Cass. Sez. III n. 5315 del 8 febbraio 2007 (cc. 11 ottobre 2006)
Pres. Papa Est. Franco Ric. Doneda
Rifiuti. Materiale estratto da cava

La cosiddetta prima pulitura del materiale estratto dalla cava - la quale rientra nella attività di estrazione latamente considerata e per tale ragione è sottratta alla applicazione della disciplina sui rifiuti ai sensi dell'art. 185, coma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - non è costituita soltanto dalla pulitura effettuata mediante grigliatura a secco o setacciatura, ma può essere costituita anche dalla pulitura effettuata mediante lavaggio, con la conseguenza che anche i rifiuti, ed in particolare i fanghi e limi, derivanti dalla prima pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo sfruttamento delle cave non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152.


Camera di consiglio dell' 11.10.2006
SENTENZA N. 966
REG. GENERALE n. 24759/2006

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori
 

Omissis

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 
sul ricorso proposto da Doneda Claudio;

avverso l'ordinanza emessa il 12 aprile 2006 dal tribunale di Bergamo, quale giudice del riesame;


udita nella udienza in camera di consiglio dell'11 ottobre 2006 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;


udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;


udito il difensore avv. Renato Borzone;


Svolgimento del processo


Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Bergamo, quale giudice del riesame, confermò il decreto emesso il 6 aprile 2006 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bergamo, che aveva disposto il sequestro preventivo, in riferimento al reato di cui all'art. 51, terzo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, di due vasche di decantazione riempite con limo.


Osservò il tribunale che il fango in questione costituiva il residuo del lavaggio del materiale estratto dalla cava e quindi costituiva un rifiuto perché l'art. 8, lett. b), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, riguarda i rifiuti provenienti dallo sfruttamento della cava, ossia dalla attività estrattiva, nella quale non è compresa anche la attività successiva all'estrazione, oltre la prima setacciatura (che consente di separare il materiale commerciale da quello non commerciale). Nella specie si trattava invece di un lavaggio del materiale estratto e quindi non di semplice setacciatura, il che significa che del materiale estratto veniva eseguita una lavorazione successiva all'estrazione. Lo scarto di questa lavorazione costituisce quindi rifiuto speciale. Osservò poi il tribunale che non vi era prova che il riempimento delle vasche con il limo costituisse riutilizzo dello stesso per il recupero ambientale della cava né che il limo venisse riversato proprio nelle zone escavate al fine di riempirle e che le vasche sequestrate costituissero zone previamente escavate nell'ambito della attività estrattiva e poi recuperate ambientalmente mediante il loro riempimento con il limo. Nemmeno vi era prova che questa attività di recupero ambientale costituisse riutilizzo nel ciclo produttivo della cava, giacché il ripristino ambientale esula dal ciclo produttivo della cava, né vi era prova della incompatibilità tra l'attività di recupero ambientale e la gestione di una discarica autorizzata.


L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo:


a) immediata declaratoria di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. per sopravvenuta abrogazione dell'art. 51 d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che il fatto sia previsto come reato dalla nuova normativa. Osserva che l'art. 183, primo comma, lett. n), del d. 1gs. 152/2006 ha introdotto il concetto di «sottoprodotto», non soggetto alle disposizioni sui rifiuti ove del sottoprodotto l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi, ed in particolare il sottoprodotto venga impiegato direttamente dall'impresa che lo produce, senza necessità di trasformazioni preliminari, in un successivo processo produttivo. Si tratta di ciò che avviene nella specie, perché l'impresa utilizza i limi, prodotti dal lavaggio degli inerti estratti dalla cava, una volta decantati ed asciugati, per utilizzarli ai fini di recupero della cava stessa.


Ricorda altresì che l'art. 186, primo comma, d.lgs. 152/2006 dispone che le terre e rocce da scavo ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo riutilizzo per reinterri e riempimenti non costituiscono rifiuti nel caso in cui siano utilizzati senza trasformazioni preliminari secondo le modalità previste nel progetto approvato e sempre che la composizione media non sia inquinata oltre i limiti previsti. Nella specie non è mai stato contestato che i limi in questione contengano sostanze inquinanti e superino i valori previsti. Il comma 5 del medesimo art. 182, dispone poi che per i materiali in questione si intende per effettivo utilizzo per reinterri e riempimenti anche il riempimento di cave coltivate, e cioè appunto l'attività cui i predetti limi sono destinati ed in concreto utilizzati, conformemente alle previsioni delle convenzioni per il recupero ambientale.


L'affermazione della ordinanza impugnata secondo cui l'attività di recupero ambientale non sarebbe provata, è poi smentita dal fatto che una delle due vasche sequestrate, in quanto già riempita, è chiusa e ricoperta con terra nell'area già assoggettata ad escavazione. Le vasche hanno infatti una durata connessa al loro riempimento e vengono sostituite da nuove vasche attigue.


