Cass.Sez. III n. 39112 del 23 settembre 2013 (Cc 29 mag 2013)
Pres. Teresi Est.Fiale Ric. Tarquinio
Caccia e animali.Divieto di esercizio venatorio in area protetta e segnalazione del divieto

Il divieto di esercizio dell'attività venatoria nelle aree naturali protette se è segnalato da regolare tabellazione si presume conosciuto dal trasgressore e solleva l'accusa dall'onere della prova; viceversa, in assenza di tabellazione, il divieto di caccia si presume ignoto e l'accusa deve dimostrare che, nonostante l'assenza di indicazioni, il trasgressore era comunque a conoscenza della proibizione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 29/05/2013
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 1354
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 50960/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TARQUINIO FEDELE N. IL 08/07/1947;
avverso l'ordinanza n. 4307/2012 TRIBUNALE di TARANTO, del 11/10/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
lette le conclusioni del PG Dott. VIOLA Alfredo Pompeo il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO
Tarquinio Fedele è indagato perché sorpreso ad esercitare la caccia all'interno del parco naturale regionale "Terra delle Gravine" ed in relazione a tale illecito (L. n. 157 del 1992, art. 21 e art. 30, comma 1, lett. d) è stato disposto il sequestro probatorio del fucile semiautomatico da lui introdotto nell'area protetta.
Il Tarquinio depositava istanza con la quale chiedeva il dissequestro e la restituzione dell'arma, prospettando di non avere potuto acquisire conoscenza dei confini del parco per la mancanza della tabellazione indicante la perimetrazione di esso, ma il P.M. rigettava la domanda con decreto del 4.5.2012, evidenziando la sussistenza di esigenze probatorie e la obbligatorietà della confisca in caso di condanna, a norma della L. n. 157 del 1992, art. 28, comma 2.
Il G.I.P. del Tribunale di Taranto - con ordinanza del'11.10.2012 - ha rigettato l'opposizione proposta ex art. 263 c.p.p., comma 5, e, con riferimento ad un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, ha rilevato che "la mancata apposizione della tabellazione indicante i confini della riserva naturale istituita con legge regionale non esclude il dovere giuridico di rendersi parte diligente procedendo ad esaminare le cartografie allegate alla legge stessa" pubblicata sul B.U.R..
Avverso tale ordinanza del G.I.P. ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, il quale ha eccepito l'illegittimità del mantenimento del sequestro, prospettando:
- l'erronea valutazione dell'ignoranza del vincolo in mancanza della prescritta tabulazione;
- la mancata applicazione della L.R. Puglia 20 dicembre 2005, n. 18, art. 1, comma 4, (Istituzione del parco naturale Terra delle Gravine), ove viene previsto che "i confini saranno resi visibili mediante apposita tabellazione realizzata da "Ente di gestione con fondi propri e trasferiti dalla Regione Puglia".
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. Il Collegio condivide le argomentazioni svolte da questa 3 Sezione con la sentenza n. 9576 del 25.1.2012, ric. Falco, ove - nella prospettiva di superamento di un contrasto giurisprudenziale profilantesi in materia di necessità che le aree naturali protette regionali siano perimetrate da apposita tabellazione (per l'affermazione della necessità vedi Cass., Sez. 3: 18.1.2010, n. 1989 e 13.9.2005, n. 33286; in senso contrario, però, Sez. 3:
18.1.2011, n. 1063 e 29.9.2006, n. 32563) - è stato rilevato che la tabellazione, ancorché imposta per le oasi regionali dalla Legge Statale n. 157 del 1992, art. 10, comma 9, non costituisce un elemento costitutivo del reato di esercizio illecito della caccia nelle stesse, in assenza del quale esso per le aree protette regionali non sarebbe configurabile, ma serve solo a rendere opponibile ai terzi il divieto, avendo il legislatore ritenuto insufficiente la pubblicazione sul bollettino regionale. Pertanto, in presenza di una tabellazione regolare, la conoscenza del divieto si presume ed il trasgressore, salvo casi eccezionali, non può invocare a propria discolpa l'ignoranza del divieto. La stessa mancanza di tabellazione o la sua inadeguatezza non determina peraltro automaticamente l'esclusione del reato o la non punibilità del reo ma pone a carico dell'accusa l'onere di dimostrare che, nonostante la mancanza di tabelle, il trasgressore aveva la consapevolezza del divieto.
In definitiva:
- con la tabellazione il divieto si presume noto e l'accusa non deve dimostrare la conoscenza da parte del trasgressore;
- senza la tabellazione deve essere l'accusa a dimostrare che, nonostante tele mancanza, il trasgressore era a conoscenza del divieto. Non v'è invero alcuna plausibile ragione per esentare dalla sanzione colui il quale è a conoscenza del divieto, pur mancando la tabulazione. Diversamente opinando potrebbe rimanere esente da pena il cacciatore che si introduca nell'area dopo avere rimosso il cartello collocato in prossimità del luogo da dove è entrato e, sorpreso dagli agenti, si giustifichi facendo rilevare che in quel luogo non esisteva alcuna segnalazione.
Nella fattispecie in esame il relativo accertamento dovrà essere effettuato dal giudice del merito (sulla base di elementi di fatto quali, esemplificativamente, la conoscenza della zona dovuta al dimorare nella medesima o in luoghi prossimi ad essa, l'abituale esercizio della caccia in quei siti, la preesistenza di cartelli successivamente rimossi o danneggiati e, in genere, le peculiari modalità dell'azione) sicché allo stato - tenuto anche conto delle necessità di prova razionalmente riconducibili alla verifica della funzionalità dell'arma e del tipo di caccia con essa esercitabile - legittimamente ne risulta esclusa la restituzione. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013