Cass. Sez. III n. 31159 del 24 luglio 2008 (Ud 12 giu 2008)
Pres. De Maio Est. Squassoni Ric. Simonetti
Rifiuti. Illecita gestione e buona fede
In tema di illecita gestione di rifiuti si deve escludere l\'ipotesi della buona fede quando la fallace interpretazione del contenuto della autorizzazione e la erronea convinzione di possedere un titolo legittimante è dovuta ad un comportamento colposo poiché in tal caso l\'imputato è venuto meno al dovere, che grava sui privati che svolgono in modo professionale attività normativamente regolate, di accertare con diligenza quale sia la disciplina del settore.
Con sentenza 7 dicembre 2006, il Tribunale di Biella ha ritenuto Simonetti Carla responsabile del reato previsto dall’art. 51 c. 1 lett. a D.L.vo 22/1997 e l’ha condannata alla pena di giustizia.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha rilevato che, in un sito appartenete alla società di cui la imputata era legale rappresentante, giacessero dei rifiuti provenienti da demolizioni edilizie; ha ritenuto che il deposto, non preceduto da autorizzazione, non potesse considerarsi temporaneo sia perché i rifiuti non giacevano nel luogo di produzione sia per il superamento dei tempi di permanenza del materiale.
Il Tribunale ha ritenuto inconferente, ai fini della esclusione dello elemento psicologico del reato, l’esistenza di una autorizzazione comunale rilasciata , in data 23 marzo 1991, a fini diversi da quelli della gestione dei rifiuti.
Per l’annullamento della sentenza, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che la autorizzazione al deposito era stata concessa sotto la vigenza del DRR 915/1982 che non disciplinava il deposito temporaneo come l’attuale normativa: comunque, anche alla luce del D.L.vo 22/1997 la condotta della imputata era legittima perché non vi è la prova del superamento dei limiti temporali;
- che sussistono le condizioni per invocare la buona fede perché l’imputata è stata tratta in errore da comportamenti positivi della Pubblica Amministrazione la quale l’ha autorizzata, con atto del 23 marzo 1991, al deposito temporaneo dei rifiuti;
- che varie missive tra la Provincia ed il Comune (che la imputata produce) dimostravano che la Pubblica Amministrazione riconosceva la legittimità del deposito;
- che, pertanto, la conclusione sulla sussistenza dello elemento soggettivo del reato non è corretta.
Le censure sono manifestamente infondate per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della proponente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma - che la Corte ritiene equo fissare in euro mille - alla Cassa delle Ammende.
All’evidenza, il deposito per cui è processo non poteva qualificarsi temporaneo - e la censura sulla permanenza temporale non è rilevante- in quanto i rifiuti sono stati collocati in luogo diverso da quello della produzione.
In merito alla deduzione inerente alla esistenza della autorizzazione amministrativa, è appena il caso di rilevare come quella agli atti - no 10/1991 - concerneva la costruzione del deposito e non la sua gestione; ciò si evince chiaramente dalla intestazione del provvedimento (“autorizzazione per interventi non costituenti trasformazione edilizia”), dalle norme dì legge richiamate e dalla autorità che l’ha rilasciata (Sindaco).
Sul punto, la imputata allega sostanzialmente di non avere compreso il contenuto ed i limiti della autorizzazione, ma tale tesi difensiva non la giustifica; in ogni caso, quella che la Simonetti reputava una autorizzazione per la gestione dei rifiuti, disciplinata dalla pregressa normativa, era scaduta.
Sul punto, l’art.57 c.3 D.L.vo 22/1997 è chiaro nello indicare come le autorizzazioni rilasciate a sensi del DPR 915/1982 sono valide non oltre il limite di anni quattro dalla entrata in vigore della attuale disciplina.
I documenti che la ricorrente allega per sostenere la sua buona fede, ancorata a provvedimenti positivi della Pubblica Amministrazione, sono inconferenti; ciò sia perché non sono diretti alla Simonetti (trattasi di carteggio tra la Provincia ed il Comune) sia per la circostanza che in due missive si prospettava il problema della esistenza della autorizzazione.
In tale contesto, si deve escludere l’ipotesi della buona fede in quanto la fallace interpretazione del contenuto della autorizzazione e la erronea convinzione di possedere un titolo legittimante è dovuta ad un comportamento colposo; l’imputata è venuta meno al dovere, che grava sui privati che svolgono in modo professionale attività normativamente regolate, di accertare con diligenza quale sia la disciplina del settore.