Consiglio di Stato Sez. VI n. 6334 del 18 luglio 2025
Elettrosmog.Vincoli paesaggistici
La tutela della concorrenza non può risolversi nel concedere sempre e comunque, a un operatore economico, accesso ad un mercato, solo per la ragione che altri operatori economici siano già presenti su tale mercato, quando circostanze concrete e/o interessi contrapposti vi siano di ostacolo. Per tale ragione il provvedimento dell’autorità preposta alla tutela di un vincolo paesaggistico o culturale che, negando l’autorizzazione di propria competenza, di fatto ostacoli l’accesso di un operatore economico a un mercato, non può ritenersi illegittimo per questo solo fatto, ovvero solo in ragione delle conseguenze anticoncorrenziali che il provvedimento negativo è suscettibile in tesi di determinare.
N. 06334/2025REG.PROV.COLL.
N. 07095/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7095 del 2024, proposto da
Iliad Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Pacciani e Valerio Mosca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Pacciani in Roma, via di San Nicola Da Tolentino, 67;
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Giacomo Pizza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, ARPAC - Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Campania, non costituiti in giudizio;
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 01893/2024, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2025 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Nicola Laurenti in sostituzione di Antonio Andreottola, Filippo Pacciani e Valerio Mosca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con istanza depositata il 13 gennaio 2020, n. prot. 28740, ILIAD ha chiedeva al Comune di Napoli l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 87 del D. L.vo n. 259/2003, applicabile ratione temporis, per l’installazione di un impianto di radio-trasmissione per rete di telefonia mobile, composto da 3 nuove paline metalliche, 3 antenne settoriali, n.2 parabole e n.9 Moduli RRH, da collocare su lastrico di copertura di corpo di fabbrica sottostante, situato in zona soggetta a vincolo paesaggistico, nel quartiere Posillipo di Napoli. In pari data, pertanto, ILIAD inoltrava anche, alla competente Soprintendenza, istanza di autorizzazione paesaggistica semplificata, oltre alla richiesta di parere all’ARPAC ed alla richiesta di nulla osta sismico.
2. Relativamente al vincolo paesaggistico il Comune chiedeva la produzione di ulteriori documenti, cui ILIAD dava prontamente seguito, e il 31 marzo 2021 trasmetteva la pratica alla Soprintendenza con proposta favorevole al rilascio dell’autorizzazione.
3. Con nota del 10 giugno 2021 la Soprintendenza riscontrava la richiesta di autorizzazione paesaggistica semplificata con nota nella quale, sulla premessa che “l’immobile de quo è sottoposto anche alle disposizioni della Parte Seconda del D. Lgs. m. 42/2004”, si richiedeva una più dettagliata documentazione fotografica dello stato di fatto della copertura interessata, oltre alla dimostrazione della legittimità degli impianti per produzione di energie rinnovabili già presenti sulla copertura medesima.
4. In esito all’approfondimento istruttorio, che ILIAD evadeva depositando documentazione il 18 ottobre 2021, la Soprintendenza comunicava preavviso di rigetto con nota del 3 gennaio 2022, con il quale, richiamando la documentazione progettuale trasmessa da IIAD in data 18 aprile 2021, si esprimeva in senso negativo con la seguente motivazione:
“RILEVATO che l’intervento consiste nella realizzazione di una stazione radio-base sulla copertura del fabbricato sito in via Manzoni n. 225. Nello specifico, il progetto prevede l’installazione di tre paline, tre antenne settoriali e due parabole, degli apparati tecnologici relativi e di un mini TD da collocarsi sulla copertura del livello sottostante, ed inoltre nove moduli RHH da collocarsi in prossimità delle paline. Si ipotizza la copertura delle antenne con pannelli di plastica di colore bianco allo scopo di mitigarne la presenza; CONSIDERATO che sulla copertura dell’immobile tutelato sono presenti altre infrastrutture telefoniche ed un esteso impianto fotovoltaico e che la sommatoria di tali impianti comporta una considerevole cumulazione di impatti negativi significativi sull’edificio, a causa dell’estraneità di tali elementi impiantistici con le caratteristiche tipologiche ed architettoniche dell’immobile; CONSIDERATO che l’inserimento di un’ulteriore stazione radio base, del tutto estranea ai caratteri tipologici ed architettonici dell’immobile tutelato, comporterebbe un ulteriore aggravio dell’attuale situazione di degrado, implicando una ulteriore cumulazione di impatti significativi negativi, giungendo a degradare il piano di copertura
dell’immobile monumentale a mero piano di appoggio impiantistico, del tutto incompatibile con i principi del restauro e della conservazione degli edifici monumentali; RITENUTO pertanto che le caratteristiche delle opere sopraccitate, così come desumibili dall'esame della documentazione progettuale, producono pregiudizio e compromissione dei valori tutelati e che non sono da ritenersi compatibili, in rapporto alle vigenti norme sulla tutela dei beni culturali di cui al citato D.Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii. con il vincolo di tutela monumentale che attualmente grava sull'immobile in argomento”.
