La Corte costituzionale ribadisce che qualsiasi disciplina urbanistica è subordinata alla pianificazione paesaggistica.

di Stefano DELIPERI

Importante sentenza della Corte costituzionale in materia di rapporti fra normativa di tutela del paesaggio e disciplina urbanistica.

Con la sentenza n. 189 del 20 luglio 2016 il Giudice delle leggi ha deciso riguardo il conflitto di attribuzione ex art. 127 cost. sollevato dallo Stato riguardo la legge regionale Sardegna n. 21 del 21 novembre 2011, di integrazione e modifica di un complesso di norme regionali portanti il c.d. piano per l’edilizia sardo (leggi regionali n. 19/2011, n. 4/2009, n. 28/1998, n. 22/1984 e altre norme di carattere urbanistico).

Se è vero, infatti, che è stata dichiarata incostituzionale soltanto la disposizione che prevede il posizionamento “libero” di roulotte e case mobili in strutture turistico-ricettive, si tratta per le restanti parti di una sentenza interpretativa di rigetto, indicando quale sia l’unica interpretazione costituzionalmente legittima delle altre disposizioni regionali impugnate.

E l’interpretazione cogente indicata dalla Corte costituzionale è quella che vede, ancora una volta, le norme di tutela paesaggistica (e quelle del piano paesaggistico, in particolare) prevalere sulle disposizioni regionali urbanistiche.

La disposizione giudicata costituzionalmente illegittima è l’art. 20 della legge regionale n. 21/2011 che sostituisce il comma 4 bis dell’art. 6 della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive), introdotto dalla legge regionale n. 3/2009 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale). L’attuale comma 4 bis prevede che “fatto salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende ricettive all’area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata, gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all’esercizio dell’attività, sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono: a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento”.

La Corte costituzionale ha affermato chiaramente che “la disposizione impugnata … nel qualificare come paesaggisticamente irrilevanti taluni interventi nelle aziende ricettive all’area aperta, consente che essi vengano posti in essere a prescindere dall’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la quale è norma di grande riforma economico-sociale che la Regione autonoma della Sardegna deve rispettare (sentenza n. 238 del 2013), in quanto adottata nell’ambito della competenza esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.”. Conseguentemente, “la norma censurata si pone dunque in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l’art. 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio – che individua tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica – e con l’Allegato 1 del d.P.R n. 139 del 2010 – che reca un elenco tassativo degli interventi di «lieve entità», assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 235 del 2011)”.

E’ chiaro e incontrovertibile che la “Corte ha già affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 232 del 2008, successivamente richiamata dalle sentenze n. 101 del 2010 e n. 235 del 2011)”.

Le restanti disposizioni impugnate sono gli artt. artt. 7, comma 1, lettera f, e 18, visto l’art. 44, comma 5, della legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) aveva, nelle more del giudizio, provveduto ad abrogare la legge regionale n. 19 del 2011 e successive modifiche e integrazioni, fra cui anche l’impugnato art. 23 della legge regionale n. 21/2011. Da ciò la rinuncia all’impugnativa statale, accettata dalla Regione autonoma della Sardegna.

La Corte costituzionale non ha dichiarato l’illegittimità degli gli artt. artt. 7, comma 1, lettera f, e 18 della legge regionale n. 21/2011, ma ne ha indicato l’unica interpretazione costituzionalmente legittima con una decisione interpretativa di rigetto1.

L’art. 7, comma 1, lettera f, della legge regionale n. 21/2011 ha inserito “il comma 5-ter nell’art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo), legge attuativa del cosiddetto piano casa, prevedendo che gli interventi edilizi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 della legge novellata «sono realizzati in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali; possono essere superati gli indici massimi di fabbricabilità. È in ogni caso fatto salvo il rispetto delle disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi»”.

La Corte è estremamente chiara: “l’art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata deve … essere interpretato nel senso che gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale”, in quanto “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile”, mentre la possibilità che “taluni interventi edilizi siano realizzati in deroga ai regolamenti edilizi, agli strumenti urbanistici comunali vigenti e alle «vigenti disposizioni normative regionali»”, non può consentire anche che “possano essere effettuati in deroga al d.m. n. 1444 del 1968 e alla normativa statale in materia di rischi di incidenti rilevanti”, nonché “all’intiera disciplina civilistica di cui il d.m. n. 1444 del 1968 è parte integrante e fondamentale (sentenza n. 134 del 2014)”.

L’art. 18 della legge regionale n. 21/2011 ha, a sua volta, inserito “l’art. 5-bis dopo l’art. 5 della legge regionale 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma della Sardegna con l’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con l’art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348)” prevedendo “che: «1. In sede di prima applicazione, gli interventi di lieve entità da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela di cui alla parte III del decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modifiche, ed indicati nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche), sempre che comportino un’alterazione dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici, sono assoggettati al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica così come disciplinato nel regolamento emanato con il citato decreto presidenziale. 2. La Giunta regionale, con direttiva adottata previa deliberazione, può individuare ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010»”. La censura statale si era rivolta al “solo secondo comma della disposizione de qua, il quale violerebbe la disciplina statale concernente l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio ... norma di grande riforma economico-sociale, funzionale ad assicurare uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale nella delicata fase di tutela preventiva del bene protetto”.

