Consiglio di Stato Sez. VI n. 1502 del 4 marzo 2019
Beni ambientali.Competenza dell’ente parco nazionale a dichiarare l’acquisizione in proprio favore delle opere edilizie abusive realizzate nel perimetro dell’area naturale protetta

Non si possono considerare sussistenti i presupposti per ravvisare un “difetto assoluto di attribuzione”, quando un Ente Parco emani un provvedimento in tema di tutela del territorio: poiché la legislazione di settore ha previsto il diritto-dovere del medesimo Ente di prevenire e di reprimere gli abusi edilizi, e di sanzionarli conseguentemente. Deve sottolinearsi che, quando si tratta di un abuso nell'area protetta rappresentata da un parco nazionale, le sanzioni sono le stesse quanto al contenuto, ma si deve tener conto delle disposizioni speciali che prevedono le relative competenze (segnalazione e massima Avv. M. BALLETTA).


Pubblicato il 04/03/2019

N. 01502/2019REG.PROV.COLL.

N. 00090/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 90 del 2018, proposto da
Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Di Marzo Giuseppe e Cozzolino Nina non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli, n. 3819/2017.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2019 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato dello Stato Davide Di Giorgio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO



1 – Gli appellati sono proprietari di un fabbricato sito nel comune di Somma Vesuviana, in via San Giovanni, rispetto al quale è stato emesso il provvedimento n. 41 del 2012 dell’Ente Parco del Vesuvio, che ha ingiunto la demolizione delle opere ivi abusivamente realizzate (foglio 22, particelle 1073 e 1076).

2 – Quindi, l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, stante l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, ha notificato in data 27 febbraio 2017 il provvedimento n. 318 del 26 settembre 2016 di acquisizione dell’area ed ha disposto che i responsabili gli corrispondano una indennità mensile di occupazione senza titolo.

3 – Tale provvedimento è stato impugnato avanti il T.A.R. per la Campania che, con la sentenza n. 3819 del 2017, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla contestazione relativa all’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 11 c.p.a. ed inammissibile il ricorso contro il provvedimento di acquisizione, ritenendo che l’Ente avesse agito in difetto assoluto di attribuzione, in quanto il potere di dichiarare l’acquisizione gratuita spetterebbe al comune nel cui territorio l’opera abusiva si trova.

Più precisamente, ad avviso del giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dell'art. 29 della l. 6 dicembre 1991, n. 394, e dell'art. 1, comma 1104, della l. 27 dicembre 2006, n. 296, l'Ente gestore di un'area protetta avrebbe il potere di ingiungere la demolizione e la riduzione in pristino di opere abusive, ma in caso di inottemperanza a tali ordini non sarebbe titolare del potere di dichiarare l'acquisizione gratuita delle opere al proprio patrimonio, al fine di procedere alla immissione in possesso e alla trascrizione. Da ciò discenderebbe la nullità assoluta dall’atto impugnato per difetto del potere amministrativo ai sensi dell’art. 7 c.p.a.

4 – Con l’appello in esame, l’Ente Parco contesta quest’ultimo capo della sentenza, mentre non ha svolto alcun motivo di impugnazione avverso il capo della sentenza che ha dichiarato di difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 11 c.p.a. rispetto al motivo con cui si contestava la determinazione dell’indennità di occupazione, che pertanto è passato in giudicato.

4.1 – Rispetto agli argomenti valorizzati dal T.A.R al fine di giustificare la pronuncia di inammissibilità per carenza assoluta di attribuzione rispetto all’atto con cui è stata disposta l’acquisizione ha invece dedotto che:

a) l'acquisizione gratuita non costituirebbe esercizio di potere amministrativo, ma una sanzione legale, e che, quindi, dichiararne l'avveramento rientra nelle competenze dell'Ente che se ne avvantaggia;

b) comunque non si verserebbe in una fattispecie di carenza di potere o di difetto assoluto di attribuzione; e che, in subordine, l'art. 31 T.U., ove fosse interpretato nel senso voluto dal T.A.R., sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

5 – La medesima questione, che interessava anche in tali casi l’Ente Parco del Vesuvio, è già stata esaminata dalla Sezione in senso favorevole all’appellante, tenuto conto della sussistenza della giurisdizione esclusiva amministrativa in materia urbanistica e delle peculiarità della vicenda posta all’esame della Sezione (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 3347/2018 e n. 2018/2018).

Non sussistendo ragioni per discostarsi da tale orientamento, l’appello deve trovare accoglimento

6 – Come già osservato nei precedenti citati, in primo luogo, non si possono considerare sussistenti i presupposti per ravvisare un “difetto assoluto di attribuzione”, quando un Ente Parco emani un provvedimento in tema di tutela del territorio: poiché la legislazione di settore ha previsto il diritto-dovere del medesimo Ente di prevenire e di reprimere gli abusi edilizi, e di sanzionarli conseguentemente.

Qualora si prospetti che l’Ente Parco abbia esercitato un potere spettante in materia esclusivamente al Comune, si pone se mai un problema di “competenza”, e dunque una questione di legittimità dell'atto impugnato, ma non è possibile ravvisare un difetto assoluto di attribuzione.

A questo riguardo, va rimarcato che - anche in tema di competenza - ogni violazione di legge, più o meno grave, determina l'annullabilità del provvedimento, tranne i casi in cui l'Autorità emanante non abbia alcun potere nella materia in questione, ciò soltanto configura il difetto assoluto di attribuzione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 2018, nn. 2017 e 2018; Sez. VI, 7 agosto 2013, n. 4167).

7 – Tanto precisato, deve ulteriormente osservarsi che nel caso di abusi edilizi cd. maggiori, ovvero di opere realizzate in assenza o totale difformità dal necessario permesso di costruire, le sanzioni sono previste in via generale dall'art. 31 del T.U. 380/2001, riproduttivo sul punto delle corrispondenti disposizioni già contenute nella l. 28 febbraio 1985, n. 47. Il Comune, quale ente preposto alla corretta gestione del territorio e titolare del relativo potere di vigilanza, deve ordinare la rimessione in pristino e la demolizione in cui essa si concreta; in caso di inottemperanza si verifica poi di diritto l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio dell'ente, il quale è tenuto a provvedere, quale proprietario, alla rimessione in pristino non ancora effettuata.

7.1 - Ai fini del presente giudizio deve sottolinearsi che, quando si tratta di un abuso nell'area protetta rappresentata da un parco nazionale, le sanzioni sono le stesse quanto al contenuto, ma si deve tener conto delle disposizioni speciali che prevedono le relative competenze.

In particolare, l'art. 29, comma 1, della l. 394/1991 ha previsto che: "Il legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta, qualora venga esercitata un'attività in difformità dal piano, dal regolamento o dal nulla osta, dispone l'immediata sospensione dell'attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell'impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere".

I poteri in materia sono stati pertanto concentrati nel legale rappresentante dell'Ente, il quale è nella miglior posizione per valutare se siano o no rispettate tutte le norme di tutela dell'area protetta (che potrebbe interessare anche il territorio di più Comuni, con i relativi problemi di coordinamento che sorgerebbero, se operasse la tutela ordinaria, demandata a ciascuno di essi).

Inoltre, nel quadro disegnato dalla disposizione citata, si inserisce l'art. 2, comma 1, della l. 426/1998, per il quale "Nelle aree naturali protette nazionali l'acquisizione gratuita delle opere abusive di cui all'articolo 7, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni ed integrazioni, si verifica di diritto a favore degli organismi di gestione": il riferimento è alla normativa previgente all'art. 31 del T.U., che, come rilevato, aveva un corrispondente contenuto.

