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IL danno ambientale come reato

di Dario Giardi

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Con la direttiva europea 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla “Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale”, si è istituito un sistema unitario per prevenire e risarcire il danno all'ambiente. In gran parte dei Paesi europei esistono leggi nazionali in materia, soprattutto di responsabilità civile, basati sul principio che ove una persona causi un danno con un certo grado di colpa, questo va indennizzato. I primi sono stati Norvegia e Svezia. Ma ormai gran parte dei paesi scandinavi hanno introdotto misure di responsabilità civile sul risarcimento dei danni all’ambiente. In molti paesi è stata introdotta l'assicurazione obbligatoria, ma per lo più in aree specifiche ad alto rischio come gli impianti nucleari e i siti per rifiuti tossici, come in Francia e Germania. E se la Svezia impone che i siti autorizzati contribuiscano comunque a un fondo per la responsabilità civile in materia di ambiente, in altri come in Danimarca, Spagna, Paesi Bassi, le compagnie propongono fondi comuni assicurativi a copertura dei rischi di inquinamento, particolarmente vantaggiosi. In Italia è la legge 349 del 1986[1] di istituzione del Ministero dell'ambiente e che reca norme in materia di danno ambientale a ribadire che qualunque fatto doloso o colposo in violazione di legge che comprometta l'ambiente, obbliga l'autore del fatto a risarcimento nei confronti dello Stato. Il contesto è quindi quello della responsabilità civile, ma la giurisprudenza prevede due approcci. Quello appunto della legge 349/86 basata sul dolo o sulla colpa di chiunque viola le norme di difesa dell'ambiente, obbligando il responsabile a corrispondere un indennizzo alla vittima soltanto nel caso in cui egli non abbia esplicato il normale livello di diligenza necessario per evitare il danno. Oppure si può applicare, anche in materia di danno ambientale, il concetto di responsabilità oggettiva prevista dal codice civile, per cui l'indennizzo è dovuto anche se il livello di diligenza è stato rispettato. Sempre la legge 349/86 propone un'alternativa al risarcimento del danno mediante la rimozione degli effetti dell'inquinamento attraverso il risanamento del sito inquinato da parte dell'impresa. Con l’emanazione della direttiva 2004/35/CE la Commissione Europea ha inteso stabilire uno «standard minimo» in materia di responsabilità ambientale di carattere pubblico amministrativo. Infatti, se da una parte l’art. 16 della Direttiva lascia agli Stati membri impregiudicata la possibilità di mantenere in vigore e/o di emanare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, d’altro canto risulta per ciascuno Stato membro l’obbligo di recepire la Direttiva, nel rispetto dell’art. 10 del Trattato CE, nel diritto nazionale. L’art. 19 della Direttiva stabilisce l’obbligo per ciascuno Stato membro di adottare entro il 30 aprile 2007 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per dare attuazione alla Direttiva. E proprio in questo quadro si inseriscono i disegni di legge all' esame delle commissioni Ambiente e Giustizia del Senato. Questi disegni di legge prevedono l’introduzione nel codice penale di nuovi reati contro l’ambiente, con sanzioni più severe, l’istituzione di sezioni specializzate presso i tribunali e nuovi poteri del pubblico ministero.


In particolare, sono stati presentati i seguenti disegni di legge:

(66) SPECCHIA. - Introduzione nel codice penale del Titolo VI-bis, "Dei delitti contro l'ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali per combattere il fenomeno della criminalità in ambito ambientale.

(2994) PASCARELLA ed altri. - Introduzione nel codice penale del titolo "Dei delitti contro l'ambiente" e istituzione di un fondo di rotazione per il ripristino e la bonifica dei siti inquinati.

(3027) NESSA. - Modifiche al codice penale in materia di delitti contro l'ambiente, e disposizioni per combattere il fenomeno della criminalità in ambito ambientale.

(1741) RIPAMONTI. - Modifiche al codice penale in materia di tutela dell' ambiente e dei beni culturali.

(1816) RIPAMONTI. - Delega al Governo per l'istituzione presso i tribunali di una sezione specializzata per i reati ambientali.