Anche in questo caso la Corte indica quale debba essere l’interpretazione costituzionalmente corretta, che non vada a intaccare la competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, comma 2, lettera s: “il comma 2 della disposizione inserita dal censurato art. 18 … deve essere inteso nel senso che la Giunta (regionale, n.d.r.) può prevedere forme di semplificazione ‘diverse’ da quelle previste dalla normativa statale, nel frattempo applicabile anche nella Regione autonoma della Sardegna ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, ma non per questo di ‘maggiore semplificazione’, tanto più che è la stessa disposizione regionale a prevedere che esse debbono essere conformi ai principî contenuti nel citato d.P.R. n. 139 del 2010”. Nessun ulteriore ampliamento, pertanto, delle ipotesi tassative di “interventi minori” contemplati nel procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, normato con il D.P.R. n. 139/2010 e frutto della competenza esclusiva statale in materia.

Una pronuncia, quella della Corte costituzionale, molto equilibrata e attenta, nel solco della giurisprudenza costante nel ritenere prevalenti i temi della tutela del paesaggio/ambiente sugli aspetti di ordine urbanistico-edilizio attinenti la gestione del territorio.

dott. Stefano Deliperi

SENTENZA N. 189

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2012 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 2016 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma della Sardegna e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2012 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 2 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico).

1.1.− In particolare, con riguardo all’art. 7, comma 1, lettera f), il Presidente del Consiglio dei ministri ha denunciato la violazione degli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione. Con riferimento all’art. 18, ha dedotto il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. In relazione all’art. 20, ha lamentato la violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. Infine, quanto all’art. 23, commi 6 e 7, ha denunciato il contrasto per eccesso dalle competenze di cui all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché il contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo comma, Cost.

2.– Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 9 marzo 2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma della Sardegna, che ha richiesto di dichiarare inammissibili e, comunque sia, infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.

3.– Il ricorso statale ha per oggetto, in primo luogo, l’art. 7, comma 1, lettera f), della citata legge regionale, il quale inserisce il comma 5-ter all’art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo), legge attuativa del cosiddetto piano casa. Ai sensi della disposizione inserita, gli interventi edilizi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 della legge regionale n. 4 del 2009 «sono realizzati in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali; possono essere superati gli indici massimi di fabbricabilità. È in ogni caso fatto salvo il rispetto delle disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi».

3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri riconosce che la Regione autonoma della Sardegna è titolare della potestà legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale e ha competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici» ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna). Sottolinea anche, però, che queste competenze legislative devono essere esercitate in armonia con la Costituzione e con i principî dell’ordinamento giuridico della Repubblica, rispettando altresì gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali, nonché le norme fondamentali delle riforme economiche-sociali, quali sono quelle in tema di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», adottate dallo Stato in base alla competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Ciò premesso, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che l’impugnato art. 7, comma 1, lettera f), «appare suscettibile di essere interpretat[o] secondo un’accezione ampia», tale da porsi in contrasto con i suddetti limiti.

In primo luogo, posto che nella generica locuzione «disposizioni normative regionali» può ricomprendersi anche la disciplina di uso del territorio stabilita dal piano paesaggistico regionale, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che gli interventi edilizi potrebbero essere compiuti in deroga a quest’ultimo, in contrasto quindi con la norma di grande riforma economico-sociale posta dall’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, nonché con i limiti derivanti dalla disciplina statale concernente i vincoli paesaggistici e con i principî di tutela dei beni paesaggistici contenuti negli artt. 131 e seguenti del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Ne conseguirebbe la violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In secondo luogo, posto che la disposizione impugnata fa salvo soltanto il rispetto delle norme del codice civile e dei diritti dei terzi, gli interventi edilizi potrebbero essere compiuti in deroga alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), con conseguente violazione della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Infine, gli interventi edilizi potrebbero essere compiuti in deroga anche alle misure di controllo dell’urbanizzazione stabilite in materia di rischi di incidenti rilevanti di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), attuativo della cosiddetta direttiva Seveso, e delle collegate previsioni dettate con decreto ministeriale 9 maggio 2001 (Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante). La disposizione impugnata, perciò, sarebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per inosservanza della normativa europea, e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui disporrebbe in modo difforme dalla normativa statale in materia.

3.2.– Con l’atto di costituzione, la Regione autonoma della Sardegna eccepisce, innanzitutto, che le censure concernenti l’art. 7, comma 1, lettera f), sono inammissibili perché ipotetiche, prospettandosi vizi meramente eventuali, connessi ad una determinata interpretazione della disposizione censurata.

Nel merito, la resistente osserva che la disposizione censurata si limita a fare riferimento alla possibilità di derogare alla normativa regionale in materia di urbanistica e di edilizia, e non già a quella statale, senza neppure fare menzione del piano paesaggistico regionale il quale, comunque sia, ha natura di atto amministrativo generale e non di regolamento. Dunque, non essendo stato il piano paesaggistico richiamato dalla disposizione censurata – che invece contempla altri strumenti urbanistici – ed essendo il piano un atto amministrativo, e non normativo, ne deriverebbe che gli interventi edilizi di cui alla suddetta disposizione non possono derogarvi.

Non vi sarebbe poi, secondo la difesa regionale, alcuna invasione della materia «ordinamento civile», perché l’art. 7, comma 1, lettera f), non investirebbe affatto le regole che disciplinano i rapporti tra privati, ma si riferirebbe esclusivamente all’attività edificatoria, da ricomprendersi nella materia «edilizia ed urbanistica» attribuita in via esclusiva alla Regione autonoma della Sardegna dallo statuto speciale. D’altra parte, risulterebbe impossibile anche soltanto ipotizzare che tale disciplina possa incidere sul regime degli standard urbanistici dettati dal d.m. n. 1444 del 1968, essendo questo un atto normativo che certamente non rientra nelle «disposizioni normative regionali».

Correlativamente infondato, poi, sarebbe il ricorso laddove si lamenta la violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., sul presupposto che la disposizione impugnata metterebbe a repentaglio l’attuazione della cosiddetta normativa sulla prevenzione dei grandi rischi. La disciplina oggetto di censura, infatti, non consentirebbe affatto di costruire dovunque, ma solo di ampliare, dati certi presupposti, fabbricati legittimamente già esistenti, e perciò rispettosi degli strumenti urbanistici vigenti.

3.3.– Nelle due memorie depositate nella cancelleria di questa Corte, l’una il 5 maggio 2015 e l’altra il 24 maggio 2016, la Regione autonoma della Sardegna argomenta ulteriormente, innanzitutto, circa l’inammissibilità delle censure rivolte alla disposizione impugnata. Il ricorrente, infatti, da un lato non avrebbe motivato sulle ragioni in base alle quali la disposizione impugnata, che espressamente consente la deroga alla normativa regionale, consentirebbe la deroga anche a un atto normativo statale quale il d.m. n. 1444 del 1968, e, dall’altro, egli avrebbe dovuto indicare specificamente le disposizioni della normativa in materia di rischi e incidenti industriali violate dall’art. 7, comma 1, lettera f).

Nel merito, la difesa regionale afferma che questa Corte si è già pronunciata sulla disciplina relativa al cosiddetto piano casa della Regione autonoma della Sardegna con la sentenza n. 46 del 2014, con la quale è stata dichiarata infondata «con considerazioni di sistema» una questione di legittimità sollevata nei confronti di altra disposizione – l’art. 2 – della legge regionale n. 4 del 2009, novellata nell’art. 8 dalla norma impugnata.

Osserva, infatti, che con tale decisione questa Corte avrebbe ricondotto la normativa impugnata alla materia urbanistica e non invece alla tutela paesaggistica: conseguentemente, dovrebbe escludersi che la disposizione oggetto di censura autorizzi interventi edilizi in deroga al piano paesaggistico regionale.

La medesima pronuncia dovrebbe condurre a ritenere del pari infondata la censura con cui si lamenta la possibilità di effettuare interventi edilizi in deroga al d.m. n. 1444 del 1968, perché questa Corte avrebbe già escluso che tale ipotesi sia riscontrabile nella normativa de qua. Si aggiunge, poi, che deroghe di tal fatta sarebbero ora consentite, peraltro, dall’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), come novellato dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98.

Infine, proprio perché la sentenza n. 46 del 2014 avrebbe precisato che la legge regionale de qua opera sul piano della legislazione urbanistica e non su quello della legislazione a tutela dell’ambiente e del paesaggio, dovrebbe ritenersi infondato il ricorso anche laddove lamenta la possibilità che la norma impugnata consenta interventi edilizi in deroga alla normativa in materia di rischi e incidenti industriali.

3.4.– Con memoria depositata il 17 maggio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo aver precisato che nel giudizio in via principale la questione di costituzionalità può esser posta «in relazione ad una ragionevole interpretazione della norma censurata, che si intende scongiurare», chiede che sia respinta la relativa eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa regionale.

Nel merito, il ricorrente insiste nel sostenere che il contrasto con i parametri costituzionali evocati si debba alla circostanza per cui nella normativa regionale derogabile ai sensi dell’impugnato art. 7, comma 1, lettera f), deve certamente comprendersi, a differenza di quanto eccepito dalla Regione autonoma della Sardegna, anche il piano paesaggistico regionale. Osserva infatti, anche mercé un’analisi del suo contenuto, che quest’ultimo è atto avente natura mista, presentando caratteri sia di tipo normativo sia di tipo amministrativo, e che il rilevato contrasto con le norme costituzionali sarebbe suffragato da quanto statuito da questa Corte nella recentissima sentenza n. 11 del 2016.

Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che, poiché la norma impugnata fa espressamente salvo soltanto il rispetto delle disposizioni del codice civile e i diritti dei terzi, essa consentirebbe interventi edilizi in deroga non solo alla normativa regionale, ma anche a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968, in tema di distanze dai fabbricati.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 18 della legge regionale oggetto del presente giudizio, il quale inserisce l’art. 5-bis dopo l’art. 5 della legge della Regione Sardegna 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma della Sardegna con l’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con l’art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348), dettando norme in tema di interventi di lieve entità da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela di cui alla Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004.

La disposizione censurata sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché – prevedendo che, dopo una prima fase di applicazione, la Giunta regionale può individuare, per gli interventi di lieve entità, ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principî contenuti nel d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni) – violerebbe la disciplina statale concernente l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, normativa di grande riforma economico-sociale.

4.1.– Con l’atto di costituzione, la Regione autonoma della Sardegna ritiene, innanzitutto, che la censura sia inammissibile perché eventuale e meramente ipotetica, rilevando che lo Stato potrà eventualmente dolersi della delibera della Giunta regionale solo nel caso in cui essa violi la disciplina statale dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio.

Nel merito, la questione sarebbe, comunque sia, infondata. La difesa regionale osserva che secondo la giurisprudenza di questa Corte è inibito alle Regioni introdurre disposizioni che determinino un minor rigore di protezione ambientale, per cui la presunta lesione di competenza statale si potrà eventualmente verificare solo una volta che la Giunta regionale abbia adottato la delibera. Quest’ultima, infatti, deve intervenire nella materia «edilizia ed urbanistica» di competenza esclusiva regionale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale, ma in conformità ai principî contenuti nel d.P.R. n. 139 del 2010, di modo che solo dopo la sua adozione si potrà verificare se è stato o no introdotto un livello maggiore o minore di tutela ambientale o paesaggistica.

4.2.– Nelle memorie successivamente depositate, la resistente eccepisce ulteriormente l’inammissibilità della questione «per non aver il ricorrente articolato le censure tenendo in debito conto le norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione competenza legislativa primaria in materia di “tutela del paesaggio”», richiamando a tal proposito la sentenza n. 288 del 2013 di questa Corte.

