Cass. Sez. III n. 42930 del 11 novembre 2022 (UP 13 set 2022)
Pres. Andreazza Est. Galterio Ric. Boga
Beni culturali.Immissione in circolazione di opere d’arte non autentiche

L’immissione in circolazione di opere d’arte non autentiche non richiede un atto di alienazione o comunque di disposizione del bene da parte del suo titolare. Sul piano della littera legis occorre evidenziare che la previsione di condotte finalizzate da scopi di lucro quali la messa in commercio o la detenzione a tali fini viene accomunata alla mera messa in circolazione stante la presenza della disgiuntiva “o” tra le differenti azioni, rafforzata dall’avverbio di chiusura “comunque”, il che impone di ritenere integrata la condotta penalmente rilevante con la semplice immissione in circolazione dei suddetti beni, laddove la ratio sottesa alla norma in esame è quella, come si ricava dalla matrice comune alle singole condotte criminose contemplate nel primo comma e dalla pubblicità prevista dal terzo comma che accompagna alla sentenza di condanna, di impedire la diffusione sul mercato di opere d’autore spacciate come autentiche a detrimento del valore non solo commerciale, ma altresì culturale, sociologico e storico di quelle universalmente accreditate come opere d’arte, così come dei reperti archeologici.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 3.3.2022 il Tribunale di Siracusa, adito in sede di appello cautelare, ha rigettato l’appello avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro di due sculture attribuite ad Alberto Giacometti proposto da Felice Boga, sia in proprio che nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Habitare, proprietaria delle due opere attinte dal sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen.. Ai fini di una più chiara comprensione della vicenda in esame, occorre puntualizzare che la misura cautelare, disposta dal Gip con decreto del 24.12.2019 nei confronti del Boga, si fonda sul fumus del reato di cui all’art. 178 d. lgs. 42/2004 per avere costui immesso in circolazione al fine di consentirne l’esposizione presso una mostra d’arte allestita nella città di Siracusa opere non autentiche, come accertato dal Consulente del Pubblico Ministero dott.ssa Marangozzi e al contempo sul periculum dell’aggravio delle conseguenze della condotta illecita ove le due sculture, di cui era comunque prevista la confisca obbligatoria, fossero rimaste nella disponibilità della società organizzatrice dell’evento culturale.
2. Avverso il suddetto provvedimento Felice Boga ha proposto, sia in proprio che nella vesta di legale rappresentante della società Habitare s.r.l., ricorso per cassazione articolando, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 324 cod. proc. pen. e 68 e 178 lett. b) d. lgs. 42/2004, due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta l’omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa, quali gli attestati di libera circolazione delle due sculture rilasciati, ai sensi dell’art. 68 d. lgs. 42/2004, dal Ministero dei Beni Culturali in data 17.3.2017, previo accertamento, così come disposto dalla suddetta normativa, della congruità del valore venale indicato dall’interessato e dell’interesse artistico dei beni in relazione alla loro natura e al contesto storico-culturale di cui fanno parte. Sostiene come da tale documentazione si evinca in automatico, oltre al valore delle due opere, altresì la loro attribuibilità ad Alberto Giacometti e rileva come proprio la libera circolazione autorizzata dall’amministrazione competente con validità quinquennale, e perciò ampiamente efficace nel 2019 allorquando era stata disposta la misura ablatoria, escluda la rilevanza penale della loro messa in circolazione da parte dell’indagato e la conseguente configurabilità del reato contestatogli. Deduce, in sintesi, che la sussumibilità della condotta in una fattispecie penalmente rilevante impone di tener conto non solo degli elementi forniti dall’accusa, ai quali soltanto era stata circoscritta la disamina del Tribunale, ma altresì degli argomenti e delle documentazioni prodotte dalla difesa. Si duole altresì del fatto che la sentenza impugnata abbia incentrato i propri apprezzamenti unicamente sull’esistenza di una discrasia del valore delle opere risultante dagli attestati di libera circolazione rispetto a quello assicurato e sulla consulenza disposta dal PM, omettendo di prendere in considerazione le numerose consulenze a firma di noti ed illustri esperti di arte, prodotte dalla difesa, che attestavano inconfutabilmente l’autenticità delle due sculture, così da escludere, trattandosi di documentazione raccolta negli anni, la configurabilità del dolo, ovverosia la consapevolezza in capo all’indagato che le due opere non fossero autentiche. Contesta per altro verso la stessa configurabilità del reato in contestazione, difettando la conformità della condotta concretamente posta in essere, consistita in un prestito a titolo gratuito agli organizzatori di una mostra finalizzata all’esposizione delle due sculture, rimaste comunque nella titolarità della società proprietaria, con la condotta tipizzata dal legislatore dove invece la messa in circolazione penalmente sanzionata presuppone la fuoriuscita dei beni artistici falsi o contraffatti dalla proprietà del dominus attraverso la loro  commercializzazione
2.2. Con il secondo motivo, nel puntualizzare come le due sculture fossero di proprietà della s.r.l. Habitare, contesta l’obbligatorietà della confisca rilevando come fuoriescano dalla previsione di cui all’art. 178 quarto comma d. lgs. 42/2004 i beni appartenenti ad un terzo estraneo al reato, questione che del tutto erroneamente era stata affrontata dal Tribunale che aveva escluso che la società potesse ritenersi terza stante la qualifica di legale rappresentante rivestita al suo interno dall’indagato. Eccepisce che in difetto di alcuna contestazione tanto amministrativa quanto penale nei confronti della suddetta persona giuridica, quest’ultima dovesse ritenersi a tutti gli effetti estranea al reato e non parte del procedimento, tanto più che nessun utile concreto aveva ottenuto attraverso il prestito temporaneo delle opere in occasione della mostra artistica allestita a Siracusa, prestito che non poteva ritenersi integrare la messa in circolazione di beni penalmente sanzionata.
