Cass. Sez. III n. 35135 del 10 settembre 2009 (Ud. 18 giu 2009)
Pres. Onorato Est. Lombardi Ric. Andreoli ed altri
Aria. Trasferimento impianto

Effettivamente l’autorizzazione al trasferimento dell’impianto, la cui carenza era sanzionata, dall’art. 25, comma 6, del DPR n. 203/88, deve essere riferita all’ipotesi di impianti già muniti di autorizzazione, palesandosi irrazionale la prescrizione del mero ottenimento dell’autorizzazione al trasferimento in relazione ad impianti che vengono utilizzati illecitamente e continuerebbero ad essere utilizzati senza l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Deve essere, però, anche osservato che il trasferimento dell’impianto in un luogo diverso determina un’interruzione della permanenza nella commissione del reato, sicché l’esercizio dell’impianto, dopo il trasferimento, si configura quale nuova commissione dell’attività illecita, sia pure legata dal vincolo della continuazione con quella interrotta dal trasferimento dell’impianto.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Sondrio ha affermato la colpevolezza di Andreoli Luciano Giacomo e Bassi Maria Teresa in ordine ai reati: A) di cui agli art. 110, 81, comma 1, c.p. e
25, comma 2, del DPR n. 203/88; B) di cui agli art. 110, 81, comma 1, c.p. e 25, comma 6, del DPR
n. 203/88; C) di cui agli art. 110, 81, comma 1, e 674 c.p.; D) di cui agli art. 110, 81, comma 1, 279, comma 1 prima parte, e 269, commi 1 e 8, del D.Lgs. n. 152/06; F) di cui agli art. 110, 81, comma 1, e 674 c.p., loro ascritti perché, quali contitolari della ditta “Falegnameria Andreoli S.n.c. di Andreoli Luciano & C.”, omettevano di provvedere ai rilievi analitici delle emissioni in atmosfera prodotte dagli impianti, al fine di ottenere l’autorizzazione definitiva come prescritto dalla D.G.R. 6/41406 (capo A); avevano trasferito gli impianti dalla sede di via F.lli Lazzaroni in Teglio in via Ai Dossi del medesimo Comune senza la prescritta autorizzazione (capo B); producevano emissioni in atmosfera, esercitando il predetto laboratorio di falegnameria, senza la prescritta autorizzazione (capo D); provocavano emissioni di gas, vapori e fumo atti ad offendere le persone al di fuori dei casi consentiti dalla legge (capi C ed F).
Per quanto interessa ai fini del giudizio di legittimità, la sentenza ha accertato in punto di fatto che l’esercizio di falegnameria, di cui sono titolari gli imputati, ha conseguito l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera solo in data 23.1.2006 e che dai risultati delle analisi effettuate in epoca successiva all’ottenimento dell’autorizzazione era emerso che le emissioni provenienti dagli impianti rispettavano i valori limite stabiliti dalla normativa di settore.
Sulla base di tali risultanze e delle prove testimoniali acquisite in dibattimento sono stati ritenuti sussistenti i reati di cui all’affermazione di colpevolezza.
In particolare, con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 674 c.p., si è osservato in sentenza che per il periodo antecedente l’ottenimento dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera non trovano applicazione i parametri legislativi in materia di valori limite, bensì il criterio della stretta tollerabilità; che dalle deposizioni delle parti lese e di altri testi era emerso che le emissioni di fumi e odori provenienti dalla falegnameria erano tali da recare disturbo e molestia alle persone.
La sentenza ha altresì affermato la colpevolezza della Bassi in considerazione della natura giuridica della società titolare dell’esercizio dì falegnameria e ritenuto irrilevante l’asserito esercizio di fatto di mansioni diverse da parte della predetta imputata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.

Motivi della decisione
Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti, con riferimento al reato di cui al capo A), denunciano violazione ed errata applicazione di legge.
Si osserva che, essendo l’esercizio di falegnameria preesistente all’entrata in vigore del DPR n. 203/88, il termine ultimo per la effettuazione delle analisi, ai fini del rilascio della autorizzazione per le emissioni in atmosfera, era quello del 31 dicembre 2000, secondo quanto stabilito dal DGR della Regione Lombardia del 24 marzo 2000 n. 6/49233; che, pertanto, in tale data risultava essere stato commesso il reato di cui al capo A), con la conseguenza che la prescrizione di detto reato risultava essersi verificata il 31.6.2005.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia violazione ed errata applicazione di legge con riferimento al reato di cui al capo B).
