Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3406, del 8 luglio 2015
Beni Ambientali.Illegittimità misure di conservazione per la gestione delle ZPS per violazione dei doveri partecipativi nei confronti dei soggetti destinatari.

L’obbligo della comunicazione si fonda sulla duplice esigenza, da un lato, di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far meglio valere i propri diritti partecipativi, dall’altro, di consentire alla stessa amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale, esprimendo il principio generale della partecipazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’amministrazione pubblica. E’ sufficiente scorrere talune delle adottate misure, per rilevarne la incisività sui terreni, tanto da concludere che esse, in assenza di una reale valutazione della situazione dei luoghi, si pongono come realmente sacrificative per la proprietà e per la potenziale attività agricola. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03406/2015REG.PROV.COLL.

N. 00884/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 884 del 2015, proposto da: 
Regione Emilia Romagna, rappresentato e difeso dagli avv. Gaetano Puliatti, Fabrizia Senofonte, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri 5; 

contro

Isiride Srl, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Corinaldesi, Francesca Giuffre', con domicilio eletto presso Francesca Giuffre' in Roma, Via dei Gracchi Nr 39; 

nei confronti di

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE II n. 00570/2014, resa tra le parti, concernente misure di conservazione per la gestione delle zone di protezione speciale

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale proposto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Isiride Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Puliatti, Senofonte, Corinaldesi e, dello Stato Nicoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna l’attuale appellata, società Isiride s.r.l., agiva per l’annullamento della delibera di Giunta della regione n.1435 del 17 ottobre 2006, del d.M. del Ministero dell’ambiente del 25 marzo 2005 e delle delibere di Giunta Regionale n.1242 del 2003, n.1333 del 2003, 1816 del 2003, 2776 del 2003, n.167 e 456 del 2006, tutte contenenti individuazione, ampliamenti e misure di conservazione delle aree SIC e ZPS, inclusive di aree di sua proprietà.

La ricorrente, proprietaria di terreno di oltre 120 ettari, per la quale aveva presentato domanda di contributo europeo per il mancato esercizio dell’attività agricola (c.d. set-aside, letteralmente, mettere da parte nel regime agronomico), alla quale l’area è stata sottratta per venti anni, avendo creato artificialmente l’area umida, deduceva l’ incisività delle misure di conservazione, oltre che la lesione di doveri procedimentali.

Il giudice di primo grado, dopo avere rigettato l’eccezione di improcedibilità, basata sulla circostanza che la delibera n.1435 del 2006 aveva sostituito le delibere precedenti, accoglieva il motivo di ricorso basato sulla violazione dei doveri partecipativi nei confronti dei soggetti destinatari delle misure di conservazione, non potendosi ritenere la natura di atti a valenza generale e considerato che, comunque, erano stati coinvolti vari soggetti nel procedimento, come le categorie interessate, ma senza coinvolgere i titolari della proprietà delle aree; veniva accolto anche il motivo di ricorso basato sulla violazione dell’attività istruttoria e valutativa, non essendo stati analizzati – anche a causa del deficit partecipativo - gli aspetti relativi alla situazione dei luoghi, gli obblighi giuridici derivanti alla proprietà, le ragioni per eventualmente valutare tali peculiarità, al fine della inclusione delle aree in zona ZPS. Venivano assorbiti gli altri motivi; veniva respinta per difetto di prova la domanda di risarcimento dei danni.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la Regione Emilia Romagna, che dopo la esposizione della disciplina europea e nazionale di ZPS e SIC, dell’obbligo europeo di istituire tali aree (già comprese nella propedeutica lista-inventario IBA, Important Bird Areas), deduce, quali motivi di appello: 1) che le misure di conservazione delle ZPS sono misure di carattere generale ed astratto ed i soggetti destinatari erano indeterminati; in ogni caso varrebbe la disposizione di cui all’art. 21 octies L.241 del 1990, in quanto il contenuto dei provvedimenti, a causa del dovere di matrice comunitaria di istituire le zone, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto attribuito; 2) che è errato anche l’altro motivo, accolto dal primo giudice, relativo al difetto di istruttoria e valutazione in relazione al “ritiro” dall’attività agricola e alla umidità di tipo artificiale, in quanto ciò non impedisce l’inserimento delle aree nelle zone protette. In relazione ai motivi proposti dalla ricorrente originaria, dichiarati assorbiti in sentenza, deduce che: vanno compresi anche gli habitat non naturali; sono stati coinvolti tutti i soggetti pubblici interessati; la competenza delle Province, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale n.7/2004, riguarda solo i siti previsti dal DPR 357 del 1997 e cioè ZSC (zone speciali di conservazione) e non anche le ZPS (zone di protezione speciale); non era necessaria l’adozione del piano di gestione per adottare le misure di conservazione; le misure di conservazione imposte non impediscono in modo assoluto l’attività agricola, né costituiscono una sorta di espropriazione di fatto.

Si è costituita la società appellata, che deduce, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello per tardività della notifica; infatti, il termine ultimo di impugnazione era il 19 gennaio 2015; l’appello è stato inviato ad un domicilio del tutto erroneo, coincidente con il precedente studio legale dei difensori, ma lasciato da circa cinque anni; solo in data 26 gennaio 2015, l’appellante ha chiesto a Poste Italiane, e non all’ufficiale giudiziario, di modificare il luogo di recezione del destinatario al indicando finalmente il corretto domicilio legale; per il resto, sostiene l’inammissibilità dell’appello per genericità, per non avere contestato in modo specifico la motivazione della sentenza; chiede il rigetto dei motivi di appello in relazione ai motivi accolti; ripropone e espone i motivi dichiarati assorbiti.

Ha proposto appello incidentale il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, impugnando il capo di sentenza che ha accolto il motivo che negherebbe la possibilità di sottoporre alla direttiva habitat anche le aree rese umide in modo artificiale o seminaturale, oltre che quelle naturali; chiede eventualmente la sottoposizione della questione alla Corte di giustizia europea.

Con successive memorie, le parti hanno ribadito le loro conclusioni e difese; l’appellante ha replicato in ordine al difetto di notifica, sostenendo che la costituzione degli intimati ha comunque prodotto la sanatoria di eventuali vizi; in ogni caso la notifica, sarebbe andata a buon fine e il procedimento di notifica è stato iniziato nei termini.

Alla udienza pubblica del 16 giugno 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.Si può prescindere dall’esame della eccezione di inammissibilità dell’appello e dalla valutazione della possibile sanatoria dovuta alla costituzione della parte appellata, in quanto l’appello proposto dalla Regione Emilia Romagna e l’appello incidentale proposto dal Ministero dell’ambiente, sono in ogni caso infondati e da respingere.

2.E’ infondato il primo motivo di appello, in quanto, indipendentemente dal contenuto precettivo dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990, la cui definizione non può prescindere dai relativi lavori parlamentari, l’inserimento delle specifiche aree tra le zone ZPS e SIC, e le conseguenziali misure di conservazione, non sono da annoverare quali atti generali ed astratti, ma hanno ad oggetto, nella specie in modo evidente, aree concretamente individuate, appartenenti a proprietari specifici e ben determinati; la circostanza che la individuazione di aree da sottoporre a ZPS e SIC, in virtù della direttiva habitat sia susseguente alla esistenza di procedure di infrazione (e ad obblighi comunitariamente dovuti), non elide la esigenza di partecipazione dei proprietari incisi dalle misure.

Non è sostenibile la tesi secondo cui, ai sensi dell’art. 21 octies L.241 del 1990 invocato, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere di diverso tenore, in quanto ciò che ha rilevato il primo giudice – prescindendo dalla eccezione di genericità dell’appello, pure formulata dalla parte appellata – è che la partecipazione e l’istruttoria erano connesse tra loro, nel senso che soltanto una adeguata partecipazione avrebbe potuto consentire di rappresentare in modo compiuto le situazioni dei beni, la loro sottrazione temporanea all’attività agricola, gli effetti e la reale lesività delle misure imposte, le reali situazioni dell’area, umida in modo artificiale, i reali impedimenti rispetto all’attività agricola da riprendere, gli obblighi giuridici derivanti dalla percezione del contributo agricolo europeo.

D’altra parte, non si comprende il senso della circostanza che la stessa amministrazione ammette (pagina 10 di 12 della sentenza) e cioè che l’istruttoria ha “ampiamente coinvolto una pluralità di soggetti istituzionali, nonché le associazioni di categoria interessate”, mentre l’amministrazione non si è premurata, inspiegabilmente, di coinvolgere proprio i proprietari dei beni incisi; sotto tale profilo, non può non rilevare che il procedimento faceva riferimento (pagina 8 di 12 della sentenza) a specifici beni o zone (Valle Benni, nella quale era compresa l’azienda agricola della ricorrente) sicchè non era impossibile il tentativo di qualche forma di pubblicità e partecipazione. L’amministrazione ha ammesso che le misure hanno coinvolto il “relitto di Cassa Benni…utilizzato un tempo come bacino di raccolta…ed un articolato mosaico di seminativi… su cui sono stati ripristinati nel corso degli anni 90 da aziende agricole circa 350 ettari di zone umide…attraverso l’applicazione di misure agroalimentari comunitarie finalizzate alla creazione e alla gestione di ambienti per la fauna e la flora selvatiche”.