5. A tale parere faceva seguito il provvedimento del 15 febbraio 2022, con cui la Soprintendenza esprimeva in via definitiva diniego di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto: richiamata la nota di osservazioni trasmessa da ILIAD l’11 gennaio 2022, la Soprintendenza motivava il diniego con il rilievo che “- il complesso monumentale della Congregazione religiosa delle Divine Vocazioni rappresenta una delle realtà architettoniche più interessanti di tale località della collina di Posillipo, nonché chiaro esempio della tipologia edilizia che ha connotato i casali rurali posillipini dalla loro formazione all’attualità; - sulla copertura dell’immobile è già presente un esteso impianto di pannelli fotovoltaici, realizzato nel 2013, ed un altro impianto di telefonia autorizzato dal Comune di Napoli, previo nulla osta paesaggistico della Soprintendenza prot. n. 27452 del 16.11. 2005 (D. Lgs. 42/2004 – Parte Terza: Beni Paesaggistici), prima che l’immobile fosse sottoposto anche a vincolo monumentale con D.M 22 marzo 2016, ai sensi D. Lgs. n. 42/2004 – Parte Seconda: Beni Culturali; - l’installazione di un ulteriore impianto di telefonia sul piano di copertura comporterebbe con tutta evidenza un aggravamento dell’attuale situazione di degrado e mancanza di decoro, a causa dell’eccessiva cumulazione di impianti tecnologici del tutto estranei ai rilevanti caratteri architettonici, figurativi, spaziali e tipologici del bene culturale tutelato, trasformando la copertura da tipico e qualificato elemento connotante l’architettura tradizionale posillipina a mero piano di appoggio funzionale tecnico-impiantistico privo di qualità; - la dequalificazione del piano di copertura a mero supporto impiantistico risulta incompatibile con le specifiche connotazioni architettoniche e spaziali di tale pregiato edificio rurale tradizionale posillipino, oltre che indifferente ai principi basilari del restauro, conservazione e valorizzazione degli edifici monumentali; RITENUTO pertanto che l'intervento contrasta con le caratteristiche monumentali dell’immobile per le motivazioni espresse, giacché le caratteristiche delle opere sopraccitate, così come desumibili dall'esame della documentazione progettuale, producono pregiudizio e compromissione agli specifici valori tutelati e non sono da ritenersi compatibili in rapporto alle vigenti norme sulla tutela dei beni culturali di cui alla Parte Seconda del citato D. Lgs. n. 42/2004”.
6. Di seguito a ciò il Comune di Napoli, con nota del 24 febbraio 2022, diretta alla Soprintendenza, revocava la proposta di autorizzazione paesaggistica precedentemente formulata, mentre con nota n. prot. PG/2022/0199418 del 14 marzo 2022, comunicava a ILIAD l’archiviazione della istanza del 13 gennaio 2020, in ragione della non realizzabilità dell’impianto.
7. ILIAD impugnava avanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania tutti gli indicati provvedimenti, ed inoltre, all’occorrenza, il D.M. n. 153 del 22 marzo 2016, con cui era stato apposto il vincolo monumentale.
8. Nel corso del giudizio l’adìto Tribunale, con ordinanza n. 4695 del 2 agosto 2023, disponeva l’acquisizione in giudizio del D.M. n. 153 del 22 marzo 2016, impositivo del vincolo monumentale sul fabbricato interessato dal nuovo impianto.
9. L’ordinanza veniva adempiuta e la causa veniva definita con la sentenza in epigrafe indicata, con la quale il ricorso veniva respinto.
10. Avverso tale decisione ILIAD ha proposto appello.
11. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al gravame, il Ministero della Cultura e il Comune di Napoli.
12. La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 10 ottobre 2024, e quindi alla pubblica udienza del 29 maggio 2025, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
13. Con il primo motivo d’appello si censura il capo della sentenza che, respingendo il secondo motivo di ricorso, ha ritenuto non essersi formato il silenzio-assenso della Soprintendenza sulla proposta del Comune del 31 marzo 2021, favorevole al rilascio della autorizzazione.
13.1. Va precisato che ILIAD aveva sostenuto l’illegittimità degli atti impugnati perché, a suo dire, sia il preavviso di rigetto che il parere negativo definitivo erano intervenuti oltre il termine indicato all’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017: secondo ILIAD, dunque, si era già formato il silenzio-assenso della Soprintendenza sulla proposta formulata dal Comune di Napoli il 31 marzo 2021. Con la statuizione impugnata il TAR ha ritenuto che la procedura semplificata, di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017 non si applica al caso di specie, venendo in considerazione un vincolo monumentale sull’edificio interessato, il quale deve essere istruito seguendo la procedura ordinaria, di cui agli artt. 21 e segg. del D. L.vo 42/2004; il TAR ha anche aggiunto che a diversa conclusione non si potrebbe pervenire neppure sulla base di quanto previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 31/2017, richiamando in tal senso la Circolare M.I.B.A.C.T. n. 42 del 21 luglio 2017, applicativa del D.P.R. n. 31 del 2017 ("Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata"), che, con riguardo alla possibile interferenza di tale norma sulle modalità di svolgimento e sui termini previsti per il procedimento autorizzatorio di cui alla Parte II del codice di settore, ha precisato che «Resta implicito (ma indubbio) che i diversi e più lunghi termini propri del procedimento di autorizzazione in base alla Parte II del Codice (120 giorni, come stabilito dall'articolo 22, comma 1, del medesimo), così come il diverso livello di approfondimento e di sviluppo degli elaborati progettuali da presentare alla Soprintendenza a tale fine, non sono diminuiti o incisi dal regime semplificato sul versante paesaggistico. Resta parimenti indubbio che il silenzio-assenso, applicabile al solo parere vincolante paesaggistico reso dalla Soprintendenza all'autorità competente alla gestione del vincolo (in quanto rapporto "orizzontale" tra pubbliche amministrazioni), è inconfigurabile con riferimento all'autorizzazione storica, artistica, archeologica, ex articolo 21 del Codice (trattandosi, per questo caso, di un rapporto "verticale" diretto con il cittadino e non di un rapporto tra pubbliche amministrazioni, a prescindere dal fatto esteriore se operi o non operi l' intermediazione di uno sportello unico)».
13.2. ILIAD sostiene invece che i termini di conclusione del procedimento stabiliti dal D.P.R. n. 31/2017 sarebbero pienamente applicabili anche nel momento in cui venga presentata una unica istanza alla Soprintendenza per la valutazione contestuale di un vincolo paesaggistico e monumentale, non essendo prevista alcuna deroga al riguardo: il senso della previsione dell’art. 16, del D.P.R. n. 31/2017, sarebbe infatti quello di attrarre nel regime semplificato tutte le valutazioni in gioco, onde consentire alla Soprintendenza di adottare un unico atto a contenuto plurimo scindibile, cioè un atto nel quale possa individuarsi la parte che si pronuncia sul vincolo paesaggistico e quella che si pronuncia sul vincolo monumentale. Tale quadro regolatorio sarebbe del resto il solo compatibile con la celerità e semplificazione che ispira tutti i procedimenti in materia di installazione di impianti di telecomunicazioni.
