Cass. Sez. III n. 45072 del 4 dicembre 2008 (Ud 24 ott. 2008)
Pres. Lupo Est. Amoresano Ric. Lavanco ed altro
Beni Ambientali. Demolizione e ricostruzione in zona vincolata

Anche i lavori di demolizione e ricostruzione di un immobile in zona sottoposta a vincolo, sia pure nel rispetto della predente volumetria e destinazione d\'uso, richiedono l\'autorizzazione dell\'amministrazione preposta alla tutela del vincolo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 24/10/2008
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 02168
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 021726/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) LAVANCO FRANCESCO, N. IL 02/06/1970;
2) LO VERDE GIOVANNA, N. IL 07/03/1921;
avverso SENTENZA del 31/01/2008 CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMORESANO SILVIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l\'annullamento senza rinvio limitatamente ai capi d) ed e) per prescrizione.
Udito il difensore Avv. LUPO Franco, che ha concluso per l\'annullamento della sentenza impugnata.
OSSERVA
1) Con sentenza del 31.1.2008 la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica, con la quale Lavanco Francesco e Lo Verde Giovanna, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, erano stati condannati alla pena di mesi 3 di arresto ed Euro 12.000,00, di ammenda per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (capo a), D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163, (capo b), D.P.R. n. 380 del 2001 artt. 64, 65, 71 e 72 (capo c), artt. 83, 93, 94 e 95 (capo d), art. 734 c.p. (capo e), unificati sotto il vincolo della continuazione, per aver realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in località "Purati" di Caltavaturo, un fabbricato di mt. 12,10 X 11,50 X 2,75 circa, in assenza di permesso di costruire, di autorizzazione ambientale ed in violazione della normativa antisismica e sul cemento armato. Dopo aver ricordato che in data 16.4.2003 era stata avanzata istanza di concessione per la demolizione di un fabbricato di mq. 60 con la ricostruzione di un manufatto di mq. 90, che nel frattempo era intervenuto sull\'area un vincolo di inedificabilità assoluta e che quindi l\'istanza di ricostruzione era stata respinta, che il 13.6.2005 era intervenuto il sequestro del manufatto realizzato e che infine nell\'ottobre 2005 il Lavanco aveva presentato istanza di sanatoria, riteneva la Corte la infondatezza dell\'impugnazione sotto ogni profilo. In particolare non poteva ritenersi che il fabbricato fosse stato realizzato in virtù del silenzio - assenso da parte dell\'amministrazione in relazione alla richiesta di rilascio di concessione, dal momento che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 9, fa riferimento solo al silenzio - rigetto. Nè era sostenibile una pretesa buona fede che si risolverebbe in un inammissibile errore di diritto. Peraltro dagli atti emergeva che l\'opera era stata realizzata di recente, tanto che al momento del sopralluogo del 13.6.2005 risultavano soltanto il basamento ed i muri perimetrali. Infine l\'intervento abbisognava certamente di permesso di costruire, giacché era stato realizzato un organismo edilizio ben più ampio di quello preesistente demolito.
Quanto alla Lo Verde il suo concorso nel reato derivava dal fatto, che, in qualità di usufruttuario, aveva ben più interesse del nudo proprietario alla costruzione del manufatto.
2) Propongono, con separati atti, ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, Lavanco Francesco e Lo Verde Giovanna.
Dopo aver riassunto la vicenda anche processuale, denunciano la violazione e falsa applicazione della L.R. Siciliana 31 maggio 1994, n. 17, art. 2, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 9.
La Corte territoriale, nel ritenere che non si è formato il silenzio - assenso, non ha considerato che il procedimento per il rilascio di concessione edilizia è regolato dalla L.R. n. 17 del 1994, art. 2, che prevede un meccanismo di formazione del silenzio-assenso (comma 5), sostanzialmente ispirato alla c.d. Legge Nicolazzi. La L. cit. art. 2, commi 6 e 7, prevede poi che, una volta intervenuto il silenzio assenso (decorsi 120 giorni dalla presentazione dell\'istanza), possano essere iniziati i lavori. Erroneamente quindi la Corte di merito ha fatto riferimento alla norma statale e non a quella regionale.
Denunciano, ancora, la violazione e falsa applicazione della L.R. Sicilia n. 71 del 1978, art. 20, come modif. dalla L.R. n. 2 del 2002, in relazione alla L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 6 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, nonché vizio di motivazione.
