Pres. Postiglione Est. Lombardi Ric. PM in proc. Mazzotta
Rifiuti. Discarica abusiva e confisca (applicabilità articolo 324, comma 7 c.p.p.)
Il divieto di restituzione previsto dall'art. 324, comma settimo, c.p.p, si riferisce testualmente alle cose soggette a confisca obbligatoria, ai sensi dell'art. 240, comma secondo, c.p. L'art. 256, terzo comma, del D. L.vo n. 152/06, invece, stabilisce l'obbligo di confisca dell'area adibita a discarica abusiva esclusivamente quale conseguenza di una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p . Orbene, l'estensione della disposizione di cui all'art. 324, comma settimo, c.p.p, a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell'art. 240, comma secondo, c.p., costituisce un'applicazione analogica della norma; estensione analogica che non si palesa corretta sul piano ermeneutico, pur trattandosi di disposizione processuale, dovendo essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve con riferimento alle cose indicate dalla disposizione espressamente richiamata dalla norma che regola il procedimento di riesame
In fatto e in diritto
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di
Lecce, quale giudice del riesame, ha annullato il decreto di convalida
del
sequestro probatorio di un’area di circa 100 mq. adibita a deposito di
copertoni usati, emesso dal P.M. nei confronti di Mazzotta Ornella,
indagata
del reato di cui all’art. 256, comma primo, del D.L.vo n. 152/2006.
Il tribunale del riesame ha osservato che nel
provvedimento di convalida del sequestro non erano state indicate le
specifiche
esigenze probatorie, in funzione delle quali era stata adottata la
misura
reale, essendosi affermato solo che l’area in questione costituisce
elemento
probatorio pertinente al reato, sicché ne doveva essere mantenuto il
sequestro
al fine di consentire l’acquisizione della prova del reato nella fase
dibattimentale; che la citata motivazione del decreto si palesa del
tutto generica ed
apparente, in quanto non risulta soddisfatte l’esigenza, imposta dalla
legge,
che la pubblica accusa espliciti la concreta finalità probatoria
perseguita,
che giustifica l’apposizione del
vincolo
di indisponibilità sulla cosa.
Avverso l’ordinanza
ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica, che la denuncia per violazione
di legge.
Con un unico motivo
di gravame la pubblica accusa
ricorrente osserva, in
sintesi, che l’area della quale era
stato
disposto il sequestro aveva natura di discarica
abusiva, sicché la stessa,
unitamente
ai rifiuti ivi esistenti, costituisce corpo
del reato di cui deve
essere disposta
obbligatoriamente la confisca
ai sensi del D.L.vo
n. 152/06, confisca peraltro
già prevista dal D.L.vo n. 22/97;
che, pertanto, ai sensi dell’art.
324, comma settimo, c.p.p., non poteva essere disposta la restituzione
delle
cose sequestrate alla indagata.
Il ricorso non è
fondato.
Nella specie,
dall’ordinanza impugnata
risulta
che le
indagini avevano ad oggetto
il reato di
cui all’art. 256, comma primo, del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152
(gestione abusiva di rifiuti),
e non l’ipotesi di
cui al terzo comma del medesimo articolo
(gestione
di una discarica).
Né la pubblica accusa
ricorrente può dolersi per la mancata configurazione
da parte dei giudici del riesame
del reato di cui al terzo comma di
detto articolo, in assenza di indicazioni in ordine a detta fattispecie nel
decreto di convalida del sequestro.
In detto
provvedimento, infatti, è stata genericamente configurata la violazione del
disposto di cui all’art. 256 del
D.L.vo
n. 152/06 in relazione alla attività di deposito non controllato di rifiuti speciali
non pericolosi, violazione ricondotta dal comma
2 del
predetto articolo all’ipotesi di cui al comma
primo.
In ogni caso è,
altresì, opportuno precisare in punto di diritto che il divieto di
restituzione
previsto dall’art. 324, comma settimo, c.p.p. si riferisce testualmente
alle cose soggette a confisca
obbligatoria, ai sensi
dell’art. 240, comma secondo, c.p., e, cioè, alle cose: 1) che
costituiscono il prezzo del
reato; 2) (alle cose) la
fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione
o l’alienazione delle quali costituisce
reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
L’art. 256, terzo
comma, del D.L.vo n. 152/06,
invece, stabilisce l’obbligo di confisca dell’area adibita
a discarica abusiva esclusivamente
quale conseguenza
di una sentenza di
condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.. (cfr. per la
non confiscabilità nell’ipotesi di
sentenza di proscioglimento con riferimento ad un’analoga previsione
della confisca obbligatoria nel caso di sentenza
condanna: sez. un. 199300005,
Carnea ed altri, 1W 193119).
Orbene, l’estensione della disposizione di cui all’art. 324, comma settimo, c.p.p. a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell’art. 240, comma secondo, c.p., costituisce un’applicazione analogica della norma; estensione analogica che non si palesa corretta sul piano ermeneutico, pur trattandosi di disposizione processuale, dovendo essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve con riferimento alle cose indicate dalla disposizione espressamente richiamata dalla norma che regola il procedimento di riesame (cfr. per una decisione conforme con riferimento alla previsione della confisca obbligatoria relativa a fattispecie analoga sez. III, 200502949, Gazziero, RV 230868).
La confisca obbligatoria richiamata dall’art.
324, comma 7, c.p.p., infatti, si riferisce, salva la particolare
ipotesi di
cui al numero i del secondo comma, dell’art. 240 c.p., certamente non
riferibile al caso di cui ci si occupa, a cose intrinsecamente
pericolose o
illecite, la cui mera detenzione o uso assume carattere criminoso,
sicché la
restituzione delle stesse determinerebbe la prosecuzione ovvero la
ripresa
dell’attività illecita, che, pertanto, il divieto di restituzione mira
ad
impedire.
Diversamente accade nelle ipotesi di confisca
prevista dalla legge quale conseguenza della sentenza di condanna o di
applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., poiché in dette
ipotesi
la confisca consegue solo all’accertamento che l’uso di determinate
cose sia
avvenuto illecitamente, mentre la detenzione ovvero la disponibilità
delle
stesse, se debitamente autorizzate, non costituisce reato, sicché la
confisca
assolve ad una funzione repressiva dell’uso illecito delle medesime
cose nei
confronti dell’autore della violazione (l’art. 256, comma terzo, del
D.L.vo n.
152/06, infatti, esclude dalla confisca obbligatoria la cosa che non
sia di
proprietà dell’autore o del compartecipe del reato).
Orbene, nella fattispecie di cui si tratta la
gestione dì una discarica, se debitamente autorizzata, non costituisce
reato e,
peraltro, la restituzione dell’area su cui la discarica è stata
realizzata alla
persona indagata non determina di per sé la prosecuzione dell’attività
criminosa., configurandosi quest’ultima solo quale conseguenza della
ripresa
dell’attività illecita di smaltimento dei rifiuti nella medesima area,
pericolo
la cui prevenzione deve essere realizzata mediante la diversa misura
del
sequestro preventivo.
Sicché, in ogni caso, il divieto di
restituzione di cui all’art. 324, comma 7, c.p.p. non poteva essere
esteso alla
ipotesi di confisca obbligatoria citata dal P.M. con riferimento alla
gestione
di una discarica abusiva, né tanto meno ai rifiuti speciali, soggetti
solo a
confisca facoltativa ex art. 240, comma primo, c.p..
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.