Nel merito, rileva che proprio lo Stato, dando attuazione all’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, ha riconosciuto alle Regioni autonome, con l’art. 6 del d.P.R. n. 139 del 2010, la competenza a regolare i profili procedimentali dell’autorizzazione paesaggistica semplificata e che, pertanto, la disposizione censurata «si inserisce armonicamente […] in un ambito d’autonomia specificamente disegnato» dalla normativa statale.

4.3. – Con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato chiede, innanzitutto, che siano respinte le eccezioni di inammissibilità: sia perché l’interesse sarebbe «attuale perché attuale è l’invasione della competenza statale da parte della Regione, che non ha rispettato il disposto dell’art. 117 per la parte applicabile in materia», sia perché nel ricorso si sarebbe invero fatto riferimento anche alla disciplina statutaria regionale ed a quella attuativa, rilevando però la prevalenza delle competenze statali ex art. 117 Cost.

Nel merito, la difesa statale osserva che il contrasto con la disciplina statale sull’autorizzazione paesaggistica è dato dal fatto che, sebbene quest’ultima autorizzi le Regioni a statuto speciale ad adottare le norme necessarie a disciplinare il procedimento semplificato, non consente loro di individuare «ulteriori forme di semplificazione del procedimento», come invece dispone la norma censurata.

5.– Il ricorso statale ha, in terzo luogo, per oggetto l’art. 20 della legge regionale impugnata, il quale sostituisce il comma 4-bis dell’art. 6 della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive). Tale disposizione prevede che, al ricorrere di requisiti specificamente indicati, taluni allestimenti mobili di pernottamento collocati nelle aziende ricettive all’area aperta non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.

Il Presidente del Consiglio dei ministri censura la richiamata disposizione in quanto non spetterebbe «alla normativa regionale qualificare alcuni interventi come paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell’articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio». Così facendo, invece, la legge sarda consentirebbe attività prive dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del medesimo codice – che è norma di grande riforma economico-sociale, in quanto tale vincolante per la Regione autonoma della Sardegna – in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.1.– Con l’atto di costituzione la Regione autonoma della Sardegna eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso in parte qua, in quanto si limiterebbe a prospettare dubbi connessi alla portata interpretativa e applicativa della normativa in questione.

Nel merito, la questione di legittimità sarebbe infondata. Sarebbe destituito di fondamento l’assunto da cui muove il ricorrente, secondo il quale la disposizione impugnata avrebbe esteso gli interventi qualificati come paesaggisticamente irrilevanti e avrebbe ecceduto, dunque, dai limiti spettanti all’autonomia regionale: la normativa censurata, infatti, espressamente disciplina solo gli allestimenti mobili di pernottamento – i quali, per loro natura, non possono determinare un mutamento definitivo nell’assetto del territorio – ed anzi richiede che gli accessori e le pertinenze siano rimovibili in ogni momento.

5.2.– Nelle memorie successivamente depositate, la Regione autonoma della Sardegna avanza un’ulteriore eccezione di inammissibilità, analoga a quella già proposta avverso l’impugnazione dell’art. 18: il ricorrente non avrebbe articolato le censure «tenendo in conto le norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio».

Quanto al merito, la difesa regionale ribadisce che la questione sarebbe infondata, ricordando che tanto la giurisprudenza amministrativa quanto quella penale – quest’ultima pronunciatasi anche con riferimento alla disposizione oggetto del presente ricorso (si richiama, in proposito, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 14 maggio-13 settembre 2013, n. 37572) – hanno riconosciuto che ciò che contraddistingue l’edificazione urbanisticamente e paesaggisticamente rilevante è il carattere permanente della struttura, espressamente escluso dalla disposizione impugnata.

Rileva, poi, a dimostrazione che la Regione autonoma della Sardegna ben poteva adottare la disposizione censurata, che con la sentenza n. 278 del 2010 questa Corte ha dichiarato incostituzionale una disposizione statale analoga a quella impugnata nel presente giudizio, perché impingeva nella competenza regionale in materia di «governo del territorio». Infine, osserva che recentemente il legislatore statale (il riferimento è al novellato art. 3, comma 1, lettera e, del d.P.R. n. 380 del 2001) è andato ben oltre quanto stabilito nella disposizione censurata con riguardo agli interventi che non debbono qualificarsi di nuova costruzione: ciò che non solo dimostrerebbe l’infondatezza del ricorso, ma l’improcedibilità o inammissibilità dello stesso per sopravvenuta carenza d’interesse.

5.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, dopo aver chiesto che siano respinte le eccezioni di inammissibilità, ha rilevato che la disposizione regionale si riferisce senza dubbio anche a strutture che, pure se non rilevanti a fini urbanistici ed edilizi, ben possono essere paesaggisticamente significative, incidendo sulla conformazione del paesaggio per ciò stesso necessitando di controllo e autorizzazione: non rilevanti, pertanto, sarebbero la giurisprudenza amministrativa e penale richiamate dalla difesa regionale. Allo stesso modo, non sarebbe pertinente l’evocata sentenza di questa Corte n. 278 del 2010, dal momento che la circostanza per cui il legislatore statale non può dettare una normativa di dettaglio circa le strutture turistico-ricettive all’aperto – trattandosi della materia «governo del territorio» – non consentirebbe in ogni caso al legislatore regionale di adottare una disciplina in deroga a norme di grandi riforme economico-sociali quali l’art. 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio.