Si deduce che, venendo esercitata l’attività di falegnameria senza la prescritta autorizzazione per le emissioni in atmosfera, il trasferimento della stessa in un luogo diverso non integra un’autonoma ipotesi di reato rispetto a quello dell’esercizio dell’impianto senza autorizzazione; che, peraltro, detto reato, essendo stato commesso nel corso dell’armo 2003, doveva ritenersi prescritto quanto meno nel mese di giugno 2008.
Con riferimento ai capi C) ed F) si denuncia, invece, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduce, in estrema sintesi, che l’affermazione di colpevolezza degli imputati per il reato di cui all’art. 674 c.p. è esclusivamente fondata sulle dichiarazioni delle parti lese, senza che le stesse siano corroborate da riscontri esterni; che il giudice di merito ha ingiustificatamente svalutato le risultanze probatorie che avevano escluso l’esistenza di emissione moleste, tra le quali le deposizioni di persone particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL , oltre a quelle di altri testi estranei all’esercizio di falegnameria; che, peraltro, le successive analisi avevano consentito di accertare che le emissioni provenienti dall’impianto erano al di sotto dei limiti di legge e, malgrado tale accertamento, una delle parti lese ed un altro teste avevano dichiarato che le emissioni moleste continuavano.
Con altro mezzo di annullamento si denuncia violazione ed errata applicazione di legge in relazione al capo D).
Si osserva che la commissione del reato di emissioni in atmosfera senza la prescritta autorizzazione è cessata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/06, la cui violazione è stata erroneamente contestata agli imputati; che in applicazione del previgente art. 25 del DPR n. 203/88 la presentazione della domanda di autorizzazione, secondo il consolidato indirizzo interpretativo formatosi sul punto, determina la cessazione della permanenza del reato.
Si deduce, quindi, che la domanda di autorizzazione con la relativa documentazione tecnica è pervenuta alla Regione Lombardia in data 2.2.2005 e che da tale data, pertanto, decorre il termine di prescrizione del reato.
Con l’ultimo mezzo di annullamento si deduce, infine, con riferimento alla affermazione di colpevolezza della Bassi, che dalla visura della società presso la CC.II.AA. emerge che le parti avevano espressamente attribuito la gestione ed amministrazione della società unicamente all’Andreoli, il quale si era assunto tutte le relative responsabilità, mentre la firma della Bassi era necessaria solo per acquistare o vendere immobili o aziende e per altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sicché detta imputata non poteva essere ritenuta penalmente responsabile per i reati connessi alla gestione ordinaria della falegnameria.
Il ricorso non è fondato.
Osserva in primo luogo la Corte che tuttora non si è verificata la prescrizione del reato di cui al capo A).
La scadenza del termine per provvedere alla trasmissione alla Regione dei rilievi analitici delle emissioni in atmosfera prodotte dagli impianti di falegnameria gestiti dagli imputati è elemento costitutivo del reato, che, però, non può essere qualificato come istantaneo, bensì permanente, analogamente a quanto già affermato da questa Suprema Corte con riferimento alla fattispecie della gestione di un impianto senza avere presentato nei termini la domanda di autorizzazione (cfr. sez. III, 12.2.2004 n. 24189, Armenio, RV 228879; sez. III, 24.9.2004 n. 44249, P.M. in proc. Cascina, RV 230468; sez. III, 12.12.1995 n. 12220, P.G. in proc. Candeloro ed altre conformi).
É evidente, infatti, da un lato che permane, fino all’adempimento, la situazione illecita connessa alla mancata ottemperanza alla richiesta di analisi da parte della Regione e, dall’altro, l’interesse dell’Ente di controllo, preposto al rilascio delle autorizzazioni, all’ottenimento dei dati richiesti anche dopo la scadenza del termine.
Anche per il reato di cui al capo A), così come per quello di cui al capo D), afferente all’esercizio dell’impianto senza la prescritta autorizzazione, la commissione della violazione si è protratta fino alla presentazione da parte degli imputati della domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, corredata delle analisi richieste, che si afferma essere avvenuta in data 2.2.2005, con la conseguenza che, con decorrenza dalla stessa, tuttora non è maturato il termine di prescrizione di cui agli artt. 157, primo comma n. 5), c.p., nella formulazione previgente, più favorevole per gli imputati in materia contravvenzionale, e 160 c.p..
Peraltro, va anche osservato che, avendo il giudice di merito ritenuto i reati legati dal vincolo della continuazione, la prescrizione ha iniziato a decorrere per tutti i reati dalla data in cui è cessata la commissione dell’ultimo, in applicazione dell’art. 158, comma primo, c.p., nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dalla L. 5.12.2005 n. 251, che per le già esposte ragioni non trovano applicazione in materia contravvenzionale.
Anche le censure relative al reato di cui al capo B) sono infondate per le ragioni che di seguito vengono precisate.
Effettivamente l’autorizzazione al trasferimento dell’impianto, la cui carenza era sanzionata, all’epoca dei fatti, dall’art. 25, comma 6, del DPR n. 203/88, deve essere riferita all’ipotesi di impianti già muniti di autorizzazione, palesandosi irrazionale la prescrizione del mero ottenimento dell’autorizzazione al trasferimento in relazione ad impianti che vengono utilizzati illecitamente e continuerebbero ad essere utilizzati senza l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
Deve essere, però, anche osservato che il trasferimento dell’impianto in un luogo diverso determina un’interruzione della permanenza nella commissione del reato, sicché l’esercizio dell’impianto, dopo il trasferimento, si configura quale nuova commissione dell’attività illecita, ai sensi dell’art. 25, comma primo, del DPR n. 203/88, sia pure legata dal vincolo della continuazione con quella interrotta dal trasferimento dell’impianto.
Anche per l’imputazione di cui al capo B), sia pure diversamente qualificata, deve, pertanto, ritenersi sussistente la violazione del DPR n. 203/88, nei sensi precisati, con la conseguente correttezza giuridica dell’aumento di pena per la continuazione applicato con riferimento a detto reato.
Si è già rilevato, riguardo alle censure dei ricorrenti in ordine al reato di cui al capo D), che, pur facendosi decorrere il termine della prescrizione dalla data di presentazione della domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, essendo cessata in tale data la permanenza della violazione di cui all’art. 25, comma primo, del DPR n. 203/88 (cfr. sez. III, 200218198, Pinori, RV 221954 e giurisprudenza precedente), tuttora non si è verificata la prescrizione dei reati.
Sono altresì infondate le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’affermazione di colpevolezza per le due ipotesi di reato di cui all’art. 674 c.p. (capi C) ed F).
Va precisato in punto di diritto che l’affermazione di colpevolezza per tali fattispecie non contrasta con il recente, ma ormai sufficientemente consolidato, indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo il quale l’emissione di gas, vapori o fumi atti a molestare le persone non configura il reato di cui all’art. 674, parte seconda, c.p. nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi speciali in materia di inquinamento. (sez. III, 200608299, P.M. in proc. Tortora ed altri, RV 233562; sez. III, 200509503, Montinaro, RV 230982; sez. III, 200209757, P.M. in proc. Pannone, RV 2280109 e giurisprudenza successiva conforme).
L’affermazione di colpevolezza degli imputati per detti reati, invero, è esclusivamente riferita dalla sentenza impugnata al periodo antecedente il rilascio dell’autorizzazione alle emissione in atmosfera, periodo per il quale, peraltro, non risultavano essere stati eseguiti controlli della entità delle emissioni.
Ciò precisato in punto di diritto, osserva la Corte che l’accertamento delle emissioni di fumi, polveri e odori provenienti dagli impianti della segheria e la loro idoneità a recare molestie alle persone ha formato oggetto di una motivazione assolutamente esaustiva ed immune da vizi logici, che ha riguardato tutte le risultanze processuali.
É appena il caso di osservare sul punto che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, le deposizioni delle parti lese possono essere poste di per sé sole a fondamento della affermazione di colpevolezza senza la necessità di riscontri.
La sentenza, peraltro, cita anche testi diversi dalle persone costituitesi parte civile, né è possibile in sede di legittimità il riesame delle risultanze probatorie per inferire dalle stesse un accertamento diverso da quello ritenuto dal giudice di merito sulla base di argomentazioni logiche.
É, infine, inammissibile la censura afferente alla affermazione di colpevolezza della Bassi.
La contestazione dei ricorrenti, infatti, è fondata su dati documentali che non risultano essere stati prodotti dinanzi al giudice di merito.
Peraltro, l’affermazione della colpevolezza della predetta imputata ha formato oggetto di una motivazione assolutamente corretta in punto di diritto mediante il riferimento alla natura giuridica della società di persone, titolare dell’esercizio di falegnameria, nella quale compete a tutti i soci provvedere alla amministrazione dell’azienda, mentre a nulla rileva la suddivisione di fatto di incombenze diverse tra gli stessi.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.