Ancora una condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia europea  per la c.d. caccia in deroga.

di Stefano DELIPERI

 

 

 

La Corte di Giustizia, Sezione VIII, con la sentenza 3 marzo 2011, causa C-508/09, ha nuovamente condannato l’Italia per un’ipotesi normativa di c.d. caccia in deroga predisposta in questo caso dalla Regione autonoma della Sardegna.

La vicenda trae origine dai ricorsi (13 e 20 febbraio 2004, 22 aprile 2004) inoltrati dalle associazioni ecologiste Lega per l’Abolizione della Caccia, Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra avverso la legge regionale Sardegna n. 2/2004 e il decreto assessoriale n. 3/V del 18 febbraio 2004 che avevano autorizzato la c.d. caccia in deroga nel mese di febbraio ai danni di quattro specie avifaunistiche (Storno, Tordo sassello, Passera mattugia, Passera sarda).    In proposito la Commissione europea aprì la procedura di infrazione n. 2004/4242 e con lettera del 18 ottobre 2005 chiese all’Italia di fornire le proprie deduzioni. Il 10 aprile 2006 la Commissione europea inviava uno specifico parere motivato.   La successiva legge regionale Sardegna n. 4/2006 modificava la precedente legge regionale n. 2/2004, ma non rispondeva ai criteri espressi dalla Commissione europea per dare corretta attuazione all’art. 9 della direttiva n. 79/409/CEE sulla tutela dell’avifauna selvatica.   In seguito l’emanazione del decreto assessoriale n. 3/V del 18 febbraio 2004 e il successivo n. 2225/DecA/3 del 30 gennaio 2009 che autorizzava l’abbattimento di una quota della popolazione svernante di Cormorano (Phalacrocorax carbo) negli Stagni dell’Oristanese hanno provocato nuovi ricorsi ecologisti e il conseguente ricorso della Commissione europea dell’ 8 dicembre 2009 per la grave violazione della direttiva n. 79/409/CEE sulla tutela dell’avifauna selvatica.

Da qui il provvedimento giurisdizionale in argomento.

La sentenza del 3 marzo 2011 s’inserisce in un solco giurisprudenziale costante della giurisprudenza comunitaria (vds. ad esempio Corte di giustizia CE, 8 giugno 2006, causa C-118/94 e anche 11 novembre 2010, causa C‑164/09) e costituzionale (vds. ad esempio Corte cost., 22 luglio 2010, n. 266 e anche le nn. 250/2008 e 168/1999), secondo principi ormai ben noti: l’autorizzazione degli Stati membri a derogare al divieto generale di cacciare le specie protette è subordinata alla adozione di misure di deroga supportate da una motivazione che faccia riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall’art. 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva n. 79/409/CEE (oggi art. 9 della direttiva 2009/147/CE) sulla tutela dell’avifauna selvatica.

In particolare, il paragrafo 2 dell’art. 9 della citata direttiva prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie che formano oggetto delle medesime; b) i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate; d) l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone; e) i controlli che saranno effettuati.

Tutti criteri non presenti nella legge regionale Sardegna n. 2/2004 e s.m.i. e nei relativi provvedimenti attuativi.   Infatti, “trattandosi di un regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva 79/409”.

La condanna della Corte di Giustizia giunge, poi, nei giorni in cui il Governo nazionale – sempre su impulso delle associazioni ecologiste – ha nuovamente deciso (11 marzo 2011) di ricorrere davanti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione avverso una nuova legge regionale sarda sulla c.d. caccia in deroga, la n. 5/2011, sempre priva delle minime garanzie di salvaguardia dell’avifauna selvatica, rappresentate dalla necessità di conforme parere favorevole dell’Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente.  Un nuovo ricorso per evitare l’ennesima, altamente probabile, condanna in sede di giustizia comunitaria.

 

dott. Stefano Deliperi

 

 

 

 

SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

3 marzo 2011 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva 79/409/CEE – Deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici»

Nella causa C‑508/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 258 TFUE, proposto l’8 dicembre 2009,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. C. Zadra, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri e dal sig. G. Fiengo, in qualità di agenti, assistiti dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta dal sig. K. Schiemann, presidente di sezione, dal sig. L. Bay Larsen (relatore) e dalla sig.ra A. Prechal, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il presente ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di constatare che, poiché la Regione Sardegna ha adottato e applica una normativa relativa all’autorizzazione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispetta le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le derivano dall’art. 9 di detta direttiva.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

2        L’art. 5, lett. a), della direttiva 79/409 vieta in maniera generale di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri cui si applica il Trattato CE.