Il termine indicato dall’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017 sarebbe, dunque, abbondantemente spirato nel caso di specie, con la conseguenza che sulla proposta del 31 marzo 2021, formulata dal Comune di Napoli, si sarebbe formato il silenzio-assenso; il Comune di Napoli, pertanto, non avrebbe potuto addurre né il preavviso di rigetto né il diniego definitivo della Soprintendenza quale ragione per la archiviazione della istanza.
13.3. La censura è infondata per le ragioni in appresso esposte.
13.3.1. Merita, anzitutto, richiamare l’art. 16 del D.P.R. n. 31/2017, intitolato “Coordinamento con la tutela dei beni culturali”, il quale stabilisce che “Ove gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica semplificata, ai sensi del presente regolamento, abbiano ad oggetto edifici o manufatti assoggettati anche a tutela storica e artistica, ai sensi della Parte II del Codice, l'interessato presenta un'unica istanza relativa ad entrambi i titoli abilitativi e la Soprintendenza competente si pronuncia con un atto a contenuto ed efficacia plurimi recante sia le valutazioni relative alla tutela paesaggistica, sia le determinazioni relative alla tutela storica, artistica e archeologica di cui agli articoli 21 e 22 del Codice medesimo”.
13.3.2. Secondo ILIAD il silenzio della richiamata norma circa i termini del procedimento applicabili lascerebbe intendere che l’istanza ove unica debba essere trattata comunque secondo la procedura prevista dal D.P.R. n. 31/2017, con la conseguenza che la Soprintendenza, sia sul vincolo paesaggistico che sul vincolo monumentale dovrebbe emettere l’eventuale preavviso di rigetto entro dieci giorni dal ricevimento della proposta dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ed il diniego definitivo entro 20 giorni dal termine assegnato alla parte in sede di comunicazione del preavviso di rigetto, ai sensi dell’art. 11, comma 7: in difetto, si formerebbe il silenzio assenso sulla proposta favorevole formulata dall’autorità competente.
13.3.3. Circa la possibilità di interpretare l’art. 16 del D.P.R. n. 31/2017 nel senso accreditato da ILIAD il Ministero si sarebbe espresso con la Circolare M.I.B.A.C.T. n. 42 del 21 luglio 2017: tale Circolare non è stata peraltro prodotta in giudizio e, non avendo natura normativa, sfugge al principio per cui jura novit curia. Secondo quanto comunque riferisce l’appellante alle pp. 11-13 del suo appello essa Circolare avrebbe stabilito che la previsione di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 3172017 costituirebbe una mera norma di indirizzo non vincolante, che non incide in alcun modo sui tempi previsti per i procedimenti di cui agli artt. 21 e 22 del Codice e che lascia la Soprintendenza, ricevuta l’unica istanza avente ad oggetto la valutazione del vincolo paesaggistico e monumentale, libera di applicare i termini brevi di cui al D.P.R. n. 3172017 per entrambe le valutazioni, ovvero di determinarsi entro i termini brevi di cui al D.P.R. n. 31/2017 solo sul versante paesaggistico e proseguire con il procedimento “ordinario” per l’autorizzazione monumentale (ad esempio, nei casi più complessi); da queste premesse l’appellante trae la conclusione che la Circolare accrediterebbe la tesi secondo cui i termini previsti dall’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017 rimangono comunque vincolanti per le valutazioni afferenti il vincolo paesaggistico e finiscono per estendersi anche alle valutazioni afferenti il patrimonio storico-artistico (sul punto si veda l’atto d’appello, alla fine del punto I.4: “Ebbene, ciò che preme evidenziare ai fini del presente gravame è che - a dispetto di quanto affermato nella Sentenza - il quadro regolatorio appena tratteggiato, così come chiarito dalla predetta Circolare, non ammette alcuna deroga al rispetto dei termini procedimentali stabiliti dal D.P.R. n. 31/2017, che rimangono pienamente applicabili ove gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica semplificata abbiano ad oggetto edifici assoggettati anche a tutela monumentale ai sensi degli artt. 21 ss. D.Lgs. n. 42/2004.”).
13.3.4. Il Collegio osserva innanzi tutto che tra le premesse (anche nei loro richiami virgolettati alla circolare), che parrebbero consentire la trattazione separata dei profili paesaggistico e storico-artistico, e le conclusioni, che invece parrebbero affermare una necessaria attrazione del secondo profilo al regime amministrativo del primo, non vi sia corrispondenza ma anzi una qualche incongruenza, che non giova alla ricostruzione di Iliad.
Ciò premesso, affrontando una questione sulla quale non constano al Collegio precedenti giurisprudenziali sul punto, è opportuno, preliminarmente, confermare per un verso l’esattezza della indicata interpretazione dell’art. 16 del D.P.R. n. 31/2017 dal lato della tutela paesaggistica: l’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017, infatti, costruisce i termini di definizione del procedimento chiaramente sul presupposto che la Soprintendenza si debba pronunciare su una proposta favorevole proveniente dalla Autorità competente per il rilascio della autorizzazione paesaggistica. Riguardo al vincolo monumentale, tuttavia e per altro verso, rimane invariato il quadro normativo per cui il rilascio dell’autorizzazione è di competenza della stessa Soprintendenza (art. 21, comma 4, D. L.vo n. 42/2004), che deve provvedere entro 120 giorni dal ricevimento della istanza; e il mancato rispetto del termine comporta per l’interessato la possibilità di agire con l’azione avverso il silenzio. Essendo strutturati in maniera differente i due procedimenti – per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e il rilascio dell’autorizzazione a tutela del vincolo monumentale – è evidente che, in assenza di una chiara indicazione normativa (e senza che a tale mancanza possa supplire una semplice circolare, caso mai fosse leggibile in tale direzione), non è dato ipotizzare che al secondo si possano applicare i termini previsti in via derogatoria per il primo. L’unica interpretazione possibile della norma è dunque quella che consente, ma non impone, alla Soprintendenza la trattazione contestuale delle due procedure al solo fine di concluderle simultaneamente con un unico provvedimento a contenuto plurimo, fermo restando che se la Soprintendenza ritiene di dover istruire la pratica relativa al vincolo monumentale con tempistiche incompatibili rispetto ai termini indicati dall’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017, dovrà necessariamente emettere l’eventuale parere sfavorevole sulla proposta di autorizzazione paesaggistica nei termini indicati dalla citata norma, se vuole evitare la formazione del silenzio-assenso in parte qua sulla proposta stessa.