In altri termini, poiché le attività in contrasto con le esigenze di tutela sono di solito rappresentate da opere abusive, si è completato il sistema, accentrando anche l'effetto della acquisizione gratuita in capo all'ente gestore.

Identica disposizione è contenuta nell'art. 1, comma 1104, della l. 296/2006, posteriore al D.P.R. 380/2001, per il quale: "Nelle aree naturali protette l'acquisizione gratuita delle opere abusive di cui all'articolo 7, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, si verifica di diritto a favore degli organismi di gestione ovvero, in assenza di questi, a favore dei comuni";

8 – Dunque, non risulta condivisibile la tesi secondo la quale l'art. 31 del T.U. 380/2001 avrebbe disposto l’abrogazione delle norme di tutela descritte, in quanto: a) in primo luogo, si tratta di norme speciali (a tutela delle aree rientranti nel parco), le quali per principio generale non vengono abrogate da una legge generale sopravvenuta; b) l'art. 1, comma 1104 citato, è entrato in vigore successivamente all'entrata in vigore del T.U. n. 380 del 2001.

9 – Da un altro punto di vista, non risulta nemmeno condivisibile l'interpretazione per cui occorrerebbe distinguere fra l'effetto legale della acquisizione gratuita, che va a vantaggio dell'ente gestore ed è automatico, e il potere di dichiarare l'effetto stesso, che spetterebbe invece al Comune.

Al riguardo, deve evidenziarsi che il beneficiario di tale effetto legale è sicuramente l'Ente Parco, in forza delle norme speciali appena riportate, che prevalgono sul comma 6 dell'art. 31 del T.U., per cui "Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l'acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull'osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune").

Quest’ultima disposizione, infatti, rappresenta una normativa generale sulla pluralità di vincoli, mentre l'istituzione di un parco nazionale non si riduce a un mero “vincolo”, ma comporta un più complesso sistema di tutela a sé stante (come disposto dalla normativa anche sopravvenuta al testo unico).

10 - Inoltre, come correttamente rilevato dall'amministrazione appellante, nel sistema delineato dall'art. 1, comma 1104, della l. 296/2006, l'attribuzione all'Ente Parco del potere di acquisizione risulta anche coerente con l'esigenza che siano ridotte le questioni di coordinamento tra i Comuni i cui territori facciano parte del parco, in un'ottica - tenuta presente dal legislatore - secondo cui proprio l'Ente Parco è l'autorità che è specificamente preposta alla repressione degli abusi posti in essere all'interno del territorio del parco (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 2018, nn. 2017 e 2018).

11 – Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere accolto.

Poiché in questo grado l’appellata non ha riproposto le proprie censure di primo grado, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto.

Invero, nel caso di specie non è necessario disporre il rinvio al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a., dal momento che il T.A.R., ravvisandone la nullità, ha sostanzialmente escluso che il provvedimento fosse in grado di incidere sulla sfera giuridica dei ricorrenti (non che la situazione giuridica doveva trovare tutela avanti al giudice ordinario), specificando che in tale situazione è inoperante il meccanismo della traslatio judicii, e che “si limitava a ravvisare la sussistenza di condizioni ostative per una pronuncia nel merito”.

In tali ipotesi la giurisprudenza ha considerato consumato il primo grado di cognizione, non esaurendosi il contenuto della sentenza in un pronunzia di mero rito pregiudiziale all’esame del merito; ne consegue pertanto l’inapplicabilità dell’istituto dell’annullamento con rinvio e la ritenzione della causa da parte del giudice dell’appello per la definizione nel merito della controversia (cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 1990, n. 523).

Eventualità quest’ultima che nel caso di specie risente della mancata riproposizione dei motivi di ricorso di primo grado (art. 101 c.p.a.).

Le spese dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna parte appellata a rifondere all’Amministrazione appellante le spese dell’intero giudizio, che liquida in € 2.000 per ciascuno dei gradi, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 febbraio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Silvestro Maria Russo, Presidente FF

Marco Buricelli, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere