Cass. Sez. III n. 3578 del 24 gennaio 2019 (Ud 24 ott 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Gai Ric. Ferrari
Beni culturali.Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato

Per la configurabilità del reato di cui all'art. 176 del d.lgs n. 42 del 2004, trattandosi di beni per legge appartenenti allo Stato, non sia necessario che essi abbiano un interesse culturale qualificato, ne' che siano qualificati come tali nel provvedimento amministrativo di cui all'art. 13, medesimo decreto, da cui consegue che il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta come nel caso in esame trattandosi di monete e reperti archeologici tratti dal sottosuolo) deve ritenersi illegittimo, avendo il detentore l'onere di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089, artt. 43, 44 e 46. Da tali presupposti, consegue che grava sul richiedente la restituzione dei predetti beni sottoposti a sequestro l'onere di dimostrare che il possesso del proprio dante causa si è verificato in epoca antecedente all'entrata in vigore della predetta legge . Se il processo si chiude con la declaratoria di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, grava sul richiedente la restituzione dei predetti beni sottoposti a sequestro,  l'onere di dimostrare la legittimità del possesso davanti al giudice dell'esecuzione

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, emessa ai sensi dell’art. 129 cod.proc.pen., il Tribunale di Tivoli ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Altamura Fabio, in relazione al reato di cui all’art. 176 del d.lvo n. 42 del 2004, perché estinto per prescrizione, ed ha disposto la restituzione dei beni oggetto di sequestro alla parte che «ne prova averne diritto e, in mancanza, ha disposto la confisca e devoluzione della Sovraintendenza Archeologica competente per territorio».
2. Altamura Flavio propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, nei confronti del capo della sentenza con cui è stata disposta la confisca dei beni sequestrati (e la devoluzione alla Sovraintendenza Archeologica) e quello relativo alla mancata restituzione dei beni all’imputato, ex art. 263 cod.proc.pen.
Sotto un primo profilo, deduce la violazione di legge di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 240 cod.pen.
Il Tribunale avrebbe disposto la confisca dei beni archeologici non sussistendone i presupposti in presenza di sentenza di non luogo a procedere.
Non sarebbe applicabile l’art. 240 comma 1 cod.pen. in assenza di sentenza di condanna, ma neppure sarebbe applicabile l’art. 240 comma 2 cod.pen. in quanto i reperti archeologici in sequestro non sarebbero intrinsecamente illeciti, essendo il loro possesso e detenzione legittimo, a meno che il soggetto non abbia posto in essere una condotta di impossessamento. Non sarebbe legittimo far riferimento alla mera qualifica del bene detenuto, dovendosi verificare le modalità di acquisizione dello stesso, essendo illegittimo l’impossessamento, ma non la detenzione.
Sotto un secondo profilo, deduce la violazione di legge di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 263 cod.proc.pen. Nonostante in sede di conclusione il ricorrente avesse chiesto la restituzione dei beni sequestrati, il Tribunale avrebbe erroneamente disposto la restituzione a chi proverà di averne diritto (e in mancanza disposto la confisca), mentre avrebbe dovuto applicare l’art. 263 cod.proc.pen. che, per i casi in cui sussiste controversia sulla proprietà, impone di rimettere le parti davanti al giudice civile, mentre ordinando la restituzione a chi ne proverà avere diritto o in mancanza disponendo la confisca, avrebbe violato il disposto di cui all’art. 263 cod.proc.pen. e, nuovamente, il disposto di cui all’art. 240 cod.pen.  

3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento senza rinvio in punto confisca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato in forza delle considerazioni che seguono.