13.3.5. Ciò posto deve ritenersi efficace - e, per quanto si dirà anche legittimo - il diniego espresso dalla Soprintendenza in data 15 febbraio 2022, che è stato qualificato quale atto ai sensi dell’art. 21 del D. L.vo n. 42/2004 e che, coerentemente, si conclude con un diniego di autorizzazione (“NON AUTORIZZA”): la circostanza che il suddetto diniego possa essere intervenuto quando già il termine di 120 giorni era decorso risulta ininfluente, considerato che detto termine in questo caso non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere, integrando un mero silenzio-inadempimento; d’altro canto il fatto che l’ istanza originaria presentata da ILIAD avesse ad oggetto solo la richiesta di parere paesaggistico non inficia il provvedimento finale, dal momento che ILIAD, evadendo la richiesta di approfondimento istruttorio della Soprintentendenza, ha implicitamente accettato di estendere la richiesta di autorizzazione anche con riferimento al vincolo monumentale, né peraltro avrebbe potuto precludere alla Soprintendenza di valutare anche (o solo) tale aspetto.
13.3.6. Il Collegio osserva, peraltro, che la censura, così come formulata, è in buona parte formale e priva di utilità di sorta, poiché con essa in sostanza ILIAD riconosce che i termini di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 31/2017 si applicano solo alle valutazioni afferenti al vincolo paesaggistico, e non anche a quelle afferenti al vincolo monumentale, che deve essere istruito secondo una procedura che prevede che la Soprintendenza si pronunci entro il termine di 120 giorni, dal ricevimento della pratica, il cui decorso non determina per quanto già osservato un silenzio qualificato, ma solo un silenzio inadempimento. La censura stessa (si veda l’atto d’appello, punto I.4/I.5: “Ebbene, ciò che preme evidenziare ai fini del presente gravame è che - a dispetto di quanto affermato nella Sentenza - il quadro regolatorio appena tratteggiato, così come chiarito dalla predetta Circolare, non ammette alcuna deroga al rispetto dei termini procedimentali stabiliti dal D.P.R. n. 31/2017, che rimangono pienamente applicabili ove gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica semplificata abbiano ad oggetto edifici assoggettati anche a tutela monumentale ai sensi degli artt. 21 ss. D.Lgs. n. 42/2004. I.5 Nel caso di specie, dunque, l’erroneità della Sentenza risiede nell’avere teorizzato che - in caso di interventi sottoposti sia ad autorizzazione paesaggistica semplificata che ad autorizzazione monumentale - la Soprintendenza possa legittimamente “disapplicare” i termini procedimentali di cui al D.P.R. n. 31/2017 per quanto concerne le determinazioni in ordine al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica semplificata,…”), cioè, postula che il silenzio-assenso si sarebbe formato solo sulla proposta favorevole che a suo tempo il Comune di Napoli formulò ai fini del vincolo paesaggistico, ma non considera che la determina comunale del 14 marzo 2022, di archiviazione/diniego della istanza, è strutturata quale atto plurimotivato, fondandosi sia sul diniego di autorizzazione paesaggistica, sia sul diniego alla autorizzazione rilevante per il vincolo monumentale: si osserva, infatti che nella determina del 14 marzo 2022 il Comune di Napoli ha comunicato l’archiviazione della istanza del 13 gennaio 2020 in quanto “non è autorizzabile”, richiamando nelle premesse sia la propria determina di revoca del 24 febbraio 2022, sia la “nota prot. n. 1923-P del 15/02/2022, acquisita al protocollo in pari data con n. 117776, la Soprintendenza ha comunicato il parere negativo in merito alla richiesta di autorizzazione ai sensi dell'art. 21 del D.Lgs. 42/04”. Di conseguenza, l’eventuale formazione del silenzio-assenso sulla proposta di autorizzazione paesaggistica che il Comune aveva trasmesso alla Soprintendenza il 31 marzo 2021 inciderebbe solo sulla legittimità della determinazione del 24 febbraio 2022, con cui il Comune di Napoli ha revocato la proposta di parere paesaggistico, mentre non inciderebbe sul diniego di autorizzazione espresso dalla Soprintendenza il 15 febbraio 2022, che ha ad oggetto solo il vincolo monumentale, e neppure inciderebbe sulla determinazione comunale del 14 marzo 2022, nella parte in cui questa fonda l’archiviazione/diniego anche (se non soprattutto) sul diniego della autorizzazione prevista dall’art. 21 del D. L.vo n. 42/2004.
13.4. In conclusione, il primo motivo d’appello è infondato è va respinto.
14. Con il secondo motivo d’appello ILIAD impugna il capo della sentenza che, respingendo il secondo e il terzo motivo di ricorso, ha ritenuto adeguata la motivazione posta a corredo dell’atto impugnato, il quale fa riferimento specifico sia alle caratteristiche dell’impianto sia alle caratteristiche architettoniche del bene culturale.
