Corte Costituzionale sent. 116 del 10 maggio 2012
Oggetto: Caccia - Norme della Regione Marche - Previsione che i titolari di licenza di caccia ultrasessantacinquenni possano esercitare contemporaneamente nella stessa stagione venatoria, oltre alla caccia nelle "altre forme consentite dalla legge", anche quella da appostamento fisso, e che i cacciatori che hanno scelto la forma di caccia da appostamento fisso possano praticare anche quella da appostamento temporaneo - Minor tutela della fauna selvatica, contrasto con la normativa statale di settore che non consente il cumulo delle varie forme di esercizio venatorio; Ambiente - Caccia - Norme della Regione Marche - Calendario venatorio - Previsione che la Giunta regionale, sentiti l'istituto scientifico regionale e l'ISPRA, proponga al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l'approvazione del calendario venatorio regionale, che ha validità minima annuale e massima triennale - Minor tutela della fauna selvatica, lamentata adozione del calendario venatorio con legge anziché all'esito di un procedimento amministrativo, nonché introduzione del termine di validità triennale non consentito dalla normativa statale di riferimento

Dispositivo: illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza

SENTENZA N. 116

ANNO 2012


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-28 settembre 2011, depositato in cancelleria il 29 settembre 2011 ed iscritto al n. 110 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Toscana.


Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 26 settembre 2011 e depositato il successivo 29 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria)».

Il ricorrente rileva che l’art. 22, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011, aggiungendo all’art. 27 della citata legge regionale n. 7 del 1995 i commi 5-bis e 5-ter, prevede che i titolari di licenza di caccia ultrasessantacinquenni possano esercitare nella stessa stagione venatoria, oltre alla caccia nelle «altre forme consentite dalla legge» di cui al comma 3, lettera c), del menzionato art. 27, anche quella da appostamento fisso (comma 5-bis), e che i cacciatori che hanno scelto la forma di caccia da appostamento fisso possano praticare anche quella da appostamento temporaneo (comma 5-ter).

L’art. 26, comma 1, della medesima legge regionale n. 15 del 2011 – sostituendo l’art. 30 della legge reg. Marche n. 7 del 1995, concernente il calendario venatorio – stabilisce, a sua volta, che la Giunta regionale, sentiti l’Osservatorio faunistico regionale (OFR) e l’Istituto superiore per la ricerca ambientale (ISPRA), «propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l’approvazione del calendario venatorio regionale che ha validità minima annuale e massima triennale».

Ad avviso del ricorrente, le menzionate disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «ponendosi in contrasto con la normativa statale afferente alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nella parte in cui individua standard minimi e uniformi di tutela da applicare sull’intero territorio nazionale».

In proposito, la difesa dello Stato osserva come la giurisprudenza costituzionale sia costante nel ritenere – con riguardo al rapporto tra normativa statale e normativa regionale in materia di caccia – che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, comporti l’esigenza insopprimibile di garantire su tutto il territorio nazionale soglie minime di protezione della fauna. Tali soglie costituiscono un vincolo rigido che preclude ogni diminuzione dell’intensità della tutela: con la conseguenza che la deroga da parte delle Regioni alle norme statali che le prevedono è ammissibile solo nella direzione di un rafforzamento della protezione, ma non anche nel senso inverso, come invece avverrebbe in base alle disposizioni censurate.

In particolare, l’art. 22, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011 detterebbe una disciplina difforme, in termini di minore tutela per la fauna selvatica, rispetto a quella recata dall’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo la quale l’esercizio venatorio può essere praticato esclusivamente in una delle forme ivi indicate («vagante in zona alpi, da appostamento fisso e nell’insieme delle altre forme di attività venatoria consentita dalla presente legge e praticata nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata»). La richiamata norma statale non consentirebbe, dunque, il «cumulo» delle diverse forme di esercizio venatorio, viceversa autorizzato dalla legge regionale in esame, sia pure in relazione ai soli titolari di licenza di caccia che abbiano compiuto i sessantacinque anni e a coloro che abbiano scelto la forma da appostamento fisso.

Quanto, poi, all’art. 26, comma 1, della legge regionale censurata, tale disposizione si porrebbe in contrasto con le previsioni dell’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992.

In base alle norme statali ora indicate, infatti, le Regioni possono modificare la disciplina generale, stabilita dal comma 1 del citato art. 18, solo per particolari specie e in considerazione della peculiare situazione ambientale, all’esito di un procedimento amministrativo che richiede l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (attualmente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, in forza del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133); procedimento a conclusione del quale le Regioni adottano annualmente, entro il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria.

Diversamente, l’art. 26 oggetto di giudizio prevederebbe che il calendario venatorio sia approvato con legge regionale e possa avere efficacia triennale.

La previsione di un calendario venatorio su base triennale comporterebbe una violazione del principio, sancito dalla norma statale, per cui la procedura di deroga correlata alle particolari condizioni territoriali deve espletarsi con cadenza annuale, al fine di consentire all’ISPRA una corretta e sempre attuale valutazione della situazione ambientale e della consistenza delle specie di fauna sottoposte a prelievo venatorio.

L’art. 18 della legge n. 157 del 1992 attribuirebbe, d’altra parte, alle Regioni, in materia di calendario venatorio, una competenza non legislativa, ma meramente «autorizzatoria», da esercitare a mezzo di provvedimenti amministrativi. L’adozione del calendario venatorio con legge regionale pregiudicherebbe la verifica affidata all’ISPRA sullo stato delle specie interessate, trasformandola in una sorta di controllo preventivo di legittimità, svolto da un organo tecnico dello Stato su una asserita competenza legislativa della Regione: configurazione, questa, avulsa dal vigente assetto delle competenze legislative tra Stato e Regione delineato dalla Costituzione.

2.– Si è costituita la Regione Marche, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ad avviso della Regione, è ben vero che l’art. 22, comma 1, della legge reg. n. 15 del 2011 introduce delle deroghe al cosiddetto principio di esclusività delle forme di esercizio venatorio, stabilito dall’art. 12, comma 5, della legge statale n. 157 del 1992 e ribadito dall’art. 27, comma 3, della legge reg. n. 7 del 1995. L’ambito di operatività di tali deroghe risulterebbe, tuttavia, talmente circoscritto da rimanere privo di qualsiasi incidenza sulla tutela dell’ambiente e, in particolare, sugli standard di protezione della fauna selvatica stabiliti dal legislatore nazionale. Il neointrodotto comma 5-bis dell’art. 27 della legge reg. n. 7 del 1995 si limita, infatti, a consentire l’esercizio venatorio da appostamento fisso – «per evidenti ragioni legate proprio all’età avanzata» – a coloro che siano già abilitati a tutte le forme di caccia ricomprese nella fattispecie residuale di cui alla lettera c) del comma 3 del medesimo art. 27 e al comma 5 dell’art. 12 della legge statale n. 157 del 1992. La disposizione del successivo comma 5-ter avrebbe una portata ancora più ridotta, limitandosi ad assimilare alla forma di caccia da appostamento fisso quella da «appostamento temporaneo costituito da riparo artificiale mobile, inteso come telaio e copertura in tessuto».

La Regione si sarebbe, dunque, limitata a disciplinare aspetti concreti dell’attività venatoria, spettanti alla propria potestà legislativa residuale in materia di caccia, senza incidere sulla competenza statale in materia di ambiente ed ecosistema.

Parimenti non fondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 26, comma 1, della legge reg. Marche n. 15 del 2011, la quale si baserebbe su una erronea interpretazione della normativa di riferimento.

Quanto alla censurata possibilità di adottare un calendario venatorio con efficacia triennale, essa costituirebbe anzitutto una mera facoltà per la Regione, che potrebbe comunque adottarne uno annuale, come inequivocamente si desume dal tenore letterale della stessa norma denunciata (secondo la quale il calendario venatorio «ha validità minima annuale e massima triennale»). L’opzione per il calendario triennale non contrasterebbe, in ogni caso, con il disposto dell’art. 18 della legge statale n. 157 del 1992, che si limita a prescrivere che il calendario riguardi «l’intera annata venatoria», senza affatto stabilire che esso debba avere fin dall’origine una efficacia soltanto annuale; inoltre, anche nel più esteso arco temporale, detto calendario potrebbe essere sempre modificato o aggiornato in considerazione dei mutamenti ambientali e faunistici intervenuti medio tempore. Se a ciò si aggiunge l’esplicito riferimento operato dalla norma censurata ai poteri consultivi dell’OFR e soprattutto dell’ISPRA, diverrebbe difficile comprendere in qual modo la previsione di un calendario venatorio su base triennale possa impedire – così come sostenuto dal ricorrente – il richiesto monitoraggio delle condizioni ambientali da parte del suddetto Istituto.

Con riguardo, infine, alla censura attinente all’approvazione del calendario venatorio con legge, la Regione evidenzia come la norma impugnata non preveda affatto tale forma di approvazione, ma si limiti a stabilire che il calendario è approvato dal Consiglio regionale, su proposta della Giunta. La semplice previsione della competenza consiliare non potrebbe essere intesa come equivalente all’imposizione della forma legislativa: ciò, tanto più alla luce della modifica che il testo della disposizione censurata ha subito nel passaggio tra la proposta di legge della Giunta (art. 24 della proposta di legge n. 21 presentata il 13 luglio 2010) – ove si prevedeva, in effetti, esplicitamente che l’approvazione dovesse avvenire con legge regionale – e la riformulazione operata dalla terza Commissione permanente nella seduta del 18 maggio 2011, corrispondente alla disposizione poi approvata dall’Assemblea legislativa.

D’altronde, anche qualora la disposizione impugnata dovesse intendersi nel senso prospettato dal ricorrente, essa non contrasterebbe con la disciplina statale di riferimento. L’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nell’attribuire alle Regioni il potere di adottare «il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria», riconoscerebbe, infatti, una potestà normativa e non già – come assume il ricorrente – «meramente autorizzatoria»: conclusione avvalorata anche dallo specifico contenuto che i predetti atti devono avere.

La forma amministrativa o legislativa, che le Regioni prescelgano per l’esercizio di detti poteri normativi, sarebbe comunque ininfluente ai fini della salvaguardia del ruolo e dei compiti tecnici attribuiti all’ISPRA. Le funzioni di tale Istituto atterrebbero, infatti, all’istruttoria che precede l’adozione dell’atto regionale e in nessun caso potrebbero essere qualificate – contrariamente a quanto sostiene il ricorrente – come forme di «controllo preventivo di legittimità»: controllo parimenti inammissibile tanto nei confronti di una legge, quanto di un atto amministrativo della Regione.

3.– Nella memoria illustrativa successivamente depositata, la Regione, nel ribadire le argomentazioni svolte in sede di costituzione in giudizio, ha precisato di essere a conoscenza della recente decisione di questa Corte n. 20 del 2012, con la quale si è chiarito che l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 impone alle Regioni di adottare il calendario venatorio nella forma dell’atto amministrativo.

La Regione ribadisce, tuttavia, che l’art. 26, comma 1, della legge regionale in esame – anche alla luce dei lavori preparatori – non prescrive l’approvazione del calendario venatorio con legge, limitandosi a prevedere la competenza del Consiglio regionale in luogo di quella della Giunta.


Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 22, comma 1, e 26, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria)», per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

2.– L’art. 22, comma 1, impugnato – aggiungendo all’art. 27 della legge reg. n. 7 del 1995 i commi 5-bis e 5-ter – prevede che i titolari di licenza di caccia ultrassantacinquenni, i quali abbiano scelto di esercitare la caccia nelle «altre forme consentite dalla legge», di cui al comma 3, lettera c), dello stesso art. 27, possano praticarla anche in quella prevista dalla lettera b), ossia da appostamento fisso (comma 5-bis), e che i cacciatori che hanno scelto la forma di caccia da appostamento fisso possano praticare anche «la caccia da appostamento temporaneo costituito da riparo artificiale mobile, inteso come telaio e copertura in tessuto» (comma 5-ter).

Ad avviso del ricorrente, la disposizione sarebbe lesiva del parametro costituzionale evocato perché in contrasto con l’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), il quale ? fissando uno standard minimo di tutela da applicare sull’intero territorio nazionale – stabilisce che l’esercizio della caccia può essere praticato in una sola delle forme ivi previste.

2.1.– La questione è fondata.

L’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 – invocato dal ricorrente come norma interposta – ha introdotto il principio cosiddetto della caccia di specializzazione, in base al quale, fatta eccezione per l’esercizio venatorio con l’arco o con il falco, ciascun cacciatore può praticare la caccia in una sola delle tre forme ivi indicate («vagante in zona Alpi»; «da appostamento fisso»; «nelle altre forme» consentite dalla citata legge «e praticate sul restante territorio destinato all’attività venatoria programmata»). Il cacciatore è tenuto, dunque, a scegliere, nell’ambito di tale ventaglio di alternative, la modalità di esercizio dell’attività venatoria che gli è più consona, fermo restando che l’una forma esclude l’altra.

Tale criterio di esclusività ? che vale a favorire il radicamento del cacciatore in un territorio e, al tempo stesso, a sollecitarne l’attenzione per l’equilibrio faunistico ? trova la sua ratio giustificativa nella constatazione che un esercizio indiscriminato dell’attività venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su tutto il territorio agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite rischierebbe di mettere in crisi la consistenza delle popolazioni della fauna selvatica.

In quanto rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, la norma statale si inquadra, dunque, nell’ambito materiale della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema: tutela riservata alla potestà legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Detta disposizione – concorrendo alla definizione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica – stabilisce, in particolare, una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale (con riguardo a previsioni di analoga ispirazione, sentenze n. 441 del 2006, n. 536 del 2002, n. 168 del 1999 e n. 323 del 1998): ponendo, con ciò, una regola che – per consolidata giurisprudenza di questa Corte – può essere modificata dalle Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislativa residuale in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61 del 2009).

La disposizione regionale impugnata, nel consentire l’esercizio cumulativo di diverse forme di caccia – sebbene solo ai sessantacinquenni ed a coloro che abbiano scelto la forma di caccia da appostamento fisso – deroga, per converso, alla disciplina statale nella direzione opposta, introducendo una regolamentazione della materia che implica una soglia inferiore di tutela.

Né può essere condivisa la tesi della Regione Marche, in base alla quale la deroga in questione avrebbe una portata talmente limitata da non poter incidere in alcun modo sulla tutela dell’ambiente e, in particolare, sugli standard di protezione della fauna selvatica: circostanza che la sottrarrebbe, in assunto, alla censura di violazione del parametro costituzionale evocato. Proprio il fatto che si discuta di una soglia minima e uniforme di protezione esclude in radice la praticabilità di scelte di minor rigore da parte della Regione, indipendentemente da ogni considerazione – peraltro, opinabile – attinente al quantum dell’incidenza della deroga: essendo, per il resto, incontestabile che la possibilità di esercizio congiunto di più forme di caccia, introdotta dalla legge regionale censurata, valga ad incrementare le potenzialità di procedere ad abbattimenti da parte della platea dei soggetti considerati.

L’art. 22, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, deve essere dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, inoltre, l’art. 26, comma 1, della medesima legge regionale.

La menzionata disposizione, sostituendo l’art. 30 della legge reg. n. 7 del 1995, stabilisce che «la Giunta regionale, sentiti l’OFR e l’ISPRA, propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l’approvazione del calendario venatorio regionale che ha validità minima annuale e massima triennale» (comma 1 del novellato art. 30).

Ad avviso del ricorrente, la norma denunciata violerebbe anch’essa l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia perché prevederebbe l’approvazione con legge, anziché con provvedimento amministrativo, del calendario venatorio; sia perché consentirebbe di attribuire a detto calendario una validità superiore all’anno, in difformità rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale (e, in particolare, dall’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992).

3.1.– La prima delle due censure, inerente all’asserita previsione dell’approvazione con legge del calendario venatorio, non è fondata.

La norma denunciata si limita, in effetti, a stabilire che l’approvazione del calendario venatorio regionale abbia luogo ad opera del Consiglio, su iniziativa della Giunta, senza alcuna specificazione in ordine alla natura dell’atto di approvazione e, in particolare, senza affatto prevedere che questa debba essere effettuata con legge.

La norma censurata può essere, pertanto, bene interpretata nel senso che l’approvazione abbia luogo nell’esercizio della potestà regolamentare: potestà che lo Statuto delle Regione Marche demanda al Consiglio, fuori dei casi in cui le leggi regionali prevedano la competenza della Giunta (artt. 21, comma 2, lettera a, e 35, comma 2, della legge statutaria 8 marzo 2005, n. 1), e rispetto alla quale è, altresì, prevista l’iniziativa della Giunta medesima (art. 35, comma 3, dello statuto).

Come rilevato dalla difesa della Regione, tale interpretazione è puntualmente avvalorata dai lavori preparatori della legge reg. n. 15 del 2011. La proposta di legge da cui essa trae origine (proposta di legge n. 21, a iniziativa della Giunta regionale, presentata il 13 luglio 2010) prevedeva infatti espressamente, all’art. 24, che il calendario venatorio regionale dovesse essere adottato «con legge regionale»: previsione che è stata, peraltro, soppressa in sede di riformulazione del testo ad opera della terza Commissione permanente, con scelta poi confermata in sede di approvazione da parte dell’Assemblea legislativa.

Per questo profilo, dunque, la norma censurata deve essere considerata non contrastante con la disciplina statale richiamata dal ricorrente (art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992), la quale, secondo quanto recentemente chiarito da questa Corte, prescrive la forma del provvedimento amministrativo per l’adozione del calendario venatorio regionale, finalizzato a modulare sulle specifiche condizioni dell’habitat locale le previsioni generali recate dalla normativa statale riguardo ai periodi di esercizio dell’attività venatoria e alle specie cacciabili (sentenze n. 105 e n. 20 del 2012).

3.2.– È, invece, fondata la seconda censura, concernente la previsione della validità minima annuale e massima triennale del calendario venatorio.

L’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 stabilisce che «Le regioni, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica» (ora l’ISPRA), «pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria (…)». Come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, con tale formula la disposizione statale esige che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni anno, vale a dire con cadenza annuale (sentenza n. 20 del 2012).

Detta interpretazione appare, d’altronde, coerente, oltre che con la tendenziale corrispondenza del calendario venatorio alle stagioni di caccia, con l’esigenza che la rilevazione delle situazioni ambientali locali, che si pone alla base delle deroghe alla generale disciplina statale in tema di specie cacciabili e di periodi di esercizio venatorio, abbia luogo – anche tramite il prescritto parere dell’ISPRA – a cadenze non eccessivamente diluite nel tempo, così da garantire un costante adeguamento del calendario al mutare di tali situazioni.

In simile prospettiva – come pure recentemente affermato da questa Corte – la previsione dell’efficacia triennale del calendario venatorio regionale viene, quindi, ad indebolire «il “regime di flessibilità” (…) che assicura l’adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto» (sentenza n. 105 del 2012). Né rileva, al fine di escludere l’evidenziato contrasto della norma regionale impugnata con la disciplina statale, la circostanza che detta norma non imponga, ma soltanto consenta l’adozione di un calendario venatorio con validità superiore all’anno («ha validità minima annuale e massima triennale»).

L’art. 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, deve essere, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che il calendario venatorio regionale ha validità minima annuale e massima triennale, anziché prevederne unicamente la validità annuale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22, comma 1, della legge della Regione Marche 18 luglio 2011, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria)», che inserisce nell’articolo 27 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 i commi 5-bis e 5-ter;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, nella parte in cui – sostituendo l’articolo 30 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 – dispone che il calendario venatorio regionale ha validità minima annuale e massima triennale, anziché prevederne unicamente la validità annuale;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 1, della legge della Regione Marche n. 15 del 2011, nella parte in cui – sostituendo l’articolo 30 della legge della Regione Marche n. 7 del 1995 – prevede che la Giunta regionale, sentiti l’Osservatorio faunistico regionale (OFR) e l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), propone al Consiglio regionale, entro il 31 maggio, l’approvazione del calendario venatorio regionale, promossa, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012.