3        L’art. 9, nn. 1 e 2, di detta direttiva autorizza, tuttavia, deroghe alle seguenti condizioni:

«1.      Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli articoli 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni:

a)      –       nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica,

–        nell’interesse della sicurezza aerea,

–      per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,

–      per la protezione della flora e della fauna;

b)      ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni;

c)      per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

2.      Le deroghe dovranno menzionare:

–        le specie che formano oggetto delle medesime,

–        i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati,

–        le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,

–        l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,

–        i controlli che saranno effettuati».

La normativa nazionale

4        La legge della Regione Sardegna 13 febbraio 2004, n. 2, dal titolo «Norme in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio in Sardegna, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221» (in prosieguo: la «legge regionale n. 2/2004»), definisce le modalità delle deroghe di cui all’art. 9, n. 1, lett. a), terzo trattino, della direttiva 79/409.

5        L’art. 2 di tale legge, rubricato «Condizioni per il prelievo in deroga», dispone quanto segue:

«1.      L’Assessore regionale della difesa dell’ambiente, sentito l’Assessore regionale dell’agricoltura, con proprio decreto consente, per periodi di tempo definiti, il prelievo in deroga di specie omeoterme che per la loro consistenza provocano gravi danni alle colture agricole in atto, ritenuto che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti ai sensi della legge n. 221 del 2002, e dell’articolo 9, comma 1, della direttiva [79/409] e successive modifiche.

2.      Nel decreto vengono indicati specie, numero di capi e modalità di prelievo».

6        L’art. 4, n. 1, della legge regionale n. 2/2004, rubricato «Sospensione del prelievo», così recita:

«L’Assessore della difesa dell’ambiente, sentiti l’Assessore regionale dell’agricoltura e il Comitato regionale faunistico, può sospendere in qualsiasi momento l’attività di prelievo quando vi siano accertate riduzioni delle specie prelevabili o qualora si accerti che siano venute meno le condizioni di cui all’articolo 2».

7        La legge regionale n. 2/2004 è stata modificata con legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4, dal titolo «Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo» (in prosieguo: la «legge regionale n. 2/2004 emendata»).

8        L’art. 2 della legge regionale n. 2/2004 emendata ha il seguente tenore:

«1.      L’Assessore regionale competente per materia consente il prelievo in deroga esclusivamente per le finalità richiamate dall’articolo 9 della direttiva [79/409]. Il prelievo in deroga è disposto sulla base della verifica da parte dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica del rispetto di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo citato.

2.      Con la stessa procedura prevista dal comma 1, l’Assessore regionale della difesa dell’ambiente, quando accerta che sono venute meno le condizioni di cui allo stesso comma 1, dispone la cessazione dell’attività di prelievo».

9        All’art. 22, n. 19, la legge regionale 11 maggio 2006, n. 4, abroga l’art. 4 della legge regionale n. 2/2004.

La fase precontenziosa

10      Esaminata la legge regionale n. 2/2004, la Commissione riteneva che quest’ultima non rispettasse l’art. 9 della direttiva 79/409 e che fosse fonte di atti applicativi anch’essi in contrasto con detto articolo. Per questo motivo, con lettera del 18 ottobre 2005, intimava alla Repubblica italiana di presentare osservazioni scritte in merito.

11      La Repubblica italiana, in risposta, informava la Commissione che la Regione Sardegna aveva avviato la procedura per la modifica della legge regionale n. 2/2004.

12      Considerando che la risposta della Repubblica italiana costituisse un riconoscimento degli addebiti formulati nella lettera di diffida, la Commissione inviava a detto Stato membro, il 10 aprile 2006, un parere motivato che ribadiva gli addebiti già formulati nella suddetta lettera e lo invitava a conformarsi ad esso nel termine di due mesi dal suo ricevimento.

13      Il 12 luglio 2006 la Commissione riceveva dalla Rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea una nota della Regione Sardegna che la informava del fatto che le modifiche alla legge regionale n. 2/2004 erano state approvate con la legge regionale 11 maggio 2006, n. 4; alla nota veniva allegato il testo delle disposizioni considerate pertinenti nella fattispecie.

