Cass. Sez. III n. 14248 del 16 aprile 2021 (CC 14 gen 2021)
Pres. Marini Est. Di Nicola Ric. Cammarata  
Ecodelitti.Delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e momento consumativo

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, alcuni dei quali, isolatamente considerati, potrebbero anche costituire reato ad altro titolo ma che rinvengono la ratio dell’incriminazione nella loro reiterazione, che si protrae nel tempo, e nella persistenza dell’elemento intenzionale.  Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato abituale si ha con l’ultimo atto di questa serie di fatti, mentre il reato stesso si perfeziona nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e ciò avviene quando l’agente realizza un minimo di condotte tipizzate dalla norma incriminatrice e, nella specie, dirette alla gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti,  collegate tra loro da un nesso di abitualità, con la conseguenza che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di gestione illecita dei rifiuti, compiuta in costanza del nesso di abitualità, si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita a un illecito strutturalmente unitario; ne deriva, ad esempio, che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell’ultima condotta tenuta.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza con la quale il tribunale della libertà di Trieste ha confermato il provvedimento cautelare emesso in data 28 aprile 2020 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale della medesima città che aveva disposto nei confronti dei ricorrenti la misura cautelare degli arresti domiciliari, essendo gli stessi indagati, in concorso con Giuliano Di Nardo, Piero Pellizon e Claudio Paoluzzi, del reato di cui all’articolo 452-quattordieces del codice penale per avere, dall’ottobre 2018 a fine marzo 2019, svolto attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. In particolare, a costoro (ossia ai fratelli Dalla Santa, quali soci della s.n.c. Sap, con sede in Fonzaso, in provincia di Belluno e comunque quali conferitori o intermediari dei conferitori; al Pellizon ed al Di Nardo in veste di amministratori rispettivamente della Pellizon Piero s.r.l. e della Progestimm s.r.l., società proprietarie al 50% del capannone sito in Mossa di Gorizia, già acquistato ad un’asta fallimentare per 90.000 euro; al Cammarata ed al Paoluzzi quali intermediari fra i fratelli Dalla Santa ed il duo Di Nardo/Pellizon per la stipula del contratto di affitto dell’immobile) è stato contestato di avere, a fine di profitto (rappresentato dal risparmio dei costi di smaltimento, determinati in oltre 825.000 euro), attraverso plurime operazioni (sarebbero stati eseguiti ben 38 viaggi da parte di autisti di tir carichi di rifiuti) e l’allestimento di mezzi ed attività organizzate, gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti, del tipo residui plastici provenienti da raccolta urbana differenziata (per la precisione, balle di plastica compattate del peso di una tonnellata circa ognuna, classificabili con codici CER 200139 ovvero 191204), quantificati, al momento della sorpresa in flagranza di reato avvenuta il 26 marzo 2019, in 4346 tonnellate, il tutto dopo aver modificato opportunamente il capannone per consentire ai bilici di potervi scaricare i rifiuti, eliminando parte del muro perimetrale e realizzando una rampa di accesso sul lato Est.

2. I ricorrenti, tramite i rispettivi difensori di fiducia, affidano i ricorsi ai seguenti motivi enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Fiorenzo Giorgio Cammarata impugna con un unico motivo con il quale deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Sostiene che Tribunale del Riesame abbia erroneamente confermato l’ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari, ritenendo impropriamente sussistente l’esigenza cautelare ex articolo 274, comma 1, lettera c ), con specifico riferimento al requisito dell’attualità nonostante, nello stesso provvedimento impugnato, il Collegio abbia affermato, in aperto contrasto con quanto ritenuto in punto di sussistenza dell’esigenza cautelare specialpreventiva, come un ruolo fondamentale nella fattispecie concreta fosse da attribuire al tempo trascorso (circa quattordici mesi) dalla consumazione del delitto, avvenuta in data 26 marzo 2019, all’esecuzione dell’ordinanza cautelare (19 maggio 2020).
Assume che il tribunale del Riesame ha ritenuto riconoscibile l’esigenza cautelare fino al punto di sostenere che non vi fossero “in positivo elementi da cui desumerne l’insussistenza” sulla base di due diverse argomentazioni, del tutto estranee alla dimensione temporale: gravità dei fatti e personalità/pericolosità sociale dell’indagato.
