di un danno ambientale, tenterebbe di attribuire al sito in questione un particolare pregio, con una motivazione e con argomentazioni non convincenti.
Sulla questione basta osservare come il danno ambientale per sua natura può sussistere anche ove il sito non sia di particolare pregio paesaggistico, sulla base di noti parametri scientifici.
17.6. Circa la violazione dell'art. 10 della legge 241/1990 e difetto ed illogicità della motivazione sotto altro profilo, basti rilevare come la Provincia abbia valutato le osservazioni della Ca’ Vico smentendole anche con idonee perizie e come la ditta sia sempre rimasta coinvolta nella complessa procedura.
17.7. La Ca’ Vico deduce altresì l’insussistenza, sotto il profilo soggettivo, degli elementi costitutivi del danno ambientale, laddove l'art. 18 della legge n. 349 del 1986 richiede, ai fini della determinazione del danno ambientale, la sussistenza di un fatto doloso o colposo.
La doglianza risulta priva di giuridico pregio, posto che la responsabilità della ditta, che era obbligata alla ricomposizione ambientale e si era impegnata formalmente in tal senso, appare inequivoca.
17.8. Secondo la ditta ricorrente, anche ove si ritenessero infondate le contestazioni svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un danno ambientale, comunque sarebbe stato erroneamente calcolato, per eccesso, il quantum dovuto.
Questo Collegio ritiene invece che il danno sia stato calcolato con strumenti scientifici idonei, sulla base di tecniche avanzate utilizzate da esperti dotati di specifica e riconosciuta professionalità. Del resto la ditta contesta solo in modo generico i risultati cui sono pervenuti i tecnici incaricati di calcolare il danno ambientale.
17.9. Va ora esaminato il ricorso per motivi aggiunti al ricorso n. 2295/06.
Preliminarmente si rileva come vengono gravati atti endoprocedimentali.
In relazione al provvedimento 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale, la ditta deduce l’incompetenza, il difetto di legittimazione e l’erronea interpretazione dell’articolo 33 della L.R. 44 del 1982 e dell’articolo 18 della legge 349/1986.
Il motivo in esame ricalca le censure già formulate in occasione del ricorso rivolto avverso il decreto provinciale che recepisce la quantificazione del danno ambientale dello studio Magro-Sillani, vista l'attribuzione di competenza contenuta nel provvedimento di revoca, n. 227/2003.
Invero, mentre il decreto di revoca soddisfa l'interesse pubblico alla cessazione del rapporto tra l’amministrazione concedente e la ditta titolare di cava, per l'inottemperanza al progetto di ricomposizione ambientale approvato con D.G.R. 5609/1994, la liquidazione del danno ambientale mira alla "riparazione" dei danni arrecati alla collettività nell'esercizio dell'attività imprenditoriale.
In questo senso, la L.R. 44 del 1982 demanda alla Provincia la potestà di sanzionare gli illeciti amministrativi ex art. 33, conseguenti anche alla violazione delle prescrizioni dettate in sede di autorizzazione alla coltivazione di cava o di ricomposizione ambientale.
Rimane comunque la possibilità per la Regione - in virtù del regime transitorio ex art. 43, L.R. n. 44 del 1982 - di ricorrere alla revoca ex art. 31, qualora il mutamento della situazione idrogeologica ed ambientale della zona di cava non possa trovare ristoro con la mera irrogazione delle sanzioni provinciali.
Ciò non toglie che le attività non corrispondenti alle limitazioni amministrative possano essere tali da ledere il bene "ambiente", quale res communis omnium, configurando la responsabilità extracontrattuale della ditta, con conseguente obbligo di risarcire il danno arrecato alla società.
Ad avviso di questo Collegio, nel caso in discussione, la prosecuzione dell'attività di scavo in violazione della D.G.R. 5609/1994, unitamente allo scarico di rifiuti non autorizzati nel sito di Campagnalta, configura gli estremi dell'illecito ex art. 2043 c.c. , produttivo di danni ambientali risacibili.
17.10. Occorre appena rammentare che la Corte Costituzionale, a partire dalla nota sentenza n. 641 del 17.12.1987, ha riconosciuto il carattere patrimoniale e civilistico della domanda di risarcimento del danno all'ambiente, rappresentato da qualsiasi peggioramento delle condizioni di equilibrio dei vari fattori che lo compongono.
17.11. Circa la presunta erronea quantificazione del danno, anche in tal caso il motivo aggiunto ripropone sotto altra forma doglianze già esaminate.
E’ sufficiente rammentare che il decreto 227/2003 revoca la D.G.R. 5609/1994, non solo perché il progetto di ricomposizione ambientale manifestava i vizi ripetutamente illustrati, ma altresì perché la stessa ditta non adempiva alle obbligazioni assunte nei confronti della Regione.
Una volta revocato il progetto di ricomposizione ambientale mai attuato, era legittimo demandare alla Provincia di Padova non solo la determinazione di ulteriori direttive per la ricomposizione ambientale, conseguente alle attività contestate a Ca' Vico ex art. 33, L.R. 44/82, ma altresì la quantificazione del danno ambientale "prodotto in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla messa a dimora di rifiuti di vario genere, alla presenza sul fondale lacuale di limo contenente sostanze inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle sponde, il cui onere economico di risanamento è da ritenersi comunque interamente a carico dei responsabili".
17.12. Sempre con i motivi aggiunti, si censura il provvedimento Prot. 164723 del 15.12.2006 del Dirigente del Servizio "Cave", di trasmissione del decreto prot. 106038 dell'11.08.2006
Quanto alla dedotta illogicità e contraddittorietà, se risulta esatto che il dirigente provinciale richiama la D.G.R 5609/1994, già revocata con il decreto dirigenziale n. 227/2003, tuttavia specifica poi che le direttive impartite con il provv. Prot. 106038 dell'11.08.2006 valgono come "integrazione alle previsioni di ricomposizione ambientale del progetto imposto, approvato con D.G.R. del 22 novembre 1994, n. 5609 ed hanno lo scopo di assicurare la riqualificazione ambientale del sito, garantire la sicurezza dei luoghi anche a tutela dei futuri fruitori dell'area di cava e secondo la destinazione prevista dai vigenti strumenti urbanistici".
In sostanza si richiamano le prescrizioni contenute nella D.G.R 5609/1994, con riferimento alla mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione delle quote negli elaborati e la collocazione del caposaldo, argomento questo ripetutamente sviscerato.
Quanto all'affermazione della ditta ricorrente, per cui le sarebbe stato impedito di procedere alla ricomposizione ambientale dalle stesse Amministrazioni, per averle inibito qualsiasi intervento, anche di semplice decespugliamento e pulizia dei luoghi, si rileva che all’opposto la sospensione cautelare di ogni attività era giustificata proprio dall'inottemperanza al progetto di ricomposizione ambientale.
Fino a quel momento la ricorrente, pur autorizzata, non aveva provveduto alla ricomposizione ambientale.
17.13. Circa l’affermazione della Ca' Vico, secondo cui i certificati ARPAV non attesterebbero alcun valore eccedente i limiti normativi, si rileva poi che i prelievi dal tubo veicolante le acque di lavaggio e dalla cisterna in acciaio hanno rilevato una percentuale di azoto ammoniacale e materiali in sospensione totale superiori alle prescrizioni in materia ambientale (nota ARPAV, prot. D/1159/ST. V74997/a2).
Lo stesso vale per l'elevata percentuale di arsenico attestata, tra l'altro, dalla "Indagine ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul terreno" del Dott. Avola, in base alla classificazione di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 47.
La questione dell’arsenico è stata invero ampiamente trattata sopra.
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18.0. Conclusivamente su tutti i ricorsi, va rilevato che la pubblica amministrazione nella fattispecie in esame abbia sottoposto ogni questione tecnica, dalla quantità di materiale estratto dalla cava, alla correlata questione del caposaldo, dalla tipologia delle sostanze inquinanti riscontrate alla situazione ambientale in genere, infine alla quantificazione stessa del danno ambientale, a successive dettagliate analisi e a pareri di esperti in materia, in modo che, nonostante l’evidente difficoltà di valutare l’accaduto a distanza di tempo e in una situazione di compromissione continua, le conclusioni appaiono confortate da sufficienti riscontri tecnici probatori, obiettivi e ragionevolmente convincenti.
18.1. Le tesi della ricorrente, ancorché brillantemente sostenute, appaiono talvolta contraddittorie tra di loro, come laddove si afferma che i limi sarebbero un sottoprodotto naturale dell’estrazione di ghiaia, e allo stesso tempo si sottolinea l’utilizzo di vasche di decantazione a tenuta stagna, ovvero dove si richiamano generiche asserzioni dell’ARPAV sulla presenza endemica di arsenico e nel contempo si dimenticano ben più dettagliate analisi della stessa ARPAV di segno contrario, ovvero dove ci si lamenta del mancato coinvolgimento della ditta in alcune fasi istruttorie trascurando la sua volontaria assenza, ovvero dove si contesta l’utilizzo di pareri di tecnici estranei alla PA e contestualmente si chiede l’acquisizione di consulenze tecniche d’ufficio.
18.2. La ditta ricorrente invero si sofferma ripetutamente su alcuni dettagli e su alcune analisi specifiche, omettendo di considerare l’insieme delle questioni e il quadro complessivo, valutato invece correttamente ed esaustivamente dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune nonché dagli organi tecnici incaricati, tra cui soprattutto l’ARPAV, nell’ambito delle rispettive competenze.
Si tratta di una tipica situazione in cui l’attenzione per il singolo albero non consente di vedere, come incisivamente scrisse un dì l’anglo bardo, l’intera foresta.
In altri termini, appare difficile contestare, alla luce della copiosa documentazione in atti, che la cava in questione sia divenuta fonte di un obiettivo scompenso ambientale, tale da richiedere non solo la revoca dell’autorizzazione originaria ma altresì le misure riparatorie, nonché quelle risarcitorie della collettività, compresa l’irrogazione della sanzione derivante dal danno ambientale.
18.3. Per le su indicate ragioni i ricorsi vanno tutti rigettati, laddove le spese dei vari giudizi fanno carico, secondo la regola usuale, alla ditta ricorrente e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in premessa, riunitili, li rigetta.
Condanna, per tutti e dieci i ricorsi, la ricorrente ditta Ca’ Vico alla rifusione delle spese ed onorari di giudizio a favore di tutte le parti resistenti, per un totale – esclusi gli oneri accessori nella misura di legge - di euro 85.000 (ottantacinque mila), di cui 3.000 (tre mila) a favore del commissario ad acta Giovanni Battista Pisani, 7.000 (sette mila) a favore dell’ARPAV, laddove la parte rimanente, pari ad euro 75.000, (settantacinque mila) va suddivisa in parti eguali tra la Regione, la Provincia e il Comune.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 15 novembre 2007.
Il Presidente estensore
Il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Seconda Sezione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Umberto Zuballi Presidente relatore
Claudio Rovis Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui seguenti dieci ricorsi riuniti, tutti proposti dalla società Ca’ Vico srl:
n. 1.
ricorso n. 2256/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Provincia di Padova, in persona del Presidente in carica, non costituitasi;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
del provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5 ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali;
del provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del Comune di San Martino di Lupari recante diniego di concessione in sanatoria;
Visto il ricorso, notificato il 19 ottobre 2001 e depositato presso la Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 novembre 2001;
n. 2.
ricorso n. 2257/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 310 del 28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospensione lavori;
dell’ordinanza 341 del 1 ottobre 2001 della Regione Veneto recante anch’essa ordine di sospensione lavori di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 16 ottobre 2001 e depositato presso la Segreteria il 2 novembre 2001, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 21 novembre 2001;
n. 3.
ricorso n. 2671/01, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
per l’annullamento:
dell’ordinanza n 375 del 2 novembre 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospendere ogni attività di escavazione;
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2001 e depositato presso la Segreteria il 5 dicembre 2001, con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio della Regione, depositato il 29 gennaio 2002;
n. 4.
ricorso n. 494/02, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua, in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
dell’ordinanza 14 gennaio 2002 prot. 502 n.3 con la quale il Responsabile dell'area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari le ha prescritto di presentare, entro trenta giorni, il programma di smaltimento dei rifiuti abbandonati presso l'area di cava coltivata dalla ricorrente.
Visto il ricorso, notificato il 14 febbraio 2002 e depositato presso la Segreteria il 28 febbraio 2002, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 13 marzo 2002;
n. 5.
ricorso n. 1047/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
della ordinanza n. 81, in data 27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982";
della nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e della relazione ad essa allegata;
della lettera in data 31.3.2003, prot. n. 2633/46.02 a firma del Dirigente Regionale avente ad oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione documentazione";
del verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003;
sui motivi aggiunti al ricorso 1047/03
per l’annullamento:
della relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003;
della nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003;
Visto il ricorso, notificato il 10 maggio 2003 e depositato presso la Segreteria il 14 maggio 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 19 settembre 2003 e quello della Regione, depositato il 3 ottobre 2003;
Visti i motivi aggiunti depositati il 24 settembre 2007;
n. 6.
ricorso n. 2846/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
Giovanni Battista Pisani, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Perona e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
per l’annullamento:
della deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del Commissario ad Acta, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. Diniego approvazione";
del decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
del parere di regolarità tecnica;
della nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari;
e condanna
a mente dell'art. 35 del d.lvo 98/80 del Commissario ad Acta arch. Giovanni Battista Pisani, del Comune di San Martino di Lupari e della Regione Veneto al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi per effetto della mancata approvazione del "Piano attuativo per il recupero ambientale della Cava di Campagnalta";
Visto il ricorso, notificato il 29 novembre 2003 e depositato presso la Segreteria il 4 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 22 febbraio 2005 e quello della Regione, depositato il 11 marzo 2006 e del controinteressato, depositato il 22 febbraio 2005;
n. 7.
ricorso n. 3090/03, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
l’ARPAV, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Isabella Andreasi Bassi e Chiara Sigismondi e domiciliata presso la propria sede in Venezia Mestre via Lissa 6;
per l’annullamento:
del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San martino di Lupari;
della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
della nota comunale n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002;
della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di Padova, nella misura che sarà loro addebitata al pagamento dei danni tutti patiti e patiendi.
sui motivi aggiunti al ricorso 3090/03 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
della nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
del verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
della nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
del verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di Padova e Comune di San Martino di Lupari;
Visto il ricorso, notificato il 1 dicembre 2003 e depositato presso la Segreteria il 11 dicembre 2003, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 16 novembre 2004, della Provincia, depositato il 12 aprile 2006, quello della Regione, depositato il 17 gennaio 2004 e dell’ARPAV, depositato il 6 febbraio 2004;
Visti i motivi aggiunti, depostati il 2 ottobre 2007;
n. 8.
ricorso n. 268/05, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed selettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
e condanna
della Provincia di Padova al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi ex artt 34 e 35 del d.1 98/80;
Visto il ricorso, notificato il 31 gennaio 2005 e depositato presso la Segreteria il 5 febbraio 2005, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia, depositato il 4 ottobre 2005 e quello della Regione, depositato il 10 marzo 2005;
n. 9.
ricorso n. 2140/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gian Paolo Prandstraller e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Giampaolo Bevilacqua in Venezia, Santa Croce 444;
CONTRO
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il secondo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
e nei confronti di
Pietro Zorzato,Giuseppe Rigo, Paolo Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio non costituitisi;
PER
il risarcimento danni nei confronti del Comune e dell’ex sindaco Pietro Zorzato e dei tre funzionari comunali sopra citati;
Visto il ricorso, notificato il 31 ottobre 2006 e depositato presso la Segreteria il 9 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio 2007;
n. 10.
ricorso n. 2295/06, proposto dalla società Ca’ Vico srl in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Annamaria Tassetto e Franco Zambelli e domiciliata presso il loro studio in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
CONTRO
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Venezia, domiciliataria ex lege;
la Provincia di Padova, in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Pata, Sergio Dal Prà, Patrizia Carbone e Paolo Voci ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR Veneto;
il Comune di San Martino di Lupari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni e domiciliato presso il terzo, in Venezia, Dorsoduro 3593;
la Commissione tecnica provinciale per le attività estrattive, non costituitasi;
il Dirigente Servizio Cave della Provincia di Padova, non costituitosi;
per l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
dell' atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Silani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti";
e condanna
della Regione Veneto, del Comune di San Martino di Lupari, della Provincia di Padova, nella misura che sarà loro addebitata, al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi, ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo n 80/98, come modificato dall'art 7 della legge 205/2000.
e sui motivi aggiunti al ricorso 2295/06 per l’annullamento:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, in data 15.12.2006, avente il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R. 5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2, del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
Visto il ricorso, notificato il 16 novembre 2006 e depositato presso la Segreteria il 23 novembre 2006, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune, depositato il 30 maggio 2007, della Provincia, depositato il 19 dicembre 2006 e quello della Regione, depositato il 7 dicembre 2006,
Visti i motivi aggiunti depositati il 5 ottobre 2007;
*****
Viste le memorie prodotte dalle parti in tutti i ricorsi;
Visti gli atti tutti delle cause;
Uditi nella pubblica udienza del 15 novembre 2007 - relatore il presidente Zuballi – gli avvocati Prandstraller e Zambelli per la ricorrente ditta Ca’ Vico, Brunetti per la Regione, Dal Prà e Voci per la Provincia, Borella e Piovesan per il Comune, Andreasi per l’ARPAV e Piovesan in sostituzione di Stivanello Gussoni per il controinteressato Giovanni Battista Pisani;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
1. Con il primo ricorso, rubricato al n. 2256/01, la società ricorrente impugna il provvedimento n. 728/DEP/2001 della Provincia di Padova prot. 83309 del 5 ottobre 2001 che ha sospeso l’autorizzazione allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali nonché il provvedimento prot 11642 del 4 ottobre 2001 del Comune di San Martino di Lupari recante diniego di concessione in sanatoria.
Fa presente di essere subentrata ad altra ditta, e di essersi vista revocare l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati inquinanti. In seguito chiese alcune concessioni in sanatoria per alcune vasche di decantazione. Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il rilascio delle concessioni in sanatoria, mentre la Provincia ha sospeso l'autorizzazione allo scarico nel suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto i loro presupposti fattuali non corrisponderebbero ai dati reali; secondo la ricorrente ditta invero gli impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano già esistenti. Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente motivato, e comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già costruite.
Più in dettaglio la prima censura, rivolta avverso il diniego di sanatoria, sottolinea che il provvedimento contrasterebbe con la concessione n. 102/88 rilasciata alla ditta EMI – dante causa della ricorrente - nel 1988 da cui risulterebbe l’esistenza delle vasche e la loro natura di scavi in terra per la decantazione di liquidi di lavaggio.
Il secondo motivo, riguardante il decreto provinciale di sospensione provvisoria alla scarico, muove anch’esso dalla constatazione che le vasche sarebbero già state autorizzate e comunque che esse erano connesse con l’attività estrattiva.
La Provincia resiste in giudizio contestando le tesi attoree.
*****
2. Con il ricorso rubricato al n 2257/01 la ditta impugna l’ordinanza n 31 del 28 agosto 2001 della Regione Veneto recante l’ordine di sospensione lavori e l’ordinanza n. 341 del 1 ottobre 2001 sempre della Regione Veneto recante anch’essa ordine di sospensione lavori di escavazione.
I motivi di ricorso sono i seguenti.
1. Mancata indicazione nell'ambito preciso delle presunte escavazioni non autorizzate in relazione ai precedenti provvedimenti autorizzativi. La Regione avrebbe fatto confusione tra la zona di escavazione e l'area di recupero ambientale.
2. Erronea e arbitraria applicazione dell'articolo 29 della legge regionale veneta n. 44 del 1982; ad avviso dell’interessata il sopralluogo del 21 giugno del 2001 effettuato dall'agenzia regionale preposta ARPAV dopo una campionatura faceva emergere la mancanza di inquinamenti. Quanto all'escavazione abusiva essa non è stata affatto dimostrata.
Resiste in giudizio la Regione confutando in fatto e diritto le tesi attoree.
*****
3. Con il terzo ricorso, rubricato al n. 2671/01 la medesima ditta impugna l'ordinanza n. 375 della regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato qualsiasi lavoro di coltivazione della cava. Il presente ricorso viene proposto anche come motivi aggiunti al precedente ricorso numero 2257 del 2001.
La ditta fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato, laddove i valori rientrano nella norma e il valore di arsenico in particolare dipende dalla situazione del territorio.
I campioni poi risultano inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda gli scarichi inquinanti.
L’Avvocatura dello Stato, che difende la Regione Veneto, eccepisce l’inammissibilità del ricorso 2671/01 che conterrebbe solo censure di merito.
Contesta in ogni caso le asserzioni di parte ricorrente.
*****
4. Con il quarto ricorso, sub. n 494/02, la società Ca’ Vico impugna l'ordinanza del comune in cui le si ordina di presentare un programma di smaltimento dei rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1 Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre del 1999. L'ordinanza del sindaco deve essere preceduta da un'accurata indagine conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
Resiste in giudizio il Comune che confuta entrambi i motivi di gravame.
*****
5. Con il ricorso 1047/03 la ditta Ca’ Vico impugna l’ordinanza n. 81, di data 27 marzo 2003, a firma del Dirigente Regionale, ing. Andrea Costantini della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico s.r.l., Cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita nel Comune di San Martino di Lupari (PD). Apposizione dei sigilli ex art. 32 della L.R. n. 44/1982"; impugna altresì la nota del Comune di San Martino di Lupari, prot. n. 4017, e la relazione ad essa allegata nonché la lettera in data 31.3.2003, prot. n. 2633/46.02 a firma del Dirigente Regionale ing. Andrea Costantini, avente ad oggetto: "Cava di ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD). Ditta Cà Vico s.r.l.. Trasmissione documentazione"; e infine il verbale di apposizione dei sigilli in data 27.3.2003.
In via di fatto la ditta ricorrente espone che, avendo il Comune di San Martino di Lupari esperito un sopralluogo nell'ambito della cava ed avendo constatato che erano in corso operazioni di pulizia e di decespugliamento di alcuni alberi posizionati sulla sponda sud, e segnalato il fatto alla Regione, il Dirigente Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul presupposto che sarebbero state disattese le precedenti ordinanze. Seguiva poi, previa redazione del relativo verbale, l'apposizione materiale dei sigilli.
