Vincolo ambientale. Indennità risarcitoria ex art. 15 L.149739
C
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, ha pronunciato la
seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 1328 del 2002 proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa da gli avv.ti Mirella Viggiani e Maria Carmela Santoro ed elettivamente domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via Nizza n. 56;
contro
il sig. Graziano Mario non costituito in questo grado di giudizio;
per
l'annullamento
della sentenza n. 795 del 2000 resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata sul ricorso proposto dall’odierno appellato;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 25 marzo 2003 il Consigliere Dedi Rulli; nessuno presente per la Regione appellante;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F
A T T O
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata il sig. Graziano Mario impugnava la determinazione dirigenziale del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con il quale gli era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 per opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo ambientale.
Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra nella giuridizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il gravame sul rilievo che nella specie era ormai intervenuta la prescrizione quinquennale del diritto dell’Amministrazione di riscuotere la sanzione e del potere da essa esercitato ai fini della sua applicazione.
Con atto notificato in data 6 febbraio 2001 la Regione Basilicata ha impugnato la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed erronea applicazione della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.
Si afferma , al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di cui al ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere dell’autorità amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in alternativa a quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi non risulta sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione volti a limitare nel tempo l’adozione delle dette misure sanzionatorie, così che dovrebbe essere fatta applicazione del principio generale in base al quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la potestà pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe controversie nel senso prospettato precisando che gli illeciti amministrativi in materia paesistica ed urbanistica-edilizia hanno carattere permanente con la conseguenza che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689/81 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza peraltro indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta soluzione) siffatto momento al rilascio, in favore dell’originario ricorrente, del parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto dall’interessato.
La Regione Basilicata conclude chiedendo l’accoglimento dell’appello con l’annullamento della sentenza impugnata.
Non risulta costituita parte appellata.
Alla pubblica udienza del 25 marzo 2003, non essendo presente nessuno per la parte appellata, la controversia è passata in decisione.
DIRITTO
1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato avverso la determinazione regionale di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, ritenendo prescritto il credito vantato dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24 novembre 1981 n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.
La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi argomentative e le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado e richiama, a sostegno del richiesto annullamento, le più recenti pronunzie di questo Consiglio che hanno esaminato i vari profili relativi alla interpretazione della disciplina in materia.
2. Le questioni che vengono in rilievo in relazione
all’odierna controversia non sono sconosciute al Collegio che, in relazione
alla fattispecie in esame, ritiene di poter condividere, sia pure con alcune
ulteriori precisazioni rese necessarie dalla peculiarità del caso,
l’impostazione seguita e le conclusioni alle quali è pervenuto questo
Consiglio di Stato nell’esame di controversie aventi nalogo contenuto (Cfr.,
Sez. IV, 12 novembre 2002, n.
6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9
ottobre 2000, n. 5373).
I principi enucleati i dette decisioni possono
riassumersi nelle seguenti considerazioni:
a) l’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 va interpretato nel
senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli
paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che
prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando
una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela
ambientale, purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità
competente ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel
caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art.
2, comma 46 della legge 23 dicembre 1966, n. 662, norma di natura chiaramente
interpretativa;
d) applicabilità
dell’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il
diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con
pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è
stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati
dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato
legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative
pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art.
12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in
materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.
La regola della prescrizione quinquennale, decorrente
dal giorno della commissione della violazione, pur dovendo, in astratto, trovare
applicazione in materia di illeciti amministrativi puniti con pena pecuniaria
previsti dalla normativa di tutela urbanistica edilizia e del paesaggio (Cass.,
I Sez., 25 luglio 1997 n. 6967), richiede, però, talune precisazioni.
Come a riguardo è stato già osservato (cfr. C.d.S.,
Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184 citata):
- gli illeciti in materia
urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere
senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti
permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel
tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a,
dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni;
- in materia di decorrenza
della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare
applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo
cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la
permanenza (art. 158 comma 1 Cod. pen.);
- pertanto, per gli
illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la
prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a
decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che,
vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo
repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di
motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI,
19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614).
Per quanto concerne il momento in cui può dirsi
cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica
edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale
rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a
decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in
presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione
dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei
luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento
repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria),
non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione
antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.
Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque,
che nel campo dell’illecito amministrativo
– che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale
consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la
permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a
decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il
conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può
essere rilasciata anche in via postuma (Cfr., C.d.S., Sez. VI,
12 maggio 2003, n. 2653; 30 ottobre 2000, n. 5851; Ad. Generale 11 aprile
2002, n.4/Gab e n. di Sezione 2340/2001).
3. Alla stregua delle considerazioni appena svolte,
deve ritenersi che nel caso di specie, consistendo l'illecito paesistico nella
realizzazione di opera in zona vincolata senza la prescritta autorizzazione, la
permanenza dell'illecito non era ancora cessata alla data in cui è stata
applicata, la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e
dunque l'esercizio del potere repressivo è stato tempestivo.
Il giudice di primo grado, invece, dopo avere
precisato che il comportamento sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge
n. 1497 del 1939 ha carattere di illecito permanente, ha individuato il dies a
quo dal quale inizia a decorrere il quinquennio prescrizionale nel momento in
cui l’Autorità preposta a tutela del vincolo ha espresso parere favorevole al
mantenimento dell’opera abusiva realizzata, facendo così venir meno
l’antigiuridicità del fatto.
Siffatta conclusione non può essere condivisa.
Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza,
che l’illecito in questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo
stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo,
di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se
l’amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione
ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria) non è “emanato un atto a
distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma si sanziona una
situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che la situazione di illiceità
può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino
dello stato dei luoghi nel caso di demolizione o di pagamento della sanzione
pecuniaria, come nella specie, ovvero ancora con il conseguimento in via postuma
dell’autorizzazione paesaggistica prevista dalla legge.
Nè
è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il giudice di primo
grado, il parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate
espresso dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e
dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al
provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.
Siffatto
parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere
privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio
della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo
le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso
procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura
edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici
e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di
prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al
contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in
una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge sul condono edilizio,
si inserisce in un autonomo procedimento in cui intervengono altre
Amministrazioni, titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente,
del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi.
Come
conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art. 2,
comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento
dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di
cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della
sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico
violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per
equivalente.
Infatti
oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono
in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che
il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione
dell’altra.
Del resto, questo Consiglio ha
espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica
di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la
sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal
momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini
della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il
residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere
all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del
1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere
nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità
ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale
dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione
dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il
titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo
dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001).
Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).
4. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto
e la decisione impugnata deve essere annullata con la conseguente reiezione del
ricorso di primo grado.
Le
spese e gli onorari dei due gradi di giudizio possono essere compensate per
giusti motivi.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente
pronunciando, accoglie l’appello
in epigrafe e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.
Spese
e onorari dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma il 25 marzo e 27 giugno 2003
, in camera di consiglio, con
l'intervento dei magistrati:
Costantino Salvatore
Presidente
Dedi Rulli
Consigliere, estensore
Aldo Scola
Consigliere
Giuseppe
Carinci
Consigliere
Anna
Leoni
Consigliere