14      Ritenendo che non si fosse posto rimedio all’inadempimento dedotto, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

15      Occorre constatare, a titolo preliminare, che l’oggetto del ricorso è limitato alla pretesa incompatibilità con l’art. 9 della direttiva 79/409 di talune disposizioni della legge regionale n. 2/2004 emendata. Da un lato, infatti, la Commissione si riferisce alla censura di incompatibilità di talune disposizioni della legge regionale n. 2/2004, le quali sono state sostituite anteriormente alla scadenza del termine impartito con il parere motivato dalle disposizioni della legge regionale n. 2/2004 emendata, definendola censura iniziale. Trattasi dunque dell’addebito sollevato durante la fase precontenziosa. Dall’altro lato, con il ricorso, la Commissione mira a far constatare che, poiché la Regione Sardegna ha adottato e applica una normativa relativa all’autorizzazione delle deroghe che non rispetta le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le derivano da detta disposizione. Pertanto, il ragionamento che la Commissione consacra, nel suo ricorso, alla legge regionale n. 2/2004 deve essere inteso come volto a mettere in prospettiva la legge regionale n. 2/2004 emendata, adottata prima della scadenza del termine stabilito nel parere motivato e ritenuta dalla Commissione perpetuare l’inadempimento denunciato ab initio.

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

16      La Repubblica italiana eccepisce l’irricevibilità del ricorso perché l’accusa che le disposizioni della legge regionale n. 2/2004 emendata continuino a non rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409, disposizioni adottate nei 60 giorni di tempo impartiti nel parere motivato del 10 aprile 2006, avrebbe dovuto costituire oggetto di un’integrazione del parere motivato; peraltro, l’oggetto del contendere sarebbe non più il comportamento concreto della Regione Sardegna, bensì l’asserita inadeguatezza della tecnica normativa da essa adottata.

17      La Commissione ribatte che i vizi iniziali della legge n. 2/2004 permangono nella legge n. 2/2004 emendata e hanno comportato atti applicativi a loro volta non conformi all’art. 9 della direttiva 79/409, circostanza che l’ha indotta a proporre il presente ricorso. Orbene, se la Commissione fosse tenuta ad esaminare tutte le modifiche legislative e regolamentari con un nuovo atto della fase precontenziosa, lo Stato membro interessato potrebbe differire a tempo indeterminato la fine del procedimento.

18      Del resto, la Corte avrebbe già dichiarato che, qualora durante la fase precontenziosa sia intervenuta una modifica normativa, il ricorso potrebbe riguardare disposizioni nazionali non identiche a quelle di cui trattasi nel parere motivato. Nel caso di specie, la Commissione non avrebbe ampliato l’oggetto del ricorso rispetto a quello descritto nella lettera di diffida.

Giudizio della Corte

19      Se è vero che l’oggetto del ricorso introdotto ai sensi dell’art. 258 TFUE è circoscritto dalla fase precontenziosa prevista da tale disposizione e che, conseguentemente, il parere motivato e il ricorso devono essere fondati su censure identiche, non per questo si può pretendere che sussista in ogni caso una perfetta coincidenza tra il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso. Infatti, qualora tra queste due fasi del procedimento sia intervenuta una modifica normativa, è sufficiente che il sistema istituito dalla normativa contestata nella fase precontenziosa sia stato nel complesso mantenuto dalle nuove misure adottate dallo Stato membro dopo il parere motivato e impugnate nell’ambito del ricorso (v., in particolare, sentenze 10 settembre 1996, causa C‑11/95, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4115, punti 73 e 74, e 1° febbraio 2005, causa C‑203/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑935, punti 28-30).

20      Non ammettere la ricevibilità del ricorso in un’ipotesi simile potrebbe consentire ad uno Stato membro di ostacolare un procedimento per inadempimento modificando leggermente la sua normativa ad ogni notifica di un parere motivato, mantenendo peraltro in vigore la normativa contestata (v., in tal senso, sentenza Commissione/Austria, cit., punto 30).

21      Nella fattispecie, risulta dal parere motivato che le censure sollevate dalla Commissione contro la legge regionale n. 2/2004 vertevano sul fatto che i prelievi in deroga di specie protette potevano essere concessi, da un lato, senza che un’autorità scientifica qualificata avesse preventivamente accertato la sussistenza dei presupposti che li rendono necessari e senza che fosse stata verificata l’assenza di soluzioni alternative soddisfacenti al fine di perseguire l’obiettivo dichiarato e, dall’altro, senza che fossero indicate le condizioni di cui all’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409. La non conformità di detta legge regionale all’art. 9 di tale direttiva sarebbe stata confermata dalle violazioni commesse in fase di applicazione. Al riguardo, la Commissione citava il decreto n. 3/V dell’assessore regionale della difesa dell’ambiente del 18 febbraio 2004, che autorizzava, in applicazione della legge regionale n. 2/2004, un prelievo in deroga di quattro specie di uccelli protette.

22      Nel ricorso la Commissione fa valere che la legge regionale n. 2/2004 emendata, sebbene abbia introdotto l’obbligo di consultare un’autorità scientifica qualificata per poter concedere deroghe al regime di protezione generale degli uccelli, continua a non impedire l’adozione di atti carenti quanto a giustificazione e motivazione delle deroghe. In detta legge continuerebbe peraltro a mancare l’obbligo di indicare, nei provvedimenti di deroga, le condizioni di cui all’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409. Per esempio, il decreto n. 2225/DecA/3 dell’assessore regionale della difesa dell’ambiente del 30 gennaio 2009, che autorizza l’abbattimento di un determinato numero di cormorani (in prosieguo: il «decreto n. 2225/DecA/3»), riprodurrebbe sostanzialmente il contenuto dei decreti adottati in vigenza della legge regionale n. 2/2004.

23      Ebbene, occorre rilevare che l’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata, pur avendo introdotto l’obbligo di consultare un’autorità scientifica qualificata per poter concedere deroghe al regime di protezione generale degli uccelli, mantiene nel suo complesso il sistema messo in atto dalla normativa contestata in sede precontenziosa. Tale disposizione, infatti, contrariamente a quanto chiede in sostanza la Commissione sin dall’inizio del procedimento, da un lato, non prescrive una simile consultazione per verificare se i presupposti che rendono necessarie le deroghe, ossia le condizioni stabilite all’art. 9, n. 1, della direttiva 79/409, siano soddisfatti e se manchi un’alternativa soddisfacente ai sensi di quest’ultima disposizione per raggiungere gli obiettivi dichiarati, bensì si limita a prevedere che l’autorità scientifica competente sia consultata al fine di controllare che le disposizioni di cui all’art. 9, n. 2, di tale direttiva siano rispettate. D’altro lato, essa non fa neppure obbligo di menzionare nei provvedimenti di deroga gli elementi e le condizioni cui si riferisce quest’ultima disposizione.

24      Alla luce di ciò, si deve considerare che la Commissione, censurando, nel ricorso, le disposizioni della legge regionale n. 2/2004 emendata, forte, in particolare, di un esempio tratto da un decreto di attuazione, non ha modificato l’oggetto del ricorso e non ha violato l’art. 258 TFUE. Il ricorso è dunque ricevibile.

Nel merito

Argomenti delle parti

25      La Commissione sostiene che le disposizioni dell’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata continuano a non impedire l’adozione di atti carenti sul piano della giustificazione e della motivazione delle deroghe, in particolare perché non viene verificata l’assenza di alternative soddisfacenti per raggiungere lo scopo addotto. Inoltre, la legge della Regione Sardegna continuerebbe a non prevedere l’obbligo di indicare, nei provvedimenti di deroga, le condizioni stabilite all’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409. Il fatto che l’art. 2 della legge regionale n. 2/2004 emendata preveda che l’Istituto nazionale per la fauna selvatica verifichi che l’art. 9, n. 2, di tale direttiva sia rispettato non garantirebbe che tali elementi e condizioni siano menzionati nei singoli provvedimenti di deroga.

26      Infatti, il decreto n. 2225/DecA/3 avrebbe autorizzato l’abbattimento di un determinato numero di cormorani durante il mese di febbraio 2009 per evitare i danni causati dal transito di tale specie alle produzioni ittiche, senza tuttavia fornire indicazioni sufficienti circa l’entità dei danni né traccia della ricerca di soluzioni alternative. Questo stesso decreto avrebbe per di più autorizzato il prelievo cinegetico in deroga senza il parere dell’organismo scientifico preposto a tal fine e senza menzionare le condizioni di cui all’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409.

27      La Repubblica italiana contesta l’addebito che la legge regionale n. 2/2004 emendata continui a non rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409. Infatti, siccome esiste ed è applicato nell’ordinamento giuridico italiano un principio giuridico di diritto pubblico secondo il quale, quando un’autorità adotta un atto unilaterale dotato di esecutività, è tenuta ad indicare i presupposti e le motivazioni per le quali esercita i suoi poteri, non sarebbe necessario che la legge di recepimento della direttiva 79/409 precisi che i provvedimenti di deroga devono menzionare le condizioni enunciate all’art. 9, n. 2, di detta direttiva. Nella fattispecie, i presupposti di legittimità dell’azione amministrativa coinciderebbero con il rispetto di tutte le condizioni e disposizioni della succitata direttiva.

Giudizio della Corte

28      È pacifico che l’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata prevede che l’autorità régionale competente può autorizzare i prelievi in deroga di specie di uccelli protette ai sensi dell’art. 5, lett. a), della direttiva 79/409.

29      Orbene, l’art. 9 di detta direttiva autorizza gli Stati membri a derogare al divieto generale di caccia e cattura delle specie protette, derivante dall’art. 5 della stessa direttiva, soltanto mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 9 (v., in tal senso, sentenza 16 ottobre 2003, causa C‑182/02, Ligue pour la protection des oiseaux e a., Racc. pag. I‑12105, punto 13).

30      Così, un provvedimento nazionale che preveda la possibilità di una deroga all’art. 5, lett. a), della direttiva 79/409, ai sensi dell’art. 9 della stessa, come quella ricordata al punto 8 della presente sentenza, non è conforme a quest’ultima disposizione se non fa alcun riferimento al fatto che una tale deroga può essere concessa solo nel caso in cui non vi sia un’altra soluzione soddisfacente (v., in tal senso, sentenza Ligue pour la protection des oiseaux e a., cit., punto 14).

31      Nella fattispecie, è giocoforza constatare che il provvedimento nazionale in questione non fa alcun riferimento al fatto che detta deroga può essere concessa solo se manca un’altra soluzione soddisfacente.

32      Pertanto, il ricorso della Commissione è fondato sotto questo aspetto.

33      Quanto alla circostanza che il decreto n. 2225/DecA/3 non fornirebbe indicazioni sufficienti circa l’entità dei danni causati dal cormorano alle produzioni ittiche, essa non è idonea a dimostrare che l’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata consente all’assessore regionale competente di concedere prelievi in deroga di specie protette in assenza delle condizioni necessarie a tal fine, vale a dire senza che vi siano in concreto gravi rischi per la fauna ittica. Infatti, detta disposizione, nella misura in cui prevede che l’assessore regionale competente autorizzi il prelievo in deroga ai soli fini enunciati all’art. 9 della direttiva 79/409, si riferisce a tutti gli obiettivi di cui al n. 1, lett. a)-c), di tale articolo, segnatamente a quello di prevenire gravi danni alla pesca.

34      Di conseguenza, il ricorso dev’essere respinto su questo punto.

35      Quanto all’accusa di violazione dell’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409, occorre ricordare che l’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata dispone che il prelievo in deroga è deciso dopo il controllo da parte dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica del rispetto delle disposizioni di detto articolo della direttiva 79/409.

36      Per quanto concerne la possibilità di derogare ai divieti enunciati all’art. 5 della direttiva 79/409, prevista all’art. 9 della medesima direttiva, la Corte ha sottolineato che essa è subordinata, in particolare, alla condizione che la deroga risponda agli specifici criteri di forma elencati al n. 2 di detto articolo, che hanno lo scopo di limitare le deroghe allo stretto necessario e di permettere la vigilanza dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza 7 marzo 1996, causa C‑118/94, Associazione Italiana per il WWF e a., Racc. pag. I‑1223, punto 21).

37      Trattandosi di un regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva 79/409 (v. sentenze 8 giugno 2006, causa C‑60/05, WWF Italia e a., Racc. pag. I‑5083, punto 34, e 11 novembre 2010, causa C‑164/09, Commissione/Italia, punto 25).

38      Se è vero che l’art. 2, n. 1, della legge regionale n. 2/2004 emendata prevede che l’Istituto nazionale per la fauna selvatica verifichi che quanto previsto dall’art. 9, n. 2, della direttiva 79/409 sia rispettato, è vero pure che, in assenza di una disposizione di diritto interno che imponga all’assessore regionale competente di menzionare, nella decisione che autorizza il prelievo in deroga, gli elementi stabiliti all’art. 9, n. 2, di tale direttiva, non può ritenersi garantito nel caso di specie che ogni intervento attinente alle specie protette sia autorizzato in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata che si riferisca alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, n. 2, di detta direttiva, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte citata al punto precedente.

39      Pertanto, su questo punto il ricorso deve essere accolto.

40      Alla luce di tutte le considerazioni svolte, si deve accogliere il ricorso della Commissione, salvo quanto constatato al punto 34 della presente sentenza.

41      Occorre dunque constatare che, poiché la Regione Sardegna ha adottato e applica una normativa relativa all’autorizzazione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispetta le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le derivano dall’art. 9 di detta direttiva.

Sulle spese

42      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Poiché la Regione Sardegna ha adottato e applica una normativa relativa all’autorizzazione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispetta le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le derivano dall’art. 9 di detta direttiva.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme