Cass. Sez. III n. 24722 del 7 luglio 2025 (UP 12 giu 2025)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Palmieri
Ecodelitti.Delitto di cui all'art.452-quaterdecies c.p. e competenza territoriale

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale in quanto è integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie. Nello specifico, la competenza deve essere individuata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 giugno 2024, la Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno del 6 ottobre 2022, appellata da Tommaso Palmieri, Alfonso Palmieri e Antonio Cancro, nel confermare la responsabilità penale degli stessi per il reato di concorso in attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies, cod. pen.), contestato come commesso nell’arco temporale tra il 2009 e il 2013, secondo le modalità esecutive meglio descritte in rubrica, riduceva la pena inflitta al primo ad anni 2 e mesi 4 di reclusione, al secondo ad anni 2 di reclusione e, al terzo, ad anni 1 e mesi 10 di reclusione, riconoscendo al secondo il beneficio della sospensione condizionale della pena e revocando nei confronti dei primi due la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 5, applicando nei confronti degli stessi la medesima pena accessoria per la durata della pena, confermando infine le ulteriori pene accessorie limitatamente alla durata della pena principale. 

2. Avverso la predetta sentenza Tommaso Palmieri, Alfonso Palmieri e Antonio Cancro hanno proposto separati ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo complessivamente otto motivi, di seguito enunciati ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 

3. Ricorsi Tommaso ed Antonio Palmieri, con cui si articolano quattro motivi, di cui due (il primo ed il terzo) comuni anche al ricorrente Antonio Cancro.
3.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 3, d.l. n. 90 del 2008 ed 8, comma 3, cod. proc. pen. 
In sintesi, i ricorrenti (trattandosi di motivo di ricorso, il primo, comune a tutti i ricorrenti) si dolgono in quanto la Corte d'appello avrebbe ritenuto infondata la doglianza formulata circa l'incompetenza dell'autorità giudiziaria di Salerno in quanto, come si legge a pagina 16 della sentenza d'appello, sì sarebbe proceduto per reati commessi anche in epoca successiva alla fine dello stato emergenziale nonché per reati con condotta perdurante anche fino al dicembre 2013. Premesso che il reato contestato è un reato permanente e non un reato abituale od a condotta prolungata, essendo stata contestata la gestione illecita perché priva di autorizzazione, osservano i ricorrenti come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di autorizzazione alla gestione rende la condotta di natura permanente. La contestata condotta antigiuridica avrebbe avuto inizio nell'anno 2009, epoca in cui vigeva la norma giuridica che riservava la competenza territoriale e funzionale dall'autorità giudiziaria di Napoli, sicché, trattandosi di reato permanente, trova applicazione principio generale di cui all'articolo 8, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui la competenza si determina in relazione al luogo e al momento “di inizio” della consumazione. Sarebbero irrilevanti, secondo la difesa, eventuali successivi mutamenti dei criteri normativi di distribuzione funzionale e territoriale della competenza. Il principio fissato dell'art. 25 Cost., che impone la precostituzione per legge del giudice, presuppone che sia normativamente individuato il giudice competente al momento dell'inizio del fatto: l’ultra-vigenza delle regole processuali sulla competenza prevista dall'articolo 3, ultimo comma, del decreto- legge n. 90 del 2008, renderebbe irrilevante il fenomeno della cessazione dello Stato di emergenza.
3.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 369-bis, 121 e 125, cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione. 
In sintesi, si duole la difesa dei ricorrenti Palmieri in quanto la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare sulla specifica doglianza con la quale era stata impugnata l'ordinanza dibattimentale pronunciata all'udienza del 5 dicembre 2017 avente ad oggetto, in particolare, il rigetto dell'eccezione di nullità degli atti di indagine preliminare posti in essere dopo il 7 febbraio 2011. Si tratterebbe di una doglianza fondata in quanto dai verbali di polizia giudiziaria e dalle deposizioni testimoniali rese nel dibattimento del giudizio di primo grado sarebbe emerso non solo che i verbalizzanti svolsero delle attività di indagine delegate dal pubblico ministero procedente e che vennero compiuti atti di ispezione cui il difensore aveva diritto di assistere, oltre all’acquisizione di documentazione, ma che all’indagato non vennero date le doverose informazioni imposte dall'art. 369-bis cod. proc. pen. a pena di nullità degli atti successivi.
3.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 260, d. lgs. n. 152 del 2006 con riferimento, da un lato, al combinato disposto di cui agli artt. 241 e 261, D.lgs. n. 152 del 2006, quanto alla liceità delle operazioni di recupero dei rifiuti per i soggetti ammessi a procedure semplificate e, dall’altro, al disposto di cui all’art. 5, comma 5-bis, del d.l. n. 263 del 2006, conv. in l. 290 del 2006, quanto alla liceità delle operazioni di recupero dei rifiuti urbani provenienti da territori extra-regione, oltre che in relazione agli artt. 121 e 125, cod. proc. pen. sotto il profilo dell’apparente od omessa motivazione sull’erroneità in radice dell’imputazione e sulla mancanza del requisito dei quantitativi ingenti dei rifiuti nonché sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione per travisamento probatorio con particolare riferimento al concreto contenuto dell’autorizzazione in procedura semplificata.
In sintesi, la difesa dei ricorrenti (ivi incluso il ricorrente Cancro, essendo il secondo motivo del ricorso da questi proposto sovrapponibile sostanzialmente al terzo motivo del ricorso proposto dai ricorrenti Alfonso e Tommaso Palmieri) si duole per aver la Corte d'appello confermato la decisione del tribunale eludendo tuttavia le questioni poste con i motivi d'appello. Premette la difesa che ricorrenti sono stati tratti a giudizio per aver proceduto al recupero di rifiuti mediante la selezione di miscugli di multimateriale ed imballaggi misti, all'esito della quale le diverse frazioni merceologiche sono state conferite a consorzi di filiera. Sono stati condannati per aver svolto l'attività descritta nei flussi A e B, quest'ultimo differenziandosi dal primo solo per la provenienza territoriale dei miscugli selezionati. Il primo giudice avrebbe dato atto che, all'atto dei sopralluoghi, i tecnici avevano accertato che era materialmente in corso un'operazione di selezione sui rifiuti in ingresso finalizzata alla separazione e selezione delle varie componenti di multimateriale che venivano poi ridotte volumetricamente. Con valutazione sovrapponibile, la Corte d'appello avrebbe ritenuto provato lo svolgimento da parte dei ricorrenti di attività di selezione dei rifiuti in ingresso. Tanto premesso sarebbe rimasta inesplorata la questione, oggetto di specifica doglianza in appello, se l'attività organizzata descritta nell'imputazione e accertata nel corso del giudizio necessitasse di autorizzazione regionale o se fosse sufficiente l'autorizzazione semplificata prevista dagli articoli 214 e 216 del testo unico ambientale. La Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione. 