6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, in quarto luogo, impugna anche l’art. 23, commi 6 e 7, della legge oggetto del presente giudizio, il quale, apportando modifiche all’art. 5 della legge regionale 21 settembre 2011, n. 19 (Provvidenze per lo sviluppo del turismo golfistico), ha previsto, in particolare, che la Giunta regionale proponga gli adeguamenti al piano paesaggistico regionale necessari per consentire, anche in ambito costiero, la realizzazione di nuove strutture residenziali ricettive connesse ai campi da golf.

Il ricorrente ritiene che la normativa impugnata sia in violazione del principio della pianificazione necessariamente congiunta (Stato-Regione) sui beni paesaggistici, previsto negli artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio, indubbiamente qualificabile come normativa di grande riforma economico-sociale, ponendosi così in contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, oltre che con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo comma, Cost.

6.1.– La Regione autonoma della Sardegna, dopo avere chiesto nell’atto di costituzione che le questioni di legittimità costituzionale relative alla suddetta normativa siano dichiarate inammissibili o infondate, nella memoria depositata il 5 maggio 2015 ha chiesto sia dichiarata la cessata materia del contendere, in considerazione, per un verso, della abrogazione – pienamente satisfattiva delle pretese del ricorrente – dell’intiera legge regionale n. 19 del 2011 e delle successive modifiche e integrazioni ad opera dell’art. 44, comma 5, della legge regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio) e, per un altro, della circostanza per cui la legge abrogata non è mai stata applicata nelle more del presente giudizio.

6.2.– L’8 giugno 2015 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, previa delibera del Consiglio dei ministri, atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alle suddette questioni di legittimità costituzionale.

6.3.– Con atto depositato il 12 maggio 2016, la Regione autonoma della Sardegna, previa delibera della Giunta regionale, ha accettato la rinuncia parziale al ricorso.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), per violazione degli artt. 9; 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), e 118, terzo comma, della Costituzione, oltre che per eccesso dalle competenze di cui all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

Le disposizioni censurate, che novellano precedenti leggi regionali, dettano norme in tema di interventi sul patrimonio edilizio esistente, di semplificazione delle procedure di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, di allestimenti nelle aziende ricettive all’area aperta e di sviluppo del turismo golfistico.

2.– Nelle more del giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato l’8 giugno 2015, ha rinunciato al ricorso, limitatamente all’impugnazione dell’art. 23, commi 6 e 7, della legge regionale censurata, in ragione dell’abrogazione, disposta dall’art. 44, comma 5, della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), dell’intiera legge regionale n. 19 del 2011, e successive modifiche e integrazioni, fra cui proprio quella operata con l’impugnato art. 23.

La rinuncia parziale è stata formalmente accettata dalla Regione autonoma della Sardegna, con atto depositato il 12 maggio 2016.

Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, va dichiarata l’estinzione del processo relativamente alle questioni di legittimità dell’art. 23, commi 6 e 7, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2011.

3.– Restano, quindi, da esaminare i tre insiemi di questioni relative alle disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1, lettera f), 18 e 20 della legge regionale impugnata.

4.– L’art. 7, comma 1, lettera f), inserisce il comma 5-ter nell’art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo), legge attuativa del cosiddetto piano casa, prevedendo che gli interventi edilizi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 della legge novellata «sono realizzati in deroga alle previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali; possono essere superati gli indici massimi di fabbricabilità. È in ogni caso fatto salvo il rispetto delle disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi».

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale disposizione violerebbe gli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), Cost., perché si porrebbe in contrasto con i limiti che la Regione autonoma della Sardegna incontra nell’esercizio delle proprie competenze, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale, in materia di «edilizia ed urbanistica», e, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), in materia di «piani territoriali paesistici». La norma impugnata, infatti, consentirebbe che gli interventi edilizi cui essa fa riferimento siano realizzati in deroga alla disciplina di uso del territorio stabilita dal piano paesaggistico regionale, al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), nonché alle misure di controllo dell’urbanizzazione stabilite in materia di rischi di incidenti rilevanti di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), attuativo della cosiddetta direttiva Seveso, e alle collegate previsioni dettate con decreto ministeriale 9 maggio 2001 (Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante).

4.1.– In relazione alle questioni di legittimità costituzionale ora in esame vanno preliminarmente respinte le tre diverse eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione autonoma della Sardegna.

La difesa regionale lamenta, in primo luogo, che le censure sono ipotetiche e che prospettano vizi meramente eventuali, connessi a una determinata interpretazione della disposizione censurata. Tuttavia, come peraltro riconosce anche la stessa Regione autonoma della Sardegna, «costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte l’ammissibilità, nei giudizi in via principale, delle questioni prospettate in termini dubitativi o alternativi (tra le ultime, sentenze n. 269 e n. 207 del 2014), purché le interpretazioni “non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose”» (sentenza n. 245 del 2015; nello stesso senso, più di recente, sentenza n. 3 del 2016). È quanto precisamente accade nell’occasione in esame, dal momento che l’interpretazione «secondo un’accezione ampia» posta in essere dal ricorrente non è affatto implausibile né pretestuosa e, dunque, non è preclusiva di un esame nel merito.

Del pari da respingere è la seconda eccezione di inammissibilità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione autonoma della Sardegna, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sufficientemente motivato sulle ragioni per le quali la disposizione impugnata, che espressamente consente interventi edilizi in deroga alla normativa regionale, li autorizzerebbe anche in deroga a un regolamento statale quale il d.m. n. 1444 del 1968: ciò si evincerebbe, a detta del ricorrente, dalla circostanza per cui la norma censurata fa espressamente salvo il rispetto del solo codice civile e dei diritti dei terzi, ma non impone anche quello del citato d.m.

Anche la terza eccezione di inammissibilità non è meritevole di accoglimento. È vero che lo Stato non ha indicato specificamente le disposizioni della normativa statale in materia di rischi e incidenti industriali che sarebbero violate dall’art. 7, comma 1, lettera f), ma ciò proprio perché il ricorrente non ha inteso lamentare il contrasto con puntuali norme previste dalla richiamata legislazione statale, bensì il fatto che gli interventi edilizi autorizzati dalla legge regionale possano di volta in volta essere compiuti in deroga a detta legislazione.

4.2.– Nel merito, le questioni di legittimità ora in esame non sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono.

4.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 7, comma 1, lettera f), rilevando che detto articolo «appare suscettibile di essere interpretat[o] secondo un’accezione ampia», tale da porsi in contrasto con i limiti che la Regione autonoma della Sardegna incontra nell’esercizio delle competenze legislative in materia di «edilizia ed urbanistica» e di «piani territoriali paesistici».

Questa Corte ha già precisato che il legislatore statale conserva «il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali”: e ciò anche sulla base – per quanto qui viene in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia “edilizia ed urbanistica”» (sentenza n. 51 del 2006; nello stesso senso, anche la sentenza n. 536 del 2002).

Il legislatore regionale è poi tenuto a rispettare quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968 che, come questa Corte ha in più occasioni affermato, «integra la disciplina privatistica delle distanze» (sentenza n. 114 del 2012), la quale può essere derogata dalla normativa regionale solo in quanto questa persegua «chiaramente finalità di carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a “strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio” (sentenza n. 232 del 2005)» (sentenza n. 6 del 2013), secondo un principio che è stato sostanzialmente recepito dal legislatore statale all’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), inserito dall’art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 (sentenza n. 134 del 2014).

Infine, la legislazione regionale non può porsi in contrasto con la normativa statale in materia di rischi di incidenti rilevanti, che questa Corte ha già ricondotto alla materia «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 135 del 2005 e n. 407 del 2002).

4.4.– Tuttavia, l’interpretazione della disposizione impugnata ipotizzata dal Presidente del Consiglio dei ministri, tale da ricavarne norme in contrasto con detti limiti – sebbene non sia implausibile e, come detto, non precluda pertanto l’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale – non è certamente la sola possibile.

La disposizione impugnata, infatti, può essere interpretata in modo da prevenire l’insorgere della denunciata antinomia normativa, come d’altro canto esattamente prospettato anche dalla stessa Regione autonoma della Sardegna nei diversi atti difensivi.

Innanzitutto, si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile: ciò perché l’intervento legislativo regionale – da ricondurre, come questa Corte ha già rilevato con la sentenza n. 46 del 2014, alla materia «edilizia e urbanistica» – espressamente dispone la possibilità di compiere alcuni interventi in deroga ai «regolamenti edilizi e [agli] strumenti urbanistici comunali vigenti», senza comprendere, dunque, alcun riferimento al piano paesaggistico regionale. D’altra parte, l’art. 1 della legge regionale n. 4 del 2009, nel cui art. 8 è inserito dalla disposizione impugnata il comma 5-ter, espressamente afferma che l’intervento legislativo intende favorire interventi nel settore edilizio diretti alla riqualificazione ed al miglioramento anche «della compatibilità paesaggistica», ciò che costituisce ulteriore argomento ermeneutico idoneo ad escludere che detti interventi edilizi possano essere realizzati in deroga al piano paesaggistico regionale.

Quanto, poi, alla possibilità che questi ultimi possano essere effettuati in deroga al d.m. n. 1444 del 1968 e alla normativa statale in materia di rischi di incidenti rilevanti, va innanzitutto rilevato che il disposto normativo impugnato consente bensì che taluni interventi edilizi siano realizzati in deroga ai regolamenti edilizi, agli strumenti urbanistici comunali vigenti e alle «vigenti disposizioni normative regionali», al cui ambito, con tutta evidenza, non può però certamente ricondursi la legislazione statale. È anche alla luce di questo primo periodo del comma inserito dalla disposizione censurata, poi, che deve essere interpretato l’ultimo periodo del medesimo comma: con la clausola di salvezza ivi prevista, il legislatore regionale ha voluto espressamente escludere che gli interventi edilizi possano essere realizzati in violazione delle disposizioni del codice civile – il cui richiamo, peraltro, deve intendersi come riferito all’intiera disciplina civilistica di cui il d.m. n. 1444 del 1968 è parte integrante e fondamentale (sentenza n. 134 del 2014) – e dei diritti dei terzi, senza perciò consentire, tuttavia, che essi siano effettuati in deroga ad altra normativa statale, la quale pertanto deve in ogni caso essere osservata.

L’art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata deve pertanto essere interpretato nel senso che gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale.

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, in secondo luogo, impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., l’art. 18 della censurata legge regionale, il quale inserisce l’art. 5-bis dopo l’art. 5 della legge regionale 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma della Sardegna con l’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con l’art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348). La disposizione inserita prevede che: «1. In sede di prima applicazione, gli interventi di lieve entità da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela di cui alla parte III del decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modifiche, ed indicati nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche), sempre che comportino un’alterazione dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici, sono assoggettati al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica così come disciplinato nel regolamento emanato con il citato decreto presidenziale. 2. La Giunta regionale, con direttiva adottata previa deliberazione, può individuare ulteriori forme di semplificazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principi contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010».

Le censure del ricorrente hanno per oggetto, in verità, il solo secondo comma della disposizione de qua, il quale violerebbe la disciplina statale concernente l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Quest’ultima, infatti, è norma di grande riforma economico-sociale, funzionale ad assicurare uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale nella delicata fase di tutela preventiva del bene protetto.

5.1.– Anche in relazione a questa questione di legittimità costituzionale vanno preliminarmente respinte le eccezioni di inammissibilità avanzate dalla Regione autonoma della Sardegna.

