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Sez. 3, Sentenzan. 26110 del 10/06/2004 (Cc. 29/04/2004 n.00558 ) Rv. 228694
Presidente: Savignano G. Estensore: De Maio G. Imputato: Forte. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib.riesame S.M.Capua Vetere, 8 settembre 2003).
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Interventi nell'alveo di un fiume - Preventiva autorizzazione - Necessità - Fondamento.
CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di tutela dei beni paesaggistici, configura il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, ora sostituito dall'art. 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, la esecuzione di lavori nell'alveo di un fiume, atteso che non può applicarsi la esclusione dall'autorizzazione prevista dall'art. 152 del citato decreto n. 490 per gli interventi di manutenzione o consolidamento e restauro atteso che gli stessi devono riferirsi esclusivamente agli edifici.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 29/04/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 00558
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 001846/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) FORTE ERNESTO N. IL 27/03/1957;
avverso ORDINANZA del 08/09/2003 TRIB. LIBERTÀ di SANTA MARIA CAPUA VETERE;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
lette/sentite le conclusioni del P.G. Dott. G. Passacantando - rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Il 5.9.2003 il Corpo Forestale dello Stato - Coordinamento Provinciale di Caserta, Comando Stazione di Letino - procedette in via d'urgenza ex art. 321 co. 3 bis c.p.p. al sequestro preventivo - nei confronti dell'ENEL Produzione Spa in persona del legale rappresentante p.t. Fusco Giuseppe, della Idresia s.r.l. in persona dell'a.u. Coltella Laura quale società che eseguiva i lavori e del direttore dei Lavori ing. Forte Ernesto- di un cantiere sull'alveo del fiume Volturno per lavori di sbancamento effettuati all'interno dell'alveo stesso a valle di 100 metri dallo sbarramento ENEL, lavori in corso in assenza della prescritta autorizzazione ambientale. Su richiesta del P.M., il GIP del Tribunale di S. Maria C.V., con decreto in data 8.9.2003, convalidò l'operato sequestro e dispose il sequestro preventivo dei beni già sottopostivi ad iniziativa della P.G..
Avverso tale provvedimento il difensore del predetto Forte propose istanza di riesame, che la sez. riesame del menzionato Tribunale rigettò con ordinanza del 9.10.2003, contro la quale la parte stessa ha proposto ricorso per Cassazione. I due primi motivi denunciano due distinte violazioni dell'art. 292 co. 2 c.p.p., in conseguenza del fatto che, mentre il P.M. aveva richiesto la convalida del sequestro preventivo d'urgenza in riferimento a una presunta violazione dell'art. 44 D.P.R. 380/2001, il GIP aveva ritenuto che nel caso in esame ricorresse il fumus rispetto "al reato di cui al D. L.vo 490/99". In relazione a tale mutamento del titolo del reato, il ricorrente denuncia, con il primo motivo, la violazione dell'art. 292 co. 2 lett. b), che dispone che l'ordinanza impositiva della misura deve contenere, oltre gli altri requisiti imposti dalle altre lettere della stessa norma, "la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate" La censura è infondata. Intatti, il Tribunale si è, sul punto, allineato in pieno alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, citata in termini (Sez. Un. 3.9.99 n. 16, Ruga e altri, rv. 214.004), secondo cui il requisito imposto dall'art. 292 co. 2 lett. b), imposto come contenuto minimo dell'ordinanza, ha la funzione di informare l'indagato circa il contenuto delle accuse mosse, al fine di consentirgli l'esercizio del diritto di difesa; ne deriva che esso "può dirsi soddisfatto quando i fatti addebitati siano indicati in modo tale che l'interessato ne abbia immediata e compiuta conoscenza, a nulla rilevando che risulti richiamata solo la generica norma di legge relativa all'oggetto della contestazione". Trattasi chiaramente di un principio di portata generale, in precisa correlazione con la natura della norma, per cui non è esatto quanto sostenuto il ricorrente e cioè che la sentenza citata "ha ad oggetto un provvedimento cautelare nel quale erano richiamati espressamente solo gli articoli di legge relativi all'oggetto della contestazione". Oltre tutto, infatti, è evidente che le esigenze della difesa sono soddisfatte più dalla sommaria descrizione del fatto, che dalla soia indicazione della norma di legge che si assume violata. Comunque, il fatto decisivo è che, di poi, sulla base indicata, il Tribunale, avvalendosi correttamente (come si vedrà) dei poteri di integrazione e rettifica attribuitigli dall'art. 309 c.p.p., abbia posto rimedio alla parziale inosservanza da parte del GIP dei canoni contenutistici del provvedimento impositivo richiesti dalla legge, non solo descrivendo ampiamente e compiutamente il fatto ("realizzazione di lavori in area sottoposta a vincolo in assenza delle prescritte autorizzazioni o concessioni", con ulteriore precisazione della concreta entità di tali lavori), ma anche indicando negli artt. 146, 163 e 164 D.L.vo 490/99 e 20 l. 47/85 le norme violate.