Obietta il ricorrente che delle due l’una: o il trascorrere del tempo è un dato neutro e pertanto non incide sulla permanenza dell’esigenza cautelare che potrà quindi essere motivata con altre argomentazioni oppure è un fattore determinante e, quindi, trascorso un certo periodo dalla commissione dei fatti per cui si procede l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato deve venire necessariamente meno, salvo indicazioni puntuali e precise volte a dimostrare la concreta e attuale possibilità di delinquere.
Peraltro, nel caso in esame, sarebbero incongrue, ad avviso del ricorrente, le argomentazioni utilizzate dal Collegio cautelare per giudicare “attuale” l’esigenza cautelare riscontrata e tanto proprio in considerazione del lasso di tempo trascorso dalla commissione dei fatti e in assenza di indici dimostrativi di una perdurante pericolosità sociale.
2.2. Alessio Dalla Santa impugna con tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale per la carenza delle situazioni di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato nonché la mancanza e l’incongruità della motivazione circa la rilevanza del tempo trascorso fra fatto contestato e la misura cautelare applicata (articolo 606, comma uno, lettere b) ed e), del codice di procedura penale).
Sostiene che, al di là del fatto che alcun riscontro sarebbe stato acquisito circa la (com)partecipazione del ricorrente all’attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti (con la conseguenza che la consumazione del delitto di cui all’articolo 452-quaterdecies del codice penale non può essere ricondotta all’attività del ricorrente), sarebbe fuori discussione che i contatti dello stesso con gli altri indagati si arrestarono nel mese di novembre 2018 (al più tardi il 13 dicembre 2018 — data dell'ultimo messaggio inviato dal ricorrente al Cammarata), come risulta dal testo dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare del 28 aprile 2020.
Ne deriva che sarebbero diciassette o diciotto (e non quattordici) i mesi che hanno separato la fine dell’ipotetica attività criminosa dell’indagato con l’esecuzione della misura cautelare.
Sotto tale specifico profilo, osserva il ricorrente come il tribunale del Riesame di Trieste abbia, peraltro, svalutato l’incidenza dell’intervenuto fallimento della Sap s.n.c. e, conseguentemente, del proprio socio, ossia del ricorrente, fornendo, a tale proposito, una motivazione del tutto inappagante, laddove si sarebbe imposta la necessità di uno specifico apprezzamento quanto al requisito dell’ “attualità” dell’esigenza cautelare, tale da imporre una “motivazione rafforzata” per giustificarla in un caso, come quello in esame, risalente nel tempo, dato che, nella normalità dei casi l’attualità del rischio di recidiva, pur in presenza di un soggetto pregiudicato e di un fatto grave, diventa difficilmente ipotizzabile nel caso di condotta tanto risalente nel tempo: quanto, infatti, più ci si distacca dal momento di consumazione del reato e dal contesto che lo ha caratterizzato, tanto più sarebbe stringente l’esigenza di una motivazione relativa alla permanenza di una concreta ed effettiva attualità del pericolo di reiterazione, idonea a giustificare il mantenimento della misura cautelare.
Assume poi come il gravato provvedimento abbia valorizzato a suo carico la ricorrenza di tre precedenti specifici nonché l’emissione nei suoi riguardi di un’ordinanza applicativa di misura cautelare alla data del 19 giugno 2019 in relazione a reati analoghi a quelli per cui si procede.
Obietta il ricorrente come si tratti di emergenze destinate a regredire a fronte delle considerazioni per le quali, da un lato, i precedenti specifici risultano essersi concretizzati in mere ipotesi contravvenzionali, mentre, dall’altro, la misura cautelare adottata è stata da tempo oggetto di motivata revoca con la rimessione in libertà dell’interessato proprio in virtù della mancata ricorrenza di qualsivoglia indice di pericolosità.
Trattasi altresì di circostanze suscettibili, ad avviso del ricorrente, di depotenziare vieppiù i ritenuti indici di pericolosità sociale, nonché di rafforzare piuttosto la necessità di una più incisiva considerazione della risalenza nel tempo dell’apporto causale contestato all’indagato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto al mancato e distinto vaglio dei due presupposti di concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale).
Premette come i presupposti della concretezza ed attualità del pericolo della ripetizione criminosa specifica possano essere desunti dai medesimi indizi rivelatori (modalità e circostanze del fatto, nonché personalità dell’indagato) ma, al tempo stesso, come essi debbano essere autonomamente e separatamente vagliati dal giudice della cautela.