Nella zona, secondo le previsioni urbanistiche vigenti, non vi era nessun divieto per gli interventi edilizi minori, come quelli di restauro, risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia (tra cui va compreso l\'intervento eseguito dal Lavanco di ripristino e rinnovo degli elementi costitutivi dell\'edificio). E per tali interventi non è necessario permesso di costruire, ne\' autorizzazione della Soprintendenza.
La Corte territoriale erroneamente ha ritenuto che sia stato realizzato un organismo edilizio diverso da quello preesistente demolito: ha omesso di considerare infatti che il progetto, assentito per silentium, prevedeva la realizzazione di un pergolato (o tettoia scoperta) di mq. 45 in prosecuzione del vecchio edificio da risanare di mq. 94.
Denunciano, infine, la violazione e falsa applicazione dell\'art. 5 c.p., e dei principi dell\'ordinamento in relazione all\'esimente della buona fede, essendo la pretesa inedificabilità, comminata dall\'art. 53 delle NA del P.R.G. di Caltavuturo, intervenuta dopo che i lavori erano già iniziati nella convinzione che si fosse formato il silenzio assenso.
La Lo Verde denuncia, inoltre, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29 del T.U., già della L. n. 47 del 1985, art. 6, con riferimento all\'art. 606 c.p.p., lett. b), non risultando da alcun elemento che essa, quale usufruttuario dell\'immobile, sia stata la committente dei lavori. Chiedono, pertanto, in accoglimento del ricorso, l\'annullamento della sentenza impugnata.
3) Va premesso che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 2, comma 2, prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva (in materia edilizia) nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione.
Con la sentenza n. 303/2003 la Corte Costituzionale ha affermato che, in ordine all\'attività urbanistico - edilizia, "lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia" e che " costituisce un principio dell\'urbanistica che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione". Costituisce altresì principio della materia "la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressile taciti...libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l\'ambito applicativo". Pur spettando, in materia di legislazione edilizia, alle regioni a statuto speciale una competenza esclusiva in materia, la relativa legislazione deve (ex art. 117 Cost., anche come modificato dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001) comunque rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e quindi in ogni caso deve essere interpretata in modo da non collidere con detti principi (Corte Cost. sent. n. 187/1997; Cons. giust. amm. Reg. Sic. 28.2.1995 n. 73; Cass. sez. 3 9.12.2004, Garufi; Cass. sez. 3, 11.1.2002, Castiglia; Cass. sez. 3 n. 2017 del 25.10.2007, Giangrasso).
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, richiamato dalla Corte territoriale, che disciplina il silenzio rifiuto e non il silenzio - assenso, è, però, una norma regolamentare che non può prevalere sulla norma regionale (nel caso di specie la L.R. Sicilia 31 maggio 1994, n. 17, art. 2). Tale norma regionale, nel disciplinare la procedura per il rilascio delle concessioni edilizie, prevede al comma 5 che "la domanda di concessione edilizia si intende accolta qualora entro centoventi giorni dal ricevimento dell\'istanza, attestato con le modalità di cui al comma 2, non venga comunicato all\'interessato il provvedimento motivato di diniego". L\'erroneo richiamo della Corte territoriale alla legge statale (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20) è, comunque, irrilevante non trovando applicazione, nel caso di specie, l\'invocato silenzio - assenso, dal momento che sì è in presenza della realizzazione di un immobile "diverso" da quello per il quale era stata avanzata istanza di permesso di costruire.
3.1) I giudici di merito, con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici, come tali non sindacabili in questa sede di legittimità, hanno ritenuto che l\'opera "nuova" non avesse niente a che vedere con quella preesistente demolita e che quindi costituisse un organismo edilizio completamente diverso.
Il Tribunale, sulla base della testimonianza del funzionario dell\'UTC di Caltavuturo, aveva già evidenziato che nel 2003 era stata presentata una richiesta di concessione edilizia per la demolizione di un fabbricato di circa 60 metri quadri e successiva ricostruzione di altro immobile di circa 94 metri quadri, ma che tale istanza era stata esitata negativamente perché nelle more era subentrato a Caltavuturo un nuovo piano regolatore che non l\'aveva resa più accoglibile (pag. 2 sent. Trib.).