3. Con successiva memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in ragione del vizio motivazionale devoluto, la difesa ha obiettato che le censure sollevate sono finalizzate a stigmatizzare l’omesso esame di punti decisivi dirimenti per l’accertamento del fatto, nel cui novero deve ritenersi ricompresa la mancata valutazione degli elementi probatori, per vero decisivi, portati dal ricorrente all’attenzione dei giudici della cautela reale che, tanto in relazione all’attestazione di libera circolazione dei beni quanto alle consulenze attestanti l’autenticità delle opere, sono di per sé  idonei a ribaltare l’impianto accusatorio sia con riferimento alla condotta materiale che all’elemento psicologico del contestato reato


CONSIDERATO IN DIRITTO

1.La costituzione del ricorrente nella duplice veste, personale e di legale rappresentante della società proprietaria delle opere attinte dalla misura reale, impone un preliminare rilievo in punto di ammissibilità della dispiegata impugnativa.
 Essendo l’istanza rivolta al Tribunale di Siracusa volta al dissequestro delle due sculture apprese in forza di sequestro preventivo ed alla conseguente restituzione all’avente diritto, occorre rilevare come ad essa debba essere sotteso, secondo i criteri generali dettati dall’art. 591 cod. proc. pen., l’interesse che costituisce altresì il metro di valutazione all’impugnativa in esame.
Ove, infatti, si consideri che la condizione di ammissibilità dell’impugnazione prevista dall’art. 568, quarto comma cod. proc. pen. risiede nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e al contempo in quella, positiva, del conseguimento di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, purché logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, Sentenza n. 6624 del 27/10/2011 - dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693), non può non tenersi conto dell’esito finale che la richiesta di riesame avverso un provvedimento di sequestro è volta a conseguire, la quale necessariamente presuppone una relazione qualificata tra l’impugnante e la res attinta dal vincolo cautelare, astrattamente idonea a consentire, una volta venuto meno il vincolo, la restituzione del bene in proprio favore.
In linea con quella stessa interpretazione secondo la quale l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, al di là della sua legittimazione astratta a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell'art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (ex plurimis Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545; Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, Firriolo, Rv. 274992), deve a fortiori ritenersi che l’impugnativa avverso un provvedimento di rigetto della richiesta di dissequestro debba necessariamente essere collegata ad un sottostante rapporto con la res sottoposta al vincolo cautelare astrattamente idoneo a consentire la restituzione del bene all’istante.
Nel caso di specie, risulta dal ricorso e dal provvedimento impugnato che il ricorrente, ancorchè indagato per il reato di messa in circolazione di beni artistici non autentici, non è tuttavia titolare delle due sculture oggetto di sequestro, a sua stessa detta di proprietà della Habitare s.r.l., né detentore in via di fatto delle medesime: a quest’ultima soltanto, in caso di accoglimento dell'impugnazione, competerebbe, pertanto, la restituzione dei beni in sequestro, in tal senso connotandone l'interesse concreto ed attuale a dolersi del provvedimento di rigetto della richiesta di dissequestro.
Il ricorso proposto dal Boga in proprio deve pertanto, stante la carenza di interesse in capo al medesimo, essere dichiarato inammissibile.
2. Quanto al ricorso proposto dallo stesso ricorrente in qualità di legale rappresentante della società Habitare, neanch’esso può ritenersi fondato.
2.1. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che le doglianze difensive in ordine al compendio indiziario passato in rassegna si risolvono, come osservato dal Procuratore Generale, in un vizio squisitamente motivazionale, il cui ingresso in sede di legittimità è inibito dall’art. 325 cod. proc. pen..