La difesa regionale lamenta, innanzitutto, la carenza di attualità della censura, rilevando che lo Stato potrà eventualmente dolersi soltanto della delibera della Giunta regionale che violi la disciplina statale dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio. In senso contrario è tuttavia dirimente l’osservazione per cui, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «non è ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti di atti che siano la diretta applicazione di preesistenti disposizioni legislative non impugnate» (sentenza n. 30 del 2012), quale evidentemente sarebbe la delibera di Giunta di cui al censurato art. 18.

In secondo luogo, la Regione resistente eccepisce che il ricorrente ha articolato le censure senza tenere in conto «le norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio». Tuttavia, va osservato, innanzitutto, che su tale competenza e sui limiti che essa incontra, il Presidente del Consiglio dei ministri si diffonde nella parte iniziale del ricorso, svolgendo considerazioni che, sebbene compiute in premessa delle questioni di legittimità promosse nei confronti dell’art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata, hanno carattere generale e risultano riferite a tutte le censure proposte con l’atto introduttivo del presente giudizio. Inoltre, nell’articolazione della censura avente per oggetto l’art. 18, espressamente il ricorrente lamenta il contrasto con l’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio che «costituisce una norma di grande riforma economico-sociale»: qualificazione, questa, che evidentemente presuppone il riconoscimento in capo alla Regione autonoma della Sardegna di una competenza da tale norma limitata.

5.2.– Nel merito, la questione di legittimità ora in esame non è fondata, nei limiti e nei termini che seguono.

5.3.– L’art. 146, comma 9, quarto periodo, del codice dei beni culturali e del paesaggio dispone che «[c]on regolamento da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d’intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni».

Il previsto regolamento è stato adottato con il d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), il cui art. 6, rubricato come «Efficacia immediata delle disposizioni in tema di autorizzazioni semplificate» dispone che «1. Ai sensi dell’articolo 131, comma 3, del Codice, le disposizioni del presente decreto trovano immediata applicazione nelle regioni a statuto ordinario. 2. In ragione dell’attinenza delle disposizioni del presente decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e della natura di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione procedimentale in esso previste, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità agli statuti ed alle relative norme di attuazione, adottano, entro centottanta giorni, le norme necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in conformità ai criteri del presente decreto.».

5.4.– La disposizione censurata costituisce dunque attuazione, come rileva anche la difesa regionale, di quanto previsto dalla normativa statale. Il Presidente del Consiglio dei ministri, tuttavia, ritiene che l’aggettivo «ulteriori» di cui alla disposizione impugnata consentirebbe alla Giunta regionale di individuare forme di “maggiore semplificazione” rispetto a quanto previsto dalla normativa statale, ponendosi così in contrasto con l’evocato parametro costituzionale.

A tale interpretazione – che determinerebbe l’insorgere dell’antinomia normativa paventata nel ricorso, dal momento che, come si è già detto, le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali adottati nella materia «tutela dell’ambiente» continuano a imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione autonoma della Sardegna – deve tuttavia preferirsene altra, tale da rendere la disposizione impugnata conforme a Costituzione. Il comma 2 della disposizione inserita dal censurato art. 18, infatti, deve essere inteso nel senso che la Giunta può prevedere forme di semplificazione “diverse” da quelle previste dalla normativa statale, nel frattempo applicabile anche nella Regione autonoma della Sardegna ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, ma non per questo di “maggiore semplificazione”, tanto più che è la stessa disposizione regionale a prevedere che esse debbono essere conformi ai principî contenuti nel citato d.P.R. n. 139 del 2010.

6.– In terzo e ultimo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., l’art. 20 della legge regionale oggetto del presente giudizio, il quale sostituisce il comma 4-bis dell’art. 6 della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive), introdotto dalla legge regionale 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale). Il citato comma 4-bis ora prevede che: «Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende ricettive all’area aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata, gli allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case mobili e pertinenze ed accessori funzionali all’esercizio dell’attività, sono diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e, anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono: a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni momento.».

Il ricorrente censura detta disposizione perché non spetterebbe «alla normativa regionale qualificare alcuni interventi come paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell’articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio» e così consentendo attività prive dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del medesimo codice, norma di grande riforma economico-sociale.

6.1.– Anche in relazione a quest’ultima questione di legittimità costituzionale, devono preliminarmente essere prese in esame le eccezioni di inammissibilità proposte dalla Regione autonoma della Sardegna.

Queste, peraltro, sono analoghe a quelle già avanzate con riferimento alle altre questioni di legittimità costituzionale proposte con il ricorso statale e debbono pertanto essere parimente rigettate.

La Regione resistente lamenta, in primo luogo, che il Presidente del Consiglio dei ministri prospetta generici dubbi, connessi alla portata interpretativa e applicativa della disposizione censurata: tuttavia, ciò che conta è che l’interpretazione di quest’ultima non è né implausibile né pretestuosa, di modo che non appare preclusiva di un esame nel merito.

In secondo luogo, la difesa regionale eccepisce che il ricorrente ha articolato le censure senza tenere in conto «le norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio». Al riguardo vale quanto già osservato in relazione alla questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 18 della legge regionale impugnata, ovvero che, non solo su tale competenza e sui limiti che essa incontra il Presidente del Consiglio dei ministri si diffonde nella prima parte del ricorso – svolgendo considerazioni che, sebbene compiute in premessa delle questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata, hanno carattere generale e sono riferite a tutte le censure proposte con l’atto introduttivo del presente giudizio – ma che, inoltre, espressamente lo Stato lamenta il contrasto dell’art. 20 della legge regionale impugnata con la «norma di grande riforma economico-sociale» posta dall’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, così chiaramente dando per presupposta una competenza della Regione autonoma della Sardegna da tale norma limitata.

