Cass. Sez. III n. 8975 del 2 marzo 2023 (UP 14 dic 2022)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. Frustaglia
Ecodelitti.Nozione di abusività della condotta

L’avverbio “abusivamente” di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. si riferisce a tutte le attività non conformi ai precisi dettati normativi, svolte nel delicato settore della raccolta e smaltimento di rifiuti. Pertanto, la natura abusiva, che qualifica anche la condotta di altri delitti contro l’ambiente, della condotta è tale non solo quando è svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime, o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quando è posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 novembre 2020, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Modena del 4 dicembre 2019, con la quale Frustaglia Antonella, Tipaldi Antonio e Rebecchi Paola erano stati condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione, per il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., per avere organizzato ed eseguito, con le società Ge.co (il cui legale rappresentante è Rebecchi Paola), Tipaldi (il cui legale rappresentante è Tipaldi Antonio), e Gama (il cui legale rappresentante è Frustaglia Antonella), un trasporto abusivo di tonnellate di materiale proveniente dal crollo totale o parziale di edifici, a causa di terremoto, eseguendo tali trasporti sulla base di un subappalto, vietato dal capitolato speciale previsto nella gara d’appalto indetta dall’azienda pubblica Aimag, vinto dalla Scaviter s.r.l., che poi aveva affittato il ramo di azienda alla società Ge.co, che aveva sottoscritto il contratto di appalto.

2. Avverso la sentenza gli imputati, Tipaldi Antonio e Frustaglia Antonella, hanno proposto, tramite il difensore e con un unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di censura, si lamentano l’erronea applicazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen., nonché la contraddittorietà della motivazione, in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti contestati.
Secondo la ricostruzione difensiva, l’attività realizzata dai ricorrenti risulterebbe essere un nolo a caldo, inidoneo a integrare l’abusività delle condotte. Pertanto, l’impossibilità di assegnarle natura certa di subappalto renderebbe erronea la decisione della Corte di appello, in quanto, relativamente alla condotta della ditta Tipaldi, il carattere dell’abusività potrebbe essere ricavata solo attraverso la dimostrazione che il rapporto con la Ge.co simulasse un subappalto.
Ulteriormente, in ordine all’ingiustizia del profitto, la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con le doglianze difensive, contenute nell’atto di appello.
2.2. Con una seconda doglianza, si censura l’erronea applicazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. in luogo delle ipotesi contravvenzionali di cui agli artt. 256 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 21 della legge n. 646 del 1982. La difesa lamenta che il Tribunale non avrebbe valutato il concorso apparente con la previsione di cui all’art. 256 citato, la quale non richiede né il dolo specifico di profitto, né la predisposizione di mezzi o la continuità della condotta, né l’ingente quantitativo di rifiuti. Inoltre, secondo la tesi difensiva, la condotta contestata configurerebbe l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 21 della legge n. 646 del 1982, in quanto non risulterebbero dimostrati i requisiti previsti dalla fattispecie delittuosa, essendo assente, in particolar modo, l’elemento finalistico nella condotta posta in essere dai ricorrenti.

3. Avverso la sentenza anche l’imputata Rebecchi Paola, ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento.
3.1. Con un primo motivo di impugnazione, si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, non essendo stata riconosciuta la mancanza degli elementi costitutivi del reato contestato. Difetterebbe una gestione abusiva dei rifiuti, visto che la Ge.co., così come del resto le altre aziende, si è limitata a trasportare rifiuti per conto di Aimag. La predetta società sarebbe stata una mera esecutrice di trasporti per conto di Aimag, non avendo alcuna possibilità di modificare o disattendere le direttive ricevute. Quanto alla pretesa abusività, non si sarebbe considerato che il trasporto dei rifiuti era perfettamente lecito, perché oggetto del contratto intercorso tra Aimag e Ge.Co., mentre l’eventuale subappalto tra quest’ultima e Tipaldi non era tale da integrare il predetto requisito, potendo, al più, configurarsi la contravvenzione di cui all’art. 21 della legge n. 646 del 1982. Inoltre, l’ingiusto profitto mancherebbe, come già rilevato dal giudice di primo grado, in relazione all’impossibilità di disporre il sequestro di somme nei confronti della Ge.Co., atteso che essa “avrebbe comunque ottenuto un margine di profitto dall’esecuzione in proprio dell’appalto” (pag. 11 della sentenza di primo grado). La Corte di appello avrebbe erroneamente affermato che non necessariamente l’ingiusto profitto debba individuarsi in un maggior guadagno, potendo ravvisarsi anche in utilità di diverso tipo rispetto a quella strettamente economica. Stando al capo di imputazione, però, l’ingiusto profitto consisterebbe nel corrispettivo pagato da Aimag, che, come riconosciuto implicitamente dal giudice di primo grado, non può essere qualificato come ingiusto, in quanto rappresenta il pagamento dell’attività effettivamente svolta sulla base di un regolare contratto.
3.2. Con una seconda doglianza, si censura il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del profitto ingiusto, percepito dalla Ge.Co. s.r.l., sulla base di quanto già rilevato nel primo motivo di ricorso.
3.3. Con un terzo motivo, si lamenta l’erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento all’imputata delle attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen., in quanto oltre all’incensuratezza della ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare il suo corretto comportamento processuale.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti, con un unico atto, da Tipaldi Antonio e Frustaglia Antonella, sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo di doglianza – con cui si denunciano l’erronea applicazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione, in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti contestati – è manifestamente infondato. Del tutto correttamente la Corte di appello ha ritenuto irrilevante l’esistenza di un nolo a caldo o di un subappalto, a fronte di disposizioni che in ogni caso vietavano le attività in concreto svolte dalle società di cui i ricorrenti erano responsabili.
1.1.1. Deve premettersi che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez.3, n. 16036 del 28/02/2019, Rv. 275395 – 02; Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, Rv. 268920). Il trasporto dei rifiuti integrante il reato in esame deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi e attività continuative organizzate (cfr. Sez. 3, n. 28685 del 04/05/2006, Rv. 234931; Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Rv. 232348), e tale attività deve essere “abusiva” (cfr. Sez. 4, n. 28158 del 02/07/2007, Rv. 236906; Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Rv. 232350).
Deve in proposito affermarsi che l’avverbio “abusivamente” di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. si riferisce a tutte le attività non conformi ai precisi dettati normativi, svolte nel delicato settore della raccolta e smaltimento di rifiuti (cfr. Sez. 3, n. 24159 del 05/05/2021; Sez. 3, n. 8299 del 25/11/2009, dep. 2010). Pertanto, la natura abusiva, che qualifica anche la condotta di altri delitti contro l’ambiente, della condotta è tale non solo quando è svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime, o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quando è posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Rv. 276015 - 02; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017). Si è ulteriormente precisato che il requisito dell’abusività della gestione deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d’ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto, che può sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall’attività autorizzata, per le modalità concrete con le quali essa viene esplicata, che risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, al punto da non potere essere ricondotte al titolo abilitativo (Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Rv. 258326; Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, Rv. 238559).
1.1.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale correttamente rileva la violazione di quanto previsto nel capitolato di appalto, in quanto riproduttivo dell’art. 17 del d.l. n. 74 del 2012, che prevede che il trasporto dei materiali da avviare a recupero o smaltimento è operato a cura delle aziende che gestiscono il servizio di gestione  integrata dei rifiuti urbani presso i territori interessati o dai Comuni  territorialmente competenti o dalle Pubbliche Amministrazioni a diverso titolo  coinvolti (Vigili del Fuoco, Protezione  Civile, ecc.), direttamente, o attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione  della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati. In violazione di tale previsione, la Ge.co comunicava ai gestori degli impianti di stoccaggio provvisorio un elenco di targhe di automezzi non suoi, ma appartenenti alla Tipaldi Trasporti e alla Gama autotrasporti, prive del nominativo dell’effettivo proprietario, facendoli apparire come suoi, apponendo, per camuffarli, agli automezzi delle predette società, le insegne della ditta Ge.co s.r.l. o della Scaviter s.r.l., le quali utilizzavano per l’espletamento del servizio loro affidato personale e automezzi non propri.
Inoltre, i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio, enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di reati ambientali, ai fini della configurabilità del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., il profitto – che può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all’interno dell’azienda – è ingiusto qualora discenda da una condotta abusiva che, oltre ad essere anticoncorrenziale, può anche essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente, impedendo il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti (ex multis, Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, Rv. 275399). E proprio all’alterazione della concorrenza quale fonte di ingiusto profitto si riferisce la motivazione della sentenza impugnata.
1.2. Il secondo motivo – con cui si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. in luogo delle ipotesi contravvenzionali di cui agli artt. 256 del d.lgs. n. 152 del 2006 e 21 della legge n. 646 del 1982 – è manifestamente infondato.
In ordine alla configurabilità dell’art. 256 richiamato, invocata per la mancanza di dolo specifico consistente nel conseguire un profitto ingiusto, quest’ultimo è stato correttamente individuato dai giudici di merito dal perseguimento di interessi economici di vario genere: infatti – come già evidenziato – le società Tipaldi e Gama hanno ottenuto l’ingiusto profitto di incassare ricavi patrimoniali eseguendo trasporti di rifiuti senza avere partecipato a gara pubblica alcuna (alterando dunque la concorrenza) e con modalità produttive di conseguenze negative per la integrità dell’ambiente, tali da impedire il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti.
Quanto alla configurabilità dell’art. 21 della legge n. 646 del 1982, anche questa è stata correttamente esclusa dalla Corte di appello. In particolare, la richiamata fattispecie, contravvenzionale nel testo in vigore nel periodo di riferimento, si riferiva in generale a pratiche abusive, laddove puniva chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l'autorizzazione dell'autorità competente. La fattispecie delittuosa, a differenza di quella contravvenzionale, ha natura speciale, connotandosi per la presenza di ulteriori elementi specializzanti (quali lo specifico ambito della materia dei rifiuti, la previsione dei requisiti dell’ingiusto profitto, della presenza di un allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, svolte abusivamente).

2. Il ricorso, proposto da Rebecchi Paola, è inammissibile.
2.1. Il primo motivo – con cui si deduce l’erronea applicazione dell’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, circa la mancanza degli elementi costitutivi del reato contestato – è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha correttamente individuato – come già evidenziato relativamente ai ricorsi di Tipaldi Antonio e Frustaglia Antonella – l’abusività della condotta posta in essere, in quanto contraria alle disposizioni di legge in materia, perché la Ge.co comunicava ai gestori degli impianti di stoccaggio provvisorio un elenco di targhe di automezzi non suoi, secondo le modalità già sopra descritte.
In ordine all’ingiusto profitto, in applicazione del principio summenzionato, la sentenza impugnata, con una motivazione coerente, evidenzia che, nel caso di specie, la società Ge.co ha ottenuto l’ingiusto profitto non solo di vincere l’appalto sapendo di non essere in grado di eseguirlo con le modalità previste, ma anche di incassare ricavi patrimoniali eseguendo trasporti di rifiuti sia violando il capitolato speciale d’appalto cosi come previsto nel bando della gara pubblica e senza regolarizzare la movimentazione del materiale trasportato da terzi, sia effettuando il trasporto di rifiuti con modalità produttive di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente perché in violazione delle disposizioni previste nel capitolato d’appalto e tali da impedire il controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti.
2.2. La seconda censura – con cui si denuncia il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del profitto ingiusto, percepito dalla Ge.Co. s.r.l., sulla base di quanto rilevato nel primo motivo di ricorso – è manifestamente infondata, sulla base di quanto già esposto al precedente punto 2.1.
2.3. Il terzo motivo – con cui si lamenta il diniego dell’attenuante di cui all’art. 62-bis cod. pen. – è inammissibile.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489). Inoltre, il giudice può legittimamente trarre elementi di valutazione per escludere la concessione delle attenuanti generiche anche da circostanze del fatto o da elementi circostanziali, che, pur non contestati, rilevano in quanto espressione della complessiva condotta posta in essere dal reo e della sua personalità, oggetto di necessaria considerazione.
Nel caso di specie, il motivo di ricorso appare del tutto generico, non scandendo di necessaria critica le argomentazioni della Corte di merito e risultando la motivazione dei giudici di secondo grado del tutto adeguata, laddove fa riferimento alla gravità del fatto commesso e all’assenza di qualsivoglia concreta resipiscenza.

3. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 14/12/2022.