L’obbligo della comunicazione si fonda sulla duplice esigenza, ben colta dal primo giudice, da un lato, di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far meglio valere i propri diritti partecipativi, dall’altro, di consentire alla stessa amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale (sul giusto procedimento, tra varie, Ad. Pl. 2 del 24 gennaio 2000; tra varie, Cons. Stato, V, 21 aprile 2006, n.2253) esprimendo il principio generale della partecipazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’amministrazione pubblica.

3.E’ infondato l’appello, anche relativamente al secondo motivo accolto, sul difetto di istruttoria, in quanto, come si è visto nel riportare i passaggi logici della sentenza, il primo giudice ha rilevato i vizi di istruttoria e valutazione di tutti gli interessi, ma non si è limitato, come pare sostenere l’appello, a stigmatizzare la eventuale ricomprensione di zone umide create in modo artificiale e non naturale, ma rilevando – il che pone l’appello ai limiti dell’inammissibilità per mancata adeguata contestazione – l’assenza, anche a causa della mancata partecipazione, della valutazione di tutti gli interessi, relativamente alla incisività delle misure di conservazione sull’area agricola, sulla situazione dei luoghi, sugli effetti sul contributo agricolo europeo, sulle peculiarità dei terreni, sul ritorno all’attività agricola, sulla compatibilità di tali misure con l’agricoltura.

E’ sufficiente scorrere talune delle adottate misure, per rilevarne la incisività sui terreni, tanto da concludere che esse, in assenza di una reale valutazione della situazione dei luoghi, si pongono come realmente sacrificative per la proprietà e per la potenziale attività agricola: per tutte, senza pretesa di esaustività, si vedano (evidenziate nella memoria della parte appellata) l’impossibilità di una serie di attività, tipiche invece dell’agricoltura, quali: captazioni idriche, bonifiche, allagamento di zone umide temporanee, eliminazione di isole, barene e dossi esistenti; l’impossibilità di utilizzo di diserbanti, di tagliare pioppeti in un certo periodo dell’anno e così via; l’impossibilità di realizzare impianti eolici, in contrasto con il principio di multifunzionalità dell’agricoltura; l’attività di circolazione di taluni mezzi e così via.

Tali misure, prescindendo in concreto dalla natura di ognuna di esse, non possono non essere considerate limitative dell’attività normalmente facoltizzata per il proprietario in relazione alla concreta destinazione dell’area.

4.E’ infondato e da respingere anche l’appello del Ministero che, come visto, non può trovare accoglimento, in quanto si limita a sostenere la astratta possibilità di imporre tali prescrizioni anche alle zone umide create in modo artificiale e non solo alle zone umide naturali.

Il motivo è ai limiti dell’ammissibilità e in ogni caso infondato, perché, come visto, il motivo di accoglimento del primo giudice sul difetto di istruttoria aveva una valenza argomentativa ben più ampia, e anzi diversa, rispetto alla comprensione delle aree umide artificiali, aspetto sul quale insisteva e insiste la parte appellata, ma che non è stata la reale ragione dell’accoglimento, che è consistita nel difetto di istruttoria e valutazione di tutti gli aspetti e interessi del caso concreto.

Per tali ragioni è del tutto infondata la pretesa di rimessione alla Corte di Giustizia, con riguardo al coinvolgimento anche delle zone umide artificiali, in quanto ciò non costituisce argomento determinante ai fini del decidere.

5.In relazione ai motivi assorbiti, tra i quali anche il motivo della possibile incompetenza della Regione, in luogo della Provincia sulla base della legge regionale, non è necessario pronunciarsi, attesa la infondatezza dell’appello e dell’appello incidentale.

Si aggiunga che, in relazione al motivo sull’incompetenza della Regione, tra quelli riproposto, (il cui esame, secondo Ad. Pl. n.5 del 27 aprile 2015, avrebbe carattere prioritario, anche se tale pronuncia, al paragrafo 5 svolge considerazioni in relazione alla graduazione in appello), il Collegio osserva che il d.P.R. 357 del 1997 riguarda tutte le zone speciali, senza limitazioni o distinzioni; tuttavia, la parte appellata, la cui domanda di rigetto dell’appello risulta accolta, non ha ritenuto di contestare l’ordoprocedendi seguito dal primo giudice, non avendo attualmente un vero interesse, anche per quelle ragioni di economia processuale cui fa riferimento l’Adunanza Plenaria n. 5 citata.

6.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello principale va respinto; va respinto anche l’appello incidentale, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, li respinge, confermando l’appellata sentenza.

Condanna la Regione Emilia Romagna e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro tremila, di cui duemila a carico della Regione e mille a carico del Ministero.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)