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione dell'art. 32 della L.R. 1982/44 e successive modificazioni ed integrazioni. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente in tanto può essere statuita l’apposizione dei sigilli in quanto vi sia un'accertata inadempienza al provvedimento di sospensione. Nella specie, entrambe le ordinanze, quella n. 310 del 28 agosto 2001 e quella n. 375 del 2 novembre 2001, impongono la immediata sospensione dei lavori di coltivazione del bacino interessato, intesi quale attività di estrazione e di sistemazione ambientale, laddove la pulizia del terreno e il decespugliamento di alcuni alberi, non si traduce in alcun mancato rispetto dell'ordine di sospensione dei lavori di coltivazione, intesi quali interventi di estrazione ovvero di ricomposizione ambientale.
2) Eccesso di potere per illogicità ed inadeguatezza sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente l’apposizione dei sigilli presuppone l’accertata inadempienza all'ordine di sospensione, per cui deve essere assunta solo una volta che vi sia la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
3) Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990. Violazione della procedura.
Secondo la ditta ricorrente il provvedimento di apposizione dei sigilli avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento.
Resistono in giudizio la Regione e il Comune contestando le tesi avversarie.
Il Comune in particolare eccepisce l’inammissibilità del ricorso per quanto concerne gli atti imputabili al Comune, che non avrebbero contenuto provvedimentale e non risulterebbero quindi lesivi. Il ricorso sarebbe poi improcedibile perché l’ordinanza di apposizione dei sigilli non sarebbe più efficace.
Con appositi motivi aggiunti la ditta ricorrente impugna la relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003 e la nota del Comune n 4017 di data 26 marzo 2003 deducendo le seguenti censure:
1. Violazione dei principi di imparzialità, correttezza, buona amministrazione e trasparenza, del giusto procedimento, del principio del contraddittorio, degli articoli 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e carenza di motivazione.
Il sopralluogo è avvenuto senza alcun previo avviso e senza alcun contraddittorio.
2. Violazione della legge 689/81 e del principio della personalità della responsabilità.
3. Carenza di istruttoria.
Sui motivi aggiunti, il Comune ne eccepisce l’inammissibilità trattandosi di atti privi di contenuto provvedimentale.
*****
6. Con il ricorso 2846/03 la ditta Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del Commissario ad Acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd). Diniego approvazione";
il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari.
Dopo aver ricostruito in fatto la vicenda, la ditta illustra i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 7-8-9-10-13 della legge 1150 del 1942. Violazione degli artt. 28-29-30 della legge 5 agosto 1978 n. 457. Violazione degli artt. 8-9-10-11-15 della L.R. 85/61. Illogicità. Sviamento di potere. Carenza di motivazione. Difetto di istruttoria.
Osserva la ditta che il Commissario ad Acta, ha respinto il Piano Attuativo per il recupero ambientale della Cava Campagnalta, di iniziativa privata, previsto dal 3° comma dell'art. 16 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Martino di Lupari, sul duplice presupposto della incompatibile coesistenza dell'attività di cava, con l'impegno della ricomposizione ambientale imposta dal decreto n. 227 del 18 settembre 2003 di revoca ex art. 31 della L.R. n. 44 del 1982 dell'autorizzazione estrattiva e con l'onere del risanamento del sito, a seguito della messa a dimora di rifiuti e di limi inquinanti sul fondale, ed alla precarietà della stabilità delle sponde e della carenza di elementi essenziali per una corretta elaborazione del Piano attuativo.
Secondo la ditta ricorrente, il ragionamento sarebbe illegittimo proprio in ragione di entrambi i presupposti invocati.
Secondo la ditta ricorrente, quanto al primo elemento (copresenza dell'attività di cava e onere di rispettare gli interventi di ricomposizione stabiliti dell'Amministrazione Provinciale di Padova), non andrebbe dimenticato che gli strumenti urbanistici, nell'assolvere alle funzioni di pianificazione del territorio, hanno la potestà di disciplinare, anche attraverso norme e prescrizioni direttamente vincolanti, l'attività estrattiva.
Ne consegue che la compresenza dell'attività estrattiva non costituisce né può costituire ostacolo alla disciplina urbanistica.
2 Eccesso di potere per illogicità. Sviamento di potere. Vizio della funzione. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'assunto del Commissario ad acta appare maggiormente incongruo, qualora si ponga a mente che la cava Campagnalta ha costituito oggetto di provvedimento revocativo dell'autorizzazione a suo tempo rilasciata.
L'attività estrattiva è, quindi, venuta meno per cui sarebbe venuta meno la paventata incompatibilità tra l'inizio dei lavori attuativi del Piano di recupero e la prosecuzione di quelli estrattivi.
3. Eccesso di potere per ulteriore illogicità. Sviamento di potere.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad Acta si sarebbe limitato a registrare la adozione dei provvedimenti relativi all'intervento estrattivo, attribuendo, peraltro, loro valenza preclusiva sull'approvazione - richiesta - del Piano attuativo, senza in alcun modo verificarne la fondatezza e senza neppure domandarsi in che misura fossero o meno compatibili con un Piano di Recupero.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
Osserva la ditta che il Piano di recupero in questione è stato presentato al protocollo del Comune di S. Martino di Lupari nel lontano 1998.
Secondo la ditta ricorrente, la pratica, sotto il profilo tecnico, era, quindi, da ritenersi perfezionata per cui sarebbe illogico ed illegittimo, che il Commissario ad acta abbia ritenuto incompleto e non approvabile un piano che il Comune e per esso gli uffici competenti avevano qualificato meritevole di essere trasmesso al Consiglio per l'approvazione.
5) Eccesso di potere per sviamento. Illogicità. Carenza di motivazione. Erroneità di presupposto e di interpretazione. Violazione della procedura.
Secondo la ditta ricorrente, la pretesa di fondare il diniego dell'approvazione del Piano di recupero sulla carenza di elaborati del Piano stesso non sarebbe tale da giustificare il diniego.
Secondo la ditta ricorrente, il Commissario ad acta confonderebbe il proprio ruolo e la propria funzione con quello di un organo deputato non già all'approvazione, in via esclusiva, del Piano Attuativo, ma ad un suo controllo, quasi di legittimità.
Inoltre l'aggiornamento del Piano quotato avrebbe dovuto essere richiesto in via istruttoria ovvero disposto quale condizione di adeguamento.
Inoltre, secondo la ditta ricorrente, anche la corrispondenza del piano quotato finale, con il risanamento e del fondale della cava e della precarietà delle sponde avrebbe dovuto costituire oggetto di prescrizione.
Analogo discorso vale per il testo della convenzione il cui perfezionamento era rimesso, in fase approvativa, al Commissario ad acta.
Secondo la ditta ricorrente, non dissimile è il discorso, anch'esso del tutto marginale, concernente l'integrazione del sistema di piste ciclo-pedonali con quelle da prevedere nel quadrante nord-est.
6. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo. 98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge 205 del 2000.
Secondo la ditta ricorrente, la mancata approvazione del Piano di recupero presentato dalla ditta Cà Vico da oltre cinque anni, comporterebbe un danno gravissimo non potendo venire l'area in questione utilizzata secondo le prescrizioni contenute nel P.R.G.
Resistono in giudizio la Regione, il Comune e il commissario ad acta architetto Giovanni Battista Pisani, che eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva, trattandosi di atti propri del Comune e ad esso imputabili.
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7. Va ora esaminato il ricorso n. 3090/03 proposto per:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari (art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
l’annullamento della nota n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
l’annullamento della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
I motivi del ricorso sono i seguenti:
1.Violazione degli artt. 7 e segg. della legge 241 del 1990. Violazione della procedura. Carenza di motivazione.
La ditta Ca’ Vico fa presente che con nota regionale n. 1174/4602, in data 5.2.2002, notificata il 6.02.2002, le è stato comunicato "l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta" con le finalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32 e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza al disposto dell'art. 7 della L.N. 241/90."
Dalla disamina della nota, emerge, quindi, che si è data comunicazione dell'avvio del procedimento in ordine, ai provvedimenti di sospensione, decadenza, revoca, apposizione di sigilli e sanzioni. Secondo la ricorrente ditta, il ventaglio dei provvedimenti da assumere, ciascuno diverso dall'altro, con il richiamo, altresì, al procedimento sanzionatorio che costituisce fase autonoma rispetto agli altri provvedimenti, non la avrebbe posta in grado di conoscere quale procedimento in effetti intendesse instaurare la Regione Veneto ed in relazione ad esso quale provvedimento intendesse assumere. Risulterebbe, in tal modo violata la procedura di garanzia e le finalità proprie degli artt. 7 e seguenti della legge n 241 del 1990.
2. Violazione dell'art 31 della L.R. 44 del 1982. Incompetenza. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
Nella specie, il provvedimento revocatorio è stato assunto dal Dirigente della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua e non dall’organo politico.
Secondo la Ca’ Vico, in contrario, non varrebbe il richiamo alla delibera della Giunta regionale n. 400 dell'8 febbraio 2000 di delega al Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua del potere di emanazione del provvedimento di revoca dell'autorizzazione dell'attività di cava, di cui al procedimento previsto dalla L.R. 44/82, in quanto la Regione Veneto, non potrebbe discostarsi dal dettato normativo e quindi non potrebbe ritualmente conferire a propri funzionari una competenza riservata per legge agli organi politici.
3. Violazione dell'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni. Sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento revocatorio non potrebbe essere assunto per mere ragioni di opportunità ma trova titolo giustificativo in situazioni eccezionali, cioè in ragione della sopravvenuta manifestazione di fenomeni naturali, non imputabili al titolare della attività estrattiva che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza nell'uno e/ o nell'altro caso da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
Secondo la ditta, i fatti che possono portare ad una revoca discendono da evenienze naturali, neppure prevedibili al momento del rilascio dell'autorizzazione; in ogni caso non addebitabili alla attività dell'imprenditore e, altresì, estranei alla fase progettuale e alle autorizzazioni intervenute, per cui è prevista la determinazione di un indennizzo a favore del soggetto che subisce il provvedimento revocatorio.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento assunto dalla Regione Veneto, che muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva, esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così come delineato dall'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982.
4. Eccesso di potere per sviamento di potere. Erroneità di presupposto. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Con tale motivo la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base del provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo scarico non consentito.
Secondo la ditta ricorrente le argomentazioni svolte dimostrano due cose: in primo luogo, come erroneamente la Regione Veneto abbia dato applicazione al dettato dell'art. 31 della L.R. 82/44; in secondo luogo come tutte le censure siano pressoché prive di fondamento.
Il che conduce, sotto altro profilo, a ritenere illegittima la procedura applicata nella fattispecie de qua.
Secondo la ricorrente ditta, si vorrebbe sanzionare la inaffidabilità della ditta Ca' Vico nella prosecuzione della attività per estrazione ed illeciti non verificatisi, per il pericolo e non per il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione, per addebiti che riguardano altre imprese diverse dalla Ca' Vico.
5. Violazione sotto altro profilo della procedura. Violazione dell'art. 10 della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni.
L'art. 10, della legge n. 241 del 1990, stabilisce che i soggetti di cui all'art.7 e quelli intervenuti ai sensi dell'art. 9 hanno diritto di presentare memorie e documenti, che l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all' oggetto del procedimento.
Nella specie non risulterebbe alcuna disamina delle deduzioni, anche scritte, fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l. nelle sedute della C.T.R.A.E..
6. Eccesso di potere per sviamento di potere. Ulteriore violazione dell'art. 31 della L.R. n. 44 del 1982. Erroneità di presupposto. Indeterminatezza. Carenza di motivazione.
La Regione ipotizza un danno ambientale e un onere economico per il risanamento demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova e "da ritenersi comunque, interamente, a carico dei responsabili".
Si tratta – secondo la Ca’ Vico, di un’ipotesi sanzionatoria non prevista dal legislatore ex art. 31 e che non rientra nella competenza valutativa della Regione Veneto.
7. Sulla risarcibilità del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgvo. 98/80, così come novellato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000.
La disposta revoca dell'autorizzazione alla coltivazione della cava comporta un grave pregiudizio economico per la Società ricorrente, di cui chiede il ristoro.
Con appositi motivi aggiunti al ricorso 3090/03 vengono impugnati:
la nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
la nota n. 30428 del 26.3.2003, contenente il parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
il parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003;
la delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000;
il verbale di sopralluogo del giorno 28.11.2001;
la nota della Provincia di Padova n. prot. 4387 del 15.1.2002;
il verbale di riunione di data 1.2.2002, tra Regione Veneto, Provincia di Padova e Comune di San Martino di Lupari.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Violazione degli articoli 23 e 28 della lr n. 1 del 1997, degli articoli 31 e 43 della lr n. 44 del 1982 e del principio di legalità.
2. Errore di fatto, travisamento, difetto di istruttoria, violazione dell’articolo 33 della lr 44 del 1982 perplessità, violazione art 117 dei principi di cui alla legge n. 349 del 1986.
3. Si insiste sulla risarcibilità del danno.
Resistono in giudizio la Regione, la Provincia, il Comune e l’ARPAV.
Quanto ai motivi aggiunti il Comune ne contesta la stessa ammissibilità, in quanto non riguarderebbero atti lesivi.
*****
8. Con il ricorso n. 268/05 viene chiesto:
l’annullamento della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
annullamento, altresì dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
annullamento, del pari, della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
I motivi di gravame sono i seguenti:
1) Violazione di legge. Violazione del titolo IV della L.R. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni. Violazione della procedura. Incompetenza.
L'Amministrazione provinciale intende procedere alla quantificazione del danno ambientale che, a suo dire, sarebbe conseguenza degli interventi abusivi perpetrati dalla ditta Cà Vico. Sennonché la l.r. n. 44 del 1982 e, segnatamente, il suo titolo IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea le sanzioni da applicare, non ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i criteri di quantificazione dello stesso.
Secondo la ditta, il primo comma del citato art. 31 nel mentre stabilisce la corresponsione di un equo indennizzo a favore del soggetto costretto a subire la revoca dell'autorizzazione, mantiene fermo per il titolare solo l'obbligo di procedere alla ricomposizione del sito secondo le prescrizioni contenute nell'atto autorizzatorio. Non sarebbe previsto altro onere, visto che il beneficiario dell'autorizzazione subisce già il danno della revoca del proprio titolo.
In ogni caso il danno ambientale non può che essere accertato o definito nei suoi elementi attuativi dalla Regione Veneto essendo quest'ultimo l'ente che ha provveduto al rilascio e alla revoca del titolo autorizzatorio.
Donde, nel caso di specie, l'incompetenza (assoluta) della Provincia.
Invero la Ca’ Vico rileva che l'art. 43 della L.R. n. 44 del 1982, nell'indicare le funzioni amministrative che in regime transitorio permangono in capo alla Regione, individua anche l'istituto della revoca ex art. 31. Viene esclusa pertanto una potestà sanzionatrice che investe in un soggetto diverso dalla Regione.
2) Eccesso di potere per incompetenza. Violazione dell'art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
I provvedimenti di quantificazione del danno ambientale, volendone ammettere l'adozione, non rientrerebbero nella sfera di competenza di un organo collegiale quale la Giunta (provinciale), bensì in quella del funzionario dirigente ex art. 107 del D.lgs 2000/267.
La delibera della Giunta appare, quindi, sotto tale profilo illegittima.
3) Violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r. 82/44. Violazione della procedura. Difetto di istruttoria. Erroneità di presupposto. Carenza di motivazione.
L'onere del ripristino ambientale insorge, secondo l'esplicita dizione dell'art. 33 della L.R. n. 44 del 1982, solo una volta che sia stato ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria e ancora solo allorquando tale addebito, nella sua precisa quantificazione, sia ascritto dal Giudice all'imprenditore che ha agito senza o in violazione totale o parziale del titolo di escavo.
Secondo la Ca’ Vico, mancando l'abuso ovvero sussistendo fondati elementi che lo fanno ritenere inesistente, e, comunque, essendo incerto l'ammontare della sanzione, non può essere neppure statuito il ripristino e, a maggior ragione, non può essere preteso alcun danno ambientale.
Analogo discorso varrebbe per l'accertamento di mc. 213.718 di asporto di materiale abusivo al quale non è seguita alcuna ingiunzione. Anzi da parte della Procura della Repubblica di Venezia, che ha archiviato gli esposti avanzati, è stato ritenuto insussistente qualsiasi abuso.
Con la conseguenza che mancando in entrambe le ipotesi l'abuso ed anzi, per una di esse, non figurando neppure iniziate alcune delle fasi statuite dagli artt. 14 - 16 - 18 della legge 689/1981 non solo non si potrebbe accertare la sussistenza di un danno ambientale, ma neppure ipotizzarlo visto che ne difettano i presupposti sostanziali e formali.
4. Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni.
La Provincia di Padova ha adottato la delibera n. 608 del 22/11/2004 volta alla quantificazione del danno ambientale e con lettera in data 15/12/2004 è stata data comunicazione dell'avvio del procedimento.
Secondo la Ca’ Vico tale comunicazione avrebbe dovuto precedere e non già seguire, come, invece, è avvenuto, la citata delibera giuntale.
5. Eccesso di potere per sviamento. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Secondo la ditta la P.A., in presenza di abusi appartenenti a materie ed ambiti differenziati, avrebbe dovuto specificare i criteri e le disposizioni normative da applicare. Né sarebbe ammissibile che la definizione della quantificazione del danno ambientale sia rimessa a soggetti estranei all'Amministrazione. Secondo la ditta il procedimento sanzionatorio per rispondere a criteri di obiettività deve nascere da un'istruttoria compiuta dagli uffici della P.A. e non da soggetti esterni. Si sarebbe, pur sempre, dovuto accertare se il piano di ripristino, che ex secondo comma lett. c dell'art. 15 della L.R. 44 del 1982 ha accompagnato il progetto per il rilascio del titolo autorizzatorio ed è stato sussunto nella relativa delibera della Regione Veneto, anch'esso da attuare, fosse o meno tale da superare in tutto o in parte i danni ambientali preconizzati.
6) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione. La ditta contesta in dettaglio e nel merito gli abusi contestati.
7) Eccesso di potere per sviamento di potere. Illogicità. Carenza di presupposto. Difetto di istruttoria e di motivazione.
La contestazione di mc. 40.583 riguardante l'area fuori cava già di proprietà Pollon s.r.l. non avrebbe nulla a che vedere con il sito della cava Campagnalta dal quale è stato stralciato con la D.G.R. n. 2427 del 26/05/94. Le due aree sono diverse l'una dall'altra, ma soprattutto la prima ha costituito oggetto di cava in tempi remotissimi.
8) Incoerenza. Insussistenza dei fatti. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
Addebita la Provincia di Padova alla Ca' Vico di sedimentare sul fondo cava materiale limoso per uno spessore di mt. 1,20 circa proveniente dal vaglio e frantumazione della ghiaia.
Si tratta di materiale già esistente dai primordi dell'apertura della cava in questione. L'addebito, pertanto, della Provincia oltre che assolutamente pretestuoso risulterebbe giuridicamente infondato.
9) Ulteriore carenza di presupposto. Insussistenza di ogni addebito. Mancata valutazione delle relazioni. Illogicità. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione.
La ditta contesta le misurazioni relative al materiale inquinante invenuto, in particolare l’arsenico il cui valore è comparabile con quello riscontrato nei terreni agricoli circostanti la cava.
Le analisi dell'A.R.P.A.V. dimostrano che la Ca' Vico non ha provocato o dato effetto a nessun tipo di inquinamento.
10 Sulla risarcibilità del danno.
La ditta sottolinea, come la P.A. e, segnatamente, l'Amministrazione provinciale di Padova, saranno chiamate a risarcire i danni subiti.
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9. Con il ricorso n. 2140/06 la ditta chiede il risarcimento dei danni derivanti dal comportamento della Regione e di quattro funzionari comunali.
Formula le seguenti richieste istruttorie:
- ordine di produzione al Comune di San Martino di Lupari, ai sensi dell'art. 21 comma IV della L 1034/71, dei fascicoli esistenti presso il Comune degli atti amministrativi riguardanti: a) le Ordinanze contro Ca' Vico n. 51 prot. 9088 del 02.08.1999 e n. 70 prot. 14708 del 26.11.1999; b) verbale del sopralluogo 21.06.2001 effettuato presso la cava "Campagnalta", di proprietà Ca' Vico, dal Comune di San Martino di Lupari; c) Nota 9995 in data 27.08.2001 del Sindaco Pietro Zorzato alla Regione Veneto; d) Verbale della riunione 29.10.2001 prot. n. 12684 awenuta presso il Comune di San Martino di Lupari, contenente la dichiarazione del Direttore Generale dott. Giuseppe Bortolini e del geom. Giuseppe Stefano Baggio ai funzionari della Provincia di Padova che Ca' Vico aveva asportato dalla cava "Campagnalta" mc 300.000 più del consentito dall'autorizzazione regionale; e) Verbali degli accessi nella cava Campagnalta effettuati dal Comune di San Martino di Lupari attraverso i funzionari Paolo Pegoraro e Giuseppe Stefano Baggio avvenuti il 10.07.01, 28.08.01, 03.09.01, 11.09.01, 20.09.01 - o nelle date degli accessi risultanti al Comune; f) fascicolo del sopralluogo contenente il sopralluogo effettuato il 20.12.2001 nella cava "Campagnalta" con prelevamento di campioni che ARPAV ritenne non regolarmente prelevati e richiesta del Sindaco all'ARPAV che le analisi fossero fatte ugualmente per poterle usare contro Ca' Vico; g) Trasmissione completa della corrispondenza intercorsa tra il Sindaco di San Mattino di Lupari e Regione Veneto avente ad oggetto le ripetute richieste comunali di bloccare in sede regionale le attività estrattive e lavorative di Ca' Vico nella cava "Campagnalta" prima e dopo l'emissione dell'Ordinanza regionale n. 375 del 02.11.2001 con cui veniva sospesa dalla Regione qualsiasi attività lavorativa di coltivazione estrazione e sistemazione ambientale della cava "Campagnalta".