Invece, la gravata ordinanza avrebbe risolto il giudizio di concretezza in quello di attualità, e viceversa, incorrendo pertanto nei vizi di violazione di legge di motivazione denunciati.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge per l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 273 del codice di procedura penale in relazione all’articolo 56 del codice penale nonché il vizio di contraddittorietà della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale).
Sostiene che l’impugnato provvedimento sia errato, con la conseguenza che il Collegio cautelare è pervenuto ad un giudizio indiziario di colpevolezza ingiustamente più grave rispetto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti ricorrendo a un evidente travisamento della condotta del ricorrente.
Il quale premette come la commissione di un reato si realizzi, solitamente, con la successione senza interruzione di diverse fasi, abitualmente così identificate:
a) fase della ideazione, che si svolge nel foro interno del soggetto agente il quale si determini a commettere un reato;
b) fase della preparazione, consistente nella vera e propria organizzazione del reato (ovviamente possibile solo per i reati dolosi);
c) fase dell’esecuzione, che si identifica nella vera e propria realizzazione della condotta criminosa;
d)    fase della consumazione, ovvero della effettiva realizzazione di tutti gli elementi costitutivi del reato.
Osserva che proprio nel momento in cui (a fine novembre 2018) sarebbero iniziati i conferimenti illeciti, il ricorrente si stava estraniando dalla vicenda penale incriminata; dalla quale egli sarebbe rimasto totalmente avulso per tutto l’arco temporale, vale a dire fino al provvedimento di sequestro di fine marzo 2019, nel quale sarebbero stati poi eseguiti i conferimenti stessi.
Ne consegue che al ricorrente possono essere addebitate esclusivamente le fasi della ideazione e della preparazione; forse, in parte, quella della esecuzione; di sicuro non quella della consumazione.
Egli può aver attivato i lavori di “preparazione” del capannone; aver avuto accesso allo stesso; aver attivato plurimi contatti con gli altri coindagati; pur tuttavia non avrebbe consumato alcun reato riconducibile all’articolo 452-quaterdecies del codice penale: ad un certo punto, dopo il 13 dicembre 2018, egli avrebbe interrotto la condotta delittuosa, con la conseguenza che sarebbe applicabile la disposizioni di cui all’articolo 56 del codice penale, in particolare il comma 3, che disciplina la desistenza volontaria: l’indagato risulta infatti aver realizzato solo una parte - quella preliminare - della condotta incriminatrice, forse punibile a titolo di tentativo, ma ha desistito volontariamente dal portarla a compimento.
Ne deriva che l’esatta qualificazione giuridica della condotta depotenzierebbe in modo decisivo la gravità indiziaria riducendone l’ampiezza così da incidere in modo decisivo sulla tenuta dell’imputazione e conseguentemente anche sulla esistenza e consistenza dell’esigenza cautelare individuata.

3. Con memoria datata 4 gennaio 2021 Alessio Dalla Santa si è riportato alle conclusioni redatte con i motivi di ricorso, che sono stati richiamati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
    
    1. I ricorsi non sono fondati.

2. Partendo dal terzo motivo del ricorso Dalla Santa che, riguardando la consistenza del fumus criminis, è, all’evidenza, preliminare rispetto alle ulteriori doglianze sollevate con l’atto di gravame, vale la pena osservare come la censura sia del tutto slegata rispetto alla ratio decidendi del tribunale, con la quale il ricorrente non si misura, connotandosi il motivo sia per la sua aspecificità sia per la manifesta infondatezza di esso.
Il tribunale cautelare, con logica e adeguata motivazione del tutto pretermessa dal ricorrente, ha affermato come la posizione di Alessio Dalla Santa fosse strettamente collegata a quella del fratello, Remo, desumendosi ciò: 1) dalle dichiarazioni del Bonetti, che aveva coinvolto entrambi i fratelli, incontrati da lui, fra l’altro, proprio presso il ristorante del Cammarata, a Gorizia; 2) dalle affermazioni fatte in chat dallo stesso Cammarata; 3) della conoscenza che Remo Dalla Santa aveva del Mujkic ed Alessio Dalla Santa credibilmente dell’Assanelli (ossia dei due trasportatori che pacificamente avevano scaricato rifiuti in Mossa); 4) dai sopralluoghi effettuati da entrambi a Mossa prima dell’inizio dell’adattamento dell’immobile allo scopo illecito avuto di mira; 5) dalle rimesse fatte da entrambi al Cammarata; 6) da tutte le ulteriori intercettazioni telefoniche che avevano interessato il duo Di Nardo/Pellizon, in cui si parlava dei Dalla Santa tout court, senza distinzioni.
Tutte le predette circostanze sono state ampiamente descritte dal tribunale del riesame nella parte del provvedimento impugnato dedicata all’analisi dei gravi indizi di colpevolezza e, inoltre, è stato sottolineato, per quanto qui interessa, come entrambi gli indagati, con precedenti specifici a loro carico, fossero pure legati da interessi lavorativi ed economici comuni, in quanto soci della medesima società in nome collettivo, ossia la SAP, che aveva gestito un impianto di trattamento e deposito rifiuti, sequestrato nelle aree circostanti (dove stoccavano i rifiuti) proprio in corrispondenza dell’inizio della consumazione del reato per il quale si procede.
Il tribunale cautelare ha anche osservato come il ricorrente avesse pienamente contribuito alla realizzazione del reato, avendo dato incarico al Cammarata di individuare un capannone idoneo allo scopo illecito perseguito, avendo preso contatti con il Di Nardo ed il Pellizon tramite il Paoluzzi, avendo, tra l’altro, effettuato sopralluoghi, stipulato l’accordo illecito, fatto eseguire alcuni lavori sull’immobile, inviato i trasportatori a Mossa e pagato il Cammarata.
Di conseguenza, il Collegio cautelare ha escluso un ridimensionamento della condotta punibile volta ad escludere o ad attenuare la responsabilità del ricorrente (e del fratello), fondata sul tempus dei contatti via whatsapp da ognuno di loro avuti con il Cammarata (avendo costoro solo rivestito un ruolo di staffettisti) ovvero sul presunto fine lecito del rapporto instaurato con il predetto Cammarata (tra l’altro individuato in diverso modo: Remo Dalla Santa lo avrebbe ingaggiato nella ricerca del materiale ferroso; Alessio lo avrebbe fatto entrare nell’ambiente lecito dell’attività di smaltimento dei rifiuti) o ancora sulla loro estraneità all’attività di scarico dei rifiuti in Mossa (avendo proprio costoro avuto la disponibilità del capannone da fine ottobre 2018 a fine marzo 2019, lasso di tempo in cui furono ivi depositate le tonnellate di rifiuti plastici di cui si discute).
Peraltro, va aggiunto che la stessa natura del reato contestato esclude in radice la fondatezza dell’assunto sostenuto con il motivo del ricorso, non potendosi giuridicamente configurare alcuna desistenza ex articolo 56 del codice penale.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, compatta nel ritenere che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti - già previsto dall’articolo 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e, successivamente, disciplinato, con la riserva di codice ex d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ai sensi dell’articolo 452-quaterdecies del codice penale,  in quanto necessariamente caratterizzato da una pluralità di condotte, alcune delle quali, se singolarmente considerate, potrebbero costituire reato - ha natura di reato abituale proprio e si consuma, pertanto, con la cessazione dell’attività organizzata, finalizzata al traffico illecito (Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, Zoccoli, Rv. 275395 - 02; Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, Serrao, Rv. 268920 - 01; Sez. 3, n. 44629 del 22/10/2015, Bettelli, Rv. 265573 - 01; Sez. 3, n. 46705 del 03/11/2009, Caserta, Rv. 245605 - 01).
Questa Sezione ha affermato che è reato abituale quello che preveda come elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la reiterazione di più fatti, tra loro identici o, comunque, omogenei e obbligatoriamente avvinti da un nesso di abitualità (sulla definizione del reato abituale, v. Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep.2018, F., in motiv., non mass. sul punto), con la conseguenza che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, alcuni dei quali, isolatamente considerati, potrebbero anche costituire reato ad altro titolo ma che rinvengono la ratio dell’incriminazione nella loro reiterazione, che si protrae nel tempo, e nella persistenza dell’elemento intenzionale.
Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato abituale si ha con l’ultimo atto di questa serie di fatti, mentre il reato stesso si perfeziona nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e ciò avviene quando l’agente realizza un minimo di condotte tipizzate dalla norma incriminatrice e, nella specie, dirette alla gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti,  collegate tra loro da un nesso di abitualità, con la conseguenza che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di gestione illecita dei rifiuti, compiuta in costanza del nesso di abitualità, si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita a un illecito strutturalmente unitario; ne deriva, ad esempio, che il termine di prescrizione decorre dal giorno dell’ultima condotta tenuta (sulla struttura del reato abituale, v. Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, cit., in motiv., non mass. sul punto).