Il DDL 66 introduce otto articoli nel nuovo titolo VI-bis del codice penale e definisce, ai fini penali, una serie di concetti, quale il bene giuridico ambiente (“il complesso delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali, nonché il complesso delle opere dell’uomo protette dall’ordinamento per il loro interesse ambientale, artistico, turistico, archeologico, architettonico e storico”), l’alterazione dello stato dell’ambiente, i traffici contro l’ambiente. Sono previsti come reati anche la frode in materia ambientale e la commissione in forma associata. Si introduce un meccanismo di consistente riduzione premiale della pena per coloro che si adoperino collaborando fattivamente con le autorità di polizia o giudiziaria. Si sancisce la punibilità dei delitti laddove commessi per colpa. Oltre alle pene accessorie, è inoltre prevista l’esecuzione dell’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente. Sono introdotti nel codice di procedura penale il sequestro conservativo per garantire l’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dai reati ambientali, al fine di assicurare il risarcimento del danno pubblico ambientale, e il sequestro obbligatorio da parte della polizia giudiziaria in caso di accertamento in flagranza dei reati contro l’ambiente. Il pubblico ministero è legittimato ad esercitare in via sostitutiva l’azione civile di danno pubblico ambientale. Il DDL 2994 introduce nel codice penale un titolo autonomo “Dei delitti contro l’ambiente” nel quale è espressa la definizione di illecito ambientale, la previsione e punizione dei reati di inquinamento ambientale, distruzione del patrimonio naturale, traffico illecito di rifiuti e frode in materia ambientale. Lo stesso titolo del codice penale, perseguendo l’obiettivo di incentivare i comportamenti riparatori, prevede al suo interno un articolo dedicato al cosiddetto ravvedimento operoso del reo, a cui far seguire la concessione di una attenuante speciale. Si prevede l’istituzione di un Fondo di rotazione per il ripristino e la bonifica dei siti inquinati, al quale lo Stato dovrebbe contribuire con una dotazione annua pari a 20 milioni di euro e al quale sarebbero destinate le risorse finanziarie derivanti dalla vendita dei beni confiscati alle organizzazioni criminali impegnate nel traffico e smaltimento illeciti di rifiuti. Il DDL 3027 ricalca i contenuti del DDL 66, introduce sei articoli nell’istituendo titolo VI-bis del codice penale con la previsione di nuove fattispecie di reato: traffici contro l’ambiente, associazione per delinquere contro l’ambiente, associazione di tipo mafioso per delinquere contro l’ambiente. Si prevede l’ampliamento della composizione delle sezioni di polizia giudiziaria, inserendovi agenti ed ufficiali del Corpo forestale dello Stato. Il DDL 1741 sostituisce il titolo VI del codice penale con il titolo “Dei delitti contro l’incolumità pubblica e l’ambiente”, aggiungendovi il Capo III-bis. Dei delitti contro l’ambiente, in cui si comminano le pene della multa da 2.582 a 154.937 euro o della reclusione da sei mesi a quattro anni a “chiunque illegalmente provochi rumori, vibrazioni, infiltrazioni, smottamenti, ovvero abbandoni rifiuti, effettui estrazioni, escavazioni, sbancamenti e captazione di acque, ovvero emetta radiazioni nocive, ovvero immetta o depositi nell’atmosfera, nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque terrestri, marine, lacuali o sotterranee sostanze che possono pregiudicare gravemente l’equilibrio dei sistemi naturali”. Altre pene sono previste per chiunque realizzi depositi o discariche di rifiuti solidi urbani o abbandoni rifiuti speciali, tossici e nocivi, per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che abbia commesso o agevolato delitti contro l’ambiente, per chiunque distrugge, deteriora, modifica o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui sia noto il rilevante pregio o mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera anche in modo temporaneo le bellezze naturali o ambientali o paesaggistiche dei luoghi soggetti alla speciale protezione. Il DDL 1816 prevede una apposita delega al Governo per istituire presso i tribunali una sezione specializzata per i reati ambientali (senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica) e legittima il pubblico ministero ad esercitare in via sostitutiva l’azione civile di danno pubblico ambientale. I Disegni di Legge saranno probabilmente integrati in un unico testo, che dovrebbe raccordarsi agli esiti della commissione che sta curando la revisione del codice penale. L’obiettivo, dare il giusto peso alla tutela dell’ambiente nel codice penale, è certamente meritorio, tuttavia molti sottolineano i limiti dell’azione repressiva, in assenza di una efficace politica di prevenzione dei delitti e permanendo la scarsa capacità degli organi pubblici di assicurare una adeguato controllo sul territorio.



[1] La legge 349/86, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, sancisce all'art. 18 il principio per cui qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di leggi o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.

L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato nonché dagli Enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo.

Con la sentenza del 1 settembre 1995 n. 9211, la Corte di Cassazione ha osservato che "il profilo sanzionatorio, nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale, comporta un accertamento che non è quello del mero giudizio patrimoniale, bensì della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sé" del bene, la cui sussistenza è valutabile solo attraverso accertamenti eseguiti da qualificati organismi pubblici".

Detta sentenza afferma in via definitiva la competenza degli organi tecnici dello Stato alla verifica della sussistenza del danno ambientale.

Le richieste del risarcimento del danno sia in sede civile, sia nell’ambito del processo penale, dovrà prioritariamente basarsi su due elementi essenziali, la cui sussistenza rappresenta la conditio sine qua non perché vi possa essere il riconoscimento giuridico dell'avvenuto danno:

Ø Le azioni devono aver realizzato una violazione ad una disposizione di legge o di provvedimenti (ad es. atti amministrativi) adottati in base a legge;

Ø Il danno deve essere rappresentato non da una violazione formale della vigente normativa in materia ambientale, ma deve effettivamente realizzare una compromissione dell’ ambiente.

A tale riguardo si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 641 del 17/12/87, la quale ha ribadito in via definitiva il carattere patrimoniale e civilistico dell’azione del risarcimento del danno ambientale.

Nella stessa sentenza la Corte chiarisce che nello spirito della legge si dà rilievo a qualunque compromissione dell'ambiente che comporti un peggioramento delle condizioni di equilibrio dei vari fattori che lo compongono, quali il livello di salubrità complessiva dell'aria, dell'acqua, la disponibilità delle risorse naturali, gli equilibri ecologici che garantiscono la vita di determinate specie di animali e vegetali, l'armonia estetica dei luoghi ecc.

Con la sentenza del 1 settembre 1995 n. 9211, già citata, la Corte di Cassazione afferma che l'Amministrazione competente deve accertare l’effettività del danno nel senso che "non basta la violazione puramente formale della normativa in materia di inquinamento, ma occorre che lo Stato o gli enti territoriali su cui incidono i beni oggetto del fatto lesivo, ai sensi del c. 3 dell'art. 18 (L.349/86) deducano l'avvenuta compromissione dell'ambiente".

Le condizioni sopra riportate non sembrino scontate o ovvie: il fatto che si possa proporre richiesta di risarcimento del danno ambientale soltanto quando vi sia stata la violazione di una legge o di un provvedimento adottato in base a legge pone una scriminante fondamentale nella individuazione del danno stesso. In altre parole, situazioni che pur palesemente possono essere considerate dannose ed emozionalmente sentite come tali, non assurgono alla dignità giuridica di "danno ambientale" se non garantite e tutelate da una norma ( per es., il traffico automobilistico provoca inquinamento dell'aria che è riconosciuto come lesivo della salute e dell'ambiente; esso, però, non è vietato per legge, se non quando vengono superati i limiti prefissati: si deduce che non potrà essere richiesto il risarcimento per i danni provocati dai gas di scarico quotidianamente immessi nell'aria dagli automobilisti).

Il fatto poi che vi debba essere una concreta azione negativa sulle componenti ambientali, e non solo una violazione formale alla norma, implica una valutazione tecnica supportata da elementi comprovati e reali: non basta in questo caso, per es., la mancanza di una autorizzazione prevista da una norma o l’inosservanza di alcune prescrizioni (per es., la mancata annotazione sui registri di materiali da smaltire in discarica) per poter affermare che si sia realizzato un danno all'ambiente.