6.2.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale è fondata, nei termini che seguono.

6.3.– È innanzitutto necessario precisare che l’impugnativa statale non concerne, in verità, l’intiera disposizione regionale, ma la parte di essa che qualifica gli interventi ivi previsti come paesaggisticamente irrilevanti. Difatti, lo Stato non censura affatto la qualificazione di detti interventi come irrilevanti ai fini urbanistici ed edilizi, essendo tale qualificazione riconducibile alla potestà primaria in materia «edilizia e urbanistica» conferita alla Regione autonoma della Sardegna dall’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale. Da ciò consegue, peraltro, che la giurisprudenza amministrativa e penale in tema di edilizia e urbanistica, richiamata dalla difesa regionale, non è pertinente.

6.4.– Questa Corte si è già pronunciata su disposizioni dal contenuto sostanzialmente analogo a quello della disposizione impugnata, adottate però dal legislatore statale e censurate dalle Regioni per lesione delle proprie competenze, impugnate sotto profili diversi da quelli in considerazione nel presente giudizio.

Con la sentenza n. 278 del 2010, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia). In detta pronuncia, questa Corte rilevò, preliminarmente, che «l’oggetto principale, il suo “nucleo essenziale”» della disposizione impugnata era costituito dalla disciplina urbanistico-edilizia relativa all’installazione di mezzi mobili di pernottamento e che, pertanto, essa doveva essere ricondotta alla materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Ciò posto, accogliendo i ricorsi regionali che lamentavano una invasione di competenza in ambito di potestà concorrente, la disposizione allora censurata fu ritenuta illegittima perché norma di dettaglio avente a oggetto «una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti», che non lasciava, in tal modo, alcuno spazio al legislatore regionale.

Con la recente sentenza n. 189 del 2015 è stata poi dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 41, comma 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che era intervenuto sul testo dell’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, modificandolo in modo che fossero da considerarsi, comunque sia, interventi di nuova costruzione l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che fossero utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non fossero diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee «ancorché [fossero] installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti». Questa Corte osservò che la norma impugnata presentava vizi di legittimità analoghi a quelli riscontrati nella disposizione annullata con la sentenza n. 278 del 2010, perché anch’essa sottraeva al legislatore regionale ogni spazio di intervento, «determinando la compressione della sua competenza concorrente in materia di governo del territorio, nonché la lesione della competenza residuale del medesimo in materia di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla prima».

6.5.– Nel presente giudizio, come si è già precisato, vengono tuttavia in considerazione, pur a fronte di disposizione analoga a quelle già scrutinate da questa Corte, contenute in leggi statali, profili inerenti non al «governo del territorio» ma, diversamente, alla «tutela del paesaggio».

Osserva a tal proposito il ricorrente che anche un intervento non rilevante a fini urbanistici ed edilizi, perché a carattere non permanente, «ben può essere paesaggisticamente significativo, in quanto, andando ad incidere sulla conformazione del paesaggio, necessita di un apposito controllo e successiva autorizzazione». È del tutto evidente che non ogni intervento qualificato dalla norma impugnata come paesaggisticamente irrilevante ha sempre un impatto paesaggisticamente significativo, perché ciò dipenderà, di volta in volta, dalle modalità di realizzazione del singolo intervento: ma proprio in ciò risiede l’esigenza che i richiamati interventi, come previsto dalla legislazione statale, siano soggetti all’autorizzazione paesaggistica.

Questa Corte ha già affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 232 del 2008, successivamente richiamata dalle sentenze n. 101 del 2010 e n. 235 del 2011).

La disposizione impugnata, invece, nel qualificare come paesaggisticamente irrilevanti taluni interventi nelle aziende ricettive all’area aperta, consente che essi vengano posti in essere a prescindere dall’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la quale è norma di grande riforma economico-sociale che la Regione autonoma della Sardegna deve rispettare (sentenza n. 238 del 2013), in quanto adottata nell’ambito della competenza esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La norma censurata si pone dunque in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l’art. 149 del medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio – che individua tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di autorizzazione paesaggistica – e con l’Allegato 1 del d.P.R n. 139 del 2010 – che reca un elenco tassativo degli interventi di «lieve entità», assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 235 del 2011).

6.6.– Né può condurre a una diversa risoluzione della presente questione di legittimità costituzionale l’affermazione della difesa regionale secondo cui la più recente normativa statale – il riferimento è all’art. 10-ter, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, che ha novellato l’art. 3, comma 1, lettera e.5) del testo unico in materia edilizia – «ha “liberalizzato” la materia ben più di quanto avrebbe (ad avviso del ricorrente) fatto la legge regionale in esame», al punto che la questione dovrebbe considerarsi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione. A prescindere da ogni considerazione sulla proposta interpretazione dell’evocata normativa statale, peraltro oggetto di ulteriore novella ad opera dell’art. 52, comma 2, della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), la disposizione impugnata è intervenuta in parte qua in un ambito materiale – quello della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – di esclusiva competenza statale.

6.7.– L’impugnato art. 20 va, perciò, dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «e paesaggistici».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge della Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico), limitatamente alle parole «e paesaggistici»;

2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera f), della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2011, promosse, in riferimento agli artt. 9, 117, primo comma, e secondo comma, lettere l) e s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità dell’art. 18 della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2011, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2011, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2016.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

1 Vds. Il quadro delle tipologie decisorie nelle pronunce della Corte costituzionale, a cura di M. Bellocci e T. Giovannetti, Roma, Palazzo della Consulta, 2010, in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU%20219_Tipologia_decisioni.pdf.