2. Va, anzitutto, ricordata la disciplina di cui al d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42, che sanziona penalmente chiunque si impossessi di beni culturali indicati nell'art. 10 del medesimo decreto, appartenenti allo Stato ai sensi dell'art. 91.
L'art. 10, comma 1 richiamato dall'art. 176 definisce beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonche' ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
Secondo il disposto dell’art. 91 – Appartenenza e qualificazione delle cose ritrovate – le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile.
Il consolidato indirizzo interpretativo di Questa Corte di legittimità, ritiene che, per la configurabilità del reato di cui all'art. 176 del d.lgs n. 42 del 2004, trattandosi di beni per legge appartenenti allo Stato, non sia necessario che essi abbiano un interesse culturale qualificato, ne' che siano qualificati come tali nel provvedimento amministrativo di cui all'art. 13, medesimo decreto, da cui consegue che il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta come nel caso in esame trattandosi di monete e reperti archeologici tratti dal sottosuolo) deve ritenersi illegittimo, avendo il detentore l'onere di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089, artt. 43, 44 e 46 (Sez. 3, S n. 24344 del 15/05/2014, Rapisarda, Rv. 259305; Sez. 3, n. 41070 del 07/07/2011, Saccone, Rv. 251295; Sez. 3, n. 35226 del 28/06/2007, Signorelli, Rv. 237403).
Da tali presupposti, consegue che grava sul richiedente la restituzione dei predetti beni sottoposti a sequestro l'onere di dimostrare che il possesso del proprio dante causa si è verificato in epoca antecedente all'entrata in vigore della predetta legge (Sez. 4, n. 14792 del 22/03/2016, Cadario, Rv. 266981).
Se il processo si chiude con la declaratoria di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, grava sul richiedente la restituzione dei predetti beni sottoposti a sequestro,  l'onere di dimostrare la legittimità del possesso davanti al giudice dell'esecuzione (Sez. 2, n. 12087 del 27/06/1995, Dal Lago, Rv. 203105).
Tale approdo interpretativo, risalente ad una lontana pronuncia che il Collegio condivide, si pone in linea con il sistema, delineato dal legislatore, della disciplina delle vicende successive all’adozione del sequestro preventivo e, segnatamente, della disciplina dettata per il caso di pronuncia di determinate sentenze, secondo la disposizione di cui all’art. 323 cod.proc.pen.
3. Nel caso di pronuncia di sentenza di proscioglimento, l’art. 323 comma 1 cod.proc.pen. dispone la restituzione del bene sequestrato all'avente diritto - che, in ipotesi, può essere anche un soggetto diverso da quello al quale il bene è stato sequestrato-, e ciò in quanto il sequestro perde efficacia a seguito di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
Una cosa, quindi, è la restituzione che consegue alla revoca del sequestro (restituzione che, venendo meno i presupposti del sequestro, va disposta a favore del soggetto al quale il bene fu sequestrato) altra, e ben diversa, è la restituzione che consegue come effetto dalla perdita di efficacia del sequestro ex art. 323 comma 1 cod.proc.pen., nel qual caso il bene va restituito all'avente diritto ovvero, nel caso in esame, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate se dimostrerà che il possesso del proprio dante causa si è verificato in epoca antecedente all'entrata in vigore della citata legge, ovvero, in caso di mancanza di prova del legittimo possesso, allo Stato in quanto bene appartenente al suo patrimonio indisponibile.
Sulla scorta di tali principi, corretta è la decisione del Tribunale di Tivoli che, in assenza di prova del legittimo possesso dei beni in capo all’Altamura, ha disposto la restituzione dei beni a chi dimostrerà (nella successiva fase esecutiva) essere l’avente diritto e, in mancanza in tale prova, allo Stato con la devoluzione alla Sovraintendenza Archeologica competente (impropriamente il provvedimento impugnato fa riferimento alla confisca in uno con la devoluzione dei beni alla Sovraintendenza Archeologica).
4. Del tutto inconferente è il richiamo alla disposizione di cui all’art. 240 cod.pen. operato dal ricorrente, che assume essere stata violata dal Tribunale di Tivoli, non rilevando “l’intrinseca illiceità dei beni” per disporre la confisca, situazione che all’evidenza non ricorre nel caso in esame, vendendo, invece, in rilievo il diverso profilo dell’accertamento del legittimo possesso in capo al ricorrente di beni appartenenti al patrimonio dello Stato, legittimo possesso che costituisce il presupposto di fatto per la restituzione degli stessi, in mancanza del quale il bene, che fa parte del patrimonio dello Stato a titolo originario, a questo deve essere assegnato.
5. Neppure è fondata la violazione dell’art. 263 cod.proc.pen. avendo il Tribunale correttamente disposto la restituzione, ai sensi del disposto dell’art. 321 comma 1 cod.proc.pen. in presenza di declaratoria di estinzione del reato, a chi dimostrerà di avere diritto, non avendo ritenuto che l’imputato avesse assolto all’onere dimostrativo, onere che neppure il ricorrente allega di aver adempiuto. Ed infatti, se per l'accertamento del reato di impossessamento illecito di beni culturali, valgono le normali regole processuali per cui non deve essere il privato a fornire la prova della legittima provenienza dei beni detenuti, tale regola, valida per l'accertamento della responsabilità penale, non trova applicazione nel caso di richiesta di restituzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo disciplinato dalle norme (art.263 cod. proc.pen.) che indicano la procedura per la restituzione del bene a chi fornisca la prova rigorosa del suo diritto (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 20268; Sez. 5, n. 9284 del 15/10/2014, Ignoti, Rv. 262892; Sez. 3, n. 9579 del 17/01/2013, Longo, Rv. 254749; Sez. 1, n. 26475 del 09/06/2009, Russo, Rv. 244035; Sez. 2, n. 1613 del 24/03/1994, Angelillo, Rv. 197315).

6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.