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Emissioni nell’atmosfera e modifica di impianto senza autorizzazione: natura istantanea o permanente del reato di cui all’art. 25, comma 6, d.p.r. n. 203 del 1988

di Alfredo MONTAGNA (Corte di cassazione)

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L’esame di una recente decisione della corte di cassazione ripropone la necessità di puntualizzare la natura del reato di esecuzione senza autorizzazione di modifiche sostanziali di un impianto con emissioni nell’atmosfera o trasferimento dello stesso in altra località, previsto dal combinato disposto degli art. 15 e 25, comma 6, del d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203.

Infatti la terza Sezione, nella pubblica udienza del 28 dicembre 2005, e depositata il 9 febbraio 2006, n. 4326, F. ha affermato che “il reato di cui agli artt. 15 e 25, comma 6, d.p.r. n. 203 del 1988 ha natura di reato permanente, per il quale la consumazione si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio della autorizzazione”

Preliminare vanno richiamate da un lato le considerazioni generali in tema di inquinamento atmosferico inteso come ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell'ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”, con una concezione ispirata al controllo anche delle semplici modificazioni o alterazioni del normale stato fisico naturale dell’aria[1], dall’altro le specifiche disposizioni dalla cui analisi occorre muoversi.

Secondo l’art. 15Sono sottoposte a preventiva autorizzazione: a) la modifica sostanziale dell’impianto che comporti variazioni qualitative e/o quantitative delle emissioni inquinanti; b) il trasferimento dell’impianto in altra località”. Comportamenti sanzionati dal successivo art. 25, comma 6, che prevede che “Chi esegue la modifica o il trasferimento dell’impianto senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 13 (recte 15) è punito, nel primo caso, con l’arresto sino a sei mesi o con l’ammenda sino a euro 1.032, e, nel secondo, con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da euro 258 a euro 1.032” (la sanzione in caso di trasferimento è identica quella prevista nel comma 1 dello stesso articolo 25 per il caso di prosecuzione di impianto esistente senza la presentazione della domanda di autorizzazione).

La valutazione della fattispecie in esame non può poi prescindere da quanto previsto in via generale dall’art. 24, comma 1, dello stesso d.p.r., che detta come “Chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza l’autorizzazione, ovvero ne continua l’esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l’ordine di chiusura dell’impianto, è punito con la pena dell’arresto da due mesi a due anni e dell’ammenda da euro 258 a euro 1.032” (in coerenza con l’obbligo introdotto dall’art. 6, per il quale “per la costruzione di un nuovo impianto deve essere presentata domanda di autorizzazione alla regione o alla provincia autonoma competente, corredata dal progetto nel quale sono comunque indicati il ciclo produttivo, le tecnologie adottate per prevenire l’inquinamento, la quantità e la qualità delle emissioni nonché il termine per la messa a regime degli impianti”).

A fronte di tale quadro normativo la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto con un primo orientamento che il reato in esame avesse natura istantanea anche se con effetti eventualmente permanenti, in caso di utilizzazione dell’impianto modificato o spostato, e per il quale la consumazione coinciderebbe con la data di realizzazione delle modifiche (o dello spostamento), in questo senso Cass. Sez. III 15 marzo 2000, dep. 4 maggio 2000, n. 5207, M., in Ced Cass. 216068. Su questa stessa linea Cass. Sez. III 21 febbraio 2001, dep. 6 aprile 2001, n. 13992, U., ivi, 218775, ha ulteriormente qualificato il reato come a condotta mista (omissivo-commissiva) i cui effetti permanenti, consistenti nella mancata conoscenza delle caratteristiche dell'impianto e/o della relativa sua ubicazione (cd. informazione ambientale) da parte dell'autorità amministrativa, cesserebbero o per ottemperanza tardiva dell'agente oppure per la conoscenza che l'amministrazione ne abbia comunque avuto.

Diversamente già in precedenza si era pronunciata per la natura permanente del reato Cass. Sez. III 18 novembre 1997, dep. 18 dicembre 1997, n. 11836, P., ivi, 209339, per la quale la modifica dell’impianto costituisce soltanto il momento iniziale della consumazione che si protrarrebbe sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio dell’autorizzazione (o in alternativa con la desistenza dal comportamento mediante il ripristino della situazione precedente). Una interpretazione condivisa successivamente da Cass. Sez. III 27 marzo 2002, dep. 14 maggio 2002, n. 18198, P, ivi, 221955, e più di recente da Cass. Sez. III 12 febbraio 2004, dep. 18 marzo 2004 , n. 13204, M., ivi, 22757.

La decisione assunta sul finire dello scorso anno dalla corte di legittimità sollecita ad una riflessione sistematica che parte dalla comparazione dell’ipotesi di costruzione di nuovo impianto (senza autorizzazione) con quella di trasferimento dell’impianto (senza autorizzazione), sino a quella di modifica (senza autorizzazione) per le quali è prevista una graduazione sanzionatoria discendente sostenuta da adeguata coerenza logica (arresto da due mesi a due anni e ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel primo caso, arresto sino a due anni o ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel secondo caso, arresto sino a sei mesi o ammenda sino a euro 1.032 nella terza ipotesi).

La modifica sostanziale, ed ancor più il trasferimento, dell’impianto si pongono nella medesima logica di tutela, in quanto le tre previsioni sono tutte finalizzate alla tutela della qualità dell'aria e l'autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l'adozione di appropriate misure di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, sicché appare corretto ritenere che il reato permanga finché il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.

Peraltro la questione, che in qualche modo presenta punti di contatto con quelle ulteriori sulla natura delle fattispecie previste dai commi 2 e 3 dell’art. 24 (attivazione di nuovo impianto in difetto di comunicazione preventiva nel termine prescritto e omessa comunicazione, sempre entro il termine prescritto, dei dati relativi alle emissioni)[2], pur nella condivisione della natura permanente del reato in esame, si mostra ampiamente meritevole di un intervento delle Sezioni Unite, per le evidenti conseguenze che il permanere del contrasto comporta in tema di computo dei termini di prescrizione del reato.

Roma 5 marzo 2006

Alfredo Montagna



[1] Per una più approfondita disamina della ratio del d.p.r. 203 si veda A. Montagna, Inquinamento atmosferico e d.p.r. 203 del 1988, ambito di applicabilità, in Questa Rivista, 2006, 2, xx;

[2] Anche in relazione a tali due fattispecie sussistono discrasie nella giurisprudenza della terza sezione, essendosene da un lato affermata la natura permanente da Cass. sez. III 29 novembre 1994, dep. 21 dicembre 1994 n. 12710, D’Alessandro, in Ced Cass. 200951 poiché la comunicazione di messa in esercizio dell'impianto (come le ulteriori richieste comunicazioni dei dati relativi alle emissioni effettuate) viene collegata temporalmente all'esperimento dell'accertamento previsto dall'art. 8, ultimo comma, stesso d.P.R. n. 203 del 1988, così che si ritiene che il reato permanga finché il protrarsi dell'omissione impedisce tale accertamento, mentre dall’altro Cass. Sez. III 23 marzo 2005, dep. 13 maggio 2005 n. 17840, Salerno, ivi, 231647, ne ha escluso la natura di reato permanente sul rilievo che il termine di quindici giorni previsto per la comunicazione deve precedere l'attivazione dell'impianto e non è previsto un adempimento postumo che porrebbe fine alla permanenza del reato.