Chiede che venga disposta l'acquisizione dei Fascicoli d'Ufficio relativi ai ricorsi n. 2139/99, n. 3068/99, n. 256/00 giacenti presso la sez. II del TAR del Veneto, promossi da Ca' Vico contro il Comune di San Martino di Lupari (PD) e rinunciati in seguito all'accordo intervenuto tra il Comune e la soc. Ca' Vico s.r.l., con cui il Comune avrebbe rilasciato l'autorizzazione di ricupero ambientale di un settore della cava "Campagnalta" e Ca' Vico avrebbe rinunciato agli atti della causa civile n.80575/99 R.G. Trib. Padova-Sez. Dist. Cittadella e di ricorsi di cui sopra.
La ditta chiede che si voglia ordinare al Comune di San Martino di Lupari la trasmissione dei fascicoli corrispondenti ai documenti sopra indicati ai sensi dell'art. 21co. VI L 1034 del 1971 e art. 35 D.Lgs 80/98 nonché l'acquisizione al processo da parte della Segreteria dei fascicoli sopra indicati.
La ditta in successiva memoria ha rinunciato all'ammissione dei mezzi di prova per testi dedotti nel ricorso in quanto ritiene che dai documenti già acquisiti al processo, eventualmente integrati con quelli che il Comune è tenuto ad esibire, la prova delle circostanze di fatto su cui si basa il ricorso per risarcimento danni si possano tranquillamente ricostruire.
Mantiene invece l'istanza di C.T.U. sull'entità dei danni subiti dalla soc. Ca' Vico in seguito all'arresto completo di tutti i lavori, avvenuto per specifica volontà del Comune anche mediante istanza rivolta dal medesimo alla Regione Veneto.
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10. Con il ricorso n. 2295/06 la ditta Ca’ Vico chiede:
l’annullamento, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (san Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
l’annullamento, se ed in quanto necessario, dell'atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
l’annullamento, ancora, della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
l’annullamento, altresì, della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
l’annullamento della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
l’annullamento, altresì, se ed in quanto necessario, della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
l’annullamento della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti".
I motivi di ricorso sono i seguenti:
La ditta ricorrente riproduce i motivi già dedotti avverso la revoca dell’autorizzazione.
Deduce poi i seguenti motivi di illegittimità in via autonoma.
Quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale.
1) Incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, tuttavia, non ha alcuna competenza in merito alla determinazione del danno ambientale né è legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria in sede giudiziale o stragiudiziale, come, invece, è avvenuto nel caso di specie.
In particolare, l'art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo secondario.
La legittimazione all'azione di risarcimento del danno ambientale e le relative competenze in materia spettano, quindi, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, laddove il ruolo delle Regioni e degli Enti locali è solo di supporto (e di delega).
2) Violazione dell'art. 11 delle preleggi. Violazione del principio di irretroattività. Violazione del principio tempus regit actum. Difetto di istruttoria.
Il risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal menzionato art. 18 della L.N. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente.
Prima del 1986 la risarcibilità del danno all'ambiente non era prevista dalla legge.
Secondo la ditta ricorrente, il provvedimento è, peraltro, viziato anche per eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto il consulente della Provincia ( e la Provincia stessa) ha erroneamente ritenuto che le violazioni fossero tutte posteriori al 1986. II che sarebbe smentito per tabulas dal contenuto della delibera di Giunta regionale n. 1313/1979, con cui è stata autorizzata la prosecuzione dell'attività di cava.
3) Prescrizione.
Nella relazione tecnica dell'arch. Sillani - e, quindi, nel provvedimento della Provincia che ad essa relazione si richiama - vengono assunte a base del calcolo del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio degli inerti.
Ora, se si esclude la violazione A 1.12 che è stata contestata nell'anno 2002, tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo prima della notificazione del provvedimento che quantifica il danno ambientale, impugnato nella presente sede.
Trattandosi di (asserito) illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione quinquennale risulta, pertanto, ampiamente decorso per tutte le altre violazioni oggetto di contestazione.
4) Erronea interpretazione dell'art. 33 L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 legge 349 del 1986.
Ferme ed assorbenti le considerazioni precedenti, va osservato che la contestazione del danno ambientale presenta, nel caso di specie, caratteristiche di assoluta originalità.
Infatti, non risulta nella casistica giurisprudenza che si sia ravvisato, né contestato alcun danno ambientale in presenza di scavi abusivi. L'ipotesi tipica di danno ambientale è rappresentata, invece, dall'inquinamento atmosferico con fumi tossici o dallo sversamento di rifiuti che intaccano, ad esempio, una falda acquifera.
Infatti, non vi è alcuna compromissione di una res communis omnium, in quanto le cave, come si desume dall'art. 826 cod. civ., possono appartenere allo Stato o al privato e, nel caso di specie, appartengono al privato. Quindi non è stato sottratto alcun bene collettivo.
Donde l'insussistenza del danno ambientale.
5) Difetto ed illogicità della motivazione.
Le considerazioni svolte nella precedente censura evidenziano l'illegittimità del provvedimento di quantificazione del danno ambientale sotto altro profilo.
Secondo la ditta ricorrente, infatti, l'arch. Sillani, per fondare l'esistenza di un danno ambientale, tenta di attribuire al sito in questione un particolare pregio, con una motivazione e con argomentazioni, tuttavia, spesso contraddittorie e, comunque, parziali.
Donde l'ulteriore illegittimità del provvedimento di quantificazione del danno ambientale.
6) Violazione dell'art. 10 della legge 241/1990. Difetto ed illogicità della motivazione sotto altro profilo.
La ditta Ca' Vico, notiziata del procedimento di determinazione del danno ambientale, ha presentato osservazioni, con cui esponeva le ragioni per cui non poteva configurarsi alcun danno ambientale. La Provincia, nell'impugnato provvedimento, si è limitata ad affermare che le osservazioni non erano accoglibili "per le conclusioni cui perviene la relazione di quantificazione del danno nonché per quanto disposto col presente provvedimento".
Secondo la ditta ricorrente, la cripticità della motivazione addotta - da ritenersi inesistente - comporta l'ulteriore illegittimità degli impugnati provvedimenti per difetto di motivazione e per violazione dell'art. 10 della legge 241/1990.
Donde anche l'illogicità delle motivazioni addotte.
7) Insussistenza, sotto il profilo soggettivo, degli elementi costitutivi del danno ambientale.
L'art. 18 della L.N. 349/1986 richiede, ai fini della determinazione del danno ambientale, la sussistenza di un fatto doloso o colposo (analogamente dispone, per le sanzioni amministrative, l'art. 689/1981).
Elemento soggettivo che, nel caso di specie, difetta completamente.
8) Erronea quantificazione del danno. Illogicità. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Secondo la ditta ricorrente, ove si ritenessero infondate le contestazioni svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un danno ambientale, comunque sarebbe erroneamente calcolato, per eccesso, il quantum dovuto dalla ditta Ca'Vico.
Si tratta di contestazioni prive di un supporto logico, del tutto apodittiche, fondate su parametri inconsistenti, avulsi dai valori di mercato, di cui non è stata fornita alcuna indicazione.
Quanto al provvedimento prot. 106038/2006 con cui sono state disposte direttive e tempi per la ricomposizione ambientale la Ca’ Vico deduce.
1) Violazione degli articoli 31, 33 e 43 della L.R. 44/1982. Incompetenza. Eccesso di potere per contraddittorietà. Violazione della legge 689/1981. Prescrizione. Violazione degli articoli 3 e 7 della legge 241/1990. Mancato avviso di avvio del procedimento. Violazione dell'art. 48 L.R. 11/2001.
Secondo la ditta ricorrente, se si è inteso demandare alla Provincia la determinazione delle prescrizioni sulla ricomposizione ambientale ex art. 31 L.R. 44/1982, è giocoforza escludere l'applicazione delle sanzioni amministrative ex art. 33 stessa legge.
Risulta, pertanto, incomprensibile che nelle premesse dell'atto impugnato si affermi la competenza provinciale ai sensi dell'art. 33 L.R. 44/1982. Il che evidenzia il difetto di motivazione, di istruttoria e lo sviamento che affligge gli atti impugnati.
2) Violazione, sotto altro profilo, dell'art. 31 L.R. 44/1982. Difetto di motivazione.
L'art. 32 L.R. 44/1982 prevede, quale compensazione per la revoca del titolo estrattivo, un'indennità commisurata - è da ritenere - al mancato guadagno conseguente all'impossibilità di ulteriormente coltivare il giacimento.
L'Amministrazione non ha provveduto a quantificare alcun indennizzo né ha motivato le ragioni per le quali non intendeva procedervi, contro il chiaro disposto dell'art. 31.
Donde il difetto di motivazione oltre che la violazione dell'art. 31 L.R. 44/1982.
3) Violazione dell'art. 10 L.N. 241/1990. Difetto di motivazione sotto altro profilo.
Sulle osservazioni presentate dalla ditta Ca' Vico e dal Sig. Meneghini (protocollate al n. 4276 della Provincia), l'Amministrazione non ha controdedotto, pur essendovi tenuta ai sensi dell'art. 10 L.N. 241/1990.
4. Sul risarcimento del danno. Violazione degli artt. 34 e 35 del d.lgs. 98/80 e dell' art. 7 della legge n. 205 del 2000.
Le Amministrazioni con il provvedimento di revoca da un lato, con quello intimatorio e ripristinatorio dall'altro, hanno ingenerato un danno gravissimo in capo ai ricorrenti.
La ditta con appositi motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
della nota della Provincia di Padova n. 164723/2006, ín data 15.12.2006, avente il seguente oggetto "Complesso estrattivo 'Campagnalta' in S.Martino di Lupari (G.G.R. 5609/1994). Ricomposizione ambientale;
delle note dell'A.R.P.A.V. n. prot. DPA/08550/T3602/A2, del 4.11.1999, n. 84/99/GPZ/gpz/ARPAV del 22.10.1999, n.DPA/01704/T0618/A2,del 24.2.2000, e n. 25/2000/GPZgpz/ARPAV;
del parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nella seduta del 16.01.003.
I motivi aggiunti sono i seguenti:
1. Incompetenza e difetto di legittimazione, contraddittorietà manifesta. La censura ricalca quella analoga di cui al ricorso principale.
2. Errore di fatto, contraddittorietà, travisamento e difetto di istruttoria. La ditta contesta i risultati cui è pervenuta la commissione tecnica regionale.
3. Insussistenza di un pregiudizio ambientale risarcibile.
4. Infine la ditta insiste per il risarcimento del danno subito.
Anche nell’ultimo ricorso rubricato al n. 2295/06 resistono in giudizio la Provincia e il Comune confutando in fatto e diritto le tesi avversarie.
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11. Dopo ampia, approfondita e animata discussione svoltasi nella pubblica udienza del 15 novembre 2007, la causa è stata introitata per la decisione.
D I R I T T O
1.0. I ricorsi in epigrafe vanno tutti riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, come del resto auspicato sia da parte ricorrente sia dalle parti resistenti. In particolare le richieste di risarcimento danni proposte dalla Ca’ Vico srl, sia in via autonoma nel ricorso 2140/06 sia nell’ambito dei restanti ricorsi, presuppongono l’esame congiunto di tutte le cause in epigrafe.
Invero, la causa cardine risulta quella relativa alla revoca dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, di cui al ricorso 3090/03, laddove le cause precedenti, riguardando sospensioni cautelative dell’attività e l’apposizione di sigilli, in qualche modo appaiono prodromiche a detta revoca, mentre le cause successive, relative alla quantificazione del danno ambientale e alla richiesta di risarcimento danni da parte della ditta, ne risultano in qualche modo consequenziali.
Occorre appena aggiungere che le questioni degli accertamenti tecnici risultano decisive nella presente controversia, che in ultima analisi riguarda una compromissione ambientale.
1.1. Ciò detto, per ragioni di economia espositiva, prima di affrontare l’esame dei singoli ricorsi, conviene esaminare le più rilevanti questioni che concernono in vario modo tutti i gravami.
Va premesso che la cava di cui si controverte si colloca in una zona particolarmente sensibile dal punto di vista ambientale, sia in quanto situata nell’ambito della “fascia di ricarica degli acquiferi” alla cui falda freatica attingono numerosi acquedotti veneti, sia in quanto essa risulta inclusa nel bacino afferente alla laguna veneta, ambiente la cui delicatezza non deve essere sottolineata.
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2.0 Venendo alla storia della cava, si rileva che, come risulta dalla documentazione in atti, nel comparto "Campagnalta" insistevano originariamente due cave, separate da un istmo, ed intestate rispettivamente alle ditte E.M.I. s.n.c. (D.G.R. 1313 del 13 marzo 1979) e al consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 342 del 22 gennaio 1980), le quali avrebbero dovuto concludere la coltivazione e correlativamente la sistemazione ambientale entro il 31.12.1988.
Entrambe le cave avevano ottenuto numerose proroghe; invero con D.G.R. 9043 del 28.12.1988 e con D.G.R. 7980 del 22.12.1989 erano stati procrastinati i termini per la coltivazione dell'area C.E.M.I.C., dapprima dal 31.12.1989 al 30.06.1990, e poi dal 31.12.1990 al 31.03.1991; con D.G.R. 9026 del 28.12.1988, i termini per l'estrazione nell'area E.M.I. erano stati prorogati dal 31.12.1989 al 30.06.1990, per essere poi ulteriormente differiti con D.G.R. 7127 del 12.12.1989 (dal 31.12.1990 al 30.06.1991).
La D.G.R. 7118 del 18.12.1990, che assentiva alla proroga dei lavori di sistemazione ambientale al 30.06.1995, era stata annullata dal TAR Veneto su istanza del Comune di San Martino di Lupari (sentenza n. 10/93, confermata dal Consiglio di Stato, n. 804/99).
Infine, con D.G.R. 2315 del 17.05.1993, la ricorrente Ca' Vico s.r.l. era subentrata nell'autorizzazione di cava già rilasciata a favore di E.M.I., per poi subentrare anche nell'attività del consorzio C.E.M.I.C. (D.G.R. 4630 del 4.10.1994).
Successivamente, a seguito della frana dell’istmo che separava le due cave, la Regione, con D.G.R. 2427 del 26.05.1994 (relativa all'area E.M.I., già appartenente a Ca' Vico) e con D.G.R. 2728 del 26.05.1994 (per quanto riguarda l'area C.E.M.I.C.), attestava l'esistenza di un "unico e omogeneo comparto estrattivo, sede di un laghetto di cava", sollecitando la presentazione di un unico progetto di ricomposizione ambientale "finalizzato prioritariamente al recupero in senso naturalistico del bacino lacustre, attraverso la rimodellazione delle sponde e una riprofilatura delle scarpate" e “fondato su capisaldi certi e riconoscibili".
Infine con D.G.R. 5609 del 22.11.1994 la Regione autorizzava il progetto di ricomposizione presentato dalla Ca' Vico in data 08.09.1994, vincolando la movimentazione del materiale di risulta disponibile al recupero in senso naturalistico del bacino, per la restituzione delle caratteristiche ambientali originarie. Si prevedeva altresì l'inclusione nell’area di cava di ulteriori mappali, precedentemente non autorizzati per favorire una migliore ricomposizione ambientale globale.
Veniva inoltre concessa la proroga del termine per la conclusione dei lavori di coltivazione (estrazione e sistemazione) al 30.06.1998.
Successivamente il decreto regionale- Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua, n. 311 del 17.07.1998, accoglieva l'istanza di proroga di Ca' Vico, concedendo termine fino al 30.06.2003.
2.1. Sorge a questo punto la questione, decisiva nelle cause in discussione, circa la natura della citata autorizzazione regionale n. 5609 del 22 novembre 1994. Si tratta invero di qualificarla come un’autorizzazione alla coltivazione di cava ovvero di riqualificazione ambientale con contestuale possibilità di utilizzo commerciale del materiale in esubero rispetto a quello necessario per la ricomposizione stessa.
Va premesso che sussistono margini di ambiguità contenuti nell’autorizzazione de qua.
Da un lato invero nelle premesse si richiama il DGR n 2427 del 26 maggio 1994 che contestualmente prorogava il termine dei lavori di coltivazione e ordinava alla ditta di presentare un progetto di ricomposizione ambientale. Inoltre nel medesimo DGR 5609 si sottolineano a pagina 4 punti 1, 2 e 3 le finalità e modalità del ripristino ambientale.
Nel dispositivo si parla invece di proroga dei termini di coltivazione, intesi come estrazione e sistemazione, sia pure con le prescrizioni e condizioni previste, tra cui preminente risulta l’obbligo di ripristino ambientale.
Rimangono invero elementi apparentemente contraddittori nel citato provvedimento, anche perché il materiale asportabile e quindi commerciabile era comunque notevole. Tuttavia questo Collegio è giunto alla conclusione che si trattava di un progetto di ricomposizione ambientale con contestuale autorizzazione all’estrazione di ulteriore materiale, non già di un ampliamento della cava in atto. Invero tale qualificazione è l’unica conforme alla normativa vigente e applicabile, per cui nell’oggettiva incertezza va scelta – adottando gli usuali canoni ermeneutici in tema di interpretazione degli atti amministrativi - una qualificazione che renda conforme a norma l’autorizzazione.
Invero, la qualificazione dell’autorizzazione de qua come ripristino appare rispettosa dell'art. 44, comma 1, lettera a), della L.R. 44 del 1982, il quale stabilisce che - fino all'entrata in vigore del PRAC - le autorizzazioni o concessioni per l'ampliamento delle cave in atto o per l'apertura di nuove cave destinate all'estrazione di materiale del gruppo A (sabbia e ghiaia) possano essere rilasciate esclusivamente nei Comuni elencati nell'allegato n. 1 della stessa legge regionale, tra i quali non è incluso il Comune di San Martino di Lupari.
Va poi aggiunto che il piano regolatore del Comune di San Martino di Lupari, include la cava nella zona F, "Area a verde attrezzato per la pesca sportiva" e non già nella zona adibita a cave.
Ne discende che la D.G.R. 5609/94 non può essere considerata come una mera autorizzazione alla coltivazione di cava in senso proprio, ma come un progetto di ricomposizione ambientale con contestuale prelievo di materiale.
Del resto tale natura risulta l’unica possibile e appare comunque favorevole alla Ca’ Vico, che altrimenti non avrebbe potuto legittimamente operare.
Le conseguenze appaiono ovvie; se si tratta di un progetto di ricomposizione ambientale, gli aspetti relativi alla protezione dagli inquinamenti e ricostruzione di un habitat accettabile vanno ritenuti prevalenti rispetto alla pur consentita estrazione di materiale.
*****
3.0. Altra rilevante questione riguarda le escavazioni non autorizzate, connesse ad una erronea rappresentazione dello stato dei luoghi nel progetto di ricomposizione ambientale autorizzato con D.G.R. 5604/94.
Appare ovvia la considerazione relativa alla difficoltà di ricostruire in fatto lo stato dei luoghi, compromesso dalla protratta coltivazione della cava; infatti numerose e spesso contrastanti tra di loro sono le perizie prodotte in causa, per cui questo giudice ha dovuto necessariamente selezionare i vari accertamenti tecnici privilegiando, secondo gli usuali criteri, quelli di provenienza da parti pubbliche che, per l’autorevolezza dei redattori, per le argomentazioni utilizzate e per la qualità intrinseca sono apparsi i più attendibili.
3.1. La questione centrale riguarda a tutta evidenza la quota da cui calcolare l’escavazione e la coltivazione della cava, e quindi di conseguenza l’eventuale abusività delle escavazioni.
In questo quadro assume un rilievo particolare la posizione del caposaldo, anche se questo Collegio non può fare a meno di sottolineare come il suo valore non possa essere considerato assoluto, ma vada rapportato alle considerazioni relative al piano di campagna circostante.
In definitiva, il caposaldo costituisce solo un mezzo, importante ma non certo l’unico, per valutare la quota di partenza della cava da cui calcolare le escavazioni autorizzate o meno. Invero, quale che sia la carta utilizzata, il caposaldo assolve la sola funzione di riferimento per tracciare le curve di livello.
Va rammentato che il progetto di ricomposizione presentato in data 8.09.1994 ai fini dell'autorizzazione regionale non conteneva alcuna indicazione del caposaldo, da utilizzare per il computo delle quote, laddove negli allegati grafici successivamente depositati in Regione in data 1.12.1994, compariva un caposaldo a 47,50 m.
3.2. Peraltro, essendo emerso che detto caposaldo non era compatibile con la rappresentazione delle curve altimetriche indicate nel medesimo progetto, la Provincia di Padova provvide a calcolare i quantitativi estratti facendo riferimento al piano di campagna preesistente alle escavazioni e quotato a livello mare (m 45,73), accertando di conseguenza la quantità di materiale estratto non autorizzato.
Sul punto si rileva poi come la materiale esistenza di un cippo di cemento a 47,50 slm, non è sufficiente a sostenere che le curve altimetriche designate nelle tavole progettuali fossero state calcolate a partire proprio da quel punto di riferimento.
Infatti, a parte che la dimenticanza dell’evidenziazione del caposaldo nelle tavole progettuali prodotte dalla ditta appare imputabile alla stessa, in ogni caso detto caposaldo va rapportato al piano di campagna contermine.
La questione si complica in quanto le cartografie utilizzate nel tempo dalle parti in causa non risultano omogenee, in quanto le carte topografiche dell’Istituto geografico militare e quelle della Carta tecnica regionale per lo stesso luogo danno quote sul livello del mare differenziate di circa 2 metri.
3.3. Tornando al caposaldo, il tecnico professionista incaricato dalla Provincia di Padova - p.i. Mosca - per accertare possibili infrazioni addebitabili alla Ca' Vico, ha posto a fondamento della propria relazione non già i dati discendenti dalle quote progettuali e da quelle del caposaldo, bensì deduzioni ricavate dalle sezioni dei progetti stessi, proprio per la non assoluta valenza probatoria del caposaldo stesso e della cartografia disponibile.
Lo stesso tecnico ha, inoltre, preso a riferimento il piano di campagna circostante deducendone la quota generale altimetrica.
In conclusione sul punto, la presenza e l’attendibilità del caposaldo non risultano assolute, ma vanno rapportate alla concreta situazione del terreno, il che rende corretta la constatazione di materiale abusivamente estratto dalla ricorrente, che costituisce una delle fondamentali ragioni poste a fondamento di vari provvedimenti impugnati e in particolare della revoca dell’autorizzazione.
3.4. Risulta quindi necessario rifarsi alle valutazioni tecniche, tra cui spicca per la sua esaustività e completezza la relazione della ditta AGEPI sas di data 5 dicembre 2002, nonché la nota della Provincia di Padova n 6272/2003 di data 23 gennaio 2003 che elenca ben 14 accertamenti da cui emerge la esistenza di escavazioni abusive.
Come già spiegato, le indagini peritali, effettuate per conto della Provincia di Padova, stabiliscono che la mera indicazione del "caposaldo" presente in loco- sia pure con l'attribuzione di una certa quota - è insufficiente a dimostrare che le curve di livello disegnate nelle tavole del 1.12.1994 siano calcolate a decorrere da quel punto di riferimento.
Inoltre il verbale di riunione tra Comune, Provincia e Regione del 01.02,2002 attesta che "da un immediato confronto tra la rappresentazione progettuale e la Carta Tecnica Regionale che risale ai rilievi aerofotogrammetrici” risulta che “le quote di terreno circostante la cava non corrispondono alle quote indicate nel progetto ai limiti dello scavo con differenze variabili da 50 centimetri a 4 metri”.
Infine l'arch. Dario Brigo - consulente della Regione Veneto in forza della D.G.R. 3884 del 13.12.2005, incaricato di produrre un'adeguata relazione tecnica, - al termine del lavoro di accertamento dichiara che gli allegati al progetto approvato con D.R.G. 5609/1994 offrono una ricostruzione meramente teorica dello stato dei luoghi, anziché una corretta rappresentazione della realtà.
3.5. Le escavazioni abusive - cioè eccedenti i limiti autorizzati - hanno formato poi oggetto di accurato esame da parte della Commissione tecnica provinciale attività di cava (CTPAC) di Padova, in particolare nel parere reso in data 4 febbraio 2003, nelle sedute del 16 gennaio 2003, 6 febbraio 2003, 13 marzo 2003, nel sopralluogo del 27 marzo 2003 e infine nella seduta conclusiva dell’ 8 maggio 2003.
Appare logico quindi sostenere che l’esame di un organo tecnico qualificato, effettuato tra l’altro in numerose sedute e in contraddittorio con la ditta ricorrente, abbia acclarato con sufficiente certezza l’abusività di alcune escavazioni, a nulla rilevando in questa sede l’ammontare esatto del materiale abusivamente estratto, dato questo di difficile calcolo in una situazione compromessa e alterata.
Ne consegue che sussistono indizi plurimi, sufficienti, precisi e concordanti sulla correttezza dell’assunto provinciale secondo cui la ditta, anziché movimentare la quantità di terreno autorizzata al fine della ricomposizione ambientale, aveva asportato anche un’ulteriore consistente quantità di ghiaia.
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4.0. Altra rilevante questione da esaminare in via preliminare riguarda gli scarichi abusivi di reflui industriali e il conseguente pericolo di contaminazione.
Occorre appena rilevare come lo scarico non autorizzato di liquidi reflui, provenienti dal lavaggio degli inerti, direttamente nel lago di cava, può essere fonte di pregiudizi irreparabili, in una zona dove la falda idrica, da cui si ricavano acque destinate al consumo umano, si trova a soli due metri di profondità dal terreno.
Dagli atti di causa risulta che la ditta ha attivato uno scarico non autorizzato di acque reflue industriali, originarie dalle attività di estrazione e lavorazione degli inerti, e riversate nel laghetto di cava a mezzo di una tubazione sporgente.
In particolare ciò emerge dalle relazioni ARPAV- Dipartimento Provinciale di Padova- DPA/08550/T3602/A2 del 4.11.1999; n. 84/99/gpz/GPZ/ARPAV del 22.10.1999, e dalla nota del medesimo ARPAV del 4 ottobre 2001.
Va poi ricordata tra i numerosi documenti la relazione di sopralluogo del Comune di San Martino di Lupari del 27 luglio 1999 da cui sono emerse palesi irregolarità nello scarico di acque reflue, tra cui vasche di decantazione rivestite da materiale difettoso e quindi non impermeabili, oltre alla mancanza di un registro di carico e scarico delle stesse acque reflue stoccate nelle vasche.
La successiva relazione datata 30 luglio 1999 ha ulteriormente precisato che il fossato in cui confluiscono le acque reflue era privo di ogni protezione impermeabile risultando “un vero e proprio scarico sul terreno”, che non era noto lo scarico terminale di dette acque, che nella parte ovest del bacino di cava risultavano depositati materiali inerti, limi e materiale proveniente da demolizioni.
4.1. E’ ben vero che la Provincia di Padova in data 23.3.2000, vista la documentazione presentata, nonché sentito il parere dell'A.R.P.A.V., ha autorizzato la ditta Ca' Vico allo scarico delle acque, ma detta autorizzazione con validità sino al 20.3.2004 è stata sospesa con provvedimento n. 728/DEP/ 2001. Va rilevato che detta autorizzazione è successiva alle ispezioni comunali sopra citate e comunque non consentiva lo scarico nel terreno con le modalità riscontrate.
Lo scarico di acque reflue industriali nel laghetto di cava senza autorizzazione è stato tra l’altro oggetto della vicenda penale a carico del legale rappresentate della Ca’ Vico conclusasi con un patteggiamento di cui alla sentenza n. 21 del 2003 depositata il 31 marzo 2003 del Tribunale ordinario di Padova – Sezione di Cittadella.
Certamente questo Collegio non ignora che da una sentenza patteggiata non può desumersi alcuna prova della sussistenza dei fatti contestati all’imputato, ma tuttavia tale pronuncia costituisce pur sempre un indizio nel senso della presenza di scarichi abusivi.
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5.0. Correlata strettamente alla questione precedente, almeno dal punto di vista causale, è quella riguardante l'elevata concentrazione di sostanze chimiche nocive.
Numerose sono le indagini effettuate sul sito di cava che attestano come nei campioni di terreno, nel limo e nel fondale del lago siano sedimentate sostanze chimiche dannose, in percentuali che si discostano dai valori medi.
Tra le altre di particolare rilevanza la relazione del dott. Avola ("Indagine ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul terreno situato in zona limitrofa cava Campagnalta") sui campioni prelevati il 15.11.2001, da cui emerge che, sulla base della classificazione di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 47, superano i valori della concentrazione limite vari campioni per quanto riguarda l'arsenico e uno per quanto riguarda il cadmio.
Per quanto concerne il cadmio, l'alta concentrazione è confermata dalla Relazione Tecnica AGEPI del 5 agosto 2002.
Altresì la percentuale di alluminio supera i valori massimi consentiti, come risulta dalla nota della Provincia di Padova, n. 118222 del 26.11.2002, che recepisce i rapporti di prova effettuati dall'ARPAV in data 08.07.2002. Anche la percentuale massima di magnesio superava i limiti di norma.
A tale proposito va poi aggiunto che dalle analisi eseguite da ARPAV non può in alcun modo desumersi, come invece sostiene la ricorrente, "la correttezza dei lavori effettuati dalla CA' Vico S.r.l.".
Inoltre in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15 mg/kg.. Se ne desume che il terreno originario della cava e quindi il limo residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto endemico.
5.1. Inoltre, i certificati di analisi in questione, evidenziano sia un superamento dei valori limite di emissione dei materiali in sospensione totale previsti dalla tab. 3 allegata ai D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, - colonna relativa allo scarico in acque superficiali - sia la presenza, se pur minima, di idrocarburi, in contrasto con quanto previsto dall'autorizzazione emessa dalla Provincia di Padova n. 544/DFP/2000, prot. 17883 del 23 marzo 2000; detta autorizzazione, rilasciata sulla base della documentazione allegata alla domanda dalla ditta Ca' Vico S.r.l., prevede che le acque reflue dell'attività di lavaggio inerti vengano avviate ad un impianto di sedimentazione all'interno di un bacino chiuso.
Orbene, dalle analisi eseguite sulle acque di scarico all'interno del tubo di acciaio che veicola le acque di lavaggio nel laghetto di cava, nel laghetto a nord dell'impianto di dragaggio, in una cisterna di acciaio con deflusso al piazzale e nel bacino di raccolta e depurazione delle acque, risulta, invece, la presenza di un ulteriore scarico di acque di lavaggio, immesse direttamente nelle vasche della cava, nonché uno scarico sul suolo, con deflusso nelle acque della cava, evidentemente non autorizzati. Ciò è evidenziato anche dalla presenza di idrocarburi che non avrebbero dovuto essere presenti nei campioni di acqua prelevati.
5.2. Per completezza, va aggiunto che la Regione Veneto, avvalendosi della consulenza dell'ingegnere ambientale Mariacristina Armellin (D.G.R. 3884 del 13.12.2005), ha ulteriormente esaminato la questione ambientale; il sopralluogo eseguito nella cava in data 19.02.2007 ha evidenziato un peggioramento della situazione, anche per la mancanza di manutenzione.
5.3. La questione dell’arsenico merita un ulteriore approfondimento.
Sulla concentrazione di arsenico, la ditta ricorrente sostiene la sua natura endemica nella zona, citando a sostegno la nota dell’Arpav - Centro agroambientale - del 5 febbraio 2002. Sennonché la cartina allegata a detta nota evidenzia per il Comune di San Martino di Lupari una concentrazione media di 12.1, ben inferiore a quella riscontrata nei campioni.
Appare quindi ragionevole sostenere che elementi chimici possono venire a contatto con l'acqua accumulata nella falda idrica, con evidente pericolo per i numerosi pozzi privati e l’intero sistema acquedottistico esistente nell'area.
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6.0 Altra questione concerne il limo.
La documentazione depositata evidenzia la presenza di limi sepolti nel lago di cava e limi sepolti nel piazzale di cava.
Sul punto va detto che se il limo si può considerare un prodotto naturale dell’escavazione di ghiaia, tuttavia era obbligo per la ditta asportarlo e pulirlo, né era consentito il suo stoccaggio in ogni zona dell’ambito di cava.
Inoltre l'autorizzazione di cava consentiva l'estrazione di ghiaia fino ad una profondità massima di circa trenta metri: ne discende che la profondità della ghiaia rispetto al piano di campagna circostante non deve essere a meno di trenta metri; risulta invece dalla documentazione in atti che ad una profondità di trenta metri, nel laghetto, non vi è ghiaia ma uno strato di limo dello spessore di 5/8 metri, sicché appare ragionevole dedurne che è stato estratto un ulteriore strato di ghiaia dello spessore di altrettanti metri, per l'intero fondo del laghetto, ed al posto del materiale estratto è stato posto limo. Non è poi possibile che il limo sia prodotto dal lavaggio della ghiaia, perché a tale scopo la ditta ha sempre sostenuto di aver predisposto apposite vasche.
6.1. Nella zona è stata altresì riscontrata una presenza anomala di idrocarburi, come emerge dalla relazione dell’ARPAV Dipartimento provinciale di Padova del 4 ottobre 2001.
6.2. Nella cava sono stati poi trovati tre bidoni galleggianti, di cui uno con numerose fessure e perdite.
La presenza nella cava di materiale estraneo, come materiale edile e rifiuti in genere, non viene negata da parte ricorrente, anche se ne minimizza la quantità; si tratta comunque di materiale trovato in numerose ispezioni, e che la ditta non era certo autorizzata a collocare nella zona. La presenza di tale materiale denota almeno una negligenza in vigilando da parte della Ca’ Vico.
In particolare l'ARPAV nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre 1999 rilevò "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in superficie la presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile provenienza esterna al bacino di cava".
I tecnici comunali in un sopralluogo del luglio 1999 rilevavano che era stata eseguita "una operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non autorizzato e si notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a inerti, limi e in alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto 1999 con la quale vietò a Cà Vico di depositare nella cava materiale di risulta proveniente dall'esterno. La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso 2139/99, ora estinto per rinuncia, per cui non risulta più contestabile l’accumulo nella zona di materiale di risulta proveniente dall'esterno.
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7.0. Per quanto concerne le scarpate prospicienti il laghetto di cava, vari accertamenti tecnici, non contestati sul punto dalla ricorrente, ne hanno accertato la difformità rispetto agli obblighi di ricomposizione assunti dalla ditta. In particolare viene in rilievo la relazione integrativa AGEPI del 5 dicembre 2002.
7.1. Conclusivamente sulle questioni generali, risulta dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio che la ditta Ca’ Vico ha scavato ghiaia in quantità superiori a quelle autorizzate, ha proceduto a scaricare le acque reflue in siti e con modalità non consentite, ha accumulato vari rifiuti nell’area di cava, ha versato sul terreno sostanze inquinanti, non ha proceduto a una corretta ricomposizione delle scarpate.
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8.0. Si passa ora all’esame del primo ricorso rubricato sub 2256/01.
La società ricorrente, subentrata ad altra ditta, si vide revocare l'autorizzazione a scaricare nel bacino di cava reflui di lavorazione risultati inquinanti. In seguito chiese una concessione in sanatoria per alcune vasche di decantazione.
Il comune peraltro con il provvedimento impugnato ha negato il rilascio della concessione in sanatoria, mentre la provincia ha sospeso l'autorizzazione allo scarico del suolo delle acque industriali.
I due provvedimenti sono impugnati in quanto, ad avviso della Ca’ Vico, sostanzialmente non corrisponderebbero ai dati reali; infatti secondo la ricorrente gli impianti e i manufatti connessi con l'attività estrattiva erano già esistenti. Il provvedimento di sospensione non risulta poi adeguatamente motivato, e comunque non corrisponde alla realtà trattandosi di vasche già costruite.
In questa vicenda evidentemente assumono particolare rilievo i presupposti di fatto, come documentati in causa.
Esaminando per primo il provvedimento comunale gravato conviene riprodurne alcuni aspetti salienti:
“la ditta Ca' Vico in data 24.12.1999 ha presentato istanza a sanatoria di n. 2 vasche di decantazione e rispettivi impianti tecnologici;
in data 9 febbraio 2000 a nome e per conto della ditta Ca' Vico il geom. Domenico Borgo ha richiesto la sostituzione degli elaborati grafici presentati in data 22 febbraio 2000;
il sottoscritto ha chiesto con formale comunicazione l'epoca di realizzazione delle vasche e annessi.
La succitata richiesta è da intendersi come fatto sostanziale e non formale in quanto con verbali di accertamento dell'ufficio ecologia comunale e della polizia municipale in data 23 luglio 1999 e 27 luglio 1999 si constatava l'inesistenza della vasche così come riportate dagli elaborati grafici presentati.
In risposta a tale richiesta la ditta Ca' Vico con nota del 4 marzo 2000 comunica che la costruzione delle vasche come risulta da documenti della ditta EMI sono in essere dal 12.08.1988, e ciò in palese contrasto con i verbali di sopralluogo della Polizia Municipale;
Detta risposta è ritenuta da Questo Ufficio evasiva e contraddittoria non risultando in atti né denuncia di inizio lavori né indicazione del direttore lavori né, tantomeno, la fine dei suddetti lavori.
Si chiedeva, pertanto, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà al fine di poter procedere alla richiesta di sanatoria”;
In data 17 aprile 2000 la ditta Cà Vico ribadisce che le vasche risultano in essere dal 1988 e non produce alcuna dichiarazione sostitutiva;
A questo punto non era possibile per il Comune procedere al rilascio della concessione in sanatoria emergendo chiaramente la contraddizione tra i verbali di sopralluogo e la comunicazione della Cà Vico: per sanare l'opera la conoscenza dell'epoca di realizzo è prevista dall'art. 97 comma 3 della L. 61/85 al fine di accertare la doppia conformità (epoca di realizzo ed epoca della domanda).
Per quanto riguarda la domanda di autorizzazione allo scarico la stessa, presentata alla provincia di Padova come previsto dalla legge regionale n. 33/85 e D.Lgs. 152/99, è da intendersi quale domanda preventiva in quanto i lavori per la costruzione dei manufatti presuppongono un provvedimento autorizzativo comunale.
Infatti l'autorizzazione preventiva provinciale prevede testualmente: "La presente autorizzazione è rilasciata a soli fini della legislazione per la tutela delle acque dall'inquinamento di esclusiva competenza provinciale e non sostituisce i provvedimenti di competenza di altri Enti; con particolare riferimento ai provvedimenti dei Comuni in materia urbanistica ed igienico sanitaria e dell'ente gestore del corpo idrico ricettore (Genio Civile, Magistrato delle acque, consorzi di bonifica) in materia di concessioni idrauliche":
Il certificato di regolare esecuzione del direttore dei lavori presuppone quindi:
la concessione edilizia come previsto dalle leggi regionali 61/85 e L.R. 44/82, la figura del Direttore dei lavori, la data di inizio e termine lavori, la rispondenza del progetto approvato alle opere eseguite.
Pertanto, il Comune vista anche la nota pervenuta a questa Amministrazione in data 29.09.2001 a firma dell'ing. Aldo Lorenzetto, il quale precisa che la sua dichiarazione non deve intendersi quale "certificato di regolare esecuzione" non comparendo egli quale direttore dei lavori né tantomeno come collaudatore, ha ritenuto che la ditta Ca' Vico non fosse in possesso dei requisiti di legge per l'avvio dell'impianto di sedimento e trattamento e lavorazioni ghiaie sito in Via Castellana n. 64 così come ribadito dalla Provincia di Padova con comunicazione del 1 ottobre 2001 prot.n. 82199.”
Il Collegio rileva innanzi tutto che la domanda di sanatoria implica di per sé l'ammissione implicita dell'abusività delle vasche; inoltre, il comune aveva accertato con apposite ispezioni e relativi verbali in data 23 luglio 1999 e 27 luglio 1999 l'inesistenza delle vasche come riportate negli elaborati grafici annessi alla domanda di sanatoria.
Si veda in particolare la cartografia depositata in causa dalla Provincia in data 21 novembre 2001 dalla quale emerge una completa discrasia tra la posizione delle vasche indicata dalla ditta e quella accertata dal Comune.
L'asserzione della ditta che le vasche fossero esistenti alla data del 12 agosto 1988 non risulta poi sorretta da alcuna idonea documentazione, che pure era facilmente reperibile presso la ditta dante causa, come le comunicazioni di inizio lavori, i certificati di ultimazione e collaudo.
A questo punto il diniego di concessione in sanatoria appare un atto dovuto, in quanto non risultava comprovato il momento di edificazione di dette vasche, necessario ai fini dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità, prevista dall'articolo 97 della legge regionale n. 61 del 1985.
8.1. Risulta poi dalla documentazione in atti che la ditta aveva scaricato le acque reflue in una vasca priva di tenuta stagna, come è emerso dall'accertamento in contraddittorio disposto dal Tar del Veneto ed eseguito in data 8 febbraio del 2000 (e ancor prima dalla relazione di sopralluogo redatta dal Comune in data 30 luglio 1999).
Sempre sulla questione delle sanatoria, si osserva che gli ispettori dell'ARPAV avevano accertato la presenza di una vasca di recente realizzazione, affatto diversa da quella autorizzata dall'originaria concessione edilizia del 1988.
8.2. Passando ora al decreto provinciale, conviene riprodurne i tratti salienti:
omissis
“RICHIAMATO il decreto n' 544/DEP del 23.03.2000 con il quale la ditta Cà Vico è stata autorizzata preventivamente allo scarico su suolo di acque reflue industriali dell'insediamento produttivo sopraindicato;
VISTA la nota datata 18.06.2001 (prot. Prov n. 52289 del 4.07. 2001), con la quale la ditta ha trasmesso ìl certificato di regolare esecuzione delle opere datato 15.05.2001, rilasciato dal Direttore dei Lavori ing. Aldo Lorenzetto.
VISTA la nota datata 28.09.2001 (proc. Prov n. 80494 del 1 10.2001), trasmessa via fax, con la quale l'ing. Aldo Lorenzetto comunica che il documento del 15 05.2001 è stato erroneamente intitolato "Certificato di regolare esecuzione" e che deve intendersi come "Verbale di stato del luoghi" in merito alla presenza nel cantiere in oggetto di vasche di decantazione.
VISTA la nota della Provincia prot. n. 81299 del 1 10.2001, con la quale la Ditta è stata invitata a presentare il Certificato di regolare esecuzione delle opere;
VISTA la nota del 28 09 2001, prot. n 81457, pervenuta alla Provincia in data 2.10.2001, prot n° 81457, del Comune di S.Martino di Lupari con la quale si comunica che il certificato di regolare esecuzione del 15.052001 non corrisponde ad alcun progetto depositato presso il Comune e mai assentito con il rilascio della prevista concessione edilizia;
PRESO ATTO delle note del 1. 10. 2001 e 2.10.2001 con le quali la Ditta ha esposto al Comune, alla Regione e alla Provincia la propria situazione in merito al rilascio della concessione edilizia:”
omissis
Il decreto provinciale quindi risulta motivato con un duplice ordine di motivi: il primo, la mancanza di un vero e proprio certificato di regolare esecuzione delle opere; invero, correttamente la provincia ha qualificato il certificato così denominato come verbale di stato dei luoghi, conformente a quanto precisato dallo stesso redattore ingegnere Aldo Lorenzetto con apposita nota di data 29 settembre 2001.
In secondo luogo, la provincia fa presente che detto certificato non corrispondeva ad alcun progetto depositato presso il comune e nemmeno a quanto assentito dalla concessione edilizia. In sostanza, la mancanza di un certificato di regolare esecuzione rendeva impossibile l'autorizzazione allo scarico, subordinata proprio a tale documentazione.
La sospensione quindi dell'autorizzazione risultava un atto dovuto da parte della provincia di Padova, in ultima analisi fondata sulla medesima questione e quindi sull’inesistenza delle vasche come realizzate e sulla loro non conformità con l’originaria concessione edilizia.
8.3. Conclusivamente sul ricorso n 2256/01, per quanto detto esso risulta infondato, in primo luogo in quanto i presupposti fattuali dei due provvedimenti impugnati risultano corroborati da idonea e univoca documentazione e in secondo luogo in quanto la stessa ditta Ca’ Vico, con la domanda di sanatoria, dimostra di ritenere abusivi i manufatti.
Infine lo stesso tecnico incaricato dalla ditta dichiara di non aver redatto un certificato di regolare esecuzione dei lavori ma un certificato di stato dei luoghi, con il che viene meno ogni dimostrazione della conformità delle vasche alla originaria concessione.
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9.0. Con il ricorso rubricato al n. 2257/01 la ditta impugna due ordinanze della regione Veneto con cui si ordina la sospensione dei lavori di estrazione della cava e in generale di qualsiasi attività estrattiva.
Va premesso che le ordinanze impugnate, che sospendono l’attività di cava in via temporanea e cautelativa, risultano superate dalla successiva ordinanza n 375 del 2 novembre 2001 impugnata con il ricorso n 2671/01 che ha sospeso l’attività della cava sempre in via cautelativa ma a tempo indeterminato.
Dal momento però che parte ricorrente argomenta la richiesta del risarcimento danni anche dal comportamento a suo dire “persecutorio” della pubblica amministrazione, di cui sarebbero sintomo anche i due atti gravati con il presente ricorso, appare utile esaminarlo anche nel merito.
Le censure come visto in fatto sono due:
la prima, sostanzialmente di carenza dei presupposti, riguarda la mancata indicazione nelle due delibere impugnate dell'ambito preciso delle presunte escavazioni non autorizzate, in riferimento ai provvedimenti autorizzativi. In particolare vi sarebbe una confusione tra l'area di escavazione e l’area di recupero ambientale.
9.1. L’assunto della ditta ricorrente non può essere condiviso.
Invero, la prima ordinanza gravata del 28 agosto 2001 richiama il verbale di sopralluogo effettuato in data 21 giugno 2001 congiuntamente da personale della Provincia, dell’ARPAV e del Comune, e che conviene riprodurre nelle parti che qui interessano:
“L’area interessata, della superficie di circa 40-50.000 m2, si presenta coperta da fitta vegetazione spontanea, erbacea ed arbustiva.
Sul posto si è proceduto all'effettuazione di scavi e trincee mediante escavatore meccanico, fino alla profondità programmata di 6 mt., secondo la numerazione riportata nella planimetria allegata, che individua la collocazione di massima delle trincee.
Trincea n. 1 Si evidenzia terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 2 Terreno di riporto fino a circa 4.5 m; sotto ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 3 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; da 1 a 5 mt. circa è presente uno strato di materiale limoso, presumibilmente limi da lavaggio inerti. Oltre 5 mt. ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea, presenta una marcata tendenza a franare.
E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V. un campionamento di tale materiale, per verificare la presenza di eventuali composti inquinanti.
Trincea n. 4 Terreno di riporto fino a circa 1 mt., quindi limi fino alla profondità di circa 5 mt.. Successivamente ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Lo strato limoso alle pareti della trincea, manifesta una marcata tendenza a franare.
Sono stati rinvenuti nel materiale escavato rifiuti vari quali stoffe, inerti, fili plastici.
Trincea n. 5 Terreno di riporto fino a circa 1 mt.; presenza di limo da 1 a 5 mt. circa, quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta una marcata tendenza a franare. Nel materiale escavato è stato rinvenuto un significativo blocco di cemento, con presenza di pezzi d'asfalto. E' stato effettuato dall'A.R.P.A.V., un campionamento del materiale limoso, per verificare la presenza di eventuali composti inquinanti.
Trincea n. 6 Terreno di riporto fino ad 1.5-2 mt.. Presenza di uno strato di materiale limoso sottostante fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Lo strato limoso alle pareti della trincea presenta tendenza a franare.
Trincea n. 7 Terreno di riporto fino a circa 5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 8 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 9 Terreno di riporto fino a circa 3.2 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 10 Terreno di riporto fino a circa 5.7 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti frammenti di rifiuti inerti, seppure in modeste quantità.
Trincea n. 11 Terreno di riporto fino a circa 4 mt., quindi ghiaia Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso. Sono presenti, seppure in modeste quantità frammenti di rifiuti inerti in superficie.
Trincea n. 12 La trincea è realizzata in corrispondenza della rampa posta in prossimità del laghetto. Terreno di riporto fino a circa 3.5 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 13 Terreno di riporto fino a circa 1.5 mt., quindi ghiaia Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
Trincea n. 14 Terreno di riporto fino a circa 2 mt., quindi ghiaia. Non si rileva il tetto di falda sopra lo strato ghiaioso.
L'insieme del sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di 4-5.7 mt. dal p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità minore (1.5-2 mt.) in vicinanza del laghetto, ove il piano di campagna si presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt. rispetto all'area circostante esterna al perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenze di rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S-0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 3, 4, 5 e 6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale presumibilmente limi da lavaggio inerti. Si rimane in attesa degli esiti analitici sui campioni effettuati per una valutazione sull'eventuale caratteristica contaminante di tali materiali.”
9.2. Inoltre si evidenzia che in allegato al verbale anzidetto è riportata una planimetria da cui si evincono i punti precisi in cui sono state realizzate le trincee esplorative, tutte collocate all'interno del perimetro dell'area di intervento autorizzato.
Risulta poi che il piano di campagna del sito sondato era più basso di circa tre metri rispetto all'area circostante. Infine il substrato ghiaioso è stato rinvenuto a circa otto metri di profondità rispetto alla quota del piano di campagna circostante.
Sussistevano quindi fondati dubbi di escavazione non autorizzata, non solo in quanto effettuata oltre i limiti concessi, ma altresì in una zona che non prevedeva l'asportazione di alcun tipo di materiale di scavo.
9.3. Inoltre, con provvedimento prot. n. 92208 del 6.11.2000, la Provincia di Padova aveva contestato alla ditta di aver effettuato lavori di coltivazione dí cava in assenza ed in difformità dall'autorizzazione.
Emerge inoltre che l'escavazione ha interessato anche il mappale n. 120, senza che l'estrazione del relativo materiale in esso ricadente fosse mai stata oggetto di alcuna autorizzazione.
Va aggiunto che un’ulteriore escavazione abusiva è stata rilevata a seguito dell'indagine condotta dal Dott. Fernando Ronco, nel novembre 2000, dalla cui relazione risulta, tra l'altro, che i terreni in loco sono caratterizzati da ghiaie, sabbie e sabbie con ghiaia diffuse in tutto il territorio oggetto dell'indagine, evidenziando una situazione del tutto anomala.
9.4. La seconda ordinanza impugnata, recante la reiterazione della sospensione per ulteriori 30 giorni, afferma che “persistono le ragioni già espresse” nella precedente ordinanza; richiama poi la nota 1 ottobre 2001 della Provincia che comunica l’effettuazione di ulteriori rilievi da cui risulta la necessità di altri accertamenti al fine di verificare la presenza di eventuali escavazioni non autorizzate.
La seconda ordinanza appare poi corroborata da ulteriori indagini, successive a quelle sopra citate, in particolare i sopralluoghi effettuati dal Comune nelle date del 3 settembre 2001, 11 settembre 2001 e 20 settembre 2001.
9.5. In sostanza, la prima censura risulta smentita dalla documentazione in atti, non solo in quanto l'area in cui sono state effettuate le indagini e rilevate le anomalie appare individuata con precisione, ma altresì in quanto la decisione di sospendere l’attività, ripetesi solo temporaneamente e in via cautelativa, risulta congruamente motivata in entrambe le ordinanze.
9.6. Va ora esaminata la seconda censura, relativa alla presunta erronea ed arbitraria applicazione dell'art. 29 della L.R. Veneto n. 44 del 1982.
Invero, detto articolo 29 prevede la possibilità di ricorrere alla sospensione cautelativa dei lavori in caso di inosservanza dell’autorizzazione, quando siano necessari ulteriori accertamenti ed in ogni caso quando si tratti di interventi abusivi.
Nel caso invero ricorre pacificamente l’ipotesi di necessità di ulteriori accertamenti, a seguito di ripetute verifiche, in quanto dai verbali dei sopralluoghi effettuati emergeva un’inosservanza dell’autorizzazione se non già l’abusivita di alcune escavazioni.
Inoltre è stata accertata la presenza di materiali di rifiuto, per cui sussisteva la necessità di procedere alla temporanea sospensione dei lavori allo scopo di effettuare tutti i necessari e complessi accertamenti tecnici al fine della tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
Il ricorso si appalesa quindi infondato.
*****
10.0. Con il ricorso n. 2671/01 la medesima ditta impugna l'ordinanza 375 della regione Veneto che ha sospeso a tempo indeterminato qualsiasi lavoro di coltivazione della cava. Il presente ricorso viene presentato anche come motivi aggiunti al precedente ricorso n. 2257 del 2001.
L’istante fa presente che i presupposti di fatto su cui si basa l'ordinanza non sarebbero esatti, in particolare non sussisterebbe l'inquinamento indicato, laddove i valori riscontrati rientrerebbero nella norma e il valore di arsenico in particolare dipenderebbe dalla situazione del territorio. I campioni prelevati poi risulterebbero inattendibili e non pertinenti per quanto riguarda gli scarichi inquinanti.
10.1. Conviene riportare di seguito l’ordinanza 375 impugnata:
PREMESSO che con deliberazione della Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994, intestata alla ditta Cà Vico srl con sede. in via A. Velo n. 55 - Fontaniva (PD), prorogata con Decreto n. 311 del 17.07.1998, è stato approvato un intervento presso un bacino estrattivo in Comune di San Martino di Lupari -(PD), già interessato da precedenti provvedimenti autorizzativi;
VISTO il verbale relativo al sopralluogo congiunto del 21.06.2001, per verificare la presenza di eventuali rifiuti interrati nell'area posta ad ovest del laghetto, dal quale è emerso, tra l'altro; quanto segue: "L'insieme dei sondaggi ha evidenziato la presenza di ghiaia alla profondità di 4-- 5.7 mt. dal p.c. in funzione dell'altezza di questo, ed ad una profondità minore (1.5 – 2 mt.) in vicinanza del laghetto, ove il piano dí campagna si presenta più basso.
Il piano di campagna del sito sondato si presenta più basso di circa 3 mt. rispetto all'area circostante esterna la perimetro aziendale della Ditta.
Nell'area sondata si è rilevata la presenza di rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e scavi, con presenza, di asfalto.
Nell'area posta sull'angolo S--0 del sito controllato (rif. sondaggi n.ri 4, 5 e 6) è stata osservata la presenza di rilevanti quantità di materiale presumibilmente limi da lavaggio inerti. -(omissis}
Con riferimento all'abbassamento del piano di campagna dell'area interessata,- rispetto a quello esterno al perimetro della Ditta ed al rilevamento di ghiaia solo ad una significativa profondità dal piano di campagna, il geom. S. Baggio del Comune e l'Arch. M. Rossetto della Provincia Serv. Cave, si aggiorneranno per verificare l'eventuale presenza di attività di escavazione abusiva.'
VISTA l'ordinanza, n. 310; del 28/08/2001, con la quale è stato immediatamente sospeso in via cautelativa, alla ditta Ca' Vico s.r.1, qualsiasi lavoro estrattivo nella cava di sabbia e ghiaia, denominata "CAMPAGNALTA”;
VISTA l'ordinanza n. 341 in data 01.10.2001 del Dirigente regionale, con cui il termine di sospensione dei lavori imposto con la precedente ordinanza n 310 in data 28.08-.2001 è stata prorogato di ulteriori trenta giorni;
VISTA la nota in data 04.10.2001 n. D/11593/ST.V7499/a2 dell'ARPAV Prov. PD, dalla quale emerge, tra l'altro, che le acque di lavaggio vengono immesse nel laghetto nonchè sul suolo con deflusso nello stesso laghetto di cava e tali scariche non risultano essere autorizzati;
lo scarico non autorizzato delle acque reflue nel Laghetto è stato segnalato all'Autorità Giudiziaria: in tutti i campioni prelevati, sia di acque superficiali che di acque reflue, si riscontra la presenza di idrocarburi totali;
nello scarico nel laghetto e sul suolo è stato evidenziato il superamento dei limiti stabiliti dalla tab. 3, allegato 5, colonna acque superficiali del D.Lgs. 152/99, relativamente al parametro solidi sospesi totali;
in entrambi i campioni di terreno (limo) prelevati è stato riscontrato un valore di Arsenico leggermente superiore ai limiti previsti dalla tabella A del D. M. 471/99, riferita peraltro ai siti contaminati;
VISTA l'ordinanza di convalida sequestro preventivo emessa dal Tribunale di Padova in data 11.10.2001 (n. 8859/99 r nr e n. 8456/01 r p), relativa agli impianti per la lavorazione degli inerti (barcone, nastri, vaglio, frantoio) presso la cava "CAMPAGNALTA";
VISTO il verbale in data 15.10.2001, relativo alla riunione tenutasi alla presenza di incaricati della Regione Veneto, della Provincia di Padova e del Comune di San Martino di Lupari, cui ha fatto seguito un sopralluogo in cava, dal quale emerge che è stato convenuto un programma di accertamenti che comporta quanto segue:
verifica planoaltimetrica dello scavo sotto falda;
verifica delle condizioni delle sponde in ordine alla loro geometria ed all'eventuale presenza di materiali di riporto, con relativa campionatura;
prelievo di campioni dal fondo, allo scopo di evidenziare la natura del materiale ed il contatto con il sedime naturale originariamente in posto;
verifica della geometria delle sponde sotto falda, in relazione all'eventuale presenza di sottostavi, con possibile formazione di profili a sbalzo;
verifica della corrispondenza tra gli scavi ed il progetto autorizzato, in termini planimetrici;
VISTA la relazione di sopralluogo tenutosi presso l'insediamento della ditta Cà Vico srl in via Castellana n- 64 - San Martino di Lupari il giorno 26.10.2001 da parte di incaricati del Comune di San Martino di Lupari, dal quale risulta, tra l'altro, che alcuni dipendenti "con l'ausilio di mezzi meccanici, stavano eseguendo lavori di sistemazione delle sponde con terreno di risulta depositato in loco.". Da tale verbale risulta inoltre che "detti lavori erano stati eseguiti sulle sponde nord, est e su quasi tutta la sud del laghetto di cava";
VISTO il verbale della riunione in data 29.10.2001 (prot. n. 12684), tenutasi presso il Comune di San Martino di Lupari alla presenza di incaricati della Provincia di Padova e del Comune di San Martino di Lupari, dal quale emerge, tra l'altro, che:
"1. gli scavi sono stati effettuati sull'area catastalmente censita non solo al mappale 119 - t. 8, ma anche interessando il mappale 118 - fg. 8, escluso dalla ricomposizione ambientale. Il mappale 119 fg. 8, interessato parzialmente al progetto di ricomposizione ambientale per interventi che prevedevano "l'asporto di circa 50.000. mc" -(punto 41.1.2. del progetto di ricomposizione ambientale approvato con D.G.R. n. 5609 del 22.11.1994), è stato invece oggetto di escavazioni e asporti ben superiori per circa 300.000 mc emersi già nel sopralluogo congiunto eseguito in data 21.06.2001 allo scopo principale di verificare la natura dei riporti effettuati. Tale evidenza ha richiesto e richiederà l'effettuazione di accertamenti ulteriori e più precisi al fine di determinare le quantità di materiale escavato in difformità; in tempi brevi la provincia dí Padova contesterà alla ditta l'escavazione in difformità e applicherà la relativa sanzione."
VISTA la nota fax in data 31.10.2001 a. 90887 della Provincia di Padova, con la quale è stato fatto presente che gli accertamenti di competenza sulla parte emersa oggetto di ricomposizione ambientale sono stati conclusi e che si sta provvedendo alla relativa contestazione nei confronti della ditta. La Provincia. di Padova, richiamando quanto emerso nella sopracimta riunione. del 15.10.2001, ha altresì. chiesto la reiterazione dell'ordinanza dí sospensione. lavori n. 310/01;
Considerato che da quanto sopra esposto si configurano le ipotesi di scavo abusivo sul mappale n. 118 fg. 8 e di scavo difforme sul mappale n. 119 fg. 8 del Comune di San Martino di Lupari;
RITENUTO condivisibile il programma di accertamenti nell'ambito delle competenze di cui alla L.R. n. 44/82, espresso nel sopracitato verbale del 15.10.2001, allo scopo di verificare esaustivamente le condizioni generali del sito estranivo, con particolare riferimento alla condizione degli scavi sotto falda ed all'eventuale presenza di materiali incompatibili con la destinazione d'uso del sito;
CONSIDERATO che eventuali attività all'interno dell'area autorizzata possono arrecare una sostanziale alterazione allo stato dei luoghi, in rapporto all'estensione dell'area stessa ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento delle indagini prospettate, anche in vista di possibili contestazioni di natura tecnica;
TENUTO CONTO che gli impianti di cava sono comunque sottoposti a sequestro preventivo giudiziario;
ATTESO CHE l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver accertato che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che non è interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o comunque incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la destinazione d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di consentire al Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a questa Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le opportune e necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato dalla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica;
CONSIDERATO che nel caso di riconosciute alterazioni ambientali o di presenze inquinanti il sito deve essere sottoposto con urgenza ad interventi specifici di risanamento, valutati e progettati in base allo stato dei luoghi al momento degli accertamenti. Data la complessità di tali accertamenti, che richiedono cognizioni multidisciplinari, da coordinare sia dal punto di vista della raccolta dei dati informativi sullo stato dei luoghi, sia nell'individuazione degli elementi analitici, entrambi valutati in un quadro ambientale e regolamentare.
RILEVATO che l'indagine di cui al punto precedente, da condurre in un ambito territoriale esteso ed interessato per la maggior parte da un battente d'acqua di alcune decine di metri, necessita di un notevole impiego di risorse umane, economiche e tecnologiche da approntare in un arco di tempo difficilmente prevedibile;
RITENUTO necessario di avvalersi di quanto disposto dal I° comma dell'art. 29 della L.R. 7.9.1982, n. 44, che concede la facoltà cautelativa di sospendere i lavori quando si verifichi sia l'inosservanza delle prescrizioni del provvedimento autorizzativo, nonché quando siano necessari ulteriori accertamenti in vista dell'adozione di specifici provvedimenti;
PRESO ATTO che a norma dell'art. 29 della L.R. n. 44/82 l'ordine di sospensione dei lavori è comunque disposto, quando si tratti di lavori abusivi;
VISTI la L.R. 7.9.1982, n. 44, e l'art. 42, 3° comma, della L.R. 5:2.1996, n. 6, con cui è. stato stabilito che, sino alla entrata in vigore del piano provinciale dell'attività di cava, le funzioni attribuite a Presidente della Giunta Regionale sono esercitate dal Dirigente del Dipartimento per la Geologia e le Attività Estrattive ora Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua;
ORDINA
1) di sospendere immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale) nell'ambito del perimetro dell'intervento autorizzato con deliberazione della Giunta Regionale n. 5609 del 22.11.1994, intestata alla ditta Ca’ Vico con sede in Fontaniva (PD), nonchè sul mappale n. 118 fg. 8 del Comune di San Martino di Lupari (PD);
di stabilire che il presente provvedimento ha efficacia a tempo indeterminato, fino all'ultimazione delle necessarie indagini ed all'adozione di un apposito conseguente provvedimento;
3) di consentire comunque agli Enti competenti qualsiasi intervento di vigilanza, controllo o verifica nell'ambito delle proprie competenze, sia con personale proprio che a mezzo di appositi incaricati;
4) di provvedere alla notifica del presente provvedimento alla ditta Ca' Vico S.r.L. a mezzo di un incaricato regionale, oppure a mezzo del messo comunale di Fontaniva e di trasmetterlo al Presidente della Provincia di Padova ed al Sindaco del Comune di San Martino di Lupari, nonché di pubblicarlo, per estratto, sul B.U.R. della Regione Veneto;
INVITA
la Provincia di Padova ed il Comune di San Martino di Lupari, per quanto di rispettiva competenza a trasmettere tempestivamente i risultati degli accertamenti in corso e di eventuali ulteriori iniziative in tal senso.”
10.2. Da quanto testé riportato emerge che l’ordinanza gravata fa riferimento sostanzialmente a cinque aspetti, tutti emergenti dagli accertamenti tecnici citati:
l’abbassamento del piano di campagna rispetto alla zona circostante, e quindi il sospetto di escavazioni abusive;
la rilevata presenza di rifiuti derivanti da attività di demolizione, costruzione e scavi;
la presenza di rilevanti quantità di limi;
la presenza di scarichi non autorizzati di acque reflue nel laghetto;
il superamento del limite di arsenico previsto.
Nell’atto gravato viene poi menzionato il verbale della riunione di data 29 ottobre 2001 da cui emerge un asporto superiore a quello consentito nei mappali 118 e 119.
In conclusione viene ordinato alla ditta di sospendere a tempo indeterminato e in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione della cava, cioè sia l’estrazione di materiale sia la sistemazione ambientale.
10.3. Viene in sostanza fatta applicazione dell’articolo 29 della legge regionale n. 44 del 1982 che prevede in caso di attività abusiva la sospensione di ogni attività.
Si tratta di una sospensione a tempo indeterminato, ma pur sempre cautelativa, in attesa cioè di ulteriori accertamenti tecnici.
Infatti il presupposto giuridico dellì’applicazione dell’articolo 29 della ripetuta lr 44 del 1982 è non già la certezza che le violazioni vi siano state, il che sarà oggetto di ulteriori accertamenti, ma l’esigenza di non compromettere medio tempore gli interessi ambientali e di salute in presenza di consistenti indizi del mancato rispetto di quanto stabilito dalla normativa e dall’autorizzazione alla coltivazione della cava.
Appare quindi arduo contestare che la Regione, in presenza di plurimi accertamenti i quali evidenziavano un fondato sospetto del mancato rispetto di rilevanti obblighi incombenti sulla Ca’ Vico, dovesse procedere alla sospensione.