L\'opera in corso di realizzazione era ancora diversa da quanto inizialmente progettato: nel corso del sopralluogo eseguito in data 13.6.2005 veniva accertato, infatti, che l\'immobile, con strutture in cemento armato, aveva le dimensioni di mq. 140 circa e quindi era di circa il 33% superiore all\'assunto difensivo: di qui l\'irrilevanza del presunto pergolato.
Correttamente pertanto i giudici di merito hanno rilevato che, anche a voler, per ipotesi, accedere alla tesi difensiva del silenzio assenso in ordine alla richiesta di risanamento conservativo e/o ristrutturazione di un vetusto fabbricato, ci si troverebbe in presenza, invece, della realizzazione di immobile completamente diverso, in tutto o in parte, dal precedente. L\'intervento rimaneva assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire. La necessità del permesso di costruire permane, infatti, anche per gli interventi:
- di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d\'uso (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b) T.U.;
- di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli "elementi tipologici" dell\'edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (D.P.R. n. 380 del 20010, art. 3, comma 1, lett. c) T.U..
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi "di nuova costruzione" ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. c) del T.U..
Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, T.U. e quella penale di cui all\'art. 44, lett. b)". (cfr. Cass. pen. Sez. 3^ n. 24096 del 7.3.2008 Desimine ed altri).
In ogni caso sarebbe stata necessaria autorizzazione paesistica. La giurisprudenza di questa Corte è assolutamente consolidata nel ritenere che anche i lavori di demolizione e ricostruzione di un immobile in zona sottoposta a vincolo, sia pure nel rispetto della predente volumetria e destinazione d\'uso, richiedono l\'autorizzazione dell\'amministrazione preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3^ n. 18216 del 9.4.2002).
3.2) Stante le caratteristiche dell\'opera, che, come evidenziato dai giudici di merito, comportava la realizzazione di un organismo edilizio completamente diverso da quello preesistente, non può, minimamente, essere invocata l\'ignoranza inevitabile della legge penale.
Ha ricordato la Corte territoriale invero che, oltre al fatto che si trattava di un organismo edilizio completamente diverso, non solo da quello preesistente ma anche da quello di cui era stata chiesta l\'autorizzazione (ed in ordine al quale si assume essersi formato il silenzio assenso), i lavori risultavano iniziati di recente, tanto che erano in corso al momento del sopralluogo del 13.6.2005. È, quindi, palesemente smentita la tesi difensiva secondo cui, decorso il termine di 120 giorni dalla presentazione dell\'istanza (istanza che si ricorda era stata depositata il 16.4.2003), erano stati, in buona fede, iniziati i lavori.
3.3) Fondato è, invece, il motivo di ricorso che riguarda l\'affermazione della penale responsabilità di Lo Verde Giovanna. Secondo la Corte territoriale tale responsabilità è "ancorata ad un dato certo, rappresentato dalla condizione di usufruttuario del fondo, che consente di individuare nella prevenuta uno dei soggetti portatori di un rilevante interesse ad erigere l\'opera in questione...".
È giurisprudenza consolidata di questa Corte, che in materia edilizia può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell\'opera la responsabilità per la violazione del L. n. 47 del 1985, art. 20, (sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44) sulla base di valutazioni fattuali, quali l\'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, etc.... (cfr. ex multis Cass. Pen. sez. 3^ n. 9536 del 20.1.2004). Trattandosi di un reato "proprio" non è sufficiente che venga individuato il soggetto che, come proprietario (o nella specie come usufruttuario), abbia interesse alla realizzazione dell\'opera, essendo necessario un quid pluris da cui possa ricavarsi il "ruolo" di committente o di concorso con il committente nella commissione del reato.
La motivazione sul punto è completamente carente, essendosi la Corte limitata ad accertare l\'esistenza dell\'interesse, derivante dal fatto di essere usufruttuario dell\'immobile.
La sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alla Lo Verde, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che accerterà se emerga dalle risultanze processuale quel "quid pluris" (nei termini in precedenza evidenziati) per affermarne la responsabilità.
Il ricorso del Lavanco va, invece dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00, ai sensi dell\'art. 616 c.p.p.. P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente a Lo Verde Giovanna e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Dichiara inammissibile il ricorso di Lavanco Francesco, che condanna al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00. Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2008