Attesa perciò la struttura del reato abituale, il delitto de quo si è perfezionato, come lo stesso ricorrente sostanzialmente ammette, prima della sua presunta e apodittica defezione, sicché, a tutto concedere, non vi è alcuno spazio per rivendicare una condotta di desistenza.

3. Non è fondato il motivo di ricorso del Cammarata e neppure sono fondati i primi due motivi del ricorso Dalla Santa, motivi che possono essere, in quanto tra loro strettamente connessi, esaminati congiuntamente.
Per rendersene conto è sufficiente considerare come il reato di cui all’articolo 452-quaterdecies del codice penale sia retto da una doppia presunzione relativa in materia cautelare: una riguardante la sussistenza delle esigenze cautelari e l’altra riguardante l’adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito (v. ex multis, Sez. 3, n. 1488 del 10/12/2013, dep. 2014, A., Rv. 258017 - 01 e in motiv.) che la natura “iuris tantum” - e quindi vincibile - delle presunzioni cautelari cd. relative si risolve in una semplificazione del procedimento probatorio in materia di sussistenza dei pericula libertatis e di adeguatezza cautelare, incidendo sull’obbligo di motivazione in quanto, essendo l’effetto giuridico (ossia il fatto da provare che, nel caso di specie, attiene alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’individuazione delle misura ritenuta idonea a salvaguardarle) prodotto direttamente dalla legge, sul giudice incombe soltanto l’onere di spiegare, al cospetto di allegazioni difensive, le ragioni per le quali il fatto costitutivo della restrizione o delle specifiche modalità esecutive di essa non sia suscettibile di essere modificato o estinto da altri specifici fatti.
Ovviamente, le presunzioni relative, pur in sé “sensibili” in quanto limitano i diritti della persona con l’introduzione di regole di giudizio speciali e divergenti rispetto a quelle ordinarie, possono essere vinte anche ex officio allorquando dal corredo processuale il giudice rilevi l’esistenza di specifici fatti che consentono di escludere le esigenze cautelari (prima presunzione relativa prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale) o consentono che le stesse possano essere salvaguardate con misure diverse dalla custodia in carcere (seconda presunzione relativa prevista dalla predetta disposizione processuale).
Ne deriva che, qualora il giudice di merito non ritenga di poter superare la presunzione relativa, sullo stesso incombe solo l’obbligo di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione; tuttavia, come anticipato, l’obbligo di motivazione è specificamente imposto e diventa più oneroso (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199387) nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua difesa abbiano evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o abbiano allegato, o anche solo dedotto, l’esistenza ex actis di elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure.

4. Ciò posto, i giudici cautelari hanno d’ufficio ritenuto di superare la seconda presunzione, ossia quella inerente all’adeguatezza della custodia inframuraria, avendo concesso agli indagati gli arresti domiciliari.
Nondimeno la doglianza, che entrambi i ricorrenti muovono per vincere (implicitamente) la prima presunzione, fonda sul lasso di tempo trascorso dal momento della commissione del delitto a quello dell’adozione del provvedimento restrittivo, tanto sul rilievo che la rilevanza del tempo trascorso avrebbe fatto anche venir meno l’esigenza cautelare individuata nel caso specifico (cioè quella di cui alla lettera c) del primo comma dell’articolo 274 del codice di procedura penale) e comunque avrebbe neutralizzato un requisito essenziale di essa, interno alla fattispecie cautelare, ossia l’attualità del pericolo di reiteratio criminis.
4.1. Il tribunale ha replicato all’obiezione osservando innanzitutto come il requisito dell’attualità dell’esigenza cautelare non vada confuso con l’attualità delle condotte criminose, osservando, poi, che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la verifica sulla sussistenza dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato impone, piuttosto,  la previsione, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie, e la relativa prognosi comporta la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, mentre, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarità del caso di specie, il giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell’effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione (così, Sez. 5, n. 12618 del 18/01/2017, Cavaliere, Rv. 269533 - 01).
4.2. La questione, sebbene vada impostata diversamente, è stata correttamente risolta dal Collegio cautelare.
Occorre ribadire che, qualora si convenga sulle coordinate ermeneutiche tracciate in precedenza circa la natura e l’operatività delle presunzioni cautelari, non è necessario che il giudice, al cospetto di un reato, come quello ex articolo 452-quaterdecies del codice penale, che radica una presunzione cautelare relativa in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, debba motivare circa la rilevanza del tempo trascorso dal commesso reato, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari.