10.4. Invero anche l’ordinanza n 375 costituisce una tappa di avvicinamento a quello che sarà il provvedimento fondamentale della complessa vicenda, cioè la revoca dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, oggetto del ricorso n. 3090/03.
Va poi rilevato che risulterebbe sufficiente uno solo dei cinque aspetti menzionati nell’ordinanza impugnata per sorreggerla, vale a dire l’escavazione superiore a quella consentita, la presenza di rifiuti, quella di sostanze inquinanti, gli scarichi non conformi e infine la questione dei limi.
Per quanto detto il ricorso 2671/01 risulta infondato, laddove i profili sopra indicati, già sopra oggetto di considerazioni introduttive alla parte di diritto, verranno esaminati in dettaglio nel corso dell’esame dei successivi ricorsi, in particolare del n 3090/03, in quanto in questa sede preme rilevare non già l’esattezza dei rilievi ma la loro plausibilità, unico elemento necessario per giustificare l’ordinanza impugnata, avente valore meramente cautelativo in attesa di ulteriori accertamenti.
*****
11.0. Con il ricorso rubricato al n. 494/02 la società Ca’ Vico impugna l'ordinanza del comune in cui le si ordina di presentare un programma di smaltimento dei rifiuti presenti nel terreno.
I motivi sono i seguenti:
1. Violazione delle direttive regionali di cui al decreto 3560 del 16 novembre 1999. Secondo la ditta ricorrente, l'ordinanza del sindaco dovrebbe essere preceduta da un'accurata indagine conoscitiva, nel caso mancante.
2. Erroneità della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute.
11.1. Conviene riprodurre le parti salienti dell’ordinanza qui impugnata:
“Vista la D.G.R.V. n. 3560 del 16.11.1999, concernente "Criteri e modalità di carattere operativo da seguire per l'adozione e l'attuazione dei provvedimenti amministrativi di cui agli arti. 14 e 17 del D. Lgs. N. 22/1997 di competenza del Sindaco";
Visto il verbale di sopralluogo in data 21.06.2001, sottoscritto da personale ispettivo della Provincia, del Comune e dell'ARPAV in cui viene evidenziata la presenza, presso l'area di proprietà della società Cà Vico S.r.l., sita in Via Castellana, n. 64, di rifiuti derivanti da attività dí demolizione, costruzione e scavi, con presenza di asfalto e rilevanti quantità di limi;
Vista la nota dell'A.R.P.A.V. — Dipartimento Provinciale di Padova, prot. n. D/11593/ST.V7499/a2 del 04.10.2001, in cui a seguito degli accertamenti svolti, si evidenzia che in entrambi i campioni di limo prelevati nel corso del sopralluogo del 21.06.2001, è stato riscontrato un valore di Arsenico superiore ai limiti previsti dalla tabella A del D.M 471/1999, riferita peraltro ai siti contaminati;
Vista la nota prot. n. 83418, del 08.10.2001, della Provincia di Padova — Settore Ambiente, in cui a seguito dell'accertamento della presenza di rifiuti e la presenza su campioni di materiale prelevato di concentrazioni di arsenico superiori ai limiti di cui al D.M.A. n. 471/1999 si suggerisce l'emissione di apposita ordinanza per la rimozione, l'avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi;”
Da quanto riprodotto emerge che l’ordinanza ha a presupposto il sopralluogo di data 21 giugno 2001 da cui emergeva tra l’altro la presenza di rifiuti e di rilevanti quantità di limi. Viene inoltre citata la nota dell’ARPAV del 4 ottobre 2001 in cui si evidenziava che nei campioni di limo si era riscontrato un valore di arsenico superiore a quello consentito.
Va quindi rilevato che, contrariamente a quanto assume la ditta ricorrente, l’ordinanza risulta preceduta da un’adeguata attività istruttoria, in particolare da un sopralluogo.
11.2. Si rileva poi come la responsabilità di Cà Vico nell'abbandono dei rifiuti sull'area sia stata puntualmente accertata dal Comune.
Invero i tecnici dell'ARPAV, nel corso di un sopralluogo eseguito il 5 ottobre 1999, rilevarono "evidenti tracce di recente movimento di terra, con in superficie la presenza di limo misto a inerti frantumati, dí probabile provenienza esterna al bacino di cava".
Analoga circostanza era già stata segnalata dai tecnici comunali a seguito di un sopralluogo del luglio 1999 nel quale si precisava che era stata eseguita "una operazione di sbancamento con asporto di materiale vegetale non autorizzato e si notano cumuli di materiali costituiti da terreno misto a inerti, limi e in alcuni punti materiali provenienti da demolizioni".
11.3. Conseguentemente il Comune emanò l'ordinanza sindacale n.51 del 2 agosto 1999 con la quale vietò alla Cà Vico di depositare nella cava materiale di risulta proveniente dall'esterno.
La ricorrente impugnò detta ordinanza con il ricorso 2139/99, ora estinto per rinuncia, per cui non risulta contestabile l’accumulo nella zona di materiale di risulta proveniente dall'esterno.
Ne discende come l'ordinanza oggetto del ricorso non sia che la mera conseguenza del procedimento apertosi nel 1999 con l’accertamento dell'esecuzione da parte di Cà Vico di lavori di sbancamento non autorizzati sul terreno a sud ovest della cava, lavori seguiti dal deposito di cumuli di materiale da demolizione e scavi.
Inoltre l'ARPAV ha rilevato, con verbale del 21 giugno 2001, che per il riempimento dell'area in precedenza sbancata erano stati utilizzati rifiuti di vario tipo: inerti da demolizioni e scavo con presenza di asfalto, blocchi di cemento, stoffe, fili plastici e limo da lavaggio di inerti.
Il tentativo della ricorrente di accollare ad altri la responsabilità del deposito dei rifiuti risulta infondato, atteso che gli accertamenti compiuti dal Comune e dall'ARPAV le hanno attribuito la responsabilità dell'interramento dei rifiuti, a parte l’ovvia responsabilità in vigilando di chi gestisce la cava.
Risulta quindi evidente che è stata effettuata un’accurata istruttoria e la prima censura quindi risulta infondata.
11.4. Quanto alla seconda censura, relativa ad una presunta erroneità ed arbitrarietà della motivazione in relazione ai limi, all'arsenico e alla rilevanza delle altre sostanze rinvenute, oltre a quanto osservato più sopra in via generale, si rileva quanto segue.
Innanzi tutto i sondaggi sono stati eseguiti a campione e non si conosce il quantitativo esatto di rifiuti speciali (come fili plastici, stoffe, cemento e asfalto) interrati nell'area; ma anche ove si trattasse di una scarsa quantità, comunque essi andavano rimossi e smaltiti in una discarica autorizzata e ciò sarebbe sufficiente a rendere legittimo il provvedimento.
11.5. Va ribadito poi che nel mappale dove vennero rinvenuti i rifiuti non doveva essere effettuato alcun interramento di materiali di risulta, considerato che non vi era stata autorizzata alcuna attività estrattiva.
Infine la DGR 24 marzo 1998, n. 924 autorizza a smaltire nella cava solo ed esclusivamente i residui della lavorazione della ghiaia presente in quella cava, ma non materiale di altra provenienza.
11.6. Quanto poi alla presenza di arsenico si richiama quanto sopra illustrato.
Inoltre, in data 27 novembre 2001 l'ARPAV, in contraddittorio con la società ricorrente, ha prelevato dei campioni di limo dal fondale del laghetto di cava e dal carotaggio più vicino alla cava è risultata una percentuale di arsenico pari a 30 mg/kg in due casi e a 28 mg/Kg in un caso.
Invece i campioni di limo prelevati nei punti più lontani dalla zona oggetto dell'ordinanza n. 3 del 2002, la percentuale dell'arsenico non supera mai 15 mg/kg.. Se ne deduce che il terreno originario della cava e quindi il limo residuato dall'estrazione della ghiaia presentava livelli di arsenico inferiori ai limiti di legge, per cui il livello di arsenico riscontrato non è affatto endemico.
Anche il ricorso 494 risulta quindi infondato.
*****
12.0. Nel ricorso n 1047/03, come illustrato in fatto, la ditta Ca’ Vico espone che, avendo il Comune di San Martino di Lupari, a mezzo dei propri funzionari, esperito un sopralluogo nell'ambito della cava e segnalato l’esito alla Regione, il Dirigente Regionale ordinava l’apposizione dei sigilli alla cava sul presupposto che sarebbero state disattese le precedenti ordinanze; seguiva, previa redazione del relativo verbale, l'apposizione dei sigilli.
12.1. Conviene esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune in relazione agli atti comunali che non avrebbero contenuto provvedimentale e pertanto non sarebbero idonei a ledere gli interessi della ricorrente.
L’eccezione risulta parzialmente fondata per quanto concerne la nota prot. 4017 del 26 marzo 2003, che è una mera lettera di accompagnamento, e quanto al verbale del 27 marzo 2003 che contiene la descrizione delle operazioni materiali compiute per apporre i sigilli.
Invece la relazione di sopralluogo del 22 marzo 2003 contiene la descrizione di quanto rilevato da personale del Comune, ma costituisce sicuramente il fondamento dell’ordinanza regionale n 81 del 27 marzo 2003, cioè dell’apposizione dei sigilli e quindi ben poteva essere impugnata assieme all’atto che ne ha fatto propri i contenuti.
Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace, né produttiva di effetto alcuno l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, essendo stato adottato il decreto n. 227 del 18 settembre 2003 (impugnato con ricorso n. 3090/2003) che ha revocato alla Cà Vico l'autorizzazione a coltivare la cava, si osserva come l’interesse sussista se non altro per il risarcimento dei danni, che - nella prospettazione dell’interessata - riguarda tutti gli atti gravati con l’intera serie dei ricorsi.
Il ricorso va quindi esaminato nel merito.
12.2. Il primo motivo censura l'ordinanza regionale per violazione dell'articolo 32 della L.R. 44 del 1982, nonché per erroneità del presupposto, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e sviamento di potere.
Invero, l'apposizione dei sigilli è prevista dall'art.32 della L.R.44 del 1982 come sanzione da adottare quando il privato violi l'ordine di sospensione dei lavori emesso dalla Regione, per cui per stabilire se vi sia stata violazione dell'ordine di sospensione se ne deve verificare in concreto il contenuto.
Ergo la questione riguarda quanto disposto dall’ordinanza n. 375 del 2001 la cui violazione è stata la ragione dell’apposizione dei sigilli.
Detta ordinanza, oggetto del precedente ricorso 2671/01, sospendeva "immediatamente ed a tempo indeterminato in via cautelativa qualsiasi lavoro di coltivazione (estrazione e sistemazione ambientale) nell'ambito del perimetro della cava”.
Nella motivazione dell'ordinanza di sospensione si precisava che "eventuali attività all'interno dell'area autorizzata possono arrecare una sostanziale alterazione dello stato dei luoghi, in rapporto all'estensione dell'area stessa ed ai tempi tecnici necessari per l'espletamento delle indagini prospettate, anche in vista di possibili contestazioni dí natura tecnica" e ancora che "l'utilizzo del sito potrà essere consentito alla ditta solo dopo aver accertato che l'area non ha subito alterazioni sotto il profilo ambientale e che non è interessata da depositi di materiale contenenti elementi inquinanti o comunque incompatibili, anche solo in termini di concentrazione, con la destinazione d'uso dell'area in base alla vigente normativa. Ciò al fine di consentire al Comune di San Martino di Lupari, alla Provincia di Padova ed a questa Amministrazione Regionale, per quanto di rispettiva competenza, le opportune e necessarie verifiche per tutelare l'interesse pubblico rappresentato dalla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica..".
12.3. Ad avviso di questo Collegio i lavori fatti eseguire dalla ricorrente, anche se consistenti in una pulizia della vegetazione, si ponevano in contrasto con l'ordinanza di sospensione n. 375 del 2001, anche per la ragione che potevano risultare prodromici se non altro alla sistemazione ambientale, espressamente vietata, sicchè la Regione ha legittimamente disposto l'apposizione dei sigilli.
Inoltre risulta dal verbale che l’operatore incaricato dalla ditta ha dichiarato di aver asportato “qualche sacchetto di rifiuti indifferenziati" con ciò provvedendo alla ricomposizione ambientale, rimuovendo rifiuti abusivamente collocati sul terreno di cava, e quindi in violazione dell’ordinanza succitata.
12.4. In sostanza la nota comunale prot. n. 4017 del 26.03.2003 documenta l'avvio di un programma di rimozione dei rifiuti in assenza di un programma di smaltimento, contrariamente all'ordinanza del Comune n. 3 del 14.01.2002 e alla diffida prot. 502/10556 del 30.08.2002, l'inizio delle operazioni di sistemazione ambientale, malgrado la sospensione dei lavori di cui all’ordinanza n. 375/2001 che lo vietava in via cautelativa e infine la violazione dell'art. 51, comma 1, d.lgs. 22/1997 per aver attivato la raccolta e il trasporto di rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione.
Ne discende l’infondatezza della doglianza.
12.5. La seconda censura lamenta un eccesso di potere per illogicità ed inadeguatezza sotto altro profilo.
Sostiene invero la ditta istante che l’apposizione dei sigilli costituisce un provvedimento che menoma gravemente la sfera di autonomia dell'imprenditore, e che presuppone la certezza dell'inadempimento al provvedimento di sospensione.
In sostanza non si sarebbe accertato se i lavori abbiano violato le finalità dell'ordinanza di sospensione e che la ditta fosse consapevole di violarla.
Quanto al contrasto con l'ordinanza di sospensione, la censura ricalca quella precedente, sopra confutata.
Quanto alla riferibilità dell’attività alla responsabilità della ditta ricorrente, gli esecutori dei lavori hanno dichiarato di essere stati incaricati di eseguirli dal vicepresidente della Cà Vico. Inoltre essi hanno esibito il registro di carico e scarico dei rifiuti della società.
Si aggiunga che il legale rappresentante di Cà Vico, pur informato del sopralluogo, ha rifiutato di parteciparvi e nel contempo non ha contestato l'operato di quanti erano presenti nella cava.
12.6. Con il terzo motivo di ricorso si censura l'ordinanza di apposizione dei sigilli per omessa comunicazione di avvio del procedimento.
La doglianza non ha pregio, trattandosi di un provvedimento che va assunto con urgenza a fronte del rischio di alterazione dello stato dei luoghi su di un sito che si sospetta gravemente inquinato.
Riassumendo, l'ordinanza comunale trova fondamento nel potere di vigilanza sull'eventuale abusività o difformità dei lavori dal permesso di ricerca, dall'autorizzazione o dalla concessione di cava, che ai sensi dell'art. 28, L.R. 44/82 spetta al Comune territorialmente interessato, salva trasmissione al presidente della Provincia (o Regionale, vigendo il regime transitorio ex art. 43) per l'adozione dei provvedimenti di competenza.
12.7. Per completezza va rilevato che il provvedimento comunale assunto a fondamento del decreto n. 81/2003 rivestiva carattere amministrativo e non sanzionatorio, per cui va esclusa la stessa applicazione della legge n. 689/81. Sulla base di tale legge l'apposizione dei sigilli ex art. 260 ha lo scopo si assicurare la conservazione delle cose sequestrate, previa sottoscrizione dell'autorità giudiziaria.
Nel caso di specie invece il decreto dirigenziale n. 81/2003 assolveva a finalità cautelari e non afflittive.
Come visto l'apposizione dei sigilli ex art. 32 L.R. 44/82 era giustificata dalla violazione di un'ordinanza di sospensione dei lavori, motivata a sua volta dall'urgenza di ulteriori accertamenti in vista dell'adozione di un provvedimento di decadenza o di revoca del premesso di intervenire nel sito di cava.
12.8. Vanno ora esaminati i motivi aggiunti al ricorso 1047/03. con cui vengono impugnati il verbale di sopralluogo del 22 marzo 2003 redatto da un agente di polizia municipale e dal responsabile del settore ecologia del Comune di San Martino di Lupari e la lettera di accompagnamento del 26 marzo 2003, n. 4017 con la quale il verbale di cui sopra è stato inviato agli enti competenti.
12.9. Quanto all’eccezione di improcedibilità, non essendo più efficace l'ordinanza regionale di apposizione dei sigilli, si richiama quanto sopra evidenziato sul ricorso principale.
Per quanto riguarda poi gli atti comunali oggetto dei motivi aggiunti, il Comune ne eccepisce l'inammissibilità trattandosi di atti non aventi natura provvedimentale.
L’eccezione va accolta per quanto concerne la nota prot. 4017 del 26 marzo 2003 che risulta una lettera di accompagnamento, laddove l'atto del 22 marzo 2003, qualificabile come un verbale di sopralluogo, è un atto presupposto all’apposizione dei sigilli di cui all’ordinanza regionale 81/03, per cui può essere impugnato assieme alla stessa.
12.10. Nel primo motivo aggiunto la ricorrente si lamenta di non essere stata informata preventivamente del sopralluogo; inoltre il relativo verbale le sarebbe dovuto essere notificato prima dell'inoltro all'autorità competente per darle modo di contraddire.
Sulla prima questione si osserva che nessuna disposizione di legge – del resto nemmeno invocata dalla ditta ricorrente - impone di preannunciare l'esecuzione di sopralluoghi, in quanto trattasi di attività di vigilanza che deve essere svolta senza alcun preavviso proprio per risultare efficace.
Circa la pretesa di ricevere copia del verbale prima del suo inoltro agli organi competenti, si osserva che l’accertatore deve solo riferire quanto accertato a chi è titolare del potere di assumere provvedimenti.
12.11. Il secondo motivo aggiunto riguarda la pretesa violazione della legge n. 689/81 e del principio di personalità della responsabilità.
A parte quanto sopra evidenziato sulla non applicabilità della legge invocata, che non riguarda la fattispecie, si osserva che la questione riguarda invero il procedimento penale e non comporta alcuna illegittimità degli atti di accertamento compiuti. Quanto alla responsabilità della ditta essa emerge da quanto fin qui evidenziato in relazione al ricorso principale.
12.12. Con il terzo motivo aggiunto si censura il verbale del 22 marzo 2003 per carenza di istruttoria, in quanto gli accertamenti non sarebbero stati effettuati alla presenza di un responsabile della ditta e la carenza di contraddittorio avrebbe impedito di acquisire tutti gli elementi utili per valutare il caso.
La doglianza appare infondata in via di fatto ancor prima che di diritto; risulta dagli atti di causa che i verbalizzanti hanno chiesto la presenza del legale rappresentante di Cà Vico, che si è rifiutato di presenziare al sopralluogo, ma che non ha mai disconosciuto d'aver dato l'incarico agli addetti di eseguire i lavori.
Conclusivamente sia il ricorso n 1047/03 sia i relativi motivi aggiunti risultano infondati.
*****
13.0. Con il ricorso n. 2846/03 la Ca’ Vico impugna i seguenti atti:
la deliberazione n. 26 Registro delibere e n. 12743 di protocollo, in data 27.9.2003, del commissario ad acta, dott. Arch. Giovanni Battista Pisani, avente ad oggetto: "Piano attuativo per il Recupero Ambientale della cava di Campagnalta". Ditta: Ca' Vico S.R.L. di Fontaniva (Pd) - Via Velo. Diniego approvazione";
se ed in quanto necessario, il decreto n. 1035, in data 14.8.2003 con il quale il Presidente della Giunta Regionale del Veneto, ha nominato l'arch. Giovanni Battista Pisani, ai sensi dell'art. 22 della Legge 136/99, per l'approvazione del Piano di Recupero;
il parere di regolarità tecnica, allegato sub A;
la nota prot. n. 8636/9782 del 23.7.2003 del Responsabile della 3° Area Tecnica del Comune di San Martino di Lupari;
Va innanzi tutto estromesso dal presente ricorso il Commissario ad acta, che non presenta alcuna legittimazione passiva in quanto i suoi atti sono direttamente imputabili all’ente per cui opera.
13.1. Il diniego gravato nella parte motiva riporta la nota comunale del 23 luglio 2003 che conteneva alcune prescrizioni alla Ca’ Vico tra cui quelle di seguito riportate:
"5) Dovrà essere rivisto lo schema di convenzione allegato al progetto concordando con l'amministrazione comunale tempi e modi di attuazione e subordinando, inoltre, l'inizio dei lavori all'avvenuta dichiarazione di estinzione della cava ai sensi dell'art. 25 della l.r. 44/1982;
6) per quanto riguarda il perimetro di cava dovrà essere presentato un progetto "definitivo" per le opere di consolidamento delle sponde, dovrà essere previsto inoltre l'arretramento del fronte di scavo degli edifici progettati e per quanto riguarda i lidi ovest ed est dovrà essere prevista la possibilità dí balneazione per una trentina di metri, il tutto dovrà essere corredato da una perizia geologica che l'amministrazione sí riserva di far verificare da un geologo di propria fiducia”.
Sostanzialmente il provvedimento viene assunto per la mancata ottemperanza alle testé riportate prescrizioni.
13.2. A tale proposito rileva altresì la relazione istruttoria che si riporta in parte qua:
"In proposito si rileva che la bozza di schema di convenzione allegata al progetto presentato in data 04.07.2001, non contiene la clausola indicata al punto 5 della nota del Comune del 30.03.2001, non contemplando, in particolare, la clausola subordinante l'inizio dei lavori, previsti dal piano di recupero, all'avvenuta dichiarazione di estinzione della cava, ai sensi dell'art. 25 della l. r. n, 44/1982, estinzione che presuppone l'avvenuta ultimazione dei lavori di ricomposizione ambientale della cava, conformemente alle prescrizioni contenute nell'autorizzazione regionale.
Infatti lo schema di convenzione si limita a prevedere l'intenzione della Cà Vico di cessare l’attività di cava impegnandosi a riconvertirla ad altri usi, senza per altro assumere il preciso impegno previsto al punto 5 della nota comunale del 30.01.2001.
omissis
Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, il piano di recupero, presentato il 04.072001, non è suscettibile dí approvazione per il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nella più volte richiamata nota del 30.03.2001",
Si rileva poi come il commissario ad acta, esaminato attentamente il contenuto del piano di recupero, ne ha rilevato varie carenze (pag. 9 e 10 della deliberazione impugnata, lettere da c) ad f)) spiegando altresì le ragioni del diniego a pag. 10-11.
In particolare il commissario ha ritenuto indispensabile l'ottemperanza ai contenuti del decreto n. 227 del 18 settembre 2003 emesso dal dirigente regionale della direzione geologia e ciclo dell'acqua, e cioè:
"La realizzazione da parte della ditta Cà Vico ai sensi dell'art. 32 della I. 44/1982, di tutti gli interventi necessari alla ricomposizione ambientale della cava 'Campagnalta" anzidetta, secondo le direttive ed i tempi stabiliti dall'amministrazione provinciale di Padova;
quantificazione da parte della Provincia di Padova del danno ambientale prodotto in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla messa a dimora di rifiuti di vario genere, alla presenza sul fondale di limo contenente sostanze inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle sponde, il cui onere economico di risanamento è da ritenersi comunque interamente a carico dei responsabili'”.
Per queste ragioni, dunque, il commissario ha ritenuto che "il piano urbanistico attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta interessata abbia ottemperato a quanto contenuto nel precedente considerato e cioè alla ricomposizione ambientale della cava ed al suo risanamento".
13.3. In secondo luogo il commissario ha rilevato le deficienze degli elaborati cartografici, con particolare riferimento al "piano quotato attuale".
Ciò premesso risulta agevole l’esame delle censure.
13.4. Con il primo motivo la Ca' Vico si lamenta del fatto che il commissario abbia subordinato l'approvazione al piano di recupero alla previa ricomposizione ambientale, prescritta dalla legge regionale che disciplina l'attività estrattiva.
Invero le dotte disquisizioni di parte ricorrente, corredate da una dovizia di riferimenti giurisprudenziali, circa l’autonomia degli strumenti urbanistici che astrattamente possono disciplinare anche l’attività estrattiva, non colgono nel segno, sia in quanto ignorano l’obbligo giuridico di ricomposizione ambientale della zona, sia in quanto nel caso il piano di recupero era espressamente condizionato da numerose prescrizioni.
Invero la ricomposizione ambientale è prescritta dall'art. 25 della lr 44 del 1982 ed è imposta, nel caso concreto, dall'autorizzazione regionale e ribadita dal decreto regionale.
Appare quindi corretta la decisione del commissario di stabilire che "il piano urbanistico attuativo possa essere presentato al Comune una volta che la ditta interessata abbia ottemperato .... alla ricomposízione ambientale della cava ed al suo risanamento”.
Va poi aggiunto che le ragioni ostative all'approvazione sono plurime, ciascuna delle quali in grado di per sè sola di sorreggere la mancata approvazione del piano.
13.5. Con il secondo motivo la delibera commissariale viene impugnata sotto il profilo dell'illogicità e dello sviamento in quanto il commissario ad acta avrebbe omesso di considerare che l'attività estrattiva è venuta meno per effetto del provvedimento di revoca da parte della giunta regionale.
A parte che la censura ove fondata porterebbe all’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, e che la revoca è stata impugnata da Ca' Vico con il ricorso n. 3090/03, il Comune non può interferire sull'attività di controllo della coltivazione e della ricomposizione ambientale che appartiene alla competenza di altri enti. Inoltre è stata la ditta a presentare il piano di ricomposizione ambientale, per cui la sua approvazione le avrebbe consentito di realizzarlo indipendentemente dalla revoca. In sostanza la revoca opera su di un piano diverso rispetto alla ricomposizione ambientale e altresì rispetto al risarcimento del danno ambientale.
13.6. La terza censura ripropone in altra forma quanto esposto con la seconda doglianza.
13.7. Con il quarto motivo la Ca' Vico denuncia uno sviamento e illogicità per il fatto che il commissario ha negato l'approvazione del piano di recupero che l'ufficio tecnico aveva dichiarato "meritevole di approvazione"; la ricorrente sul punto omette di considerare la nutrita serie di condizioni che la ditta non ha minimamente rispettato e le congrue motivazioni addotte nel provvedimento.
Inoltre, come ben noto, l’organo decidente non è affatto vincolato dalle risultanze degli uffici tecnici, i cui compiti sono meramente preparatori e istruttori.
13.8. Con la quinta censura vengono passate in rassegna le altre ragioni ostative all'approvazione del piano di recupero, individuate dal commissario, in particolare relative alla documentazione prodotta; si tratta anche in tal caso di una reiterazione delle doglianze già proposte.
L’infondatezza delle varie censure comporta che la richiesta di risarcimento danni non può essere accolta.
In conclusione sul ricorso, il diniego di approvazione del piano di recupero appare diretta conseguenza del comportamento di Ca' Vico, che non ha adempiuto alle varie prescrizioni emesse via via da Regione, Provincia e Comune.
*****
14.0. Con il ricorso n 3090/03 la ditta chiede:
l’annullamento del decreto n. 227, in data 18 settembre 2003, notificato a mezzo del servizio postale in data 18.10.2003, a firma dell'Ing. Andrea Costantini, Dirigente regionale della Direzione geologica e ciclo dell'acqua, avente ad oggetto: "Ditta Ca' Vico S.R.L. Revoca dell'autorizzazione a coltivare la cava di ghiaia, denominata "Campagnalta", sita in Comune di San Martino di Lupari (PD) (art. 31 L.R. n. 44/82);
l’annullamento, se ed in quanto necessario della nota regionale n. 1174/46.02 in data 05.02.2002, notificata il giorno 06.02.2002 con la quale è stato comunicato alla Ditta Ca' Vico S.R.L. l'avvio del procedimento relativo alla cava "Campagnalta", con le formalità di cui agli artt. 28, 29, 30, 31, 32, e 33 della L.R. n. 44/82, in ottemperanza ai dispositivi dell'art. 7 della L.R. 241/90;
l’annullamento del verbale di riunione del 09.01.2002 in San Martino di Lupari, tenutasi alla presenza di incaricati della Regione, della Provincia e del Comune;
l’annullamento della nota, n. 1973/4000 del 22.07.2002, anch'essa non conosciuta, con la quale il Segretario Generale della Programmazione della Regione Veneto ha nominato un apposito gruppo di lavoro regionale e la conseguente relazione datata 07.10.2002;
l’annullamento, altresì, del verbale dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova inerente il prelievo di campioni di fondale del 27.11.2001 nonché i relativi rapporti di prova NN. Registrazione 9283/c, 9282/c, 9281/c e 9280/c del 27.11.2001;
l’annullamento egualmente della nota della Provincia di Padova n. 118222 in data 26.11.2002 di trasmissione di altri rapporti di prova dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova;
l’annullamento, sempre se ed in quanto necessario, della nota della Provincia di Padova n. 6272/2003 in data 23.01.2003, "con la quale è stato fornito un elenco di n. 14 accertamenti relativi alle due cave "Campagnalta" da cui emerge tra l'altro, che dal 1986 il sito estrattivo è stato oggetto di estrazioni abusive per un totale di 694.671 metri cubi";
l’annullamento della nota dell'ARPAV - Dipartimento Provinciale di Padova n. D/11593/ST.V 7499/02 in data 04.10.2001;
l’annullamento della nota n. 5877 in data 06.05.2003 del Comune San Martino di Lupari;
l’annullamento della nota n. 10568 in data 07.08.2003, n. 10346/10424 del 25.08.2002 e della deliberazione della Giunta Comunale n. 59/2003 sempre del Comune di San Martino di Lupari;
l’annullamento del parere, favorevole alla revoca ai sensi dell'art. 31 della L.R. 44/1982, della Commissione Tecnica Provinciale attività di Cava (C.T.P.A.C.) di Padova espresso nella seduta del 04.02.2003;
l’annullamento dei pareri espressi dalla Commissione Tecnica Regionale Attività Estrattive (C.T.R.A.E.) nelle sedute del 16.01.003, 06.02.2003, 13.03.2003, 08.05.2003;
l’annullamento della delibera della Giunta Regionale n. 400 dell'08.02.2000.
14.1. Il ricorso, come visto centrale in tutta la complessa vicenda, va esaminato in dettaglio.
La prima censura concerne una presunta violazione degli articoli 7 e seguenti della legge 241 del 1990, oltre che violazione della procedura e carenza di motivazione, in quanto la nota di avvio del procedimento sarebbe talmente generica, menzionando varie tipologie di procedimento, da non consentire una adeguata partecipazione.
Su tale aspetto si rileva che la nota del Servizio Cave della Provincia datata 15 dicembre 2004 n. 128286 si riferisce al procedimento di quantificazione del danno ambientale. Ci si trova poi in una fase prodromica rispetto alla quantificazione vera e propria del danno ambientale, per cui alla Ca’ Vico vengono garantite le esigenze di partecipazione previste dalla legge 241 del 1990.
14.2. Venendo al secondo motivo, secondo la Ca' Vico, il decreto di revoca sarebbe inficiato dal vizio di incompetenza e di violazione dell’articolo 31 della LR 44 del 1982, poiché emanato dal Dirigente Regionale della Direzione Geologia e Ciclo dell'Acqua anziché dalla Giunta Regionale, nelle cui attribuzioni rientrerebbe la revoca di autorizzazione alla coltivazione di cava ai sensi del combinato disposto degli artt. 31, c. 2 e 43, della L.R. n. 44 del 1982.
Ritiene questo Collegio che alla fattispecie sia applicabile l'art. 28, c. 2, L.R. 1/97, il quale, lasciando 'ferme le attribuzioni e le funzioni degli organi elettivi regionali come previste dalla Costituzione, dallo Statuto, dalle leggi e in particolare dalle disposizioni del Titolo II della presente legge", in tutti i procedimenti amministrativi già disciplinati dalla vigente legislazione regionale sostituisce i Dirigenti alla Giunta e al suo Presidente, ai fini dell'adozione del provvedimento finale nell'esercizio dei compiti di gestione tecnica, amministrativa e finanziaria. Correlativamente l'art. 23, c. 2, lettera c), delle medesima L.R. 1/97, stabilisce che all'organo dirigenziale spettano infatti "tutti gli atti e i provvedimenti di diretta competenza, ivi compresi quelli relativi a progetti interessanti l'attività di ogni servizio della direzione regionale".
La citata disciplina regionale, si conforma ai principi cardine fissati dal legislatore statale con il d.l.gs. 29/93.
A sua volta, la L.R. 1/97, costituisce il fondamento della D.G.R. 400/2000, che definisce le competenze dirigenziali nell'ambito dei procedimenti amministrativi regionali.
Inoltre lo stesso art. 43, c. 4, L.R. 44/82, stabilisce che "Sino all'entrata in vigore del Ppac tutte le funzioni amministrative attribuite alle Province dalla presente legge in tema di autorizzazione, concessione, permesso di ricerca, consorzi, sospensione, decadenza, revoca e apposizione di sigilli, sono esercitate dalla Regione intendendosi sostituiti la Regione, la Giunta regionale ed il Dirigente del Dipartimento competente, rispettivamente alla Provincia, alla Giunta provinciale e al suo presidente ogni qualvolta a questi ultimi facciano riferimento le norme predette".
Ne discende l’infondatezza della censura di incompetenza.
14.3. Nella terza doglianza la Ca’ Vico deduce la violazione dell’articolo 31 della lr 44 del 1982, sviamento, errore dei presupposti, carenza di istruttoria e motivazione.
Come esposto in narrativa, secondo la ditta ricorrente, il provvedimento revocatorio non potrebbe essere assunto per mere ragioni di opportunità ma trova titolo giustificativo unicamente in situazioni eccezionali, cioè in ragione della sopravvenuta manifestazione di fenomeni naturali, non imputabili al titolare dell’attività estrattiva che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza nell'uno e/o nell'altro caso da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
In sostanza ad avviso della Ca’ Vico il provvedimento assunto dalla Regione Veneto, che muove da asserite irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva, esulerebbe, pertanto, dall'ambito dell'istituto revocatorio, così come delineato dall'art. 31 della L.R. 82/44.
L’assunto della ricorrente ditta non può essere condiviso; vi osta innanzi tutto il dato letterale, in quanto il primo comma dell’articolo 31 della LR 44 del 1982 lega la revoca ad una generica “alterazione“ della situazione geologica e idrogeologica e soprattutto aggiunge “o siano intervenuti altri fattori tali da rendere non tollerabile la prosecuzione dell’attività di cava”. Non vi è alcun riferimento ai soli fatti naturali, per cui si deve ritenere che la revoca possa essere disposta anche in presenza di gravi inadempienze della ditta che coltiva la cava.
In altre parole, il provvedimento revocatorio può essere assunto in ragione di eventi che abbiano comportato un’alterazione e, quindi, una grave compromissione della situazione geologica ed idrogeologica interessata dal giacimento, di tale natura ed ampiezza da rendere pericoloso il proseguimento dell'attività di cava.
Quindi i fatti che possono portare ad una revoca possono discendere anche da eventi addebitabili alla stessa attività dell'imprenditore, tra cui irregolarità nella conduzione dell'attività estrattiva.
Del resto l’istituto della revoca, ora normato dalla novellata legge 241 del 1990, consente nel pubblico interesse il ritiro di un atto originariamente legittimo in presenza di un mutamento della situazione fattuale, come appunto avvenuto nel caso.
La censura quindi appare infondata, laddove i presupposti per la revoca formano oggetto di altra apposita censura.
14.4. Quanto alla quarta censura, recante eccesso di potere per sviamento, erroneità di presupposto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, con cui la ditta contesta tutti i presupposti di fatto posti alla base del provvedimento di revoca, in particolare per quanto riguarda le escavazioni abusive, la presenza di elementi chimici inquinanti, il materiale abusivo, lo scarico non consentito, è sufficiente richiamare quanto sopra illustrato nelle premesse in diritto.
14.5. Quanto alla doglianza con cui si lamenta la violazione dell'art. 10 della legge n.241 del 1990 in quanto nella specie non risulterebbe alcuna disamina delle deduzioni, anche scritte, fornite ripetutamente dalla Ca' Vico S.r.l. nelle sedute della C.T.R.A.E, basti rilevare che al contrario dalla documentazione in atti emerge come la posizione della ditta sia stata ripetutamente considerata nelle numerose sedute e negli accertamenti tecnici effettuati anche in loco.
Inoltre la motivazione degli atti impugnati e in particolare della revoca confuta nella sostanza le argomentazioni della Ca’ Vico, laddove non sussiste alcuna necessità di richiamarle espressamente.
In questa vicenda poi non sono certo mancati gli accertamenti tecnici e peritali.
14.6. Va poi analizzata la sesta censura di sviamento di potere, di ulteriore violazione dell'art. 31 della L.R. 44 del 1982, erroneità di presupposto, indeterminatezza e carenza di motivazione, nell’assunto che la Regione ipotizzerebbe un danno ambientale e un onere economico per il risanamento demandati, quanto alla quantificazione, alla Provincia di Padova per cui si tratterebbe di ipotesi sanzionatoria non prevista dal legislatore ex art. 31 e che non rientrerebbe nella competenza valutativa della Regione Veneto.
La doglianza appare inconferente, in quanto la Regione lungi dall’assumersi compiti che non le spettano, demanda proprio alla Provincia – competente a riguardo - il compito di valutare i presupposti per la valutazione e quantificazione del danno ambientale, il che forma oggetto di successivo ricorso.
Come più volte rilevato, una cosa è la ricomposizione ambientale ex articolo 33 della lr 44 del 1982, altra cosa è la revoca ex articolo 31 della medesima legge e infine ancora diverso è l’istituto del risarcimento del danno ambientale.
14.7. Quanto alla risarcibilità del danno, l’acclarata legittimità dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale rende superfluo l’esame della relativa doglianza.
14.8. Quanto ai motivi aggiunti al ricorso 3090/03 si rileva innanzi tutto che essi ripetono in sostanza le censure di cui al ricorso principale, per cui valgono le considerazioni sopra illustrate.
Vengono poi impugnati provvedimenti regionali che hanno mero rilievo endoprocedimentale, inserendosi nell'iter amministrativo conclusosi con l'adozione del decreto di revoca del Dirigente Regionale- Direzione Geologia e Attività Estrattive, n. 227/03.
Si tratta, più precisamente, del verbale di riunione tra Regione, Provincia e Comune del 1.02.2002, nonché del parere della C.T.R.A.E. del 16.01.2003, che rivestono carattere meramente istruttorio, e come tali sono inidonei ad incidere negativamente sulla sfera giuridica della ricorrente.
Tanto più che le censure proposte si riflettono sul decreto di revoca, che per sopravvenute ragioni di interesse pubblico "ha ritirato" non una delibera di autorizzazione alla coltivazione di cava, bensì un complesso progetto di ricomposizione ambientale finalizzato prioritariamente al recupero in senso naturalistico del bacino lacustre, attraverso una rimodellazione delle sponde e una riprofilatura delle scarpate, al fine di consentire l'accesso diretto all'acqua e la formazione di zone adatte all'instaurarsi della tipica vegetazione lacustre, nonché la creazione di insenature e promontori per l'articolazione del bacino.
14.9. Venendo al dettaglio, non sussiste la violazione degli articoli 23 e 28 della lr 1 del 1997 e degli articoli 31 e 43 della lr 44 del 1982, dedotta nel primo motivo aggiunto, in quanto come sopra osservato nell’esame del ricorso principale la competenza sulla base della lr 1 del 1997 spetta al dirigente.
La seconda censura dei motivi aggiunti relativa ad una presunta violazione dell’articolo 33 della lr 44 del 1982, dell’articolo 117 e dei principi di cui alla legge 349 del 1986, costituisce una reiterazione di questioni di fatto attinenti al caposaldo, alle curve altimetriche e in genere alla misurazioni delle escavazioni abusive già ripetutamente esaminate.
In conclusione, sia il ricorso 3090/03 sia i relativi motivi aggiunti risultano infondati.
*****
15.0. Con il ricorso 268/05 la Ca’ Vico chiede l’annullamento:
della deliberazione in data 22.11.2004, n. reg. 608, della Giunta provinciale di Padova, avente ad oggetto: "Cava denominata "Campagnalta" in Comune di S. Martino di Lupari, quantificazione del danno ambientale", pubblicata per 15 giorni a partire dal 26.11.2004 all'11.12.2004;
dei pareri di regolarità tecnica e contabile nonchè del visto del Segretario/Direttore Generale formulati in seno alla suddetta delibera;
della comunicazione prot. n. 128286 del 15.12.2004, a firma del Dirigente del Settore Ambiente "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, avente ad oggetto: "Cava Campagnalta". D.D. n. 227 del 15.10.2003 della Regione Veneto. Comunicazione d'avvio del procedimento ex art. 8 L. 241/90";
15.1. La prima censura concerne la violazione del titolo IV della L.r. n. 44 del 1982 e successive modificazioni ed integrazioni, della procedura e l’incompetenza.
Secondo la ditta ricorrente la l.r. 44 del 1982 e, segnatamente, il suo titolo IV, che esperite le funzioni di vigilanza, enuclea le sanzioni da applicare, non ipotizza il danno ambientale né tanto meno fissa i criteri di quantificazione dello stesso. Pertanto la procedura programmata dall'Amministrazione provinciale che si prefigge di quantificare e sanzionare un asserito danno ambientale risulterebbe priva di qualsiasi giuridico fondamento.
La censura non ha pregio.
Il potere sanzionatorio della Provincia, discende dalle violazioni contestate a Ca' Vico delle prescrizioni regionali contenute nella D.G.R. 5609/1994.
Quanto alla violazione dell'art. 33, L.R. 44/82, nella parte in cui attribuisce alla Provincia la potestà di reprimere le alterazioni ambientali, la ricorrente asserisce che la tutela del bene "ambiente" andrebbe devoluta in via esclusiva allo Stato.
Al contrario, anche dopo la riforma costituzionale del 2001, la "tutela dell'ambiente", più che una "materia" in senso stretto, rappresenta un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le regioni e non derogabili da queste; ma ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione, o di quella "residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale.
Peraltro, la materia del "governo del territorio", rientrante nella potestà legislativa concorrente ex art. 117, c. 3, Cost. comprende, in linea di principio, tutto ciò che attiene all'uso del territorio, compresa la localizzazione di impianti o attività.
A maggior ragione, la potestà di reprimere lo "scorretto" uso delle risorse in occasione dell'estrazione di cava va devoluta alla Regione, legittimata ad attribuire le relative competenze alla Provincia.
15.2. Con la seconda doglianza la ditta Ca’ Vico deduce l’incompetenza e la violazione dell'art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
Questo Collegio ritiene che i provvedimenti di quantificazione del danno ambientale, anche per la valenza discrezionale delle valutazioni sottese, rientrino nella sfera di competenza della Giunta provinciale, esulando dai compiti del funzionario dirigente ex art. 107 del D.lgs 267 del 2000.
15.3. La terza censura di violazione sotto altro profilo dell'art. 33 della L.r. n 44 del 1982, difetto di istruttoria, di erroneità di presupposto e carenza di motivazione, non fa altro che contestare la stessa sussistenza dell’abuso, e quindi i presupposti della revoca già esaminati nel ricorso 3090/03.
15.4. Circa la presunta violazione degli artt. 7 e seguenti della legge 241 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni (quarta censura) in quanto la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto precedere e non già seguire la delibera giuntale, si rileva che la ditta ha potuto partecipare compiutamente al procedimento, tanto più che la quantificazione del danno ambientale non era ancora completata.
Invero, la funzione primaria della comunicazione di avvio del procedimento consiste nell'apporto collaborativo del soggetto interessato; il quale, con le proprie delucidazioni e scritti difensivi può evidenziare alla P.A. il percorso che questa andrà ad intraprendere e le irritualità di quello che ha in animo di formalizzare. Ed è proprio quello che è avvenuto nel procedimento de quo nei confronti della Ca’ Vico.
15.5. Quanto alla quinta doglianza di sviamento, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, basti rilevare come la motivazione appare congrua e dettagliata, anche in quanto il provvedimento gravato con il ricorso 268/05 ha come antecedente logico la revoca dell’autorizzazione, oggetto del precedente gravame sub 3090/03.
15.6. Quanto al fatto che la quantificazione del danno ambientale sia rimessa a soggetti estranei all'Amministrazione cioè a consulenti esterni, si tratta di una scelta giustificata, in considerazione della complessità degli accertamenti e dei calcoli da effettuare. Né va confuso il danno ambientale con il ripristino, previsto dal secondo comma lett. C) dell'art. 15 della L.R. 44 del 1982.
15.7. Quanto alla sesta censura recante sviamento di potere, illogicità e carenza di istruttoria, oltre che a difetto di motivazione, con tale doglianza la ditta non fa altro che riprodurre le contestazioni sui singoli addebiti mossi alla Ca’ Vico e già più volte esaminati.
Lo stesso dicasi per la questione degli scavi riguardanti l'area fuori cava già di proprietà della Pollon s.r.l.
15.8. Un’ulteriore censura di incoerenza, insussistenza dei fatti, carenza di istruttoria e di motivazione riguarda i limi, ma anche su tale argomento si è già ampiamente discettato.
Del pari già confutata risulta la nona doglianza relativa alla presenza, nel fondo cava, di arsenico, di magnesio e alluminio in concentrazione superiore a quella consentita.
Stesso discorso con riferimento allo scarico nelle acque in assenza di autorizzazione.
Data l’infondatezza di tutte censure, non necessita pronunciarsi sulla risarcibilità del danno.
Conclusivamente il ricorso risulta infondato.
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16.0. La ditta ricorrente con il ricorso 2140 del 2006 agisce chiedendo il risarcimento danni nei confronti del Comune, dell’ex sindaco e di tre funzionati comunali.
Dopo aver riprodotto l’atto di citazione notificato il 3 gennaio 2002 nonché i quesiti posti al giudice ordinario, a seguito della declaratoria della carenza di giurisdizione, ripropone la causa in danni dianzi a questo TAR.
Infatti l'iniziativa giudiziaria è la riproposizione di quella già intrapresa avanti il Tribunale di Padova, sezione di Cittadella, con atto di citazione notificato il 5 gennaio 2002, e decisa con sentenza del 5 agosto 2006 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia.
16.1. Preliminarmente bisogna ricordare che quasi la totalità dei provvedimenti citati nel ricorso dai quali Cà Vico fa discendere la propria richiesta di risarcimento del danno sono stati impugnati con i ricorsi sopra esaminati e come visto risultati infondati.
Quanto alla domanda di risarcimento avanzata in relazione alle ordinanze n. 51 e 70 del 1999, si osserva che la ditta attrice impugnò l'ordinanza n.51 davanti al TAR Veneto (ricorso n.2139/99) ma ha poi rinunciato ai ricorsi nn.2139/99 e 256/00 e i con decreti decisori dell'8 marzo 2002 (rispettivamente n.997 e 998) í due ricorsi sono stati dichiarati estinti per rinuncia.
Quanto all’ordinanza n. 70 del 26 novembre 1999 recante l’ordine di demolizione di manufatti abusivi la Cà Vico ricorse al TAR e il relativo ricorso n.3068/99 è stato dichiarato estinto con decreto decisorio n. 2067 del 12 luglio 2001.
Conseguentemente il presente ricorso è inammissibile per la parte relativa al risarcimento dei danni derivanti dalle ordinanze n.51 e n. 70 del 1999.
Come ben noto una condanna al risarcimento del danno in sede di giudizio amministrativo presuppone che si accerti l'illegittimità dei provvedimenti impugnati e che gli stessi vengano annullati: nella specie peraltro i ricorsi contro le due ordinanza di cui si discute si sono estinti - a seguito di rinuncia ai ricorsi di Cà Vico - sicché è venuta meno la possibilità di conoscere l'illegittimità e di annullare i due atti di cui si discute e conseguentemente di dar corso alla richiesta risarcitoria.
16.2. La Cà Vico ha chiesto altresì al Tribunale di accertare l'illegittimità dei provvedimenti e dei comportamenti del Comune di San Martino di Lupari in relazione ai fatti successivi alle due ordinanze come esposti nei punti 1) 2) 3) 4) dell'atto di citazione trascritto nel corpo del ricorso, tra cui:
1. il sequestro preventivo degli impianti di lavorazione di inerti dell'8 ottobre 2001. Innanzitutto si tratta di un sequestro penale, sicché l’attività non è riferibile al Comune ma allo Stato, laddove il provvedimento non appare censurabile, in quanto il decreto provinciale n.544/dep/2000 del 23 marzo 2000, subordina l'attivazione dello scarico alla presentazione alla Provincia e all'ARPAV del certificato di regolare esecuzione delle opere mancante.
Inoltre la Cà Vico aveva violato sia la prescrizione data dalla Provincia di Padova di non attivare lo scarico sia l'ordinanza della Regione che sospendeva l'attività estrattiva.
La ricorrente ritiene poi illegittima da parte del Comune l'esecuzione di sopralluoghi nell'area di cava trattandosi di un ente "incompetente ad intervenire in ambito di cava dov'è competente solo la Regione"; su tale punto si rileva che ai sensi dell'art. 28 della L.R. n. 44 del 1982 "le funzioni di vigilanza sui lavori di ricerca e di coltivazione dei materiali di cava circa la loro abusività o difformità dalla presente legge, dal permesso di ricerca, dall'autorizzazione o dalla concessione spettano al Comune territorialmente interessato che le esegue di intesa con la Provincia e nel caso di inerzia con la Regione".
16.3. Sul provvedimento della Provincia di Padova 8.10.2001 con cui è stata sospesa l'autorizzazione allo scarico basta richiamare quanto esposto a proposito del ricorso n 2256/01.
Anche sulla mancata approvazione del piano di recupero, si rileva che – contrariamente a quanto assume la Ca’ Vico - non risulta alcun accordo tra la stessa e il Comune in base al quale il secondo si sarebbe impegnato a rilasciare un'autorizzazione di recupero ambientale in cambio dell'abbandono da parte della prima della causa intentata avanti al Tribunale di Padova e della rinuncia ai tre ricorsi pendenti avanti al TAR Venezia; un tale accordo se fosse mai stato concluso sarebbe efficace solo se rivestisse la forma scritta.
Il ricorso risulta in definitiva infondato.
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17.0. Va ora esaminato il ricorso 2295/06, con cui si chiede l’annullamento:
della determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di Reg. 2528, n. di prot. n. 106035, n. di rif. C14/92, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso estrattivo denominato «Campagnalta» (San Martino di Lupari/Padova). Quantificazione del danno ambientale";
dell'atto di comunicazione con lettera in data 17.8.2006;
della nota del Servizio Cave della Provincia di Padova datata 15.12.2004 (prot. n. 128286) di avvio del procedimento per la quantificazione del danno ambientale;
della Determinazione del Dirigente del Servizio "Cave" della Provincia di Padova, dott. Renato Ferroli, n. di reg. 2529, n. prot. n. 106038, n. di rif. C14/93, in data 11.8.2006, notificata il 17.8.2006, avente ad oggetto: "Complesso Estrattivo denominato «Campagnalta» in comune di San Martino di Lupari. Direttive e Tempi per la ricomposizione ambientale";
della nota 28.2.2005 prot. n. 21792 del Servizio Cave della Provincia di Padova non conosciuta;
della delibera della Giunta provinciale del 28.2.2002 (reg. 558);
della relazione redatta dall'arch. Andrea Sillani e dall'ing. Giuseppe Magro, acquisita dalla Provincia di Padova, Settore Ambiente "Cave", al prot. n. 0105412 in data 10.8.2006, avente ad oggetto: "Quantificazione del danno ambientale prodotto nel comprensorio estrattivo denominato «Campagnalta» nel Comune di San Martino di Lupari (PD) in seguito ad escavazioni illecite ed abbandono di rifiuti";
17.1. A parte l’illegittimità derivata da quella del decreto di revoca, impugnato con separato ricorso già esaminato, si deducono le seguenti censure:
quanto al provvedimento prot. 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale, la ditta deduce l’incompetenza e difetto di legittimazione.
Secondo la ditta ricorrente, l'Amministrazione provinciale, non avrebbe alcuna competenza in merito alla determinazione del danno ambientale, né sarebbe legittimata a far valere alcuna pretesa risarcitoria.
In particolare, l'art. 18 della legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, dispone che l'azione di risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, laddove la competenza degli enti territoriali e delle associazioni ambientalistiche assume un rilievo solo secondario.
La censura non ha pregio.
Invero la ditta ricorrente muove dall’erroneo convincimento che l’atto gravato sia una ingiunzione o una citazione in un giudizio di condanna; al contrario si tratta di atto endoprocedimeentale idoneo a individuare le misure più acconce per rimediare al danno ambientale.
Invero, nel caso la disciplina applicabile è la legge n. 349 del 1986, trattandosi di danni e fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del d. lgs 152 del 2006, per cui la legittimazione spetta anche all’ente territoriale.
17.2. Va ora esaminata la seconda censura relativa ad una presunta violazione dell'art. 11 delle preleggi e del principio dell’irretroattività, in quanto il risarcimento del danno ambientale è stato previsto, per la prima volta dal menzionato art. 18 della ripetuta legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente.
Sennonché, in caso di illecito extracontrattuale ogni danno causato è imputabile al responsabile; invero il danno ambientale era all’epoca tutelato ex art 2043 cc. La ditta Ca’ Vico, ancorché subentrata ad altra ditta, avrebbe dovuto comunque procedere alla ricomposizione ambientale e risponde in ogni caso dei danni anche ambientali provocati dalla sua negligente condotta.
17.3. La ditta eccepisce altresì, con la terza censura, la prescrizione, in quanto nella relazione tecnica dell'arch. Sillani e, quindi, nel provvedimento della Provincia che ad essa relazione si richiama, vengono assunte a base del calcolo del danno ambientale nove contestazioni relative a scavi abusivi ed una contestazione relativa allo sversamento nel lago di cava dei limi di lavaggio degli inerti. Secondo la Ca’ Vico, se si esclude una violazione che è stata contestata nell'anno 2002, tutte le altre risalgono ad almeno 5 anni e mezzo prima della notificazione del provvedimento che quantifica il danno ambientale, impugnato nella presente sede, da cui deriverebbe l’opponibilità della prescrizione.
L’assunto dela Ca’ Vico non si può condividere, in quanto nel caso specifico le conseguenze dannose della condotta antigiuridica hanno carattere permanente e anzi, data la loro natura di compromissione ambientale, si aggravano con il trascorrere del tempo.
17.4. Quanto alla doglianza relativa all’erronea interpretazione dell'art. 33 L.R. 44 del 1982 e dell'art. 18 della legge 349 del 1986. in quanto, ad avviso della ditta, non risulterebbe nella casistica giurisprudenziale che si sia mai ravvisato un danno ambientale in presenza di scavi abusivi, si rileva che l’assunto di parte ricorrente non può essere condiviso. Invero un danno all’ambiente inteso come res communis omnium può ben discendere anche da estrazioni non autorizzate e dalle plurime violazioni sopra evidenziate, tutte pericolose per la salute pubblica.
17.5. La ricorrente ditta deduce altresì un difetto ed illogicità della motivazione in quanto l'arch. Sillani, per dimostrare la sussistenza di un danno ambientale, tenterebbe di attribuire al sito in questione un particolare pregio, con una motivazione e con argomentazioni non convincenti.
Sulla questione basta osservare come il danno ambientale per sua natura può sussistere anche ove il sito non sia di particolare pregio paesaggistico, sulla base di noti parametri scientifici.
17.6. Circa la violazione dell'art. 10 della legge 241/1990 e difetto ed illogicità della motivazione sotto altro profilo, basti rilevare come la Provincia abbia valutato le osservazioni della Ca’ Vico smentendole anche con idonee perizie e come la ditta sia sempre rimasta coinvolta nella complessa procedura.
17.7. La Ca’ Vico deduce altresì l’insussistenza, sotto il profilo soggettivo, degli elementi costitutivi del danno ambientale, laddove l'art. 18 della legge n. 349 del 1986 richiede, ai fini della determinazione del danno ambientale, la sussistenza di un fatto doloso o colposo.
La doglianza risulta priva di giuridico pregio, posto che la responsabilità della ditta, che era obbligata alla ricomposizione ambientale e si era impegnata formalmente in tal senso, appare inequivoca.
17.8. Secondo la ditta ricorrente, anche ove si ritenessero infondate le contestazioni svolte nelle precedenti censure e si considerasse sussistente un danno ambientale, comunque sarebbe stato erroneamente calcolato, per eccesso, il quantum dovuto.
Questo Collegio ritiene invece che il danno sia stato calcolato con strumenti scientifici idonei, sulla base di tecniche avanzate utilizzate da esperti dotati di specifica e riconosciuta professionalità. Del resto la ditta contesta solo in modo generico i risultati cui sono pervenuti i tecnici incaricati di calcolare il danno ambientale.
17.9. Va ora esaminato il ricorso per motivi aggiunti al ricorso n. 2295/06.
Preliminarmente si rileva come vengono gravati atti endoprocedimentali.
In relazione al provvedimento 106035/2006 con cui è stato quantificato il danno ambientale, la ditta deduce l’incompetenza, il difetto di legittimazione e l’erronea interpretazione dell’articolo 33 della L.R. 44 del 1982 e dell’articolo 18 della legge 349/1986.
Il motivo in esame ricalca le censure già formulate in occasione del ricorso rivolto avverso il decreto provinciale che recepisce la quantificazione del danno ambientale dello studio Magro-Sillani, vista l'attribuzione di competenza contenuta nel provvedimento di revoca, n. 227/2003.
Invero, mentre il decreto di revoca soddisfa l'interesse pubblico alla cessazione del rapporto tra l’amministrazione concedente e la ditta titolare di cava, per l'inottemperanza al progetto di ricomposizione ambientale approvato con D.G.R. 5609/1994, la liquidazione del danno ambientale mira alla "riparazione" dei danni arrecati alla collettività nell'esercizio dell'attività imprenditoriale.
In questo senso, la L.R. 44 del 1982 demanda alla Provincia la potestà di sanzionare gli illeciti amministrativi ex art. 33, conseguenti anche alla violazione delle prescrizioni dettate in sede di autorizzazione alla coltivazione di cava o di ricomposizione ambientale.
Rimane comunque la possibilità per la Regione - in virtù del regime transitorio ex art. 43, L.R. n. 44 del 1982 - di ricorrere alla revoca ex art. 31, qualora il mutamento della situazione idrogeologica ed ambientale della zona di cava non possa trovare ristoro con la mera irrogazione delle sanzioni provinciali.
Ciò non toglie che le attività non corrispondenti alle limitazioni amministrative possano essere tali da ledere il bene "ambiente", quale res communis omnium, configurando la responsabilità extracontrattuale della ditta, con conseguente obbligo di risarcire il danno arrecato alla società.
Ad avviso di questo Collegio, nel caso in discussione, la prosecuzione dell'attività di scavo in violazione della D.G.R. 5609/1994, unitamente allo scarico di rifiuti non autorizzati nel sito di Campagnalta, configura gli estremi dell'illecito ex art. 2043 c.c. , produttivo di danni ambientali risacibili.
17.10. Occorre appena rammentare che la Corte Costituzionale, a partire dalla nota sentenza n. 641 del 17.12.1987, ha riconosciuto il carattere patrimoniale e civilistico della domanda di risarcimento del danno all'ambiente, rappresentato da qualsiasi peggioramento delle condizioni di equilibrio dei vari fattori che lo compongono.
17.11. Circa la presunta erronea quantificazione del danno, anche in tal caso il motivo aggiunto ripropone sotto altra forma doglianze già esaminate.
E’ sufficiente rammentare che il decreto 227/2003 revoca la D.G.R. 5609/1994, non solo perché il progetto di ricomposizione ambientale manifestava i vizi ripetutamente illustrati, ma altresì perché la stessa ditta non adempiva alle obbligazioni assunte nei confronti della Regione.
Una volta revocato il progetto di ricomposizione ambientale mai attuato, era legittimo demandare alla Provincia di Padova non solo la determinazione di ulteriori direttive per la ricomposizione ambientale, conseguente alle attività contestate a Ca' Vico ex art. 33, L.R. 44/82, ma altresì la quantificazione del danno ambientale "prodotto in connessione alle escavazioni non autorizzate, alla messa a dimora di rifiuti di vario genere, alla presenza sul fondale lacuale di limo contenente sostanze inquinanti ed alla precarietà della stabilità delle sponde, il cui onere economico di risanamento è da ritenersi comunque interamente a carico dei responsabili".
17.12. Sempre con i motivi aggiunti, si censura il provvedimento Prot. 164723 del 15.12.2006 del Dirigente del Servizio "Cave", di trasmissione del decreto prot. 106038 dell'11.08.2006
Quanto alla dedotta illogicità e contraddittorietà, se risulta esatto che il dirigente provinciale richiama la D.G.R 5609/1994, già revocata con il decreto dirigenziale n. 227/2003, tuttavia specifica poi che le direttive impartite con il provv. Prot. 106038 dell'11.08.2006 valgono come "integrazione alle previsioni di ricomposizione ambientale del progetto imposto, approvato con D.G.R. del 22 novembre 1994, n. 5609 ed hanno lo scopo di assicurare la riqualificazione ambientale del sito, garantire la sicurezza dei luoghi anche a tutela dei futuri fruitori dell'area di cava e secondo la destinazione prevista dai vigenti strumenti urbanistici".
In sostanza si richiamano le prescrizioni contenute nella D.G.R 5609/1994, con riferimento alla mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione delle quote negli elaborati e la collocazione del caposaldo, argomento questo ripetutamente sviscerato.
Quanto all'affermazione della ditta ricorrente, per cui le sarebbe stato impedito di procedere alla ricomposizione ambientale dalle stesse Amministrazioni, per averle inibito qualsiasi intervento, anche di semplice decespugliamento e pulizia dei luoghi, si rileva che all’opposto la sospensione cautelare di ogni attività era giustificata proprio dall'inottemperanza al progetto di ricomposizione ambientale.
Fino a quel momento la ricorrente, pur autorizzata, non aveva provveduto alla ricomposizione ambientale.
17.13. Circa l’affermazione della Ca' Vico, secondo cui i certificati ARPAV non attesterebbero alcun valore eccedente i limiti normativi, si rileva poi che i prelievi dal tubo veicolante le acque di lavaggio e dalla cisterna in acciaio hanno rilevato una percentuale di azoto ammoniacale e materiali in sospensione totale superiori alle prescrizioni in materia ambientale (nota ARPAV, prot. D/1159/ST. V74997/a2).
Lo stesso vale per l'elevata percentuale di arsenico attestata, tra l'altro, dalla "Indagine ambientale e determinazione dei valori di inquinamento sul terreno" del Dott. Avola, in base alla classificazione di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 47.
La questione dell’arsenico è stata invero ampiamente trattata sopra.
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18.0. Conclusivamente su tutti i ricorsi, va rilevato che la pubblica amministrazione nella fattispecie in esame abbia sottoposto ogni questione tecnica, dalla quantità di materiale estratto dalla cava, alla correlata questione del caposaldo, dalla tipologia delle sostanze inquinanti riscontrate alla situazione ambientale in genere, infine alla quantificazione stessa del danno ambientale, a successive dettagliate analisi e a pareri di esperti in materia, in modo che, nonostante l’evidente difficoltà di valutare l’accaduto a distanza di tempo e in una situazione di compromissione continua, le conclusioni appaiono confortate da sufficienti riscontri tecnici probatori, obiettivi e ragionevolmente convincenti.
18.1. Le tesi della ricorrente, ancorché brillantemente sostenute, appaiono talvolta contraddittorie tra di loro, come laddove si afferma che i limi sarebbero un sottoprodotto naturale dell’estrazione di ghiaia, e allo stesso tempo si sottolinea l’utilizzo di vasche di decantazione a tenuta stagna, ovvero dove si richiamano generiche asserzioni dell’ARPAV sulla presenza endemica di arsenico e nel contempo si dimenticano ben più dettagliate analisi della stessa ARPAV di segno contrario, ovvero dove ci si lamenta del mancato coinvolgimento della ditta in alcune fasi istruttorie trascurando la sua volontaria assenza, ovvero dove si contesta l’utilizzo di pareri di tecnici estranei alla PA e contestualmente si chiede l’acquisizione di consulenze tecniche d’ufficio.
18.2. La ditta ricorrente invero si sofferma ripetutamente su alcuni dettagli e su alcune analisi specifiche, omettendo di considerare l’insieme delle questioni e il quadro complessivo, valutato invece correttamente ed esaustivamente dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune nonché dagli organi tecnici incaricati, tra cui soprattutto l’ARPAV, nell’ambito delle rispettive competenze.
Si tratta di una tipica situazione in cui l’attenzione per il singolo albero non consente di vedere, come incisivamente scrisse un dì l’anglo bardo, l’intera foresta.
In altri termini, appare difficile contestare, alla luce della copiosa documentazione in atti, che la cava in questione sia divenuta fonte di un obiettivo scompenso ambientale, tale da richiedere non solo la revoca dell’autorizzazione originaria ma altresì le misure riparatorie, nonché quelle risarcitorie della collettività, compresa l’irrogazione della sanzione derivante dal danno ambientale.
18.3. Per le su indicate ragioni i ricorsi vanno tutti rigettati, laddove le spese dei vari giudizi fanno carico, secondo la regola usuale, alla ditta ricorrente e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in premessa, riunitili, li rigetta.
Condanna, per tutti e dieci i ricorsi, la ricorrente ditta Ca’ Vico alla rifusione delle spese ed onorari di giudizio a favore di tutte le parti resistenti, per un totale – esclusi gli oneri accessori nella misura di legge - di euro 85.000 (ottantacinque mila), di cui 3.000 (tre mila) a favore del commissario ad acta Giovanni Battista Pisani, 7.000 (sette mila) a favore dell’ARPAV, laddove la parte rimanente, pari ad euro 75.000, (settantacinque mila) va suddivisa in parti eguali tra la Regione, la Provincia e il Comune.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 15 novembre 2007.
Il Presidente estensore
Il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Seconda Sezione