Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5325, del 24 novembre 2015
Beni ambientali.La Regione non può ridurre il livello di tutela paesaggistica fissato dalla legge dello Stato.

Considerata la natura esclusiva della competenza statale in materia di tutela del paesaggio, si deve escludere che la Regione possa con propri atti, di qualsiasi natura, ingerirsi nel dimensionamento effettivo del potere di valutazione statale e ridurre - e per categorie generali - il livello di tutela paesaggistica fissato dalla legge dello Stato: diversamente, in rottura anche del principio di eguaglianza, si contrasterebbe l’esigenza, più volte sottolineata anche dalla Corte costituzionale, di assicurare pari standards di protezione minima in tutto il territorio nazionale. La tutela del paesaggio va cioè assicurata come valore primario (art. 9 Cost.) attraverso un’applicazione similare degli istituti della tutela, tale da escludere la pluralità degli interventi delle amministrazioni regionali e locali. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 05325/2015REG.PROV.COLL.

N. 01018/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1018 del 2015, proposto da: 
Porta Nuova Entertainment s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Elefante, con domicilio eletto presso Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo in Roma, Via Salaria, 259; 

contro

Comune di Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Marco De Flaviis, con domicilio eletto presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13; 
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 00410/2014, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione paesaggistica in sanatoria

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pescara e del ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Elefante, l’avvocato De Flaviis, e, l’avvocato dello Stato Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto dalla società Porta Nuova Entertainment s.r.l. (di seguito anche solo Porta Nuova o società) per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto in primo grado contro il provvedimento (prot. n. 13784/2011 in data 7 agosto 2012) di diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria richiesta al Comune di Pescara dalla società Porta Nuova, in relazione ad alcune opere esterne realizzate presso lo stabilimento balneare denominato “Lido delle Sirene”, sito in Pescara alla piazza Le Laudi, n. 2.

2. Il provvedimento di diniego adottato dal Comune di Pescata si fonda sul parere negativo della Soprintendenza espresso con nota prot. n. 12251 del 26 luglio 2007, anch’esso oggetto di impugnazione.

3. Le opere oggetto di condono consistevano in interventi al piano terra ed al piano primo del fabbricato principale riassumibili in:

- realizzazione di ampliamenti del fabbricato esistente, tramite chiusura di due porticati esterni (lato sud ed ovest) con infissi in legno ed alluminio e tramite chiusura della schermata di doghe in legno (lato nord);

- modifiche interne e prospettiche del fabbricato;

- ampliamento del terrazzo con piattaforma in legno (lato est);

realizzazione di piattaforme in schizza di cld e recinzione in palizzate di legno per la loro delimitazione.

4. Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:

- in primo luogo, ha richiamato l’esistenza di un giudicato penale ancora non ottemperato, affermando che il provvedimento dirigenziale di diniego dell’autorizzazione in sanatoria “in quanto atto di adeguamento al disposto del giudicato penale, è provvedimento dovuto, motivato in re ipsa, e che l’abusività delle opere esterne, sancita in modo assolto dal giudicato, è incontestabile”;

- in secondo luogo, ha ritenuto il provvedimento impugnato pienamente motivato per effetto di un rinvio per relationem al verbale della conferenza di servizi del 21 dicembre 2011, relativa alla richiesta di sanatoria edilizia, il quale a sua volta sarebbe ampio ed esaustivo facendo riferimento: a) alla sentenza penale di condanna del Tribunale di Pescara n. 1330 del 2011, passata in giudicato; b) al parere negativo dello Sportello Unico Edilizia del Comune, considerata la non sanabilità degli abusi in base al Piano demaniale marittimo (Pdm); c) al parere negativo dell’Agenzia del Demanio (nota 28.9.2011), condiviso dalla Capitaneria di Porto; d) alla posizione negativa dell’Ausl Pe, che ha ritenuto non sanabile la chiusura degli spazi aperti;

- in terzo luogo, ha sostenuto la validità delle argomentazioni della Soprintendenza in ordine all’impatto della chiusura del porticato sul panorama della zona, in quanto il porticato verrebbe ad ostruire la visuale e le opere esterne “rappresentano un grave e palese menomazione di fruizione della veduta di costa pescarese”, tutelata dall’art. 142 lett. a) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per il notevole interesse pubblico del panorama, ai sensi del d.m. 13 maggio 1965;

- ha, infine, ritenuto che il parere della Soprintendenza fosse un passaggio obbligato per il condono ambientale ed avesse un valore oggettivo in merito alla compatibilità paesaggistica, che, al di là della sua portata vincolante, il Comune avrebbe chiaramente inteso recepire, rilasciando un’autorizzazione in sanatoria (7 agosto 2012) solo per le opere interne, non interferenti con il paesaggio vista mare, e, quindi, con il vincolo di zona

5. Per ottenere la riforma di tale sentenza ha proposto appello la società Porta Nuova, la quale ha contestato la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, denunciando i vizi di violazione di legge, difetto di motivazione e di istruttoria sotto diversi profili.

In particolare, secondo la società appellante, la sentenza sarebbe affetta:

- da un errore di fatto, nella misura in cui, nel respingere l’eccezione di difetto di motivazione ei d’istruttoria, ha assunto che il provvedimento impugnato sia motivato per relationem agli atti della conferenza di servizi del 21 dicembre 2011 indetta per l’esame dell’istanza della società di condono edilizio, che a sua volta fa riferimento ad una serie di atti e pareri intervenuti nell’ambito della conferenza medesima;

- da un errore di diritto, nella misura in cui ha richiamato a fondamento della legittimità dei provvedimenti impugnati la sentenza penale di condanna;

- da un ulteriore errore di fatto nella parte in cui ha ritenuto che le ragioni addotte dalla Soprintendenza (nel parere reso sulla compatibilità dell’intervento) sarebbero corrette e motivate, in quanto gli interventi edilizi realizzati determinerebbero una “menomazione” della veduta della costa pescarese.

6. Si sono costituiti in giudizi, chiedendo il rigetto dell’appello, il Comune di Pescara e il Ministero per i beni e le attività culturali.

7. Il Comune di Pescara ha anche eccepito il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione del presente appello richiamando, per un verso, l’esecuzione in corso del giudicato penale che dovrebbe comunque comportare l’imminente demolizione delle opere abusive incompatibili con la situazione precedente legittimata dello stabilimento balneare e, per altro verso, la circostanza che l’appellante ha reiterato una nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica (riguardante: opere di modeste entità, opere risultanti dall’incidente di esecuzione sopra accennato, opere da eseguire in via ordinaria), istanza che il Comune ha riscontrato adottando un provvedimento di sospensione dell’iter procedimentale in attesa che l’appellante operi una riformulazione dell’istanza e ripresenti un nuovo progetto.

8. Alla pubblica udienza del 17 settembre 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. L’eccezione di sopravvenuto difetto di interesse è infondata.

10. L’interesse non viene meno in conseguenza della pendenza in sede penale dell’incidente di esecuzione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna.

A tal fine è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale penale secondo cui n tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, non è suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre possibile la sua sospensione o revoca in sede esecutiva in presenza di determinazioni dell'autorità o giurisdizione amministrativa incompatibili con l'abbattimento del manufatto ovvero quando sia ragionevolmente prevedibile, in base a elementi concreti, che tali provvedimenti saranno adottati in un breve arco temporale (cfr. Cass., III, 21 ottobre 2014, n. 47402). In quest’ottica, quindi, l’eventuale accoglimento del presente appello potrebbe incidere sull’esito dell’incidente di esecuzione.

11. Ugualmente non è idonea ad incidere sulla sussistenza dell’interesse al ricorso la presentazione da parte della società appellante di una nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica il cui oggetto peraltro non è del tutto coincidente con quello del presente giudizio.

12. Nel merito l’appello è infondato.

13. Il provvedimento di diniego adottato dal Comune di Pescara si fonda essenzialmente sul parere negativo espresso dalla Soprintendenza che in esso è espressamente richiamato.

A prescindere dalle considerazioni svolte dalla sentenza appellata sull’incidenza del giudicato penale e sugli atti della conferenza di servizi, il parere negativo della Soprintendenza vale di per sé a fornire al provvedimento impugnato un adeguato ed autonomo supporto motivazionale

14. Il parere negativo si sottrae alle invocate censure di illogicità e irragionevolezza.

Il giudizio di compatibilità paesaggistica si connota come espressione di una discrezionalità tecnica, nell’ambito della quale le valutazioni effettuate dalla Soprintendenza in ordine alla tutela dei valori paesaggistici sono caratterizzate da un’ampia sfera di apprezzamento. Ma al di fuori dall’ipotesi di travisamenti di fatto o di evidenti illogicità – che qui non paiono ricorrere -, il principio di separazione dei poteri esclude che il giudice possa sostituirsi all’Amministrazione in tale valutazione e, a fortiori, nella formulazione dei giudizi dei valori paesaggistici, artistici o storici dei beni e della gravità del nocumento arrecato dall’intervento a tali valori.

15. Applicando tali principi al caso di specie, deve rilevarsi che, alla luce della non trascurabile entità dell’abuso e del particolare valore paesaggistico dell’area, il giudizio negativo espresso dalla Soprintendenza e condiviso dal Comune non presenti profili di manifesta irragionevolezza o illogicità.

La Soprintendenza – senza travisamenti o macroscopici errori - ha nell’esercizio della sua funzione stimato che gli interventi di chiusura del porticato e di apposizione di una recinzione con palizzate in legno costituisse una sorta di barriera visiva rispetto alla vista del mare apprezzabile dalla Piazza Le Laudi, in un contesto di particolare valore della zona (c.d. Rione Pineta), tanto da meritare una dichiarazione di notevole interesse pubblico. Dal che il giudizio tecnico di non compatibilità paesaggistica.

In particolare, risultano non inattendibili le considerazioni svolte dalla Soprintendenza in ordine al diverso impatto, anche di tipo visivo, che assume un volume chiuso con pareti (e aggravato dalla presenza di fascine) rispetto ad una tettoria aperta su tre lati. È del resto intuitiva la considerazione che nel primo caso le visuali non sono ostacolate dal volume, mentre nel secondo hanno libero sfogo per assenza di massa opaca.

La Soprintendenza non si è, dunque, limitata ad effettuare un’apodittica affermazione di incompatibilità paesaggistica dei manufatti in esame, ma ha espresso una motivazione congrua e puntuale, considerando le caratteristiche concrete delle opere e il contesto in cui le stesse risultano inserite.

Del resto, a confutazione delle deduzioni formulate dalla società Porta Nuova anche nel presente appello, nel parere impugnato la Soprintendenza ha evidenziato che la legittimazione (ottenuta sulla base di precedenti autorizzazioni) di portici o tettoie aperte su tre lati su strutture portanti verticali esiti e che di fatto non costituiscono ostacolo visivo da e verso il mare, non legittima sic et simpliciter la chiusura, con conseguente creazione di volume, delle stesse strutture aperte.

Ciò in quanto, come si legge nel provvedimento impugnato, “l’impatto visivo di un volume è ben più pesante di quello determinato da una tettoria aperta che permette di guardare oltre, non opponendo alcun pieno e/o ostacolo visivo”.

16. Non merita ancora positivo apprezzamento la deduzione secondo la quale la Piazza Le Laudi avrebbe assunto un diverso assetto di arredo urbano nel tempo, dal momento che la circostanza incide poco o nulla sulle caratteristiche paesaggistiche del sito sottoposto a tutela: si tratta di area esterna prospiciente a quella dello stabilimento balneare, che presenta opere di arredo urbano le cui caratteristiche non costituiscono ostacolo alla visuale del mare.

17. Non assume, infine, rilevanza la circostanza, segnalata dall’appellante nella memoria conclusiva presenta in vista dell’udienza di discussione, rappresentata dall’adozione da parte della Regione di alcune modifiche al Piano demaniale marittimo (approvato con la delibera di G.R. 2 dicembre 2014 n. 788/C, in attuazione della legge regionale 17 dicembre 1997, n. 141), introdotte con delibera del Consiglio Regionale n. 20/S del 20 febbraio 2015.

L’appellante sottolinea che la Regione, nel dare indicazioni ai Comuni per la redazione dei piani demaniali comunali, avrebbe introdotto, all’art. 5, comma 25, nelle zone urbanizzate e per quelle concessioni che svolgono attività per l’intero corso dell’anno, con almeno dieci dipendenti con un arenile di almeno 4000 mq, la possibilità di un aumento di superficie copribile con volumi e tettorie pari al 25 per cento in più oltre l’esistente legittimato, con una superficie coperta massima di 500 mq, mediante l’utilizzo di sistemi costruttivi in bioarchitettura e materiali ecocompatibili.

Secondo la società appellante, le modifiche citate consentirebbero aumenti di volumetria nell’area ove insiste lo stabilimento della ricorrente e, dato che il parere della Soprintendenza si fonda essenzialmente sull’aumento di volumetria, la circostanza che siffatto aumento sia consentito, farebbe di fatto perdere di consistenza sotto questo profilo alla motivazione del diniego impugnato.

18. Anche questo motivo non ha pregio.

19. In primo luogo, considerata la natura esclusiva della competenza statale in materia di tutela del paesaggio, si deve escludere che la Regione possa con propri atti, di qualsiasi natura, ingerirsi nel dimensionamento effettivo del potere di valutazione statale e ridurre - e per categorie generali - il livello di tutela paesaggistica fissato dalla legge dello Stato: diversamente, in rottura anche del principio di eguaglianza, si contrasterebbe l’esigenza, più volte sottolineata anche dalla Corte costituzionale, di assicurare pari standards di protezione minima in tutto il territorio nazionale. La tutela del paesaggio va cioè assicurata come valore primario (art. 9 Cost.) attraverso un’applicazione similare degli istituti della tutela, tale da escludere la pluralità degli interventi delle amministrazioni regionali e locali (cfr., fra le tante, Corte cost. 19 maggio 2008, n. 180; 20 aprile 2006, n. 182).

Sulla base di tale premessa deve pertanto escludersi che l’atto di pianificazione regionale possa condizionare l’esercizio dei poteri di tutela paesaggistica spettanti in via esclusiva alla Soprintendenza sopprimendo nei fatti il suo giudizio di compatibilità paesaggistica del caso concreto e riducendo così, con deroghe peggiorative e generali, il livello di tutela del paesaggio preesistente.

20. In secondo luogo è appena il caso di aggiungere che si tratta di prevsione sopravvenuta rispetto all’adozione dei provvedimenti impugnati, la cui validità deve, pertanto, essere valutata, alla luce del principio tempus regit actum , in base alla regole, anche di piano, vigenti al momento della loro adozione.

21. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve, pertanto, essere respinto.

22. La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/11/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)