Cass. Sez. III n. 17272 del 7 maggio 2007 (Ud. 21 mar. 2007)
Pres. Papa Est. Petti Ric. Del Pesce
Caccia e animali. Uccellagione (differenza con attività venatoria)

La legge n. 157 del 1992 distingue l'uccellagione, che a norma dell'articolo 3 è sempre vietata, dall'attività venatoria che è consentita se esercitata nei tempi e nei modi previsti dalla legge (artt 12 e 13).Costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volatili. Costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto alla cattura di singoli esemplari di fauna selvatica. L'elemento che distingue l'uccellagione, sempre vietata, dall'esercizio venatorio con strumenti non consentiti, è costituito dall'uso e dalla particolare offensività degli strumenti usati nel senso che l'uccellagione è diretta alla cattura di un numero indiscriminato di esemplari con possibilità di colpire ogni specie di volatile e quindi anche quella specie per la quale la cattura non è in alcun modo consentita,mentre la caccia con mezzo vietato di volatili è diretta alla cattura di singoli esemplari. Non è quindi la destinazione dell'esemplare catturato- uccisione o conservazione in vita- che distingue le due forme di attività ma la maggiore offensività del mezzo illecito adoperato.
L'adozione di una rete se è idonea alla cattura indiscriminata di volatili, dà luogo all'attività di uccellagione e non all'esercizio venatorio con mezzo non consentito perché l'uccellagione non presuppone necessariamente l'uso di un complesso sistema di estese reti essendo sufficiente l'adozione di reti, ancorché di modesta grandezza, purché idonee alla cattura indiscriminata e non momentanea di volatili. Solo se trattasi di rete di limitatissima portata di per sé inidonea alla cattura indiscriminata si potrebbe escludere l'uccellagione e ritenere configurabile l'esercizio venatorio con mezzo vietato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 21/03/2007
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 903
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 36223/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
difensore di DEL PESCE Giordano, nato a Brescia il 22 aprile del 1979;
avverso la sentenza del tribunale di Brescia del 24 febbraio del 2006;
udita la relazione svolta del Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale nella persona del Dott. Gioacchino Izzo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
IN FATTO
Con sentenza del 24 febbraio del 2006, il tribunale di Brescia condannava Del Pesce Giordano alla pena di Euro 600,00 di ammenda, quale responsabile del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, lettera E), per avere esercitato l'uccellagione utilizzando n. 5 reti a tramaglio per la cattura degli uccelli. Fatto accertato in Lumezzano il 4 ottobre del 2002.
Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata il prevenuto era stato sorpreso mentre catturava pettirossi utilizzando cinque reti dell'ampiezza di dieci metri ciascuna e disposte in forma circolare in un'area estesa circa 70-80 metri all'interno della quale erano state deposte quattro gabbie contenenti pettirossi vivi che fungevano da richiamo.
Il tribunale, premessa l'anzidetta ricostruzione, osservava che la prova della responsabilità si desumeva dalla testimonianza del verbalizzante, il quale aveva sorpreso il prevenuto in flagranza di reato; che la contravvenzione contestata non poteva essere derubricata in quella di cui alla lettera h) del medesimo articolo ossia in esercizio della caccia con mezzo non consentito, secondo la richiesta dell'imputato, per la natura dei mezzi usati. Ricorre per Cassazione l'imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:
l'erronea qualificazione del fatto che andava invece inquadrato nell'ipotesi di cui alla L. n. 157 del 1992, articolo 30, lettera h), posto che l'uccellagione presuppone la cattura degli uccelli seguita dalla loro uccisione mentre nella fattispecie i volatili erano catturati per essere detenuti vivi;
illogicità della motivazione in ordine al tipo di reti utilizzate che vengano definite "a tramaglio" senza ulteriore specificazione e quindi non si trattava di reti da uccellagione.
IN DIRITTO
Il ricorso va respinto perché entrambi i motivi sono infondati. La L. n. 157 del 1992 distingue l'uccellagione, che a norma dell'articolo 3 è sempre vietata, dall'attività venatoria che è consentita se esercitata nei tempi e nei modi previsti dalla legge (artt. 12 e 13). Costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volatili. Costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto alla cattura di singoli esemplari di fauna selvatica. L'elemento che distingue l'uccellagione, sempre vietata, dall'esercizio venatorio con strumenti non consentiti, è costituito dall'uso e dalla particolare offensività degli strumenti usati nel senso che l'uccellagione è diretta alla cattura di un numero indiscriminato di esemplari con possibilità di colpire ogni specie di volatile e quindi anche quella specie per la quale la cattura non è in alcun modo consentita, mentre la caccia con mezzo vietato di volatili è diretta alla cattura di singoli esemplari. Non è quindi la destinazione dell'esemplare catturato - uccisione o conservazione in vita - che distingue le due forme di attività ma la maggiore offensività del mezzo illecito adoperato (cfr Cass nn. 4918 e 8698 del 1996; n. 9607 del 1999; 6343 del 2006).
L'adozione di una rete, se è idonea alla cattura indiscriminata di volatili, da luogo all'attività di uccellagione e non all'esercizio venatorio con mezzo non consentito perché l'uccellagione non presuppone necessariamente l'uso di un complesso sistema di estese reti essendo sufficiente l'adozione di reti, ancorché di modesta grandezza, purché idonee alla cattura indiscriminata e non momentanea di volatili (cfr. Cass. n. 1713 del 1996). Solo se trattasi di rete di limitatissima portata di per sè inidonea alla cattura indiscriminata si potrebbe escludere l'uccellagione e ritenere configurabile l'esercizio venatorio con mezzo vietato. Trattasi comunque di un'indagine di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivata. Il problema posto dal ricorrente con il secondo motivo in ordine alla natura della rete e quindi alla distinzione tra l'uccellagione e la cattura di un volatile per mezzo di una rete ossia con un mezzo non consentito si pone quindi allorché sia stata utilizzata una rete di limitatissima portata di per sè inidonea alla cattura indiscriminata. Nella fattispecie il giudice del merito ha escluso l'ipotesi prospettata dall'imputato perché erano state installate cinque reti delle dimensioni di metri 10 ciascuna che coprivano un'area di 70-80 metri opportunamente ripulita all'interno della quale erano stati collocati cinque gabbie con pettirossi che fungevano da richiami vivi È quindi palese che trattasi di uccellagione e non dell'esercizio della caccia con un mezzo vietato.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'articolo 616 c.p.p. RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2007