In particolare, i giudici siracusani non risultano affatto aver tralasciato la disamina delle consulenze di parte attestanti l’autenticità delle sculture, ma hanno ciò nondimeno ritenuto che sussistessero una pluralità di elementi indicativi del fumus del commesso reato, costituiti dalla relazione tecnica del consulente del  Pubblico  Ministero con cui era stata esclusa la riconducibilità delle opere a Giacometti, nonché dagli accertamenti negativi compiuti dalla Fondazione accreditata in via ufficiale all’autenticazione delle opere del celeberrimo scultore, oltre alla ingente differenza tra il valore dichiarato delle due sculture rispetto a quello assicurato. Risultanze queste che devono ritenersi ampiamente sufficienti ai fini del fumus sotteso alla misura cautelare reale, rispetto al quale al giudice della cautela è demandata una valutazione sommaria circoscritta alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, senza doversi estendere alla più pregnante verifica dei gravi indizi di colpevolezza richiesta ai fini dell’emissione e/o del mantenimento delle misure cautelari personali (ex multis Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 - dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069). Peraltro, proprio le suddette risultanze devono reputarsi idonee a superare l’attestazione relativa alla libera circolazione dei beni in questione redatta sul presupposto della loro autenticità in epoca di gran lunga antecedente alla contestazione in esame.
Né può ritenersi che, in relazione all’invocato vizio di violazione di legge, difetti l’elemento materiale del reato per essere la condotta realizzatasi in concreto consistita nella messa in circolazione delle due opere. Invero, il delitto in contestazione  si perfeziona per effetto, tra le varie ipotesi contemplate dall’art. 178 primo comma, della condotta di “chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichita', o di oggetti di interesse storico od archeologico” (art. 178 lett. b) d. lgs. 42/2004).
La diversa interpretazione patrocinata dalla difesa che vorrebbe agganciare alla condotta penalmente rilevante un atto di alienazione o comunque di disposizione del bene da parte del suo titolare, non può ritenersi fondata, non risultando supportata da alcun elemento né letterale né logico. Sul piano della littera legis occorre evidenziare che la previsione di condotte finalizzate da scopi di lucro quali la messa in commercio o la detenzione a tali fini viene accomunata alla mera messa in circolazione stante la presenza della disgiuntiva “o” tra le differenti azioni, rafforzata dall’avverbio di chiusura “comunque”, il che impone di ritenere integrata la condotta penalmente rilevante con la semplice immissione in circolazione dei suddetti beni, laddove la ratio sottesa alla norma in esame è quella, come si ricava dalla matrice comune alle singole condotte criminose contemplate nel primo comma e dalla pubblicità prevista dal terzo comma che accompagna alla sentenza di condanna, di impedire la diffusione sul mercato di opere d’autore spacciate come autentiche a detrimento del valore non solo commerciale, ma altresì culturale, sociologico e storico di quelle universalmente accreditate come opere d’arte, così come dei reperti archeologici.
2.2. Quanto al secondo motivo, le dispiegate doglianze non valgono a confutare la ritenuta non estraneità della società al reato, la quale soltanto consente, secondo la previsione generale contenuta nell’art. 240 ult. comma cod. pen. e quella speciale di cui all’art. 178 d. lgs. 4 2/2004 in materia di contraffazione di opere d’arte, di superare l’obbligatorietà della confisca.
A configurare la assenza di cointeressenza nel delitto presupposto non basta, come sostiene la difesa, la mancanza di imputazione in concreto del soggetto titolare o possessore del bene attinto dal vincolo reale, occorrendo invece, secondo quanto già puntualizzato da questa Corte proprio in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, che il soggetto non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere - con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - l'utilizzo del bene per fini illeciti (Sez. 3, Sentenza n. 29586 del 17/02/2017, Rv. 270250 che ha escluso il requisito dell'estraneità nel caso di soggetto, comproprietario di immobile dove si svolgeva attività di prostituzione, che, legato da stretto vincolo parentale all'altro comproprietario che aveva sottoscritto i contratti di locazione, non aveva dato prova di avere ignorato in maniera incolpevole l'utilizzo del bene; Sez. 5, Sentenza n. 42778 del 26/05/2017, Consoli, Rv. 271441 che ha riconosciuto l'estraneità dell'istituto bancario ai reati di aggiotaggio e di ostacolo all'attività di vigilanza, di cui era stato incolpato il suo amministratore delegato, in quanto la banca non aveva ricevuto alcun vantaggio, bensì un danno, dall'attività criminosa del suo manager).