Se ciò fosse, un reato che, secondo l’espressa previsione legislativa, sia retto da una presunzione cautelare, quantunque iuris tantum, e sia pertanto sottoposto a un regime derogatorio rispetto a quello ordinario, sarebbe completamente attratto a un regime diverso con una sovrapposizione, che non sarebbe giuridicamente giustificabile,  tra regola (di giudizio ordinaria applicabile per tutti i reati in ordine ai quali sono ammesse restrizioni della libertà personale) ed eccezione (applicabile per le residuali fattispecie sottratte all’applicazione della disciplina ordinaria).
La conseguenza è che, in via genetica, il giudice - qualora, ex officio (di regola) o sulla base di allegazioni difensive (eccezionalmente, in prima battuta, in considerazione della natura a contraddittorio posticipato del procedimento de libertate), non ritenga, ex actis, che la presunzione cautelare sia stata vinta in forza del fattore temporale o di altro fattore - deve ritenere esistenti, perché presunte, le esigenze cautelari, senza necessità di dover fornire giustificazioni in proposito, in quanto l’effetto giuridico è (pre)determinato direttamente dalla legge.
Allo stesso modo, superato il primo passaggio, il giudice deve regolarsi nel caso, come pure nella specie sussistente, di presunzione cautelare relativa circa l’adeguatezza della misura, presunzione che, nella vicenda in esame, è stata ritenuta vinta con la conseguente applicazione ai ricorrenti della misura della custodia domestica.
Il Collegio è consapevole che la giurisprudenza di legittimità ha espresso un diverso orientamento, affermando che, in relazione ai reati per i quali l’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, ai fini della prova contraria assume rilevanza il fattore temporale, ove esso sia di notevole consistenza, cosicché è necessario che l’ordinanza cautelare motivi in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari (ex multis, Sez. 6, n. 53028 del 06/11/2017, Battaglia, Rv. 271576 - 01).
Tuttavia, per le ragioni in precedenza esposte, deve essere riaffermato il principio secondo il quale, qualora sia stata applicata una misura coercitiva per uno dei delitti indicati nell’articolo 275, comma terzo, del codice di procedura penale, non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, così come richiesto dall’articolo 292, comma secondo, lettera c), dello stesso codice, in quanto per tali reati vale la presunzione relativa di sussistenza e di adeguatezza di cui al predetto articolo 275, il quale impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari ed adeguata la misura custodiale carceraria, salvo prova contraria, fermo restando che, ai fini dell’adeguatezza della custodia inframuraria, il “tempus commissi delicti” può costituire, per i reati non coperti da presunzione assoluta, un elemento specifico dal quale desumere che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte anche con altre misure (ex multis, Sez. 3, n. 27439 del 01/04/2014, Cetrullo, Rv. 259723 - 01).
4.3. Ciò posto, nel caso di specie, i ricorrenti lamentano che il tempo trascorso tra il commesso reato e l’adozione della misura abbia fatto venire meno il requisito dell’attualità del pericolo di reiteratio criminis e, dunque, allegano un elemento, ritenuto subvalente, dal primo giudice cautelare ma che, allegato successivamente all’istanza di riesame, imponeva al tribunale della libertà di motivare in proposito.
Il Collegio cautelare non si è sottratto a tale incombenza e - ritenendo implicitamente vinte, al pari del primo giudice, le presunzioni cautelari circa il pericolo di inquinamento della prova e il pericolo di fuga - ha affermato, sul rilievo dell’insussistenza di elementi dimostrativi circa la mancanza del pericolo di reiterazione criminosa specifica, come quest’ultimo pericolo possa essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano, tuttavia, atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stamegna, Rv. 267785), osservando inoltre come tanto la esistenza quanto la persistenza (attualità) dei pericula libertatis fossero desumibili dalla intrinseca gravità dei fatti (avuto riguardo alla preparazione dell’operazione illecita, alla fase precontrattuale concernente il capannone, alla conclusione del negozio, alla ristrutturazione dell’immobile ed al conseguente stoccaggio dell’ingente quantità di rifiuti in questione, oltre 4.000 tonnellate), e come le predette circostanze fossero tutte, in varia misura, riconducibili ad ognuno degli indagati: il Cammarata, alla ricerca spasmodica di siti idonei allo scopo avuto di mira, era stato, tramite il Paoluzzi, l’indispensabile trait d’union fra i fratelli Dalla Santa ed i proprietari del capannone, aveva contribuito alla predisposizione dei lavori sull’immobile, aveva operato materialmente in loco quando arrivavano i camion a scaricare i rifiuti (facendosi trovare a Mossa, sempre assieme al Paoluzzi, per aprire i cancelli e dare una mano nelle varie manovre); Alessio Dalla Santa, unitamente al fratello Remo, era stato, a sua volta, uno dei protagonisti principali della vicenda in questione, inquadrabile tra gli ideatori, i promotori, gli organizzatori e coordinatori, tra i primi interessati all’affare.
