Cass. Sez. III n. 39429 del 3 settembre 2018 (Ud 12 giu 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Scrocchi
Beni Ambientali.Vincolo paesaggistico e interventi precari
Il reato di pericolo previsto dall'art. 181 d.lgs. 42\2004 è comunque integrato anche dalla realizzazione di manufatti precari e facilmente amovibili, essendo assoggettabile ad autorizzazione ogni intervento modificativo, con esclusione delle condotte che si palesino inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 16 febbraio 2016 ha parzialmente riformato - ritenendo l'imputazione di cui al capo b) della rubrica assorbita da quella di cui al capo c) e rideterminando la pena originariamente inflitta - la decisione con la quale, in data 16 luglio 2014, il Tribunale di Pesaro aveva affermato la responsabilità penale di Stefano SCROCCHI per i reati di cui agli articoli 44 lett. c), 65, 72, 93, 94 e 95 d.P.R. 380\2001; 181, comma 1-bis d.lgs. 42\2004 e 30, commi 1 e 8 legge 394\1991, per l'esecuzione, in area vincolata ed all'interno di un parco naturale regionale, senza l'osservanza delle disposizioni in materia di opere in cemento armato ed in zona sismica, di opere consistenti nella modifica del profilo naturale del terreno e nella realizzazione di una tettoia in struttura d'acciaio e telo plastificato, poggiata su plinti in cemento, delle dimensioni di m. 21,20 X 16,20 X 5,70 di altezza al colmo (in Pesaro, tra il mese di agosto ed il 14 dicembre 2011).
Avverso tale pronuncia il predetto ha proposto personalmente, in data 18/5/2017, ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando che il giudice del merito non avrebbe considerato la natura precaria dell'opera realizzata, atteso che la stessa sarebbe stata destinata, come emerso dall’istruzione dibattimentale, al ricovero di attrezzi ed al deposito di mangime per animali e sarebbe stata, altresì, amovibile.
Osserva, inoltre, che difetterebbe comunque l’elemento psicologico della colpa, avendo egli agito confidando nella possibilità di installare in via del tutto provvisoria la struttura fino alla conclusione dei lavori di ristrutturazione dell'azienda agricola.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, per non avere la Corte territoriale ritenuto operante la causa estintiva del reato paesaggistico conseguente alla accertata spontanea demolizione del manufatto abusivo.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione dell'articolo 65 d.P.R. 380\2001 contestato al capo e), in quanto non vi sarebbe la prova che l'opera fosse stata da lui personalmente costruita e trattandosi, nella fattispecie, di reato proprio, egli non avrebbe potuto essere considerato soggetto attivo del reato.
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione della legge 394\1991 in relazione al reato di cui al capo f) della rubrica, sostenendo che detta legge non richiederebbe la necessità del rilascio di un nulla osta da parte dell'Ente Parco in caso di interventi costruttivi da realizzarsi in aree protette.
6. Con un quinto motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione dell'articolo 133 cod. pen. ed osserva che la pena non sarebbe stata determinata tenendo conto della sua condotta processuale, dello stato di incensuratezza e della spontanea demolizione del manufatto prima della sentenza di condanna e sarebbe, conseguentemente, eccessiva.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, sebbene debba essere riqualificato uno dei reati contestai e rilevata l’estinzione dello stesso a seguito di prescrizione, come appresso precisato.
2. Va premesso che il ricorso si limita a riproporre a questa Corte questioni già sollevate innanzi alla Corte d’Appello e da questa ritenute infondate, senza formulare alcuna specifica censura sulle motivazioni espresse dai giudici del gravame.
Tale circostanza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 6, n. 20377 del 11/3/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109, con richiami alle decisioni precedenti), determina la mancanza di specificità dei motivi, desumibile anche dal difetto di correlazione tra le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata e quelle sulle quali si fonda l’impugnazione.
In ogni caso, i motivi di ricorso risultano manifestamente infondati.
3. Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la Corte di appello ha correttamente escluso la natura precaria dell’intervento, dando atto di un dato fattuale determinante e, segnatamente, del diretto accertamento, in sede di sopralluogo, di un intervento di livellamento del terreno propedeutico alla costruzione del manufatto che, come espressamente contestato nel capo di imputazione, ha comportato un’alterazione dell’originaria morfologia dell’area.
Va peraltro ricordato che la precarietà di un intervento non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore e che sono irrilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilità, in quanto è richiesta una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo e l’opera deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso.
Tali evenienze non risultano accertate nella fattispecie e certamente dirimenti erano, come ritenuto dai giudici del gravame, le modifiche apportate al terreno per la realizzazione dell’intervento.
4. Va altresì considerato che il reato di pericolo previsto dall'art. 181 d.lgs. 42\2004 è comunque integrato anche dalla realizzazione di manufatti precari e facilmente amovibili, essendo assoggettabile ad autorizzazione ogni intervento modificativo, con esclusione delle condotte che si palesino inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio (Sez. 3, n. 38525 del 25/9/2012, Pmt in proc. Gruosso, Rv. 253690).
5. Occorre inoltre considerare la piena sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, risultando accertato che l’imputato realizzò le opere senza alcun titolo abilitativo e restando confinata nell’ambito delle mere ipotesi l’affermazione, contenuta in ricorso, secondo la quale egli avrebbe confidato nella liceità dell’intervento.
6. Deve infine rilevarsi che, come è noto, avuto riguardo al delitto paesaggistico di cui all’art. 181, comma 1-bis d.lgs. 42\2004, occorre tener conto della sentenza n. 56 del 23 marzo 2016, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed».
Per effetto di tale decisione, la contravvenzione prevista dal comma primo dell’art. 181 d.lgs. 42\2004 si configura in presenza di ogni intervento abusivo eseguito in assenza di titolo abilitativo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, mentre il delitto sanzionato dal successivo comma 1-bis riguarda, ora, la sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici alternativamente indicati nell'aumento superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, nell’ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi o nella realizzazione di una nuova costruzione con volumetria superiore a mille metri cubi.
Ciò posto, osserva il Collegio che la sentenza impugnata è antecedente alla declaratoria di parziale incostituzionalità della norma in esame, sicché la Corte territoriale non poteva, ovviamente, tenerne conto.
Nessun rilievo viene prospettato sul punto nel ricorso, redatto successivamente all’intervento della Corte costituzionale, ma ciò non esime il Collegio dal provvedere d’ufficio ad esaminare la questione.
Nella fattispecie, si tratta di una tettoia che, secondo quanto è dato rilevare dalla sentenza, risultava aperta da tutti i lati, sicché non va considerata la cubatura ricavabile dalle dimensioni indicate nell’imputazione.
Il delitto paesaggistico deve, pertanto, essere qualificato come contravvenzione di cui al comma 1 dell’art. 181 d.lgs. 42\2004.
7. Potrebbe a questo punto considerarsi l’operatività della causa estintiva di cui tratta il secondo motivo di ricorso la cui applicabilità è stata esclusa dalla Corte del merito.
Come è noto, tra le modifiche al D.Lv. 42\04 apportate dalla “legge delega ambientale” n. 308\04, va annoverata l’introduzione del comma 1-quinquies all’articolo 181, con la previsione di una forma di estinzione del reato paesaggistico conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga la condanna.
Tale rimessione in pristino deve essere spontanea e non eseguita coattivamente su impulso dell'autorità amministrativa e, considerato l’esplicito riferimento al “reato di cui al comma 1”, non produce effetti riguardo al delitto di cui al comma 1-bis.
Si tratta, inoltre, di una causa estintiva di un reato già perfezionato in tutti i suoi elementi essenziali, la cui sussistenza deve essere dimostrata dall’imputato.
Nel caso di specie tale dimostrazione risulta offerta mediante documentazione fotografica, come rilevato in sentenza, ma i giudici dell’appello ne hanno correttamente escluso l’efficacia con riferimento al delitto paesaggistico.
L’inefficacia avrebbe dovuto essere rilevata, però, anche con riferimento al reato contravvenzionale, risultando, sempre dalla sentenza impugnata, che l’imputato aveva provveduto alla sola demolizione del manufatto abusivo, mentre non risultava dimostrata la rimessione in pristino richiesta dalla norma in esame, tanto che è stato revocato solo l’ordine di demolizione e non anche quello di riduzione in pristino disposto dal primo giudice.
8. Quanto al terzo motivo di ricorso, deve osservarsi che la Corte territoriale ha accertato in fatto che l’intervento era stato effettuato per espressa determinazione dell’imputato, come dallo stesso riferito nel corso dell’esame, ritenendo quindi corretta l’affermazione di responsabilità anche sul punto, mediante argomenti con i quali il ricorrente non si è minimamente confrontato, così come ha fatto nel quarto motivo di ricorso in relazione alla normativa sulle aree naturali protette, avendo del tutto ignorato la motivazione della sentenza impugnata.
9. Per ciò che concerne, poi, la dosimetria della pena, di cui tratta il quinto motivo di ricorso, osserva il Collegio che la Corte di appello, nel rideterminarla in misura più favorevole all’imputato, ha tenuto conto delle consistenti dimensioni dell’opera abusivamente realizzata, con argomentazioni del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
10. Resta da considerare, infine, che la qualificazione del delitto paesaggistico quale contravvenzione conseguentemente alla declaratoria di illegittima costituzionale di cui si è detto in precedenza impone al Collegio di rilevare la prescrizione del reato, considerata la data di accertamento dello stesso, con conseguente revoca dell’ordine di rimessione in pristino disposto dai giudici del merito.
Ad analoga conclusione non può pervenirsi rispetto agli altri reati, dovendosi considerare quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016 (dep.2017), Aiello e altro, Rv. 268965), secondo le quali la sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, è idealmente scindibile, in ragione di ogni capo di imputazione, in altrettante autonome statuizioni di condanna, con la conseguenza che, sebbene i diversi capi siano contenuti in un unico documento-sentenza, ognuno di essi conserva la propria individualità ad ogni effetto giuridico, sicché la mancata instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i residui reati, in relazione ai quali i motivi dedotti sono inammissibili, con conseguente formazione del giudicato parziale, preclude la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.
Va comunque disposto il rinvio alla Corte di appello di Perugia per la sola rideterminazione della pena non potendo provvedervi questa Corte, dichiarando inammissibili, nel resto, il ricorso, ferma restando l'irrevocabilità della presente sentenza per ciò che concerne l'accertamento dei reati e della responsabilità.
P.Q.M.
Qualificato il reato di cui al capo C) dell’imputazione come contravvenzione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente a tale reato, per essere lo stesso estinto per prescrizione, revocando l’ordine di rimessione in pristino e rinvia alla Corte di appello di Perugia per la sola rideterminazione della pena.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in data 12/6/2018