Se la circostanza che l’indagato fosse il legale rappresentante della società Habitare costituisce di per sé un indice palese del coinvolgimento della persona giuridica presupponendosi che egli agisse nell’interesse di quest’ultima, deve in ogni caso aggiungersi che grava sul terzo che assuma la sua estraneità al reato uno specifico onere di allegazione circa l’assenza di una condotta colposa, vale a dire di avere esercitato la diligenza necessaria per ignorare incolpevolmente che il bene sia stato utilizzato per fini illeciti, nella specie del tutto assente. E non vale addurre la mancanza di profitti conseguiti dalla messa in circolazione delle due statue falsamente attribuite, nella prospettazione accusatoria, a Giacometti, che erano state solo prestate temporaneamente e gratuitamente alla mostra tenutasi a Siracusa, così come viene sottolineato nel ricorso, rinviandosi ai sovraesposti rilievi in ordine all’elemento materiale del reato.
Tutto ciò premesso, deve puntualizzarsi che quel che rileva ai fini della disposta misura ablatoria è la sua natura obbligatoria che, come tale, prescinde dalla affermazione di responsabilità correlata alla fattispecie criminosa in contestazione, come si ricava dall’avverbio “sempre” contenuto nella formulazione dell’art. 178 quarto comma che, ove il presupposto per la sua applicazione fosse una sentenza di condanna, non avrebbe ragion d’essere. Sebbene possa essere accomunata sotto tale profilo alla confisca prevista dall’art. 240, secondo comma n.2) cod. pen. avente ad “oggetto le cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato”, prescindendosi espressamente anche in tal caso dalla pronuncia di una sentenza di condanna, va tuttavia rilevato che la norma di impianto codicistico non esaurisce le ipotesi di confisca obbligatoria né contempla una regolamentazione di ordine generale.
All’insieme delle diverse ipotesi previste dall’art. 240 secondo comma cod. pen. che colpisce o cose che hanno un collegamento con il reato, come accade per il prezzo contemplato dalla previsione di cui al n.1) o cose intrinsecamente pericolose di cui al n.2), comunque tutte riconducibili all’alveo della confisca-misura di sicurezza, natura che invece non è univocamente ravvisabile per i beni, aventi caratteristiche diverse, di cui al n. 1-bis), successivamente inserito, si aggiungono le molteplici figure di confisca obbligatoria introdotte dalla legislazione speciale che comprendono anche res che non solo non hanno alcuna attitudine criminosa intrinseca, ma neppure denunciano indici di pericolosità in collegamento con la disponibilità che determinati soggetti ne abbiano, ben potendo il vincolo cadere persino su beni non manifestanti il minimo collegamento con il singolo fatto di reato (esemplari sono le ipotesi di confisca ex art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ora 240-bis cod. pen., e di confisca di valore).
La constatazione che quello della confisca costituisce un insieme eterogeneo impone, come ben chiarito da questa Corte a Sezioni unite, da una parte, di uscire da tentativi definitori onnicomprensivi alla luce dei diversi connotati che possono caratterizzare l'istituto della confisca e, dall'altra, di evitare di ritenere che la stessa semantica delle norme - magari ambigua e lacunosa - possa ritenersi l'unico parametro di apprezzamento di un "sistema" aggrovigliato, nel quale i profili di diritto sostanziale non di rado si confondono e stratificano con la dinamica del processo: l’opzione finale è quella di ritenere che il giudice comune debba orientarsi per quella soluzione che, nel rispettare i principi costituzionali nonché quelli convenzionali - per come "interpretati" dalla Corte di Strasburgo - si collochi in una linea che risulti integralmente satisfattiva anche e soprattutto dei valori fondanti dell’ordinamento che, altrimenti, risulterebbero compromessi (Sez. U. n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434).
E’ proprio muovendo da tale approdo che balza evidente la differenza che corre tra la disposizione codicistica dove l'obbligatorietà trova giustificazione nella circostanza che la misura concerne cose intrinsecamente pericolose, in quanto la detenzione o l'uso di esse assume di per sé carattere criminoso, rispondendo conseguentemente la misura ablatoria ad una logica preventiva, volta ad impedire la commissione di nuovi reati (cfr. Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019 - dep. 04/10/2019, Bellucci, Rv. 276690 – 02 che ha esaminato il tema della obbligatorietà della confisca in relazione al divieto di restituzione ex art. 324, settimo comma cod. proc. pen.), e la confisca di un’opera d’arte contraffatta, la quale invece assolve, tanto più se disposta nei confronti di chi non sia l’autore della contraffazione, ad una funzione repressiva, che prescinde dalla pericolosità intrinseca della cosa, dipendendo la sua confiscabilità dal fatto che trattasi di un'attività vietata.
Il ricorso in esame deve in conclusione essere rigettato, seguendo a tale esito a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. l’onere delle spese processuali. La declaratoria di inammissibilità in ordine, invece, al ricorso proposto da Felice Boga in proprio ne comporta la condanna sia al pagamento delle spese processuali sia di una somma, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente liquidata come in dispositivo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di “Habitare s.r.l.” che condanna al pagamento delle spese processuali e dichiara inammissibile il ricorso di Boga Felice che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 13.9.2022