Cass. Sez. III n. 16184 del 9 aprile 2013 (ud. 28 feb. 2013)
Pres. Teresi Est. Ramacci Ric. Melcarne
Beni Ambientali. Sospensione condizionale subordinata al ripristino dell'area

L'implicita conferma della sospensione condizionale della pena, già concessa in primo grado, da parte del giudice d'appello il quale, su impugnazione del solo imputato, abbia rideterminato la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, sussiste anche nel caso in cui detto giudice abbia revocato una condizione apposta alla concessione del beneficio confermando nel resto la decisione del primo giudice (fattispecie relativa a realizzazione di interventi in zona vincolata con subordinazione del beneficio al ripristino dell'area)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 28/02/2013
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 614
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere - N. 2345/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MELCARNE MARIA CLAUDIA N. IL 01/07/1958;
avverso la sentenza n. 521/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 05/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Spinaci Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 5.10.2012 ha riformato la decisione in data 18.5.2010 del Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Casarano appellata da MELCARNE Maria Claudia, assolvendo la stessa dal reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) per insussistenza del fatto, rideterminando la pena per il residuo reato (violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) e revocando l'ordine di rimessione in pristino impartito dal primo giudice.
I fatti contestati all'imputata concernevano l'esecuzione di opere, su un'area di circa 15.000 mq, consistenti nello spianamento del terreno per circa 60/70 cm di altezza, lo spiegamento dello stesso con estirpazione, mediante mezzi meccanici, di essenze di macchia mediterranea al fine di renderlo coltivabile, con conseguente danneggiamento delle specie vegetali spontanee e trasformazione morfologica del terreno medesimo.
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale, pur revocando la condizione del ripristino dell'area cui era subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena, nulla avrebbe statuito in merito alla concessione del beneficio medesimo, incorrendo così, in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, nel divieto di reformatio in peius.
3. Con un secondo motivo di ricorso il vizio di motivazione viene denunciato con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche pur in presenza di una riforma della decisione del primo giudice che avrebbe dovuto indurre ad una diversa valutazione circa il disvalore della condotta posta in essere.
4. Con un terzo motivo di ricorso rileva il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della violazione paesaggistica, stante la concreta inoffensività della condotta, la quale sarebbe desumibile dalla circostanza che la macchia mediterranea rimossa è stata comunque sostituita da piante di ulivo, pure oggetto di particolare tutela, sebbene riferita alle piante secolari e dalla circostanza che l'intervento eseguito sarebbe stato oggetto di autorizzazione postuma, attestante la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato.
Va ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso, come la giurisprudenza di questa Corte abbia ripetutamente affermato che il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso dal giudice di prime cure deve ritenersi implicitamente confermato dal giudice d'appello ove questi, su impugnazione del solo imputato, ridetermini la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, poiché altrimenti verrebbe ad essere violato il principio del divieto di "reformatio in peius" (Sez. 3, n. 23444, 10 giugno 2011;
Sez. 3, n. 580, 9 gennaio 2008; Sez. 5, n. 1788, 11 giugno 1999). Nella fattispecie, i giudici del gravame, preso atto dell'esistenza di un "nulla osta" postumo alla realizzazione di un uliveto, hanno ritenuto di revocare l'ordine di rimessione in pristino cui era stata subordinata dal primo giudice la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e, all'esito della pronuncia che, come si è detto, ha comportato anche l'assoluzione dell'imputata dal reato urbanistico e la rideterminazione della pena originariamente inflitta, hanno confermato nel resto l'impugnata decisione. Con l'atto di appello, come indicato in sentenza, veniva censurata la legittimità della condizione apposta al beneficio e se ne chiedeva la revoca, senza che fosse posta, ovviamente, in discussione la concedibilità della sospensione condizionale, con la conseguenza che, sul punto, la Corte territoriale non aveva alcuna necessità di interloquire, limitandosi a considerare, come in effetti ha fatto, ciò che era oggetto di specifica doglianza.
Eliminando la sola condizione della riduzione in pristino la Corte non è dunque incorsa in alcun vizio di motivazione, essendo di tutta evidenza la implicita conferma della sospensione condizionale già concessa.
6. Può dunque affermarsi che l'implicita conforma della sospensione condizionale della pena, già concessa in primo grado, da parte del giudice d'appello il quale, su impugnazione del solo Imputato, abbia rideterminato la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, sussiste anche nel caso in cui detto giudice abbia revocato una condizione apposta alla concessione del beneficio confermando nel resto la decisione del primo giudice.
7. Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso deve escludersi la sussistenza del denunciato vizio di motivazione. La Corte territoriale ha dichiarato di condividere le ragioni per le quali il giudice di primo grado aveva ritenuto non concedibili le circostanze attenuanti generiche, richiamando la gravità del fatto e la mancata allegazione di elementi obiettivi sui quali fondare un diverso giudizio.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di motivazione del tutto adeguata, non potendosi ritenere, come sembra affermarsi in ricorso, che l'assoluzione dal reato urbanistico avrebbe dovuto indurre i giudici del gravame a diverse conclusioni.
Invero, la condotta accertata in fatto dai giudici del merito è identica e resta intatta nella sua gravità, indipendentemente dalla sussistenza o meno della violazione urbanistica, esclusa dai giudici perché la natura dell'intervento non avrebbe richiesto il permesso di costruire e contestata in concorso formale con il reato paesaggistico.
Tale situazione, unitamente all'assenza di specifiche allegazioni, giustificava dunque il diniego delle invocate attenuanti. Del resto, si è già avuto modo di affermare che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1, n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6, n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6, n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1, n. 4200, 7 maggio 1985).
Inoltre, riguardo all'onere motivazionale, si è ritenuto che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 2, n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6, n. 34364, 23 settembre 2010).
8. Parimenti infondato risulta, infine, il terzo motivo di ricorso. Nella fattispecie risulta pacifica la sussistenza del vincolo paesaggistico e la materiale consistenza dell'intervento non è stata oggetto di contestazione.
Del resto, l'attività di livellamento di un terreno con estirpazione della vegetazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico è stata già ritenuta idonea a configurare il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, stante la concreta incidenza sull'aspetto esteriore dell'area medesima (Sez. 3, n. 2827, 18 luglio 2011. V. anche Sez. 2, n. 9395, 12 marzo 2012, citata nella sentenza impugnata; Sez. 3, n. 159, 9 gennaio 2007; Sez. 3, n. 35689, 31 agosto 2004; Sez. 3, n. 21022, 5 maggio 2004).
Si tratta, inoltre, di reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati astrattamente idonei ad alterare l'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (v. Sez. 3, n.2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf.). Nella fattispecie, come rilevato dai giudici del merito, le opere descritte in precedenza erano state realizzate senza la preventiva autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo ed è pertanto evidente che non può assumere alcun rilievo la circostanza, indicata in ricorso, che l'intervento fosse finalizzato alla realizzazione di un uliveto e che le piante di ulivo sarebbero pure oggetto di specifica protezione, non soltanto perché mancava comunque un titolo abilitativo per l'esecuzione delle opere, ma anche perché, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, l'attenzione rivolta dal legislatore regionale riguarda le piante secolari. 9. Quanto alla autorizzazione postuma all'impianto di un uliveto, osservano i giudici dell'appello che detta autorizzazione poneva, quale condizione alla piantumazione, che non fosse alterata la vegetazione esistente e tale circostanza è stata correttamente ritenuta quale conferma della sussistenza del reato ipotizzato e presupposto per la revoca dell'ordine di rimessione in pristino. Tale apprezzamento, che presuppone l'attenta analisi dei contenuti del provvedimento amministrativo abilitante, costituisce una valutazione in fatto che, in quanto adeguatamente motivata, resta sottratta ad ogni ulteriore valutazione in questa sede di legittimità.
10. Resta da aggiungere che, in ricorso, viene effettuato un richiamo, peraltro in termini estremamente generici, a quanto disposto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, laddove si prevede la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi definibili come "minori", all'esito della quale, pur mantenendo ferma l'applicazione delle misure amministrative pecuniarie previste dall'art. 167, non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dall'art. 181, comma 1.
Alla luce di quanto emerge dal contenuto della decisione impugnata, tuttavia, non risulta che il titolo abilitativo conseguito fosse idoneo a determinare gli effetti estintivi previsti dalla disposizione richiamata.
In primo luogo, infatti, risulta dalla sentenza impugnata che l'autorizzazione era stata sottoposta alla condizione che non venisse alterata la vegetazione esistente e tale circostanza risulta non compatibile logicamente con una valutazione di conformità che deve intervenire ad opere ultimate, tra l'altro nel rispetto delle formalità di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quater. In ogni caso, come osservato dalla Corte territoriale, detta condizione non risultava comunque rispettata, dato che la macchia mediterranea risultava completamente rimossa.
11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2013