Cass. Sez. III n. 27083 del 4 luglio 2008 (Ud.. 20 mag. 2008)
Pres. Onorato Est. Teresi Ric. Gatti
Rifiuti. Differenze con normativa sulle acque (questione – infondata – di legittimità costituzionale)

E\' manifestamente infondata l\'eccezione di legittimità costituzionale dell\'art. 51 n. 4 del decreto legislativo sui rifiuti n. 22/1997, come sostituito dall\'art. 256 n. 4 d. 19s. n. 152-2006, dedotta per violazione dell\'art. 3 della Costituzione sull\'assunto della disparità del trattamento sanzionatorio previsto dall\'art. 54-2 d.1s. n. 152-1999 [ora art. 133 d. 1s. n. 152-2006], in tema di tutela delle acque dall\'inquinamento, atteso che le situazioni di fatto, nell\'una e nell\'altra ipotesi, sono differenti. Premesso che anche in materia di rifiuti sono previste, come quella della tutela delle acque, sanzioni amministrative per le violazioni meno gravi, va osservato che il legislatore, nello stabilire sanzioni per la violazione delle normative di cui ai suddetti decreti, ha operato una gradazione sulla base di un preciso intendimento di inasprirle per tutti quei reati che, secondo il suo prudente apprezzamento, rendono maggiormente pericolose per la collettività le condotte criminali. Ciò in quanto la disciplina sanzionatoria implica delle scelte tra diverse soluzioni, nessuna delle quali è costituzionalmente imposta, rientrando nell\'esclusivo potere discrezionale del legislatore ordinario regolare e differenziare, nel rispetto del principio di ragionevolezza, la specie e la durata delle sanzioni.

Con sentenza in data 25.09.2007 il Tribunale di Ferrara condannava Gabriele Gatti alla pena dell’ammenda per non avere osservato, quale titolare dell’omonima impresa di messa in riserva e trattamento di rifiuti speciali non pericolosi, le prescrizioni dell’autorizzazione provinciale in data 17.01 .2001 n. 29578 per il mancato rispetto delle distanze tra i cumuli di rifiuti già trattati e la rete di recinzione, sia sul lato fronte strada che sul lato confinante con una vicina abitazione.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 n. 4 del d. lgs. n. 22/1997 [ora art. 256/4 d. lgs. n. 152/2006] con riferimento all’art. 3 cost. perché il trattamento sanzionatorio previsto, in materia di rifiuti, per la violazione delle prescrizioni imposte con l’autorizzazione è difforme dalla previsione dell’art. 54/3 d. lgs. n.152/1999 [ora art. 133 d. lgs. n. 152/2006] che, in analoga fattispecie, prevede una sanzione amministrativa.

Denunciava, poi, violazione di legge per avere la sentenza richiamato soltanto il punto 2.8 dell’autorizzazione provinciale “senza neppure considerare l’art. 28 del medesimo testo normativo che prevedendo la previa diffida alla regolarizzazione, costituisce una fase prodromica necessaria alla contestazione del reato”.

Inoltre, con la sua condotta, priva d’offensività, aveva assicurato un’elevata protezione ambientale.

Rilevava, ancora, l’imputato che, in precedenza, altra violazione delle prescrizioni aveva avuto un diverso trattamento, essendogli stato consentito, previa diffida, di procedere alla regolarizzazione impostagli.

Asseriva, infine, che era “matematicamente impossibile per l’impresa...rispettare le esatte prescrizioni dell’autorizzazione quanto alle dimensioni del cumulo” per assenza di strutture contenitive e per l’impossibilità di stabilire esattamente quali fossero le distanze da rispettare, recando la pianta evidenti incongruenze rispetto alla scala 1:500.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

E’ manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 51 n. 4 del decreto legislativo sui rifiuti n. 22/1997, come sostituito dall’art. 256 n. 4 d. lgs. n. 152/2006, dedotta per violazione dell’art. 3 della Costituzione sull’assunto della disparità del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 54/2 d. lgs. n. 152/1999 [ora art. 133 d. lgs. n. 15212006], in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, atteso che le situazioni di fatto, nell’una e nell’altra ipotesi, sono differenti.

Premesso che anche in materia di rifiuti sono previste, come quella della tutela delle acque, sanzioni amministrative per le violazioni meno gravi, va osservato che il legislatore, nello stabilire sanzioni per la violazione delle normative di cui ai suddetti decreti, ha operato una gradazione sulla base di un preciso intendimento di inasprirle per tutti quei reati che, secondo il suo prudente apprezzamento, rendono maggiormente pericolose per la collettività le condotte criminali.

Ciò in quanto la disciplina sanzionatoria implica delle scelte tra diverse soluzioni, nessuna delle quali è costituzionalmente imposta, rientrando nell’esclusivo potere discrezionale del legislatore ordinario regolare e differenziare, nel rispetto del principio di ragionevolezza., la specie e la durata delle sanzioni.
E’ conforme, quindi, a ragionevolezza e ai principi costituzionali di cui alle richiamate norme, la determinazione legislativa che, apprezzando le esigenze di tutela della collettività, ha dato diverse soluzioni al trattamento sanzionatorio, sicché le eventuali e inevitabili differenze tra gli autori delle violazioni non costituiscono ingiustificate disparità di trattamento, che può dar luogo a illegittimità costituzionale solo quando non trovi giustificazione razionale nella diversità delle situazioni di fatto disciplinate.

Il ricorso, nel resto, non è puntuale perché articola censure in fatto giuridicamente errate che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che, invece, possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

Non è normativamente previsto, anzitutto, che per procedere per la contravvenzione de qua, occorra una previa diffida alla regolarizzazione della violazione [che, invece, opera per l’eventuale revoca dell’autorizzazione], né rileva che, in altra occasione, all’imputato sarebbe stato riservato un diverso
trattamento per essergli stato consentito, previa diffida, di procedere alla regolarizzazione impostagli.

l ricorrente inoltre lamenta, muovendo rilievi sulla ricostruzione del fatto, che i giudici di merito abbiano motivato l’affermazione di responsabilità, non già sulla base di concreti elementi di prova, ma con considerazioni evanescenti.

L’assunto non è fondato essendo la motivazione incensurabile perché adeguata e giuridicamente corretta alla stregua della puntuale valutazione dei dati processuali da cui era emerso, alla stregua delle dichiarazioni rese dai funzionari dell’ARPA, che un cumulo di materiale lavorato fuoriusciva abbondantemente dai limiti indicati nella planimetria allegata all’autorizzazione.

In particolare, la base del cumulo giungeva a ridosso della rete di recinzione della casa di civile abitazione di proprietà del Gatti, mentre la distanza avrebbe dovuto essere di 10 metri e, inoltre, un cumulo era stato ammassato in una zona non prevista nella planimetria allegata all’autorizzazione come adibita a stoccaggio di rifiuti.

Pertanto, correttamente è stato ritenuto che tali decisivi elementi, minimizzati nei motivi di ricorso, depongono inequivocabilmente per la configurabilità del reato [che ha natura formale e prescinde da ipotesi di danno o pericolo] e nel senso che l’imputato l’abbia commesso per non avere osservato le prescrizioni dell’autorizzazione munita di planimetria, che la integrava, della quale, con doglianza articolata in fatto e, quindi, inammissibile, ha contestato la congruenza assumendo apoditticamente che fosse matematicamente impossibile rispettarla.

Inammissibile è la doglianza sulla determinazione della pena perché proposta per la prima volta con i motivi nuovi, che devono avere a oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame [Cassazione SU n.4683/1998, Bono, RV. 210259].

Il rigetto del ricorso comporta l’onere delle spese del procedimento.