Altra censura investe il contenuto dell'attività di gestione autorizzata: sia in primo grado che in appello si sarebbe incorsi nel medesimo errore, essendosi ritenuto, facendo leva su un'erronea lettura del provvedimento di iscrizione n. 56 del 2011, che i ricorrenti fossero soltanto autorizzati al riutilizzo ed alla messa in riserva dei rifiuti di carta, cartone e cartoncino, e non anche al compimento delle medesime operazione riguardanti i rifiuti misti indifferenziati di plastica, lattine, vetro, banda stagnata, eccetera. Diversamente, sostiene la difesa, proprio dal provvedimento di iscrizione di natura ricognitiva, oggetto di travisamento probatorio, risulterebbe il contenuto dell'autorizzazione, ossia quali fossero le effettive tipologie unitamente ai codici CER, alle attività e alle operazioni di recupero e alle quantità annue autorizzate. Da tale documento risulterebbe chiaramente che la tipologia autorizzata non era soltanto quella dei rifiuti di carta, cartone e cartoncino, inclusi poliaccoppiati anche di imballaggi, ma anche le ulteriori tipologie indicate quali i rifiuti ed imballaggi di vetro, i rifiuti di ferro, i rifiuti di metalli non ferrosi, i rifiuti di imballaggi di plastica compresi i contenitori per liquidi, i rifiuti imballaggi di legno e, almeno sino alla data del 14 giugno 2011, anche i rifiuti soliti urbani o speciali non pericolosi, ad esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata. Dunque, rifiuti corrispondenti alle tipologie normativamente descritte nelle norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi di cui all'allegato 1- Suballegato 1 del DM 5 febbraio 1998, riguardante l'individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto Ronchi. Nell'allegato 1- suballegato 1, che costituisce l'integrazione normativa di dettaglio tecnico delle norme del predetto decreto ministeriale, è prevista, in collegamento con la tipologia, anche la provenienza del rifiuto ammissibile al recupero. Per quanto riguarda la plastica, tale allegato 1- suballegato 1 prevede testualmente, quanto alla tipologia, che si tratti di rifiuti di plastica, imballaggi misti di plastica, compresi i contenitori per liquidi, con esclusione dei contenitori per fitofarmaci e per presidi medico chirurgici e, quanto alla provenienza, la raccolta differenziata, la selezione da rifiuti solidi urbani o R.A., attività industriali, artigianali e commerciali ed agricole, attività di costruzione e demolizione. Osserva la difesa come, in corrispondenza con la tipologia di cui al codice 6.1, sono previsti codici CER con i quali sono indicati tanto i rifiuti di imballaggio, quanto i rifiuti urbani che non sono imballaggi secondo i criteri normativi di codifica elencati nell'allegato d) alla parte IV^ del testo unico ambientale. Al successivo punto 6.1.1 è prevista la provenienza dei rifiuti che può essere tanto il frutto di raccolta differenziata quanto la risultante della selezione da rifiuti solidi urbani, selezione che il comma 8 dell'articolo 6 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 considera parte dell'operazione di recupero “R13 - messa in riserva”, come tale ammissibile in procedura semplificata. In ultima analisi, i giudici cappello avrebbero travisato il contenuto del provvedimento autorizzatorio e non avrebbero preso in alcuna considerazione, neppure per criticarli, gli argomenti difensivi esplicitati con l'impugnazione e la successiva memoria difensiva. Da qui, dunque, la manifesta illogicità della motivazione, laddove si è affermato che la selezione ed il recupero era limitato ai soli materiali cellulosici. 
Un ulteriore errore viene rilevato nella sentenza d'appello laddove ha affermato che l'attività di selezione dei rifiuti classificata con il codice CER 15.01.06 doveva riguardare solo materiali cellulosici con percentuali di impurità che l'allegato 1.1.3 individua nella misura massima dell'1 % come somma totale. Secondo la sentenza, i ricorrenti non avrebbero potuto ricevere, perché non consentito dell'autorizzazione con procedura semplificata, materiale di imballaggio misto ed altre frazioni di materiale, quali vetro, lattine, bottiglie ed altro, come accertato dai tecnici dell'Arpac. Sempre secondo la Corte d'appello, la decisione della Corte di giustizia dell'unione europea n. 387/2008 non riguardava gli imballaggi in materiali misti, ma gli imballaggi diverso materiale, ossia un imballaggio composto. Si tratterebbe di motivazione censurabile in quanto: a) i giudici d'appello non avrebbero compreso che l'allegato 1 - suballegato 1 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, al punto 1.1.3, nel fissare percentuali massime di impurità, individua l'obiettivo finale dell'azione di recupero e non le caratteristiche dei materiali cellulosici da trattare (la messa in riserva è finalizzata alla produzione di materia prima secondaria da destinare all'industria cartaria che abbia determinate caratteristiche tecniche e non presenti percentuali di impurezze superiori all'1%); b) non avrebbero compreso che l'attribuzione di un codice eventualmente errato qual è il codice 15.01.06 (di cui però si contesta l'erroneità), non impediva l'attività di selezione del multimateriale, atteso il contenuto del provvedimento di autorizzazione in semplificata; c) non avrebbero avuto chiara la differenza che passa tra imballaggi in materiali misti ed imballaggi compositi, ossia quelli istituiti da materiali diversi che non è possibile separare, così non comprendendo il significato della decisione della Corte di giustizia che afferma chiaramente che il predetto codice può essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale tra loro raggruppati, come afferma il punto 2 del dispositivo della sentenza della richiamata sentenza della Corte di giustizia UE.
Ulteriore profilo di doglianza che investe la sentenza impugnata riguarda la violazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 235 del 2006, convertito nella legge n. 290 del 2006, che attribuiva al solo commissario delegato per l'emergenza rifiuti nella Regione Campania, di intesa con le Regioni interessate, il potere di sospendere il conferimento di rifiuti speciali provenienti da fuori regione ad impianti di smaltimento e recupero esercitati nella Regione Campania. Sarebbe sufficiente leggere l'imputazione nella parte relativa al flusso B per comprendere che il fatto contestato ai ricorrenti è quello di aver ricevuto rifiuti urbani perché provenienti da raccolte comunali e non rifiuti speciali. Il ragionamento giuridico della Corte d'appello sarebbe errato: da un lato, perché l'articolo 19 del decreto Ronchi non vietava ma si limitava ad incoraggiare le soluzioni di autosmaltimento dei rifiuti nell'ambito del territorio regionale di produzione e, dall'altro, l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 2948 del 1999 vietava l'ingresso dei soli rifiuti destinati allo smaltimento e non di quelli destinati al recupero. Secondo la difesa, le delibere della giunta regionale della Campania non sarebbero fonti normative in quanto possono informare i provvedimenti autorizzativi adottati dalla struttura burocratica regionale, ma non introducono norme giuridiche e, in ogni caso, non vietavano l'ingresso di rifiuti urbani destinati al recupero ma solo di quelli destinati allo smaltimento. Di conseguenza, sarebbe stato del tutto legittimo ricevere imballaggi o rifiuti urbani provenienti da comuni fuori regione al fine di recupero. 
Infine, si contesta la sentenza impugnata con riferimento al tema dell'assenza del requisito dei quantitativi ingenti di rifiuti in quanto apparente e generica. Secondo la difesa, mancava detto requisito certamente relazione al flusso C), quello riguardante i rifiuti ingombranti. Tale affermazione sarebbe erronea per almeno tre ordini di ragioni: 1) anzitutto, perché non risultava evidenziato in sentenza con riguardo ai rifiuti ingombranti, l'allestimento organizzato di mezzi e attività continuative finalizzate ad attuare una pluralità di operazioni di gestione di tali rifiuti, tant'è che i verbalizzanti, nel corso dei controlli, non avevano mai evidenziato lavorazioni o macchinari dedicati a tali rifiuti; 2) in secondo luogo, il dato ponderale in relazione alla mancanza di pericolosità per la salute e per l'ambiente di tale tipologia di rifiuti e, comunque, alla correttezza delle operazioni di recupero, non consentiva di ritenere integrato il requisito dell’ingente quantitativo (in sostanza, secondo la difesa, il dato ponderale, pur significativo ai fini del giudizio, andava comunque valutato in relazione ai quantitativi assoluti di quella tipologia di rifiuti prodotti nel territorio di riferimento, sicché 71 tonnellate di rifiuti ingombranti recuperati nel corso di tre anni in due distinte imprese non poteva certo considerarsi ingente); 3) infine, in terzo luogo, si era illegittimamente valutato un dato ponderale assoluto, non considerando sia la diversità delle imprese, sia il succedersi nell’impresa del figlio Alfonso Palmieri al posto del padre Tommaso Palmieri, senza che il primo giudice avesse evidenziato condotte concorsuali tra i due nella commissione del delitto.
3.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di motivazione apparente od omessa sul punto della non commissione del fatto e del dolo del ricorrente Alfonso Palmieri.
In sintesi, da ultimo, si censura la sentenza impugnata in quanto la Corte d'appello avrebbe dato atto che, effettivamente, il ricorrente Alfonso Palmieri era divenuto amministratore della SRA il 15 luglio 2011, senza tuttavia spiegare perché egli avrebbe dovuto considerarsi concorrente del padre nella gestione precedente della medesima società o della ditta individuale di questo. Secondo la difesa del ricorrente, la circostanza di essere passato periodicamente in azienda a controllare, a vedere per parlare e per discutere, o, ancora, il richiamo generico ad intercettazioni telefoniche da cui risulterebbe la illecita selezione dei rifiuti ingombranti, non avrebbero valenza dimostrativa del contributo concorsuale del ricorrente e della correttezza della decisione del tribunale, perdipiù in presenza di una specifica doglianza.

4. Ricorso Antonio Cancro, con cui, oltre al primo ed al terzo motivo, già esaminati congiuntamente agli omologhi motivi proposti dai ricorrenti Palmieri, vengono ulteriormente dedotti due motivi di ricorso.
4.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di motivazione manifestamente illogica per travisamento della prova sul punto relativo alla mancanza dell’elemento psicologico del reato.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che al Cancro, quale dipendente della SRA, non potevano addebitarsi i fatti contestati per la mancanza dell'elemento psicologico del reato, difettando il dolo specifico. Le conversazioni richiamate dai giudici di merito non sarebbero dimostrative nei confronti del predetto ricorrente del dolo normativamente richiesto. Illogica sarebbe la motivazione sotto il profilo del travisamento probatorio nel punto in cui vengono richiamate intercettazioni telefoniche del 24 maggio 2011 facenti riferimento a tipologie di rifiuti che nel predetto periodo la società poteva trattare, ovvero che richiamano intercettazioni facenti riferimento ad operazioni meramente isolate, come i rifiuti cimiteriali, inidonee ad integrare il dolo del traffico illecito dei rifiuti nei confronti di un dipendente che era obbligato ad eseguire le direttive imprenditoriali.
4.2. Deduce, con un ultimo motivo, il vizio di omessa motivazione in relazione all’art. 125, cod. proc. pen., quanto alle censure sollevate in relazione al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
In sintesi, si sostiene che i giudici di appello, pur riducendo la pena inflitta dal primo giudice, non hanno tuttavia precisato i criteri di determinazione della pena inflitta nonostante si fossero discostati dai minimi edittali. In particolare, vengono sviluppate doglianze nei confronti della sentenza impugnata laddove, pur riducendo la pena ad 1 anno e 10 mesi di reclusione, non ha concesso al ricorrente il beneficio della sospensione condizionale della pena, come richiesto nei motivi di appello in cui si evidenziava la totale incensuratezza dell'imputato. Si tratterebbe di un vizio di omessa motivazione, attesa la totale assenza grafica di un apparato motivazionale sul punto. 

5. In data 8 aprile 2025, l’avv. Francesco Saverio Dambrosio ha fatto pervenire istanza di trattazione orale, accolta con provvedimento del presidente titolare di questa sezione in data 9 aprile 2025. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2, Quanto, anzitutto, al primo motivo di ricorso, comune a tutti i ricorrenti, lo stesso è inammissibile per manifesta infondatezza. 
2.1. Errano, infatti, ricorrenti nell’affermare che il reato di cui all’art. 260, d. lgs. n. 152/2006, oggi sostituito dall’art. 452-quaterdecies, cod. pen., è un reato permanente. 
Pacifica è infatti la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale in quanto è integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie. Nello specifico, la competenza deve essere individuata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile (tra le tante: Sez. 3, n. 46705 del 03/11/2009, Caserta, Rv. 245605 - 01). 
Da ultimo si è anzi specificato (Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, Zoccoli, Rv. 275395 – 02), che, in quanto necessariamente caratterizzato da una pluralità di condotte, alcune delle quali, se singolarmente consideraste, potrebbero non costituire reato, ha natura di reato abituale proprio e si consuma, pertanto, con la cessazione dell'attività organizzata finalizzata al traffico illecito. 
2.2. Correttamente, dunque, i giudici di appello rigettano l’eccezione di incompetenza territoriale evidenziando come il reato in esame è contestato come commesso anche in epoca successiva alla fine dello stato di emergenza, precisamente dall’anno 2009 a tutto l’anno 2013. 
Dunque, posto che lo stato emergenziale ex D.L. n. 90 del 2008, convertito in legge n. 123 del 2008, nei procedimenti relativi ai reati riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania è cessato alla data del 31 dicembre 2009, quale termine finale dell'efficacia dello stato emergenziale di cui al predetto decreto-legge (Sez. 1, n. 45852 del 21/12/2010, Confl. comp. in proc. Maiella, Rv. 248998 - 01), correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto la competenza del tribunale di Salerno e non del tribunale di Napoli, essendosi consumato il reato – proprio per il protrarsi della condotta illecita in epoca successiva al 31/12/2009 - nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile, ossia nel circondario del tribunale di Salerno. 
2.3. Né, si noti, il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte operato in ricorso (Sez. U, n. 12753 del 05/10/1994, Zaccarelli, Rv. 199385 - 01) è pertinente, essendo infatti riferito non al delitto di cui all’art. 452-quaterdecies, cod. pen., quanto, piuttosto, ai reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione, sulla cui natura di reati permanenti non sussistono dubbi, ma che hanno un’oggettività giuridica diversa rispetto a quello oggetto di contestazione, che, come detto, ha natura abituale: quanto sopra rende, pertanto, priva di pregio anche la censurata violazione della norma processuale di cui all’art. 8, comma 3, cod. proc. pen. riferibile al reato permanente (tra le tante: Sez. 4, n. 8084 del 15/11/2013, dep. 2014, Della, Rv. 259315 – 01) e non a quello abituale.

3. Inammissibile per manifesta infondatezza è il secondo motivo dei ricorrenti Palmieri.
3.1. La difesa ha sostenuto che dai verbali di polizia giudiziaria e dalle dichiarazioni testimoniali rese nel dibattimento era emerso che i verbalizzanti ebbero a svolgere attività delegate dal PM, che vennero svolti atti di ispezione cui il difensore aveva diritto di assistere e l’acquisizione di documenti, il tutto in assenza delle doverose informazioni di cui all’art. 369-bis, cod. proc. pen. 
3.2. La censura è, come anticipato, manifestamente infondata. 
Ed infatti, gli atti cui si riferisce il difensore sono costituiti da: a) annotazione di p.g. riguardante le attività di riscontro esperite presso l’impianto di recupero rifiuti sito in Battipaglia condotto dalla ditta individuale Tommaso Palmieri (verbale 22 marzo 2011, alla presenza del Palmieri Tommaso); b) relazione di sopralluogo effettuata da personale Arpac in data 14 febbraio 2011 presso la predetta ditta, sempre alla presenza del Palmieri; c) ulteriore annotazione di p.g. riguardante le attività di riscontro esperite presso l’impianto di recupero rifiuti sito in Polla condotto dalla società Fond.Eco s.r.l. e la SRA s.r.l. (verbale 22 marzo 2011, alla presenza del Palmieri Tommaso e di Cancro Antonio); d) relazione di sopralluogo effettuata da personale Arpac in data 7 febbraio 2011 presso la SRA s.r.l., sempre alla presenza del Palmieri e del Cancro; e) verbale di sopralluogo effettuato da personale Arpac in data 24 maggio 2011 presso la SRA s.r.l., sempre alla presenza del Palmieri e del Cancro; f) relazione di sopralluogo effettuata da personale Arpac in data 10 settembre 2013 presso la SRA s.r.l., sempre alla presenza del Palmieri e del Cancro. 
3.3. Dall’esame dei predetti atti emerge, all’evidenza, come le attività svolte dalla polizia giudiziaria, ancorché su delega del P.M., rientrassero pacificamente tra le attività previste dagli artt. 352 e 354, cod. proc. pen. per i quali, in base al disposto dell’art. 356, cod. proc. pen. è previsto che il difensore ha facoltà di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato né di ricevere la comunicazione ex art. 369-bis, cod. proc. pen. 
Non necessita, infatti, del previo inoltro dell'informazione di garanzia l'espletamento, ad opera della polizia giudiziaria a tal fine delegata dal pubblico ministero, di una mera attività di descrizione dello stato dei luoghi corredata da rilievi fotografici (Sez. 3, n. 795 del 05/11/2010, dep. 2011, P.m. in proc. Russo, Rv. 249115 - 01). 
3.4. Conclusivamente, pur registrandosi indubbiamente il silenzio motivazionale sul punto da parte dei giudici territoriali, la censura si appalesava comunque inammissibile ab origine (rendendo, dunque, irrilevante, l’omessa motivazione sulla doglianza difensiva: tra le tante, Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157 – 01). 

4. Non sfugge al giudizio di inammissibilità l’ulteriore motivo comune a tutti i ricorrenti, ivi incluso il ricorrente Cancro, essendo il secondo motivo del ricorso da questi proposto sovrapponibile sostanzialmente al terzo motivo del ricorso proposto dai ricorrenti Alfonso e Tommaso Palmieri.
4.1. Il motivo, proposto, come anticipato, da tutti e tre i ricorrenti è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. 
4.2. E’ anzitutto affetto dal vizio di genericità per aspecificità, in quanto, a differenza di quanto sostenuto dalle difese nei propri atti di impugnazione, le doglianze mostrano di non confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni sviluppate dalle sentenze di merito (che, trattandosi di doppia conforme, si integrano vicendevolmente nella valutazione degli elementi probatori e nell’analisi delle questioni giuridiche sottoposte all’attenzione dei giudici territoriali), le quali hanno, con motivazione immune dai denunciati vizi, affrontato le questioni giuridiche poste, risolvendole con soluzioni del tutto conformi a diritto. È infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (tra le tante: Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157 - 01). 
4.3. Il motivo è, inoltre, manifestamente infondato in quanto la soluzione cui sono pervenuti i giudici di merito, secondo cui l’attività svolta dai ricorrenti non avrebbe potuto essere svolta in base al regime autorizzatorio semplificato di cui godevano, essendo invece necessaria l’autorizzazione regionale, nella specie, mancante, trova conforto nelle emergenze istruttorie e nella corretta interpretazione della normativa applicabile operata dai giudici territoriali. 
4.4. Quanto al primo flusso (c.d. flusso A), i giudici, nel confutare le argomentazioni difensive sviluppate dal c.t.p. Vitale, osservano come quanto da questi rappresentato non consentiva affatto di superare ciò che, diversamente, era stato rilevato dai tecnici dell'Arpac, i quali avevano effettuato i sopralluoghi e, segnatamente, quanto chiarito dall'ingegner Fittelloni che aveva fornito una lettura della vicenda, corretta e conforme alla normativa settoriale. Si legge, in particolare, nella sentenza, come la predetta teste aveva spiegato che la norma UNI 643 è quella con la quale il macero può essere considerato un prodotto da mandare alla cartiera e che mediante l'attività di cui al cod. 150106 era possibile svolgere un'attività di recupero di rifiuti che (ancora) non hanno caratteristiche specifiche per essere destinati alle cartiere, ma che il D.M. 5 febbraio 1998 già identifica come appartenenti alla frazione merceologica "carta". Pertanto, ribadiva che la classe merceologica del multimateriale era molto ben definita. Aggiungeva, poi, che la normativa definiva l'attività di recupero come una selezione per eliminazione di impurezze e di materiali contaminati, indicando le condizioni di uscita dei materiali e la percentuale massima di impurezze ivi presenti al fine di rendere i rifiuti trattati conformi alla norma UNI 643 e, quindi, riutilizzabili nel processo produttivo. La percentuale di impurezze (vale a dire metalli, sabbie, vetro, materiali inerti o sintetici) doveva essere, in totale, pari all' 1 %, proprio per evitare l'arrivo in cartiera di materiale irrecuperabile; affermava che ''fondamentalmente ci deve essere una purezza del materiale ... Detto questo, è chiaro che il codice 150106 che è identificato normalmente come codice materiale misto, non può che essere ricondotto a materiali misti, comunque, di natura cartacea". Spiegava, infatti, la teste – prosegue la sentenza impugnata - che, nella codifica delle operazioni di recupero, le attività R3 ed R13 identificavano, rispettivamente, il recupero della sostanza organica e la messa in riserva preliminare (ovvero lo stoccaggio preliminare che precede le operazioni di recupero). In particolare, precisava che, nell'attività di recupero di cui al punto 1.1.3. del D.M., si fa esplicito riferimento alla eliminazione delle impurezze sopra citate; il rifiuto CER 150106, che poteva essere avviato a tale operazione di recupero, doveva essere un rifiuto di imballaggi misti di natura cartacea che, pertanto, consentiva di trattare solamente il rifiuto da imballaggi cellulosici (non anche i rifiuti miti a plastica, metallo, alluminio e/o vetro). In particolare, la teste, nel distinguere il multimateriale dai materiali di natura composita, pur concordando con il fatto che il codice 150106 poteva essere anche utilizzato per identificare i rifiuti costituiti da diversi materiali tra loro raggruppati, specificava – come correttamente evidenzia la sentenza impugnata – che a definire dettagliatamente il tipo di rifiuto adibito all'attività di recupero autorizzata intervenivano i successivi punti del D.M. ove, senza alcun dubbio, si faceva riferimento alla parte cellulosica del rifiuto. La teste, sulla scorta della lettura del provvedimento di modifica del provvedimento di iscrizione n. 56 del registro provinciale di cui all'art. 216 d. lgs. n. 152 del 2006, della Provincia di Salerno del 14/6/2011, chiariva come da tale documento si evinceva con certezza quali erano le attività che la SRA S.r.l. era stata realmente autorizzata a porre in essere con procedura semplificata, già prima della modifica operata dall'ente provinciale, confermando che la gestione dei rifiuti misti indifferenziati come operata da parte della SRA, ossia non limitata al mero riutilizzo o messa in riserva dei rifiuti di carta, cartone e cartoncino, avveniva in maniera del tutto illecita. Nessuna violazione di legge né, tantomeno, travisamento probatorio risulta esservi stato da parte della decisione impugnata, avendo infatti i giudici territoriali correttamente riportato le argomentazioni del tecnico dell’Arpac che, operando una corretta lettura della normativa applicabile, condivisa dai giudici di merito, era pervenuto ad affermare la evidente illiceità delle operazioni svolte dai ricorrenti. A conferma di quanto sopra, del resto, i giudici territoriali evidenziano come  anche l'ulteriore materiale probatorio agli atti confermava lo svolgimento da parte dei ricorrenti di attività di selezione dei rifiuti in ingresso ulteriore rispetto a quello riconducibile al codice 150106: di ciò, si legge in sentenza, dà atto la teste Attianase (ingegnere specializzato in ambiente e territorio, in servizio presso l'ARPAC), che nell'ambito della sua competenza (ossia, in sede di verifica di quanto si trovava sui luoghi al momento dell'atto e rilevazioni e relazione delle criticità) aveva riferito di aver riscontrato, in occasione del sopralluogo effettuato presso la ditta Palmieri Tommaso, la presenza di materiale di imballaggio misto ed altre frazioni di materiale, quale vetro, lattine, bottiglie ed altro, risultando quanto constatato non conforme a quanto autorizzato ad introitare, poiché, secondo quanto consentito dalla autorizzazione con procedura semplificata, la ditta non poteva ricevere da nessun soggetto miscugli di multimateriale costituiti da vetro, lattine, potendo tritare solo quelli concernenti il cod. 150106 che la stessa indicava come materiali costituiti da carta, cartone. Si tratta di circostanza che, come si legge in sentenza, era a conoscenza anche del ricorrente Cancro che, nel corso di una conversazione oggetto di intercettazione con D’Andrea, responsabile del comune di Roccagloriosa, confermava che con il codice CER 150106 veniva da loro recuperata “plastica, lattine, vetro, stracci….[roba] un po' più sporca”, e, in altra conversazione captata con il responsabile del comune di Celle di Bulgheria confermava che avrebbe recuperato tre cassoni di indifferenziato proprio con tale codice. recuperato tre cassoni di indifferenziato proprio con il codice 150106. Infine, conclude sul punto la sentenza impugnata, andava osservato anche che la conclusione del primo giudicante di una illecita gestione dei rifiuti misti indifferenziati sotto il codice CER 150106 non trova smentita neanche nella pronuncia della Corte di giustizia UE sez. II n.387dell’11.12.2008 in quanto, se è pur vero che la Corte indica che il codice 150106, corrispondente agli «imballaggi in materiali misti», può essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale, tra loro raggruppati, specifica anche che "un imballaggio composto è dunque definito dall'art. 2, n. 1, lett. a), della decisione 2005/270 come «l'imballaggio costituito da materiali diversi che non è possibile separare manualmente, ognuno dei quali non superi una determinata percentuale del peso dell'imballaggio», percentuale di impurità che l’all. 1 - sub allegato 1 individua appunto nella misura massima dell’1% come somma totale. 
4.5. Quanto, poi, al flusso B concernente i rifiuti extra-regionali, i ricorrenti, con argomentazione replicata senza alcun apprezzabile elemento di novità critica rispetto a quanto già dedotto in appello (esponendo dunque il motivo ad evidente inammissibilità perché generico per aspecificità), avevano già in appello sostenuto che l'abrogazione del Decreto Ronchi (d. lgs. n. 22 del 1997) e l'art. 5, comma 5-bis del D.L. 263/2006 convertito con modificazioni dalla L. 6 dicembre 2006 n. 290, consentiva al solo Commissario Delegato per la gestione dell'emergenza rifiuti in Regione Campania, e non alla Giunta Regionale, la sospensione del conferimento di rifiuti speciali provenienti da fuori regione. Orbene, la Corte territoriale – con argomentazione immune dai denunciati vizi – ha, infatti, evidenziato che l'art. 19 del d. lgs. n. 22 del 1997 sanciva che lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti dovesse avvenire in ambito regionale. Per la Regione Campania, vigendo l’emergenza rifiuti, si legge in sentenza, il divieto di circolazione era esteso anche ai rifiuti speciali, con la conseguenza che sia i rifiuti urbani che quelli speciali non potevano assolutamente circolare. A tal proposito, del tutto correttamente, i giudici di appello richiamano la delibera della Giunta Regionale della Campania n. 628 del 21 aprile 2005 la quale aveva previsto un’eccezione a tale regola attinente ai rifiuti speciali, stabilendo la necessità di un protocollo di intesa. Orbene, come chiarito dai giudici territoriali, nella specie era emerso che tra il 2009 ed il 2010 sia la Fond.eco S.r.l., -poi inglobata nella SRA S.r.l., che la ditta individuale Palmieri Tommaso avevano prelevato dei rifiuti urbani non speciali provenienti dalla regione Basilicata per poi trasferirli presso le loro sedi e, dunque, in regione Campania, in quegli anni segnata dall’emergenza rifiuti e ciò, si evidenzia, in assenza di alcun tipo di protocollo d’intesa tra le società e la regione Campania, né tra le regioni in questione. Inoltre, prosegue la sentenza impugnata, andava considerato che il trattamento dei rifiuti extra regionali avveniva non solo in contrasto con il cosiddetto decreto Ronchi, ma anche in totale contrasto con l'ordinanza P.C.M. 25.02.1999 n. 2948 che, espressamente, all'art. 6, vietava l'ingresso dei rifiuti nella regione Campania a causa dello stato di emergenza. Infine, concludeva la sentenza sul punto, non poteva, poi, non considerarsi quanto dichiarato dallo stesso Palmieri all'udienza del 07.11.2019 (e non dell’11.04.2022 come evidenziato dal primo giudice) il quale, a domanda del PM "lo sapevate che occorreva un protocollo di intesa con la Regione Campania?”, ammetteva che “forse probabilmente è stata fatta un pochettino con leggerezza”.
4.6. L’approdo dei giudici territoriali non può che essere condiviso. 
Ed infatti, a prescindere dall’emergenza rifiuti, esiste un principio generale di prossimità che favorisce il trattamento dei rifiuti il più vicino possibile al luogo di produzione. La Corte costituzionale ha peraltro chiarito che il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale può essere applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi, ma non può valere per i rifiuti speciali. Questo significa che, in assenza di una pianificazione regionale specifica, la localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti speciali deve essere attentamente valutata per garantire che non ci siano impatti negativi significativi sull'ambiente e sulla salute pubblica (Corte cost., 23 marzo-21 aprile 2021, n. 76). L’art. 182 cod. ambiente prevede, poi, il divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali e internazionali che, in ragione di particolari aspetti territoriali o per opportunità tecnico-economica, prevedano diversamente per raggiungere livelli ottimali di utenza servita. Tutto ciò avviene in conformità ai principi di autosufficienza e di prossimità, di derivazione comunitaria (art. 16 della direttiva 2008/98/CE) ed ha portato alla conferma di quella parte delle discipline regionali che si limitavano a meglio precisare il menzionato generale divieto. 
4.7. Quanto, poi alla delibera della Giunta Regionale della Campania n. 628 del 21 aprile 2005, la stessa, correttamente richiamata dai giudici territoriali, riguardava la disciplina d’ingresso dei rifiuti nella regione. Questa delibera è stata adottata durante una seduta della Giunta Regionale e fa parte dell'Area Generale di Coordinamento N. 5 Ecologia Tutela Ambiente Prot. Civile C.I.A. La delibera, per quanto di interesse, prevedeva che, per l'ingresso dei rifiuti speciali provenienti da altre regioni, fosse necessario un protocollo di intesa tra le regioni coinvolte. Questo protocollo doveva essere concordato per garantire che il trattamento dei rifiuti avvenisse in conformità con le normative vigenti e senza compromettere la capacità della regione di gestire i propri rifiuti. La circostanza che la delibera regionale non costituisca fonte primaria non la priva peraltro di rilevanza sul piano della cogenza, assumendo rilevanza giuridica in quanto atto amministrativo attuativo o specificativo della normativa regionale, nella specie costituita, all’epoca dei fatti, dal decreto-Legge 9 ottobre 2006, n. 263, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 6 dicembre 2006, n. 290, che aveva introdotto misure straordinarie per affrontare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania. La delibera, disciplinando aspetti operativi e organizzativi, disponeva l’adozione di misure specifiche in ambiti particolari, tra cui, appunto, la possibilità di derogare al divieto di circolazione dei rifiuti, nel caso di specie rifiuti speciali, purché attraverso l’adozione di protocolli di intesa che, come visto, nel caso in esame mai erano stati attuati. 
4.8. Del tutto corretto, infine, il richiamo da parte dei giudici territoriali all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (P.C.M.) del 25 febbraio 1999, n. 2948, emanata per fronteggiare lo stato di emergenza nel settore del risanamento ambientale, della tutela delle acque e degli interventi igienico-sanitari nella Regione Campania. L'articolo 6 dell'ordinanza vietava in particolare l'ingresso dei rifiuti nella Regione Campania a causa dello stato di emergenza, divieto volto a limitare l'afflusso di rifiuti da altre regioni per evitare di aggravare ulteriormente la situazione già critica. 
4.9. Quanto, infine, al c.d. flusso C, con argomentazioni già sviluppate davanti ai giudici di appello (e replicate, dunque, ancora una volta, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica in questa sede di legittimità, esponendosi pertanto al giudizio di inammissibilità perché doglianza generica per aspecificità), la difesa aveva sostenuto che l'attività di raccolta di rifiuti ingombranti avvenisse all'insaputa degli attuali ricorrenti e che, ad ogni modo, la S.R.A. S.r.l. non aveva predisposto mezzi né attività continuative ed organizzate finalizzate alla gestione di ingenti quantità di rifiuti, che si quantificavano in 71 tonnellate in 3 anni. 
4.10. Orbene, a parte il rilievo che attraverso tali argomentazioni le difese tendono a sviluppare censure articolare in fatto, in quanto tali non ammissibili davanti a questo giudice di legittimità, è agevole rilevare come la risposta fornita dalla Corte territoriale sul punto sia del tutto corretta in diritto e coerente con le emergenze processuali. 
Anzitutto, i giudici territoriali evidenziano che della consapevolezza di tali prassi di fraudolenta declassificazione del rifiuto aveva dato conferma lo stesso Cancro Antonio (cfr. progressivo 1217 dell'08.06.2011) il quale, comunicando con il geometra De Luca del Comune di Teggiano, spiegava di non avere l'autorizzazione allo smaltimento del codice 200307 (rifiuti ingombranti) specificando "gli ingombranti li ritiriamo con tre codici ... ferro, tessile e legno", " ... io i divani li posso prendere pure come legno" ( cfr. progressivo 494 del 24.05.2011). Tali affermazioni trovavano riscontro anche nell'attività intercettiva a carico del Palmieri (cfr. progressivo n. 618 del 24.05.2011). 
Quanto, poi, alla dedotta carenza del requisito dell'ingente quantità rispetto al dato quantitativo di rifiuto, correttamente i giudici territoriali richiamano la giurisprudenza di questa Sezione  che ha specificato come la nozione di ingente quantitativo non risulta predefinita dal legislatore, che ne rimette all'interprete, di volta in volta, la ravvisabilità senza che ciò comporti un problema di indeterminatezza del precetto, a fronte di un giudizio che deve necessariamente tenere conto di una serie di variabili concrete quali la tipologia del rifiuto, la sua qualità e le situazioni specifiche di riferimento (il riferimento è, in sentenza a Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007 - dep. 2008, Rv. 238558), essendosi peraltro ulteriormente specificato che l'ingente quantitativo dei rifiuti, necessario a configurare il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 D.lgs. n. 152 del 2006), deve riferirsi al quantitativo complessivo di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere qualificate di modesta entità (Sez. 3, n. 46950 del 11/10/2016, Sepe, Rv. 268667 – 01; conforme la giurisprudenza successiva, si v. Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, Radin, Rv. 278531 – 02). La successiva elaborazione giurisprudenziale, come bene ricordano i giudici di appello, che ha fatto leva sulle suddette variabili era tuttavia diretta ad enucleare la sussistenza dell'ingente quantitativo in presenza di una pluralità di operazioni che, considerate singolarmente, avrebbero potuto essere definite di modesta entità e che invece andavano riferite al materiale complessivamente gestito dal soggetto incriminato per traffico illecito di rifiuti, sottolineando quindi la necessità in tal caso di una valutazione complessiva parametrata agli stessi criteri informatori della norma, evidentemente strumentale al contrasto delle più pericolose attività illecite concernenti i rifiuti. Da qui l'affermazione, richiamata puntualmente in sentenza, secondo la quale l'ingente quantitativo non può essere individuato a priori, attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici, quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l'ambiente e nell'ambito del quale l'elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento (Sez. 3, n. 47229 del 6/11/2012, non mass.; Sez. 3, n. 46950 del 11/10/2016, Sepe, Rv. 268667 – 01; Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, Radin, Rv. 278531 – 02; si veda anche, tra le più recenti, Sez. 2, n. 18847 del 13/02/2025, Cerato ed altri, non mass.; Sez. 3, n. 6782 del 17/12/2024, dep. 2025, Scarano, non mass.). 09/11/2016, Rv. 268667; Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019 - deo. 30/09/2019, Rv. 278531). Tanto premesso in diritto, correttamente i giudici di appello hanno ritenuto che fosse stato soddisfatto il requisito dell’ingente quantitativo. 
4.11. Quanto al recupero del rifiuto non pericoloso costituito dagli ingombranti, quali materassi, divani, mobili, ecc., di cui al CER 200307 (rifiuti ingombranti), le due aziende (Fond.Eco S.r.l. e SRA S.r.l.), pur non potendo gestire tale tipologia di rifiuti, stante la mancanza di autorizzazione ordinaria, per aggirare tale mancanza del titolo (per conseguire il quale avrebbero dovuto aggiornare strutturalmente l'impianto con investimenti costosi e fornire fideiussioni adeguate), di fatto, fraudolentemente, provvedevano a declassificare il rifiuto raccolto (costituito per lo più da rifiuti ingombranti tipo mobili e materassi) suddividendolo in 3 distinti codici 200111 (tessuto) 200140 (ferro) 200138 (legno), codici, invece, ricompresi nell'autorizzazione semplificata in loro possesso. A quanto sopra va aggiunto, si legge in sentenza, che, ai fini della valutazione di ingente quantitativo come sopra illustrato (comportante un raffronto con l’attività abusiva nel suo complesso) deve considerarsi che, complessivamente, le predette società hanno trattato negli anni 2009, 2010, 2011 le seguenti ingenti quantità (- 12.055 tonnellate di rifiuto speciale non pericoloso di cui al CER 150106; -71,745 tonnellate di rifiuto speciale non pericoloso di cui al CER 200138,200140, 200111; - 171 tonnellate di rifiuti extraregionali speciali non pericolosi, costituiti da imballaggi in carta e cartone (C.E.R. 150101) imballaggi in plastica (C.E.R. 150102) imballaggi metallici (C.E.R. 150104) carta e cartone (C.E.R. 200101) vetro (C.E.R. 2001 02), provenienti dalla Regione Basilicata, trasportati dalla ditta Palmieri Tommaso e recuperati dalla Società Fond.Eco s.r.l. nell'impianto di Polla) ricavando per il solo flusso A e fino all'anno 2011) la somma pari ad euro 2.137.511,00 e l'ulteriore ingiusto profitto consistente nell'ingente risparmio dei costi che avrebbero dovuto, invece, affrontare per una lecita gestione dei rifiuti, per l’adeguamento strutturale dell'impianto non dotato di idoneità tecnica (anche riguardo alla autorizzazione alle emissioni in atmosfera e scarico acque) e per il quale sarebbe occorso un lungo e costoso iter procedimentale, oltre che la stipula delle garanzie fideiussorie richiesta dalla Regione per gli impianti di recupero in procedura ordinaria.
4.12. Al cospetto di tale, complessivo, apparato argomentativo, le doglianze dei ricorrenti appaiono, conclusivamente, del tutto prive di pregio, in quanto tradiscono  in ultima analisi il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato in sede di legittimità. La Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 – 01).

5. Infine, anche il quarto ed ultimo motivo, proposto nell’interesse di Alfonso Palmieri, è inammissibile per genericità e in quanto proposto fuori dai casi consentiti. 
5.1. Circa la consapevolezza di Palmieri Alfonso della gestione della SRA S.r.l. precedente al suo subingresso del 15 luglio 2011, i giudici territoriali richiamano le intercettazioni telefoniche (cfr. progressivo n.618 del 24.5.201 I tra Palmieri Alfonso e tale Guglielmelli) da cui risulta la illecita selezione dei rifiuti ingombranti, nonché la deposizione del teste Poppa Giovanni che, in merito al ruolo di Alfonso Palmieri raccontava di conoscerlo sin dal 2009 e che il Palmieri passava periodicamente in azienda a controllare, a vedere per parlare e discutere. 
5.2. Le censure difensive, sul punto, più che censurare l’apparenza o l’omissione motivazionale, registrano un dissenso sulla valutazione delle emergenze processuali, così impingendo nel giudizio di inammissibilità, in quanto complessivamente censure distoniche rispetto all’ambito cognitivo di legittimità di questa Corte. I motivi di ricorso che denunciano vizi di motivazione volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie, sono invero pacificamente inammissibili. Questo perché la Corte di cassazione non è competente a riesaminare i fatti, ma solo a valutare la corretta applicazione della legge. Si versa, pertanto, nel tipico caso di inammissibilità per avere dedotto “motivi diversi da quelli consentiti dalla legge”, locuzione (presente nell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.), alla quale si ricorre quando debbono essere censurati i motivi c.d. “in fatto” ossia quelli che, discostandosi del tutto dalle tipologie descritte nell’art. 606 cod. proc. pen., in realtà rappresentano il tentativo del ricorrente di sollecitare un giudizio di merito da parte della cassazione. Un terzo grado di merito che non è previsto dalla legge, dunque antisistema rispetto alla configurazione del giudizio di legittimità, che è invece limitato alla rilevazione di errori in diritto commessi dal giudice di merito oppure all’apprezzamento di una motivazione – così come illustrata nel provvedimento impugnato – che si presenti o del tutto mancante, o illogica. Ma in modo “manifesto”, sicché semplici aporie non rilevanti o errori marginali mai potrebbero integrare il motivo di ricorso di cui all’art. 606 lett. e), cod. proc. pen.  

6. Venendo ad esaminare, nei residui motivi, il ricorso di Antonio Cancro, è, anzitutto, inammissibile il motivo con cui si deduce il vizio di motivazione manifestamente illogica per travisamento della prova sul punto relativo alla mancanza dell’elemento psicologico del reato.
6.1. Anche tale motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità per genericità e in quanto proposto fuori dai casi consentiti. 
6.2. Quanto alla supposta carenza dell'elemento psicologico del reato in capo al Cancro, infatti, già in sede di appello (con argomentazioni, ancora una volta, riproposte senza alcun apprezzabile elemento di novità critica davanti a questa Corte, esponendosi dunque al giudizio di inammissibilità per genericità), si era sostenuto che egli era solo un dipendente della SRA che eseguiva le direttive impartite in virtù di un rapporto di subordinazione. 
I giudici, a confutazione di tale assunto, avevano puntualmente colto negli elementi probatori argomenti di smentita dell’assunto difensivo. La prospettazione difensiva, si legge infatti nella sentenza impugnata, trova ampia smentita nelle argomentazioni tutte già sviluppate nella sentenza di primo grado, a tal proposito rammentando come nelle conversazioni telefoniche progressivo n. 494 del 24.5.11 il Cancro descriveva le modalità di ritiro degli ingombranti e le motivazioni delle suddivisioni nei tre diversi codici CER spiegando che, lavorando con la semplificata, doveva emettere un codice CER per ogni rifiuto (".. per cui io i divani li posso prendere pure come legno") o, ancora, nella conv. 342 del 17.5.11, in cui veniva confermato da Cancro che la SRA riceveva rifiuti cimiteriali senza autorizzazione a gestire il relativo codice CER 200203 ed al progr n. 4989 del 24.5.11 lo stesso ricorrente invitava tale Nicola a nascondere le bare presenti durante l'ispezione dei carabinieri. 
6.3. Le doglianze difensive, ancora una volta, dunque, si caratterizzano per attingere la motivazione della sentenza impugnata paventando vizi motivazionali nella specie insussistenti. Peraltro, si noti, dimenticando non solo che la tipologia di vizio dedotto (travisamento della prova) nel caso di cosiddetta "doppia conforme", come nel caso di specie, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 - 01), deduzione nella specie assente. Ma anche, e soprattutto, che il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos, Rv. 283370 - 01), cui si aggiunge l’ulteriore, dirimente, rilievo della mancanza di qualsiasi argomento a sostegno della decisività della prova asseritamente travisata. 
6.4. Deve, infatti, essere in questa sede ribadito che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 - 01). 

7. Parimenti inammissibile, infine, è il motivo con cui il ricorrente Antonio Cancro si duole dell’omessa motivazione in relazione all’art. 125, cod. proc. pen., quanto alle censure sollevate in relazione al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
7.1. Il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. 
Ed invero, deve, anzitutto, ritenersi priva di pregio la doglianza relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio, posto che è pacifico in giurisprudenza che in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 - 01). 
Altrettanto deve dirsi con riferimento al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, richiesto nei motivi di appello, e su cui si registra il silenzio della motivazione. E’ ben vero che questa Corte, nel suo più autorevole consesso, ha puntualizzato che, in tema di sospensione condizionale della pena, fermo l'obbligo del giudice d'appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 - 01). È, tuttavia, altrettanto indubbio che l’intervenuta richiesta di riconoscimento del beneficio, concesso al Palmieri Alfonso e non anche al Cancro, senza alcuna motivazione sul punto, non inficia la sentenza impugnata, atteso che - come risulta dal certificato del casellario giudiziale allegato al fascicolo trasmesso dalla Corte d’appello - a carico del Cancro risulta un precedente penale a pena sospesa (sentenza GIP tribunale di Lagonegro, irr. 19 aprile 2024) di mesi 8 di reclusione, per il quale è stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena. 
Ne consegue, pertanto, che i giudici territoriali, alla data della sentenza impugnata, ossia il 25 giugno 2024, erano perfettamente a conoscenza dell’esistenza di tale precedente a pena sospesa che, sommata alla pena, pur ridotta ad anni 1 e mesi 10 di reclusione in grado d’appello, eccedeva il limite di anni due di reclusione previsto dall’art. 163, cod. pen. 
Correttamente, pertanto, i giudici di appello non hanno aderito positivamente alla richiesta difensiva, non ricorrendo le condizioni di legge per il riconoscimento del beneficio, donde il silenzio motivazionale non inficia la sentenza impugnata. Pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte è il principio secondo cui, in tema di impugnazioni è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (tra le tante: Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157 - 01).

8. I ricorsi devono conclusivamente essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella loro proposizione.
  
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 12/06/2025