Con il secondo motivo viene denunciata, oltre che la violazione del co. 2 lett. c) dello stesso art. 292 e dell'art. 309 c.p.p., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la detta situazione "ha determinato una sostanziale carenza di motivazione del provvedimento di sequestro, atteso che il magistrato, non avendo indicato la norma di legge che si assumeva violata, non poteva di conseguenza stabilire se era o meno sussistente il fumus di un reato non specificamente identificato e il relativo periculum in mora"; il ricorrente precisa che il Tribunale aveva ritenuto di supplire la carenza facendo richiamo ai poteri di integrazione e rettifica attribuitigli dall'art. 309 c.p.p., con ciò operando in mancanza di una esplicita norma di rinvio, "una illegittima applicazione analogica alle misure cautelari reali dell'art. 309" (norma "che disciplina il riesame delle misure coercitive"). Con la memoria qui depositata in data 2.4.2004 il ricorrente ha ribadito già esposti motivi e, in particolare, il rilievo che "poiché l'omessa descrizione sommaria del fatto e, sopra tutto, l'omessa indicazione delle norme che si assumono violate costituiscono tassative nullità, rilevabili d'ufficio, il Tribunale del riesame non aveva in questo caso alcun potere di sanare tale vizio, sostituendosi così al giudice che aveva emesso il provvedimento di sequestro preventivo. Tali censure nel loro complesso infondate. Infatti, è del tutto pacifico che, anche in tema di riesame delle misure cautelari reali, al Tribunale del riesame spetta, in forza dell'esplicito richiamo operato dall'art. 324 co. 7, lo stesso potere che l'art. 309 co. 9 gli attribuisce in materia di misure cautelari personali (per cui a nessun titolo può parlarsi come invece fa il ricorrente, di "illegittima applicazione analogica dell'art. 309 c.p.p. alle misure cautelari reali"). Deve, quindi, essere ribadito che, in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro, il potere di integrazione del Tribunale della libertà non incontra limiti; da tale principio discende che, quando nel provvedimento genetico della misura siano mancanti o insufficienti gli elementi richiesti dall'art. 292 co. 2 lett. b), ma le relative indicazioni siano contenute nel provvedimento del tribunale del riesame, la lacuna è colmata e il ricorrente non può più far valere alcun profilo di nullità (Cass. sez. 3^, 4.11.97 n. 3131, Tazzini; sez. 3^, 25.1.94 n. 2427). È opportuno segnalare che non si può tenere conto della rinuncia a secondo motivo qui esaminato, contenuta nella già citata memoria, non potendovisi ritenere legittimato il difensore non munito di procura speciale, dal momento che la rinuncia all'impugnazione, anche se limitata a taluno dei motivi dedotti, è dall'art. 589 c.p.p., riservata all'imputato (giurisprudenza consolidata). Con il terzo motivo il ricorrente censura, sotto il profilo della violazione dell'art. 52 D. l.vo 490/99, la motivazione con cui il Tribunale ha disatteso la tesi difensiva secondo cui, i lavori in corso "sarebbero consistiti nella realizzazione di un intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria non soggetti ad autorizzazione a norma dell'art. 12. Decreto cit.. Il Tribunale ha basato il proprio convincimento sul rilievo che, trattandosi nel caso in esame dell'alveo di un fiume, la disciplina dell'art. 152; tale norma, invece, secondo il ricorrente, "senza operare alcuna distinzione, non richiede il rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 152 per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e per quelli di consolidamento statico e di restauro conservativo, "che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici";
anche tale ultima condizione secondo il ricorrente - sarebbe stata rispettata, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale (che ha affermato che, anche a voler aderire alla tesi della difesa, comunque, "dalla documentazione fotografica in atti...risulta evidente l'alterazione e la modificazione dello stato dei luoghi prodotta dai lavori posti in essere"). Anche tali censure sono infondate. Infatti, l'argomento del Tribunale discende da una piana interpretazione letterale dell'art. 152, che in relazione agli interventi che non necessitano di autorizzazione, alla lett. a) si riferisce agli edifici; alla lett. b) all'attività agro-silvo- pastorale e alla lett. c) ad opere di bonifica da eseguirsi nelle foreste e, quindi, a ipotesi tutte non riconducibili ai fatti oggetto di indagine (lavori in corso nell'alveo di un fiume). Comunque, il Tribunale ha anche opportunamente rilevato come fosse "evidente l'alterazione e la modificazione dello stato dei luoghi prodotta dai lavori posti in essere dal ricorrente", il che esclude in radice l'applicabilità del cit. art. 152; per la precisione, il Tribunale ha ritenuto in linea di fatto che, "in difformità dalla concessione e in assenza di un provvedimento autorizzatorio, gli interventi di scavo in corso nell'alveo del fiume Volturno sono andati oltre quanto autorizzato e si sono spinti a valle della diga fino a 300 metri in una zona soggetta a vincolo, paesaggistico e ambientale". La detta alterazione è stata contestata dal ricorrente, ma, in proposito, va rilevato, da un lato, che i rilievi del Tribunale sono, come si diceva, in linea di fatto e sorretti da adeguata motivazione (in quanto basata sugli acquisiti rilievi fotografici, che riproducono Inalveo del fiume Volturno prima - e dopo l'effettuazione dei lavori di sbancamento); e, dall'altro, che la contraria ricostruzione del ricorrente attiene a una diversa valutazione delle risultanze processuali, come tale non deducibile in sede di legittimità sotto il profilo giuridico, quindi, il Tribunale ha fatto ineccepibile applicazione, quanto meno ai fini dell'attuale fase cautelare, del principio della necessita della preventiva autorizzazione ambientale per tutte le attività - che comportino una modificazione dell'assetto territoriale o della conformazione dei luoghi (Cass. sez. 3^, 14.1.2002 n. 1172). Occorre, infatti, ricordare che è pacifico (fin dalla non recente sentenza delle Sez. Un. 23.4.93 n. 4, Gifuni) che, in relazione alle misure cautelari reali, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell'accusa, ma deve limitarsi all'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito all'agente nell'ipotesi di reato formulata. E, nel caso in esame, sì è visto che il Tribunale ha esattamente ritenuto che i lavori in corso nell'alveo del fiume Volturno sono astrattamente riconducibili agli artt. 146, 163 e 164 D. l.vo 490/99. Quindi, la tesi cui perviene il ricorrente, e cioè che "le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria che all'atto del sequestro si stavano svolgendo...miravano esclusivamente ad eliminare tutte quelle alterazioni dell'originario stato dei luoghi che si erano verificate nel corso degli anni...", potrà eventualmente essere proposta nella fase della cognizione.
Deve, pertanto, concludersi che, non essendo fondate le censure mosse, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2004.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2004