E' da considerare superata la questione relativa alla natura patrimoniale del danno ambientale (ove per patrimonialità deve intendersi la possibilità di valutare il danno stesso in termini economici). Per qualche tempo infatti una parte della dottrina lo ha ritenuto non patrimoniale (non valutabile quindi in termini economici). Con questi presupposti, il danno veniva ed essere risarcibile soltanto nella ipotesi di reati ambientali.

Attualmente, quindi, si può affermare che la nozione di danno ambientale non presuppone necessariamente la realizzazione di un reato, e di conseguenza l'azione risarcitoria può essere promossa anche nel caso di infrazioni a leggi non penali (per es., violazioni amministrative).

Tale principio è molto importante ed in pratica implica che detta azione può essere esercitata dal Ministero dall'Ambiente con diverse procedure, indicate nella circolare n.46054 del 28 novembre 1997, elaborata dalla Divisione II della Direzione Generale delle Risorse Forestali, Montane e Idriche, a seconda delle seguenti circostanze.

Danno ambientale conseguente ad una violazione di una legge o di un provvedimento adottato in base a legge non penale

L'Amministrazione promuove autonomamente l'azione davanti al giudice civile ai sensi dell'art. 18 della L.349/86.

In questo caso si avvierà un processo civile per il quale non necessita l'autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma della L.3/1/91 n.3, art.1, c.4.

In concreto, il Ministero dell'Ambiente può essere attivato sulla base di infrazioni amministrative rilevate dagli organi di controllo sul territorio: per es., è noto che le sanzioni previste dal R.D.L. 3267/23 sono state depenalizzate e che le violazioni a tale legge prevedono esclusivamente il pagamento di una somma di danaro da parte del contravventore. Pur tuttavia, ove con gli interventi effettuati si siano provocati danni all'ambiente per i quali si ritenga opportuna l'azione di richiesta del risarcimento, essa si potrà senz'altro proporre al Ministero dell’Ambiente, supportandola con le dovute giustificazioni tecniche.

Danno ambientale conseguente ad una violazione di una legge o di un provvedimento adottato in base a legge penale

In questo caso l'Amministrazione può richiedere il risarcimento del danno attraverso due differenti procedure.

Precisamente:

a) costituzione di parte civile nel processo penale; il Ministero dell’Ambiente, citato quale parte offesa, può richiedere il risarcimento del danno direttamente nella sede penale, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, legge 3/1/91 n. 3, art.1 c.4.

b) pretesa risarcitoria azionata autonomamente in sede civile.

In tale caso la parte offesa propone direttamente dinanzi al giudice civile la richiesta di risarcimento del danno, senza costituirsi parte civile nel processo penale, comunque sempre prima che sia intervenuta sentenza di primo grado. In questo caso il giudizio civile si svolge del tutto indipendentemente dalla vicenda penalistica, ma qualora dovesse intervenire sentenza irrevocabile di condanna in seguito al dibattimento penale, la stessa avrà efficacia di giudicato nel giudizio civile.

In tali circostanze, quindi, le vicende relative al processo penale hanno rilevanza e valore soltanto nella misura in cui possono essere utili al danneggiato.

Nella ipotesi in cui, invece, l'azione civile venga intentata dopo che sia intervenuta la sentenza penale di primo grado, detta autonomia è esclusa ( il giudicato penale avrà effetto preclusivo sulla sentenza civile) e comunque si dovrà attendere la conclusione di tutti i gradi del giudizio penale.

Da tutto quanto sopra detto, risulta chiaro che la preferenza, per l'esercizio dell'azione risarcitoria nella sede civile o in quella penale, debba scaturire da valutazioni condotte di volta in volta dal soggetto qualificato e competente, cioè dall'Avvocatura dello Stato.

Saranno infatti la quantità del materiale probatorio, la risonanza sociale della fattispecie, le varie opportunità di giungere ad un effettivo risarcimento del danno a far propendere per una scelta o per l'altra.