Cass. Sez. III Sent. n. 41623 del 20122006 (Ud. 29/11/2006 )
Presidente: Papa E. Estensore: Onorato P.  Imputato: P.M. in proc. Imberti.
(Annulla con rinvio, Trib. Bergamo, sez.dist. Clusone, 16 marzo 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Autovetture dismesse - Natura di rifiuto pericoloso - Sussistenza.

Integra il reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (art. 51 D.Lgs. n. 22 del 1997) l'accumulo di "beni destinati alla rottamazione elencati nel catalogo europeo dei rifiuti (CER), quali i veicoli e i pneumatici fuori uso, le batterie e gli accumulatori, in quanto "beni" destinati allo smaltimento o al recupero delle sostanze per i quali anche il deposito preliminare è soggetto ad autorizzazione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 29/11/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1926
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 14255/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO;
nel processo penale contro:
IMBERTI Claudio, nato a Casnigo il 07/07/1959;
avverso la sentenza resa il 16/03/2005 dal Tribunale monocratico di Bergamo, sezione distaccata di Clusone.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza.
Osserva:
IN FATTO E IN DIRITTO
1 - Claudio Imberti veniva rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, perché - quale titolare di una autocarrozzeria - su un terreno di proprietà di suo padre aveva depositato in modo incontrollato rifiuti speciali provenienti dalla sua attività (parti di autovetture, motori e un veicolo privo di targhe): in Casnigo il 9.5.2003.
Il tribunale monocratico di Bergamo, sezione distaccata di elusone, ha assolto l'imputato ex art. 530 c.p.p., comma 2, con la formula "perché il fatto non sussiste", osservando che restavano forti dubbi sulla natura di rifiuti speciali delle cose depositate nel suddetto terreno, posto che non era stata provato che le stesse cose avessero "l'attitudine alla rottamazione" e possedessero "caratteristiche atte a dimostrare lo stato di incuria ed abbandono che dovrebbero necessariamente qualificare un rifiuto".
2 - Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo ha proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea interpretazione della disciplina sostanziale in materia di rifiuti. In particolare osserva che la sentenza impugnata ha disatteso l'inequivocabile disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, che al comma 3, lett. l) contempla tra i rifiuti speciali proprio i "veicoli a motore, i rimorchi e simili fuori uso e le loro parti".
3 - Il ricorso è fondato.
Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. a) (ora D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, lett. a)) definisce come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi.
In particolare, nell'elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato A, noto come Catalogo europeo dei rifiuti (CER), sono compresi i veicoli fuori uso (16.01.04), i pneumatici fuori uso (16.01.03), le batterie e gli accumulatori (16.06) e simili. Come ha ricordato il pubblico ministero ricorrente, rientrano in queste sostanze anche i velivoli a motore fuori uso e loro parti, che la legge classifica come rifiuti speciali.
Per escludere la natura di rifiuto del veicolo privo di targhe, delle parti di autovetture e dei motori depositati nel terreno limitrofo all'autocarrozzeria gestita dall'imputato - quindi - il giudice di merito avrebbe dovuto accertare che lo stesso imputato non si era disfatto o non aveva deciso di disfarsi dei materiali abbandonati in quel terreno. Ma il giudice non ha affatto compiuto questo accertamento.
Egli, invece, ha preso in considerazione l'attitudine alla rottamazione, che non è requisito propriamente rilevante per la qualità di rifiuto, perché detta attitudine può mancare anche se il detentore si è disfatto o ha deciso di disfarsi delle sostanze. Se con attitudine alla rottamazione il giudice di merito intendeva la destinazione allo smaltimento o al recupero delle sostanze, essa rileva soltanto per qualificare lo stoccaggio delle sostanze come deposito preliminare, che (secondo la definizione di cui alla lettera D15 dell'Allegato B) rientra in una delle operazioni di smaltimento soggette ad apposita autorizzazione, ovvero come messa in riserva, che (secondo la definizione di cui alla lettera R13 dell'Allegato C) rientra in una delle operazioni di recupero ugualmente soggette ad apposita autorizzazione. Orbene, effettuare queste operazioni senza la dovuta autorizzazione integra il reato di cui al D.Lgs n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1).
Ma anche in mancanza di siffatta destinazione (cioè in difetto della predetta "attitudine alla rottamazione") l'attività del titolare di impresa (o del responsabile di ente) che si disfa o intende disfarsi delle sostanze integra il reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2 (ora D.Lgs n. 152 del 2006, art. 256, comma 2), che è appunto il reato contestato.
In secondo luogo il giudice di merito ha preso in considerazione lo stato di incuria o di abbandono delle sostanze, che però non configura in senso proprio un requisito necessario per la qualità di rifiuto. Esso rileva soltanto nel senso testè evidenziato che l'abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti da parte dei titolari di imprese (o dei responsabili di enti) integra il contestato reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2). Ma una ipotesi siffatta è esclusa - cioè è escluso l'abbandono e il deposito diventa controllato - soltanto quando ricorrono i requisiti del deposito temporaneo definiti al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. m) (ora lett. m) del D.Lgs n. 152 del 2006, art. 183, comma 1). Nel caso di specie, però, sembra difettare almeno uno dei requisiti così richiesti, giacché i rifiuti non erano raggruppati nel luogo di produzione, bensì in un'area limitrofa alla autocarrozzeria dell'imputato. E in ogni caso il giudice di merito non ha accertato la ricorrenza degli altri requisiti previsti dalla norma, e segnatamente di quelli temporali.
In conclusione, la sentenza va annullata perché ha assolto l'imputato in violazione della disciplina legale come sopra riassunta. Gli atti vanno quindi trasmessi al giudice a quo per un nuovo giudizio, che dovrà rispettare i principi sopra esposti. 4 - C'è solo da aggiungere qualche precisazione in ordine al regime processuale del presente ricorso.
Il pubblico ministero ha genericamente contestato il deposito incontrollato di rifiuti speciali, senza specificare se erano pericolosi o non pericolosi e quindi se la contravvenzione era punibile con pena congiunta o con pena alternativa, rispettivamente ai sensi delle lettere b) e a) del comma 1, alle quali rinvia il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256). Poiché una simile generica imputazione comprende anche la ipotesi più grave punita con la pena congiunta, si deve ritenere che ai sensi dell'art. 593 c.p.p., nel testo vigente al momento della impugnazione, la sentenza de qua era appellabile, e che per conseguenza la impugnazione proposta ha natura di ricorso per saltum ai sensi dell'art. 569 c.p.p..
Con la ulteriore conseguenza che gli atti vanno trasmessi al giudice competente per l'appello ai sensi dell'ultimo comma dello stesso art. 569 c.p.p..
5 - Vero è che dopo l'entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006, n. 46 il pubblico ministero non può più appellare le sentenze di proscioglimento, quale che sia la pena prevista per la contravvenzione contestata; e che in forza della norma transitoria dell'art. 10, la nuova disciplina si applica anche ai processi in corso.
Ma è altrettanto vero che la trasmissione degli atti alla corte d'appello (che anche dopo la nuova disciplina è sempre competente a giudicare in secondo grado le contravvenzioni contestate in materia di rifiuti) non implica alcuna applicazione della nuova disciplina. In altri termini, al momento della impugnazione doveva applicarsi la disciplina allora vigente, secondo la quale la sentenza di merito era appellabile e il ricorso doveva qualificarsi per saltum; al momento della presente sentenza di annullamento, e del conseguente rinvio al giudice di merito, non si deve fare applicazione di alcune delle norme introdotte dalla nuova L. n. 46 del 2006.
In particolare, non si deve applicare l'art. 1 che, modificando l'art. 593 c.p.p., ha impedito solo l'appello, ma non il ricorso, contro le sentenze assolutorie.
Ma non si deve neppure applicare l'art. 10, comma 2, che impone soltanto la declaratoria di inammissibilità dell'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento (mentre nel caso presente è stato proposto il ricorso); ne' l'art. 10, comma 4, il quale impone soltanto che il giudice di legittimità, qualora annulli, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di secondo grado che abbia riformato una sentenza di assoluzione, debba ugualmente dichiarare inammissibile l'appello a suo tempo proposto contro tale sentenza assolutoria (mentre nella presente vicenda processuale non viene annullata alcuna sentenza di secondo grado e manca qualsiasi atto di appello).
Per queste considerazioni non può essere condivisa la tesi contraria sostenuta da altra sentenza di questa Corte (Sez. 5^, n. 16487 del 3.4.2006, P.M. in proc. D'Ambrosio, rv. 233820), secondo cui, dopo la predetta riforma dell'art. 593 c.p.p., quando la sentenza di proscioglimento di primo grado sia stata impugnata con ricorso immediato per cassazione, l'annullamento con rinvio comporta la trasmissione degli atti al giudice di primo grado e non a quello di appello.
A sostegno di questa tesi la predetta sentenza è costretta sostanzialmente ad ammettere che il principio tempus regit actum si applica in tal caso con riferimento non al momento in cui la parte ha proposto la impugnazione (così come precisato dalla costante giurisprudenza sul punto), ma con riguardo al momento in cui il giudice decide sulla stessa: e ciò perché "il giudizio di secondo grado (non più attivabile per iniziativa del P.M. in caso di assoluzione) finirebbe per essere instaurato a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, annullamento che tuttavia è conseguenza di un'iniziativa del predetto organo dell'accusa". In tal modo però si sottovaluta la significativa circostanza che la corte di appello viene investita della cognizione di secondo grado, non dopo un appello del Pubblico Ministero, ma solo dopo un annullamento della sentenza assolutoria da parte della corte di cassazione (garantendo comunque all'imputato il doppio grado di merito, che seguendo la tesi qui criticata potrebbe diventare triplo, contro ogni principio di economia del processo). Ma soprattutto, in tal modo, si finisce per applicare retroattivamente la nuova norma processuale dell'art. 593 c.p.p. sia contro il principio tempus regit actum, sia contro le norme transitorie della L. n. 46 del 2006, art. 10, che, in quanto derogatorie rispetto a quel principio, non possono essere interpretate al di là del loro significato letterale, come sopra precisato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte d'appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2006