14.1. Viene in considerazione, specificamente, il capo 1.3. della appellata sentenza, laddove il TAR, esaminando le censure con cui si deduceva il difetto di istruttoria e di motivazione del preavviso di rigetto e del diniego espressi dalla Soprintendenza, ha in primo luogo rilevato l’effettiva interferenza della nuova installazione con il vincolo monumentale, per poi affermare l’insussistenza dei prospettati vizi alla luce del fatto che era intercorsa una interlocuzione procedimentale, tra ILIAD e la Soprintendenza, e che comunque l’atto impugnato era espressivo di ampia discrezionalità, nel caso di specie scevra da evidenti vizi logici, tenuto conto del fatto che nella motivazione del provvedimento la Soprintendenza aveva considerato le specifiche caratteristiche del nuovo impianto, e le caratteristiche architettoniche, figurative e spaziali del bene tutelato.
14.2. Secondo l’appellante il primo giudice si sarebbe appiattito sul contenuto dei provvedimenti impugnati, non rilevando che l’operato della Soprintendenza avrebbe violato i canoni di ragionevolezza e logicità.
L’appellante insiste nell’affermare che la Soprintendenza non avrebbe esplicitato i profili di contrasto tra l’istanza presentata da ILIAD e il D.M. n. 153/2016, senza chiarire quali sarebbero i valori monumentali tutelati nel contesto di riferimento: essa richiama, in particolare, il precedente di questa Sezione di cui alla sentenza n. 9217/2023, per affermare che un provvedimento di diniego non potrebbe fondarsi solo sul presunto effetto pregiudiziale cumulativo derivante dalla presenza di altre stazioni radio installate sulla copertura di un edificio. La Soprintendenza avrebbe quindi dovuto specificare meglio le ragioni di ritenuta incompatibilità con il vincolo, anche con riguardo alle caratteristiche dell’impianto, e ribadisce l’infondatezza, nel merito, del diniego espresso dalla Soprintendenza, oltre al fatto che la stessa avrebbe dovuto, a titolo collaborativo, indicare possibili alternative. ILIAD, in particolare, sottolinea che la motivazione avrebbe dovuto essere tanto più specifica in relazione alla circostanza che l’opera in argomento è considerata, ex lege, quale opera di urbanizzazione primaria, avrebbe dimensioni ridotte e il relativo impatto potrebbe essere ulteriormente attutito mediante sistemi di mimetizzazione; l’appellante mette quindi in dubbio l’effettiva idoneità del nuovo impianto a determinare “un aggravamento dell’attuale situazione di degrado e mancanza di decoro, a causa dell’eccessiva cumulazione di impianti tecnologici”, lamentando l’assenza di una reale ed effettiva valutazione dell’impianto medesimo: essa richiama la relazione allegata al D.M.n. 153/2016 per affermare la compatibilità tra il vincolo ed il nuovo impianto, posto che quest’ultimo non comporta modificazione alcuna delle caratteristiche architettoniche dell’edificio, che hanno determinato l’imposizione del vincolo.
ILIAD rileva, poi, che la motivazione del provvedimento sarebbe distonica rispetto alla previsione dell’art. 21 del D. L.vo n. 42/2004, poiché questo non prevede una soglia di rilevanza degli interventi edilizi e non consente di escludere a priori la compatibilità di alcune tipologie di impianti con il vincolo: la motivazione dei provvedimenti impugnati, invece, prescindendo dall’effettivo impatto del nuovo impianto, e dalla reale consistenza del maggior carico ad esso riconducibile, rispetto a quello determinato dalle preesistente autorizzate, in sostanza si traduce nell’affermare la incompatibilità di ogni impianto ulteriore, per il rischio “di dequalificazione del piano di copertura mero supporto impiantistico”.
Infine, sostiene che a titolo collaborativo la Soprintendenza avrebbe dovuto indicare “soluzioni localizzative alternative”.
14.3. La censura, per quanto suggestiva, non può trovare favorevole accoglimento.
14.3.1. Merita precisare in fatto che, come risulta anche dalle fotografie inserite nell’atto d’appello, la copertura dell’edificio interessato dal nuovo intervento, tutta delimitata da un parapetto di altezza variabile tra 80 e 100 cm (cfr relazione allegata alla istanza del 13 gennaio 2020), è piatta e sulla stessa sono state già collocate tre lunghe file di pannelli fotovoltaici e due altre più corte, per un totale di circa 70 pannelli, che probabilmente sono visibili solo dall’alto; su uno degli angoli del parapetto esiste già, inoltre, una palina porta antenne, esterna al parapetto, questa invece visibile. L’intervento di ILIAD si tradurrebbe nella collocazione di altre tre paline porta antenne esterne al parapetto, oltre ad una canalina per cavi di alimentazione, a moduli RH, ed altri elementi, tutti addossati al parapetto e visibili esternamente (cfr. fotografie inserite nell’atto d’appello); le paline porta antenne hanno una altezza complessiva che appare essere circa doppia dell’altezza del parapetto.
Ciò precisato, ILIAD sostiene che l’intervento da essa progettato non sarebbe idoneo a produrre alcuna compromissione al bene tutelato, posto che il fabbricato non verrebbe alterato in alcuna delle sue caratteristiche architettoniche rilevanti, quali evincibili dalla relazione annessa al D.M. n. 153/2016, che ha imposto il vincolo.
14.3.2. Il Collegio rileva, anzitutto, che secondo quanto si legge nella relazione storico-artistica allegata al D.M. n. 153/2016 ha imposto il vincolo sul complesso edilizio in questione, attuale sede della Congregazione religiosa delle Divine Vocazioni, in quanto edificio risalente, almeno in alcune parti, al XVIII secolo, quando nella zona di Villanova si trovavano chiese e conventi di notevoli dimensioni, che ospitavano numerose comunità religiose, costituenti diramazione periferica dei rispettivi ordini residenti nel centro di Napoli. La relazione descrive il fabbricato, ma non con la finalità di individuare i singoli elementi architettonici oggetto di tutela, ma solo per consentire l’individuazione del corpo di fabbrica assoggettato a tutela nella sua totalità.
14.3.3. Il Collegio osserva, quindi, che la finalità del vincolo culturale è desumibile dall’art. 20 del D. L.vo n. 42/2004, il quale stabilisce, con affermazione astratta e generale, che “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”: ed è a tale fine che l’art. 21 impone l’obbligo di chiedere la preventiva autorizzazione per qualsiasi intervento, distinguendo tra le autorizzazioni di competenza ministeriale e quelli di competenza del soprintendente.
14.3.4. Orbene, "distruzione", "danneggiamento" e "deterioramento" indicano diversi gradi di offesa a un bene: la distruzione implica la perdita definitiva, completa o quasi completa, dell'identità o della funzionalità del bene; il danneggiamento si riferisce a una lesione di natura fisica o funzionale, che ne compromette l'integrità, ma non necessariamente la sua esistenza; il deterioramento indica, invece, un'alterazione che peggiora le condizioni del bene nel tempo, senza necessariamente causare una lesione immediata o grave. In pratica la distruzione è un evento definitivo, il danneggiamento è una lesione immediata ma non irreversibile, mentre il deterioramento è un processo graduale di decadimento che può portare alla perdita del bene nel tempo. Ciò che, allora, si vuole qui sottolineare è che la tutela derivante dalla imposizione di un vincolo culturale protegge il bene anche da interventi idonei a determinare anche un semplice deterioramento, che non necessariamente si traduce in una asportazione/ablazione di parti fisiche del bene, o in un vero e proprio danneggiamento strutturale/ funzionale, potendosi estrinsecare anche nella perdita di qualità estetiche. E la valutazione circa l’idoneità di un intervento a deteriorare un bene culturale, nel senso dianzi precisato, appartiene alla sfera dell’ampia discrezionalità attribuita alla Soprintendenza.
14.3.6. Quanto sin qui detto evidenzia che la valutazione negativa effettuata dalla Soprintendenza nel caso di specie non può ritenersi irragionevole, illogica o sproporzionata solo perché si traduce nell’appoggiare alla copertura dell’edificio degli elementi di dimensioni relativamente ridotte, in rapporto a quelle dell’edificio, senza che ciò richieda la manomissione, quantomeno in modo evidente o esteso, del corpo di fabbrica e senza che ciò possa causare danni immediati o evidenti o lesioni in grado di aggravarsi: il punto è che si tratta della aggiunta di elementi del tutto estranei allo stile architettonico del corpo di fabbrica, certamente visibili e come tali di per sé idonei ad impattare sull’estetica di esso, che procura un’alterazione che non irragionevolmente può qualificarsi in termini di deterioramento.
14.3.7. Quanto al fatto che la Soprintendenza non avrebbe effettuato una valutazione dell’impatto specifica, il Collegio rileva, in primo luogo, che se ogni intervento dovesse essere valutato singolarmente, prescindendo dagli eventuali danni/deterioramenti preesistenti e prescindendo inoltre dalla valutazione di possibili futuro interventi, si perverrebbe ad una valutazione atomistica che non restituirebbe il quadro dell’effettivo impatto che il singolo intervento è idoneo a produrre, nella immediatezza e nel tempo. Va soggiunto che la discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nella valutazione della idoneità lesiva – nei sensi sopra indicati – di un intervento consente anche un corretto bilanciamento dei vari interessi in gioco, che talora può tradursi nel consentire un intervento a prima vista più impattante (come la posa di pannelli fotovoltaici o di un vano ascensore) ma indispensabile per rendere l’immobile concretamente fruibile (ad esempio, perché abitato da un disabile) o energeticamente più efficiente.
14.3.8. Infine si deve evidenziare che la valutazione di compatibilità di un intervento rispetto a un vincolo paesaggistico necessariamente differisce rispetto alla valutazione di compatibilità rispetto a un vincolo culturale, atteso che il primo attiene ad una porzione di territorio (cfr. la nozione di paesaggio come definita dalla Convenzione Europea del paesaggio, ovvero una parte del territorio così come percepita dalle popolazioni, il carattere deriva dall’azione e interazione di fattori naturali e/o umani) connotato perciò da una certa dimensione fisica, mentre il secondo attiene a un singolo bene: la valenza impattante di un singolo intervento è quindi inevitabilmente differente rispetto ai due vincoli. Tale considerazione spiega perché il precedente invocato dall’appellante, di cui alla sentenza n. 9217/2023 di questa Sezione, non si attaglia al caso in esame: occorre infatti rilevare che il principio affermato in quella decisione ( “Seppur astrattamente possa aderirsi all’idea che in un contesto già compromesso dalla presenza di infrastrutture, l’installazione di un nuovo impianto può determinare un impatto cumulativo sull’area vincolata, tale da pregiudicarne l’integrità, appare tuttavia necessario che, a fronte di situazioni che all’apparenza si presentano del tutto identiche (come nel caso di specie), l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo spieghi le ragioni concrete, in rapporto al contesto di riferimento, per cui, a fronte della precedente autorizzazione di un’opera, non debba invece esserne autorizzata una seconda identica per tipologia costruttiva e funzione, che, quantomeno sulla base della rappresentazioni progettuali e salva ogni successiva valutazione da parte dell’ente competente, appare incidere in modo similare sul territorio, anche considerando cumulativamente l’impatto paesaggistico delle due opere.”) si riferiva a un diniego di autorizzazione paesaggistica, che richiede di valutare l’incidenza di un’opera rispetto ad un territorio che ha solitamente dimensioni quantificabili in ettari e che deve essere valutato nel suo insieme: è evidente che, invece, nel caso in cui si tratti di valutare un vincolo culturale, che afferisce a un singolo bene, la preesistenza di interventi che già abbiano compromesso lo stato del bene ha una incidenza molto maggiore e quindi si deve ammettere che, anche in mancanza di prescrizioni di tutela che vietino a priori determinati interventi, la Soprintendenza possa ad un certo momento vietarne di ulteriori, quantomeno quando non si tratti di interventi indispensabili per la fruizione dell’immobile o per l’efficientamento energetico, che costituisce all’attualità elemento di grande rilevanza sia per la proprietà che per la collettività.
14.3.9. Tutto ciò porta a ritenere adeguata, congrua e scevra da vizi logici sindacabili in sede di legittimità, la motivazione adotta dalla Soprintendenza nel preavviso di rigetto e nel diniego di autorizzazione ex art. 21 del D. L.vo n. 42/2004, laddove afferma che l’intervento in esame, in ragione della preesistenza dell’impianto fotovoltaico e di un’altra antenna sulla copertura dell’edificio, comporterebbe “un ulteriore aggravio dell’attuale situazione di degrado”, “mancanza di decoro”, implicando una ulteriore “cumulazione di impatti significativi negativi” connessi al cumulo di “di impianti tecnologici del tutto estranei ai rilevanti caratteri architettonici, figurativi, spaziali e tipologici del bene culturale tutelato”, e conseguente degrado del piano di copertura dell’immobile, che verrebbe ad assumere la funzione di “mero supporto impiantistico incompatibile con le specifiche connotazioni architettoniche e spaziali di tale pregiato edificio rurale tradizionale posillipino…”.
14.3.10. Quanto al fatto che l’intervento in considerazione riguarda un’opera equiparata a quelle di urbanizzazione primaria, connotata da esplicito favor del legislatore europeo e nazionale, il Collegio considera che, diversamente dalle opere di efficientamento energetico e da quelle necessarie per la fruibilità, stabilità, o messa in sicurezza di un edificio, le quali non possono che essere realizzate sull’edificio cui afferiscono, o nelle immediate pertinenze, gli impianti di telecomunicazione in linea di principio possono essere localizzati in qualunque luogo che assicuri la qualità del segnale: pertanto, nel bilanciamento dei contrapposti interessi quello della impresa di telecomunicazione potrà essere ritenuto in tesi non recessivo, rispetto al vincolo monumentale, quando l’impresa di telecomunicazioni dimostri che solo un determinato bene culturale offra la possibilità di garantire l’adeguata copertura del segnale. Una tale situazione, però non è stata nemmeno dedotta da ILIA, nel presente giudizio.
14.3.11. Da ultimo, il Collegio rileva che – anticipando quel che si dirà più diffusamente a breve - gli impugnati atti della Soprintendenza neppure possono ritenersi viziate da disparità di trattamento, in relazione all’autorizzazione già rilasciata alla collocazione dell’impianto fotovoltaico e della palina porta antenne già presente in loco: prescindendo dalla considerazione che l’impianto fotovoltaico é funzionale a migliorare l’efficientamento energetico dell’edificio, occorre rilevare che non risulta che tali opere siano state autorizzate in epoca posteriore al D.M. n. 153 del 2016, sicché la relativa valutazione ha avuto ad oggetto solo la compatibilità con il vincolo paesaggistico,
14.4. Anche il secondo motivo d’appello deve, conclusivamente, essere respinto.
15. Con il terzo motivo d’appello è impugnata la statuizione del TAR che ha respinto il quinto motivo di ricorso, con cui si denunciava discriminazione e disparità di trattamento da parte della Soprintendenza, per il fatto di aver negato il nulla osta in un’area nella quale un analogo impianto è già presente e funzionante: il TAR ha respinto la censura rilevando, da un lato, che l’impianto di telecomunicazione preesistente era stato autorizzato prima della imposizione del vincolo monumentale, dall’altro lato osservando che “un ulteriore impianto di telefonia aggraverebbe l’attuale situazione di degrado e mancanza di decoro del pregiato fabbricato vincolato”.
15.1. Secondo l’appellante tale argomentare non sarebbe condivisibile, tanto più perché “va a discapito di un operatore nuovo entrante, andando a consolidare e rendere “strutturale” il trattamento discriminatorio tra operatori “storici” e il nuovo entrante Iliad, e contribuendo altresì ad aggravare il divario infrastrutturale tra Iliad e gli altri operatori di rete mobile”. ILIAD, in particolare, invoca a sostegno di tale argomento il parere AS1576 del 21 dicembre 2018, reso ai sensi dell’art. 21 bis della L. n. 287/90, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiesto l’annullamento degli atti con cui Roma Capitale aveva negato a ILIAD l’autorizzazione alla installazione di tre nuove antenne su strutture preesistenti di altri operatori, sul presupposto della vicinanza a siti sensibili nel raggio di 100 metri e quindi della sussistenza di una condizione considerata preclusiva dall’art. 4 del “Regolamento per la localizzazione, l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile” di Roma Capitale, che stabiliva il divieto di installare impianti su siti sensibili o comunque a una distanza inferiore a 100 metri, calcolata dal perimetro esterno: l’appellante richiama anche la sentenza del TAR per il Lazio n. 2645/2020, che non risulta essere stata appellata, che, decidendo sul ricorso proposto dall’AGCM, ha riconosciuto l’illegittimità dell’art. 4 del citato Regolamento e dei dinieghi opposti da Roma Capitale a ILIAD.
L’appellante insiste, in particolare, sul fatto che la situazione venutasi a creare creerebbe un ingiustificato squilibrio concorrenziale tra ILIAD, nuovo operatore entrante, e gli altri operatori “storici” di rete mobile, che da tempo hanno installato impianti di telecomunicazione nelle stesse aree nelle quali ILIAD ha necessità di installare i propri impianti.
15.2. Per quanto suggestiva, anche questa censura non merita favorevole apprezzamento.
15.2.1. Il Collegio rileva, in primo luogo, che la vicenda decisa con la sentenza del TAR per il Lazio n. 2645/2020 non è sovrapponibile alla presente, in quanto in quella vicenda venivano impugnati direttamente gli atti che negavano l’autorizzazione alla installazione dell’impianto e le norme regolamentari presupposte, adottate dalla stessa Autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione: in sostanza, ciò che caratterizzava quella situazione era il fatto che il comportamento anticoncorrenziale - integrato dalla mancata delocalizzazione di impianti già esistenti e situati a distanza inferiore a 100 metri rispetto a siti sensibili, e dalla omessa individuazione di siti alternativi, e tutto ciò in violazione delle previsioni del proprio Regolamento – era ascrivibile alla stessa Roma Capitale, cioè all’autorità preposta al rilascio dell’autorizzazione prevista dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche. Nel caso presente, invece, oggetto di impugnazione sono atti autonomi rispetto all’autorizzazione ex artt. 44 CCE – già art. 87 CCE - (autorizzazione paesaggistica; autorizzazione ai fini del vincolo monumentale), che influenzano l’efficacia del provvedimento autorizzativo di competenza comunale: il presunto effetto anticoncorrenziale, pertanto, nella fattispecie non risulta ascrivibile in via diretta all’autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione.
15.2.2. Il TAR Lazio, con la richiamata decisione, ha accolto il ricorso proposto dall’AGCM, ritenendo che l’art. 4 del Regolamento di Roma Capitale integrasse un divieto generalizzato all’allocazione di impianti di telecomunicazione, ma anche in ragione della errata applicazione del Regolamento stesso, che appunto imponeva a Roma Capitale di individuare siti alternativi e di delocalizzare gli impianti già esistenti. Oltre a ciò l’indicata pronuncia ha anche rilevato la violazione dell’obbligo di non discriminazione sancito dall’art. 10 della Direttiva 2002/19/CE.
15.2.3. L’indicata pronuncia va richiamata però cum grano salis. L’art. 10 della Direttiva 2002/19/CE in essa valorizzato pone l’obbligo, per le autorità competenti, di non discriminare gli operatori economici nell’accesso al mercato: l’art. 10 della Direttiva 2002/19/CE si riferisce all’obbligo degli operatori di telecomunicazione di operare in condizioni equivalenti a fronte di circostanze equivalenti, ma senza contenere statuizioni che affermino la necessaria ed inevitabile primazia della tutela della concorrenza a fronte di contrapposti interessi.
15.2.4. Il Collegio ritiene che la tutela della concorrenza non possa risolversi nel concedere sempre e comunque, a un operatore economico, accesso ad un mercato, solo per la ragione che altri operatori economici siano già presenti su tale mercato, quando circostanze concrete e/o interessi contrapposti vi siano di ostacolo. Per tale ragione il provvedimento dell’autorità preposta alla tutela di un vincolo paesaggistico o culturale che, negando l’autorizzazione di propria competenza, di fatto ostacoli l’accesso di un operatore economico a un mercato, non può ritenersi illegittimo per questo solo fatto, ovvero solo in ragione delle conseguenze anticoncorrenziali che il provvedimento negativo è suscettibile in tesi di determinare.
15.2.5. Si evince, infatti, dalla Direttiva 2002/21/CE (che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), che l’installazione di reti di comunicazione elettronica o reti pubbliche di comunicazione non costituisce un diritto incondizionato, per l’operatore economico titolare della relativa autorizzazione generale: infatti, ai sensi dell’art. 11 di tale Direttiva la concessione del diritto di installare strutture su proprietà pubbliche o private deve avvenire in base a “a procedure trasparenti e pubbliche, applicate senza discriminazioni né ritardi; e - rispetti i principi di trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l'esercizio di tali diritti.”: si tratta, dunque, di diritti che possono essere soggetti a condizioni, tali da limitarne il numero e da richiedere l’implementazione di procedure trasparenti e pubbliche per la relativa assegnazione. Anche l’art. 12 della Direttiva conferma indirettamente che l’installazione di strutture di comunicazione elettronica può essere condizionata dalla legislazione nazionale, in particolare “a causa di esigenze connesse alla tutela dell'ambiente, alla salute pubblica, alla pubblica sicurezza o alla realizzazione di obiettivi di pianificazione urbana o rurale”, nel qual caso gli Stati membri possono imporre la coubicazione.
15.2.6. La Direttiva 2002/21/CE, inoltre, all’art. 8 prevede una specifica competenza dell’autorità nazionale di regolazione anche ai fini della tutela della concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, dei servizi di comunicazione elettronica e delle risorse e servizi collegati: alla suddetta autorità spetta, infatti, di garantire “che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche” (art. 8, comma 2, lett. b); rimuovere “gli ostacoli residui che si frappongono alla fornitura di reti di comunicazione elettronica, di risorse e servizi correlati e di servizi di comunicazione elettronica a livello europeo” (art. 8, comma 3, lett. a); garantire “che, in circostanze analoghe, non vi siano discriminazioni nel trattamento delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica”.
15.2.7. Alla luce delle previsioni dianzi richiamate si può affermare:
- da una parte, che la tutela della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche non fa carico alla Soprintendenza;
- la tutela degli interessi lato sensu ambientali può legittimamente costituire giusta ragione di limitazione del diritto alla installazione di strutture di comunicazione elettronica;
- laddove simili provvedimenti rendano difficoltosa l’installazione di strutture di comunicazione elettronica, spetta semmai (oltre che all’Agcm per i profili di sua competenza “trasversale”) all’autorità nazionale di regolazione, che in Italia è l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, assicurarsi che tutti gli operatori abbiano, mediante la coubicazione o l’accesso a procedure selettive, la possibilità di installare le proprie infrastrutture senza subire discriminazioni, anche legate al loro sopravvenuto ingresso nel mercato: l’autorità nazionale di regolazione potrà, a tal fine e con i suoi poteri di advocacy, sollecitare le amministrazioni affinché adottino o modifichino norme che possano promuovere la concorrenza senza sacrificare oltre modo interessi sensibili non meno rilevanti, quali la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, anche nella prospettiva delle generazioni future.
15.2.8. Alla luce delle considerazioni che precedono si deve concludere che gli impugnati atti della Soprintendenza debbono considerarsi legittima esplicazione del potere/dovere di tale Amministrazione di tutelare l’interesse culturale accertato dell’edificio interessato.
16. L’appello va, conclusivamente, respinto.
17. La complessità e novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese relative al presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Stefano Toschei, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere
Giovanni Gallone, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore