Cass. Sez. III n. 40964 del 15 dicembre 2006 (cc. 11 ott. 2006)
Pres. Papa Est. Onorato Ric. D'Orta
Aria. Differenza tra l'abrogato art. 25 dpr 203-88 e art.267 D.Lv. 152-06

L’esercizio di un impianto senza richiesta di autorizzazione) configura un reato soltanto quando esista il presupposto previsto dalla legge, che si tratti cioè di un impianto capace di produrre emissioni nell'atmosfera. Mancando questo presupposto, le gestione dell'impianto non è soggetta alla richiesta di autorizzazione. Queste considerazioni diventano ancor più cogenti dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 3.4.2006 n. 152 poiché l'art. 267, comma 1, nel definire il campo di applicazione della nuova disciplina, precisa che essa "si applica agli impianti (..) ed alle attività che producono emissioni in atmosfera", e con ciò definisce in modo più rigoroso e restrittivo il presupposto del reato, che non è più la generica possibilità (come nella disciplina previgente), ma la concreta attività, di produzione delle emissioni da parte dell'impianto.

Svolgimento del processo

1 - Con decreto del 23 luglio 2005 il g.i.p. del tribunale di Napoli disponeva il sequestro preventivo di un impianto della s.p.a. D’Orta, nell’area industriale di Pozzuoli, utilizzato per la produzione di materiale derattizzante-disinfettante allo stato solido e liquido (più esattamente di tre tramogge e una pellettatrice, situate nell’area di miscelazione di derattizzanti allo stato solido, e di sette big-bags situati in un capannone e contenenti rifiuti speciali pericolosi ammontanti a circa 6 mc.), ravvisando il reato di cui all’art. 25 D.P.R. 203/1988, per esercizio non autorizzato di impianto con emissioni in atmosfera, e quello di cui all’art. 51 D.Lgs. 22/1997, per illecito stoccaggio [smaltimento] di rifiuti speciali pericolosi.

Su richiesta di riesame formulata nell’interesse di Aldo D’Orta, legale rappresentante della società, il tribunale napoletano, con ordinanza del 19 settembre 2005, confermava il sequestro soltanto per i big-bags contenenti i rifiuti, ordinando il dissequestro e la restituzione delle altre cose sequestrate.

Osservava al riguardo che:

- la diffusione di odori nauseabondi nell’area circostante, che aveva provocato la protesta e la segnalazione di privati, era dovuta alla rottura accidentale di una tanica di creolina;

- non era assolutamente risultato che nel corso del processo produttivo venissero emessi in atmosfera vapori, polveri o altre sostanze, posto che nel locale usato per le sostanze allo stato solido, dotato di un ventilatore ma non di aspiratori, venivano prodotte polveri che non erano aspirate all’esterno, e che nel locale destinato alla preparazione delle sostanze liquide la miscelazione avveniva all’interno di silos: sicché si poteva semmai ravvisare violazione delle norme precauzionali a tutela della salute dei lavoratori, ma non violazione del D.P.R. 203/1988;

- il pulviscolo contenuto nei citati big-bags costituiva rifiuto stoccato nel luogo di produzione in attesa di smaltimento; e non si poteva configurare al riguardo un deposito temporaneo lecito ai sensi dell’art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/1997, mancando del requisito temporale richiesto dalla norma, dal momento che l’ultimo smaltimento regolarmente accertato risaliva al 2001;

- mancava però la prova che si trattasse di rifiuti pericolosi, giacché la relazione dei carabinieri intervenuti non precisava la composizione chimica della sostanza;

- in conclusione, non sussisteva neppure il fumus della ipotizzata contravvenzione di cui all’art. 25 D.P.R. 203/1988, mentre ricorreva l’astratta configurabilità dello smaltimento non autorizzato dì rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 51, comma 1, lett. a) D.Lgs. 22/1997, con la conseguenza che poteva mantenersi il sequestro solo degli involucri contenenti i rifiuti.

2 - Il procuratore della Repubblica presso il tribunale ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per violazione degli artt. 321 c.p.p. in relazione ai succitati art. 25 D.P.R 203/1988 e art. 51 D.Lgs. 22/1997.

In breve, sulla scia di alcune sentenze di questa corte che hanno argomentato sulla natura di reato (permanente) di condotta e non di danno della contravvenzione di cui al più volte nominato art. 25, sostiene che il fumus di tale contravvenzione prescindeva dalla effettiva produzione dell’inquinamento, sicché doveva ritenersi sussistente perché - indipendentemente dalle concrete emissioni - risultava chiaramente dalla relazione della p.g. che l’impianto de qua era atto a produrre emissioni nell’atmosfera.

Aggiunge inoltre che gli impianti dissequestrati (tramogge, pellettarice, etc.) erano comunque strumentali al reato di stoccaggio abusivo dì rifiuti, e pertanto dovevano essere mantenuti sotto sequestro per impedire la protrazione e l’aggravamento di quest’ultimo reato.

 

Motivi della decisione

3 - Il ricorso è infondato e va respinto.

La disciplina del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, e in particolare quella sanzionatoria dettata dall’art. 25, si applica soltanto agli “impianti che possono dar luogo ad emissione nell’atmosfera” (v. art. 1, comma 2, lett. a)).

Al riguardo, il tribunale del riesame ha escluso che l’impianto della società D’Orta potesse dar luogo a emissioni nell’atmosfera, giacché le polveri prodotte durante il ciclo industriale non erano aspirate all’esterno (mancando gli aspiratori) e rimanevano comunque all’interno dello stabilimento. E’ questa una congrua motivazione in fatto, che al sensi dell’art. 325, comma 1, c.p.p. non può essere impugnata per cassazione se non per violazione di legge.

Nel caso di specie, però, la motivazione è perfettamente rispettosa della legge, non essendo affatto intaccata dalla natura giuridica del reato contravvenzionale previsto dal citato art. 25 - come invece ritiene erroneamente il pubblico ministero ricorrente. E’ pacifico che questo reato, consistente nell’esercizio di un impianto capace di emissioni nell’atmosfera senza aver preventivamente presentato domanda di autorizzazione, sia reato di mera condotta, o anche di pericolo, perché prescinde dalla concreta produzione di un danno da inquinamento atmosferico e addirittura dal concreto evento di una immissione nell’atmosfera che resti al di sotto della soglia di accettabilità.

E’ tuttavia altrettanto evidente che la condotta (esercizio di un impianto senza richiesta di autorizzazione) è incriminata soltanto quando esista il presupposto previsto dalla legge, che si tratti cioè di un impianto capace dì produrre emissioni nell’atmosfera. Mancando questo presupposto, le gestione dell’impianto non è soggetta alla richiesta di autorizzazione.

Queste considerazioni diventano ancor più cogenti dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (norme in materia ambientale), che con l’art. 280 ha abrogato il D.P.R. 203/1988, riordinando, coordinando e integrando la disciplina abrogata in una nuova normativa contenuta nella Parte Quinta (norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera).

Invero, l’art. 267, comma 1, nel definire il campo di applicazione della nuova disciplina, precisa che essa “si applica agli impianti (..) ed alle attività che producono emissioni in atmosfera”, e con ciò definisce in modo più rigoroso e restrittivo il presupposto del reato, che non è più la generica possibilità (come nella disciplina previgente), ma la concreta attività, di produzione delle emissioni da parte dell’impianto.

4 - Quanto al secondo profilo del ricorso, non può sostenersi che i macchinari dissequestrati (tramogge, pellettatrice) fossero invece da sequestrare perché strumentali al reato di abusivo deposito preliminare di rifiuti (polveri prodotte).

Infatti, il presupposto del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p. è un rapporto di pertinenzialità tra la cosa sequestranda e il reato, tale che la libera disponibilità delle cosa possa favorire la reiterazione del reato stesso. Orbene, questa pertinenzialità deve essere intesa come strumentalità essenziale (non occasionale) e specifica (non meramente generica) rispetto al reato contestato, nel senso che si può sequestrare solo la cosa che costituisce il mezzo per realizzare la condotta tipica del reato.

Nel caso di specie, i macchinari usati per la produzione di materiale derattizzante e disinfettante producevano anche rifiuti (sotto forma di polveri), ma non erano lo strumento essenziale e specifico per commettere il reato di stoccaggio abusivo dei rifiuti stessi. In altri termini, il rapporto di strumentalità tra quei macchinari e lo stoccaggio abusivo era interrotto dalla specifica condotta criminosa del produttore che manteneva in deposito le polveri oltre i limiti temporali di cui alla lettera m) dell’art. 6 D.Lgs. 22/1997 (ora lett. m) dell’art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152), sicché strumenti essenziali e specifici del reato restavano solo quelli utilizzati per il deposito. Insomma, se si può dire che quei macchinari producevano (anche) rifiuti, non si può sostenere che erano anche un mezzo per realizzare la tipica condotta criminosa, consistente nel deposito preliminare non autorizzato dei rifiuti stessi in attesa di smaltimento.