Sulla base di ciò il Collegio cautelare ha giustamente sottolineato come la pericolosità sociale dei ricorrenti fosse attualizzata dalla continuativa e specifica condotta illecita (come in precedenza descritta) da loro posta in essere per tanto tempo e la forte determinazione volitiva che li aveva assistiti.
4.4. Ciò posto, la motivazione dell’ordinanza impugnata non merita le censure che le sono state mosse.
Va ricordato che la restrizione di libertà, in relazione all’esigenza di cui alla lettera c) dell’articolo 274, comma 1, del codice di procedura penale, deve trovare il proprio fondamento su una situazione di pericolo concreto e attuale di reiteratio criminis, evincibile dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali.
E’ evidente che, con l’espressione pericolo (che deve essere connotato, ex positivo iure, dagli attributi della concretezza e dell’attualità) si intende una situazione nella quale, alla luce dei parametri legali, vi sia la probabilità (o la rilevante possibilità) che la ripetizione criminosa si verifichi.
Perciò al giudice della cautela espressamente si richiede di formulare una prognosi che, lungi dal trasformare il giudice stesso in un profeta circa la verificabiltà di future occasioni di ripetizione criminosa specifica da parte dell’indagato, è insita nella stessa nozione normativa di pericolo, sufficientemente teorizzata da circa un secolo dalla scienza penale.
Infatti, le circostanze, che la legge processuale pone alla base del giudizio di probabilità o di alta possibilità, si attestano sul criterio della prognosi postuma, per il quale, dallo spessore maggiore o minore di dette circostanze, evincibili nel caso concreto, si ritiene, avuto riguardo alla fattispecie processuale di riferimento, probabile (o seriamente possibile), in subiecta materia, la ripetizione criminosa specifica.
Siccome l’attualità del pericolo si atteggia a requisito interno di fattispecie (cautelare), la sua carenza determina la mancata integrazione dell’esigenza e da ciò la necessità di ritenere integrato il pericolo attuale per la configurabilità della fattispecie processuale richiesta per l’adozione e il mantenimento del provvedimento contra libertatem.
Nella giurisprudenza di legittimità si registra un contrasto, ad avviso del Collegio più apparente che reale, circa l’interpretazione dell’attualità del pericolo cautelare e ciò impone, anche ai fini della valutazione del caso in esame, qualche chiarimento.
E' frequente l’affermazione, che si può trarre prendendo spunto dalla letteratura penalistica con specifico riferimento ad alcune cause di giustificazione, secondo cui “pericolo attuale” significhi “pericolo presente”, in alternativa al pericolo soltanto “futuro” o a quello “passato”.
Al riguardo, cioè scrutinando specificamente la materia cautelare, se il pericolo passato (trascorso), ossia il pericolo che non sia anche attuale, non radica la possibilità di ritenere configurabile la fattispecie processuale ex articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, assai più problematica risulta la distinzione tra pericolo presente e pericolo futuro.
Va condivisa, in partenza, l’affermazione secondo la quale il concetto stesso di pericolo implica necessariamente il contestuale riferimento a una situazione presente e a una prospettiva futura: in tanto esiste un pericolo, in quanto sussistano - nel presente - le circostanze dalle quali inferire la possibile verificazione, nel futuro, di una lesione dell’interesse tutelato.
Pertanto, se la nozione di “pericolo presente” richiama il pericolo attualizzato al momento del fatto, che è nozione, all’evidenza, insufficiente per spiegare il “pericolo cautelare”, occorre - nello sforzo di assicurare al requisito dell’attualità una funzione selettiva rispetto alla generica nozione di pericolo - ravvisare un “pericolo attuale” anche in altre due grandi classi di ipotesi: a) quelle in cui la reiteratio criminis, cui si riferisce la situazione di pericolo, possa concretizzarsi successivamente rispetto alla commissione del fatto e, per impedire ciò, si considera necessario il ricorso allo strumento cautelare mediante la restrizione di libertà; b) quelle in cui la condotta delittuosa, già iniziata, sia ancora in corso di attuazione (pericolo imminente) e la restrizione di libertà, in mancanza di altre idonee misure, sia funzionale ad evitare il perpetuarsi di una situazione antigiuridica che si protragga nel tempo.
Sulla base di quest’ultima coordinata, sembra possibile ritenere che l’attualità del pericolo sussista nel caso di aggressione del bene giuridico in corso di attuazione, situazione che si verifica nei reati di durata, in ispecie nei reati permanenti, tra i quali quelli associativi, cosicché può affermarsi che il pericolo è attuale anche in ogni ipotesi in cui il danno, che si intende evitare, possa verificarsi in un futuro prossimo, anche se non necessariamente imminente, e ciò accade nel caso di cosiddetto “pericolo perdurante”, riscontrabile non solo nei reati permanenti, ma anche in quelle ipotesi nelle quali, non essendo del tutto esaurita l’offesa, non si è ancora verificato il completo trapasso dalla situazione di pericolo a quella di danno effettivo, in presenza cioè di una continuità del pericolo di reiterazione che, attualizzata al momento della adozione della misura e giammai configurabile in re ipsa né altrimenti governabile, dia conto della persistenza del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale.
Invece - per risolvere il problema di stabilire quando la ripetizione criminosa specifica possa configurarsi in un futuro prossimo (sia pure, in tal caso, non necessariamente imminente) - sembra necessario il riferimento alla circostanza che si abbiano concreti elementi per ritenere che sia prevedibile che all’imputato, sulla base di dati concreti, non congetturali, si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede, circostanza evincibile, per come già anticipato, dalla situazione di fatto che, globalmente considerata, abbia reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto sub iudice e che si ponga, al tempo stesso, come indice rivelatore della probabile ripetizione criminosa specifica (come, ad esempio, quando il delitto sia stato commesso: a) per il perseguimento di un fine di lucro in considerazione della continuativa mancanza di adeguati redditi; b) alla luce di un parassitario stile di vita; c) per una congenita inclinazione al delitto; d) per l’incapacità di controllare gli stimoli, non avendo l’agente alcun dominio delle proprie azioni; e) per l’assoluta indifferenza o spregiudicatezza dimostrata nei confronti di beni primari, soprattutto quando le condotte criminose siano realizzate ai danni di persone deboli o a sfregio, come nel caso in esame, rispetto ai beni comuni anche per conseguire illeciti arricchimenti).
Ed è in relazione alle circostanze del caso specifico che occorre verificare la sussistenza dell’esigenza cautelare, anche in termini di attualità del pericolo in relazione al tempo trascorso dalla commissione del reato, non essendo possibile desumere, per ciò solo, da condotte, in ipotesi, anche risalenti nel tempo la mancanza originaria o sopravvenuta dei pericula libertatis, a maggior ragione al cospetto di reati retti dalla presunzione cautelare.
La ricognizione circa l’esistenza o meno di tali specifiche circostanze, anche nella loro dimensione temporale, rientra nei poteri attribuiti al giudice di merito e si risolve in un accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato e privo di vizi di manifesta illogicità, si sottrae al sindacato di legittimità.

5. Il tribunale cautelare non si è discostato da tali coordinate ermeneutiche quando, con adeguata e logica motivazione, ha ravvisato plurimi elementi concreti (v. sub 4.3. del considerato in diritto), sulla cui base ha ritenuto di riconoscere l’attualità dell’esigenza cautelare, ribadendo il principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di misure coercitive, l'attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, con la conseguenza che il pericolo di reiteratio criminis può essere legittimamente desunto, come nella vicenda processuale in esame, dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano, situazione nella specie sussistente, atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016,cit.; Sez. 4, n. 6717 del 26/06/2007, dep. 2008, Rocchetti, Rv. 239019 - 01; Sez. 4, n. 6797 del 24/01/2013, Canessa, Rv. 254936 - 01; Sez. 3, n. 2156 del 07/07/1998, Calamassi, Rv. 211827 - 01).

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/01/2021