E' poi erronea la nozione di «prima pulitura» - secondo cui essa avverrebbe solo mediante grigliatura a secco e non mediante lavaggio - utilizzata dal tribunale per escludere che i limi risultanti dal lavaggio siano il risultato dello «sfruttamento delle cave», che l'art. 8, lett. b), d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, esclude dal regime dei rifiuti. I frutti della attività di escavazione non sono menzionati dall'attuale art. 185, che delimita il campo di applicazione della normativa sui rifiuti e sostituisce l'art. 8, ma sono assoggettati alla apposita normativa dell'art. 186.


b) inosservanza dell'art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. per omesso esame ed omessa motivazione circa una causa di non punibilità, e conseguente erronea applicazione dell'art. 14, comma 2, d.l. 138/2002, convertito nella l. 178/2002. Lamenta che l'ordinanza impugnata non ha speso neppure una parola sul rigetto dei due motivi illustrati in udienza e risultanti dal relativo verbale. Si tratta di una assoluta mancanza di motivazione deducibile in questa sede. La citata disposizione, invero, prevede che non ricorre la fattispecie di cui alle lett. b) e c) del primo comma (casi in cui il soggetto abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi della sostanza) per materiali e sostanze residuali di produzione e consunto se gli stessi possono essere e sono effettivamente riutilizzati nel medesimo o in diverso ciclo produttivo senza subire alcun intervento di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, ovvero dopo aver subito un trattamento preventivo senza alcuna operazione di recupero tra quelle di cui all'allegato C. Sulla base di questa norma di interpretazione autentica i limi in questione, in quanto riutilizzati nel ciclo produttivo relativo al recupero della cava, senza trattamento e senza pregiudizio per l'ambiente, non costituiscono rifiuto.


c) inosservanza dell'art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. per omesse esame ed omessa motivazione circa l'errore inevitabile, e conseguente erronea applicazione dell'art. 5 cod. pen. Lamenta che il tribunale del riesame non ha risposto alla eccezione di errore scusabile perché l'attività in questione è soggetta alla disciplina di cui alla legge regionale lombarda n. 14/1998, il cui art, 15 regola non solo l'attività di escavazione ma anche le opere di riassetto ambientale. Il recupero della cava mediante le vasche di decantazione. quindi, é soggetto sia a questa normativa, sia (secondo la tesi accusatoria) alla disciplina sui rifiuti, sia alle norme tecniche per le costruzioni, che per il materiale in questione rinviano alle norme europee e nazionali, che per le ghiaie per calcestruzzo prescrivono rigorosi limiti di ammissibilità di polveri, che possono essere ottenuti solo con lavaggio delle ghiaie e conseguente produzione di limo. Tale complesso di norme, difficilmente conciliabili tra loro, configura sicuramente una ignoranza inevitabile, e quindi scusabile.


Motivi dello decisione


Rileva il Collegio come il punto preliminare e principale per la soluzione della questione sottoposta al suo giudizio sia stabilire se il concreto caso in esame rientri o meno nella fattispecie prevista e disciplinata dalla disposizione di cui all'art. 8, comma 1, lett. b), del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ora trasfusa nell'art. 185, comma 1, lett. d), del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (recante Norme in materia ambientale).


Disponeva, invero, l'art. 8, comma 1, lett. b), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che «Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto .., in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: ... b) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave».


Dispone ora l'art. 185, comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che «Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:.... d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave».


Si tratta quindi di stabilire se, nella concreta fattispecie in esame, i limi provenienti dal primo lavaggio del materiale estratto dalla cava costituiscano o meno «rifiuti risultanti dallo sfruttamento della cava» stessa e, quindi, in quanto tali, non soggetti alle norme generali in materia di smaltimento di rifiuti ma alle norme speciali in materia di miniere, cave e torbiere.


L'ordinanza impugnata ha, in via astratta e generale, ritenuto che i «rifiuti risultanti dallo sfruttamento delle cave» sono i rifiuti provenienti dalla attività estrattiva, nella quale potrebbe rientrare esclusivamente la c.d. prima setacciatura, ossia l'attività che consente di separare il materiale commerciale da quello non commerciale, e non anche l'attività di lavaggio del materiale estratto, la quale invece sarebbe funzionalmente diversa dalla prima setacciatura e non rientrerebbe quindi nella attività estrattiva, ma sarebbe estranea e successiva alla estrazione. Sulla base di questo assunto il tribunale del riesame ha ritenuto che, nel caso in esame, i limi risultanti dalla attività di lavaggio del materiale estratto dalla cava non potrebbero comunque rientrare tra i rifiuti esclusi dalla disciplina generale sui rifiuti ai sensi delle disposizioni dianzi citate.


Si tratta però di un assunto che non può essere condiviso in quanto effettivamente non si vede la ragione per la quale la «prima pulitura» del materiale estratto, necessaria per separare il materiale commerciale, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa invece avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio, il quale quindi non rientrerebbe mai nella prima pulitura del materiale estratto bensì costituirebbe, a differenza della setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria.


E' vero che, a sostegno di questo assunto, la ordinanza impugnata ha richiamato una decisione di questa sezione, e precisamente la sent. 29 ottobre 2002, n. 42949, Totaro, m. 222.968. Sennonché, a ben vedere, si tratta di una decisione che non è adattabile al caso in esame, perché essa riguardava non già i fanghi provenienti dal primo lavaggio del materiale estratto dalla cava, bensì «il materiale fangoso proveniente dall'impianto di lavaggio di materiali inerti della ... ditta .... derivanti dall'attività di demolizione della cava» (si veda la motivazione e non la sola massima). In ogni caso, quand'anche questa decisione avesse affermato il principio che anche i fanghi provenienti dal primo lavaggio del materiale estratto dalla cava non rientrano nella esclusione di cui all'art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, si tratterebbe di un orientamento che il Collegio ritiene che non possa essere seguito perché ormai superato da un più recente e motivato orientamento (relativo proprio a fanghi derivanti dal lavaggio di materiali di cava), che qui deve essere confermato, secondo il quale i materiali derivanti dallo sfruttamento delle cave quando restano entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura, sono esclusi dalla normativa sui rifiuti, mentre, poiché l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale (Sez. III, 28 novembre 2005, n. 42966, Viti, m. 232.243).


In particolare, questa decisione, dopo aver premesso che la norma «contenuta nell'art. 8, sub h, d.l.vo 22/1997 (ripetitiva della formula indicata dall'art. 2 c. 7 lett. b della direttiva 75/442 CEE ...) ... deve essere letta secondo una interpretazione di stretto diritto trattandosi di una eccezione alla regola generale sulla gestione dei rifiuti», ha affermato che «il termine "sfruttamento" deve essere inteso come estrazione del materiale di cava da considerarsi, secondo il codice civile (art. 820 c.c.), un frutto naturale della stessa; le espressioni "trattamento ed ammasso" devono essere collegate alle "risorse naturali" e non alla intera attività conseguente allo sfruttamento della cava (Cass. Sezione terza sentenza 9333/1996). Pertanto, la deroga in oggetto è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva i quali restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere. Più precisamente, sono esclusi dalla normativa del DPR 22/1997 solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali. Se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica é regolato dalla disciplina generale (Cass. Sezione terza sentenza 11538/1994). In base a tali principi, la Corte ritiene che i fanghi per cui è processo rientrino nella ricordata deroga in guanto provenienti dalla prima pulitura connessa alla attività estrattiva ... e, di conseguenza, derivano direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva lavorazione delle materie prime. Tale conclusione è confortata dalla normativa con la quale è stata ulteriormente integrata la disciplina in materia; la l. 93/2001 ha aggiunto all'art. 8 una nuova disposizione sotto la lettera f bis (che esclude dalla applicazione del D.L.vo 22/1997 'le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti"). Nel caso concreto, il Tribunale ha dato atto ... che il materiale in oggetto non proveniva da siti inquinati e del suo comprovato riutilizzo; tale nozione (per interpretazione autentica effettuata con l'art. 1 c, 19 L. 443/2001) comprende il riempimento delle cave coltivate.


In conclusione, deve ritenersi errata l'interpretazione adottata dalla ordinanza impugnata secondo la quale la prima pulitura, rientrante nell'ambito della attività estrattiva vera e propria, comprenderebbe soltanto la prima setacciatura e la prima grigliatura a secco, e non anche la prima pulitura effettuata mediante lavaggio del materiale estratto, la quale invece costituirebbe attività diversa e successiva, non rientrante quindi nello sfruttamento della cava.


Al contrario, deve ribadirsi il principio già contenuto nella sentenza ricordata, secondo cui la cosiddetta prima pulitura del materiale estratto dalla cava - la quale rientra nella attività di estrazione latamente considerata e per tale ragione è sottratta alla applicazione della disciplina sui rifiuti ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b), del d.Igs. 5 febbraio 1997, n. 22, ed ora dell'art. 185, comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - non è costituita soltanto dalla pulitura effettuata mediante grigliatura a secco o setacciatura, ma può essere costituita anche dalla pulitura effettuata mediante lavaggio, con la conseguenza che anche i rifiuti, ed in particolare i fanghi e limi, derivanti dalla prima pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo sfruttamento delle cave non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.


Essendo partito dalla suddetta erronea interpretazione della normativa vigente, il tribunale del riesame ha omesso di esaminare se, nel concreto caso di specie, i limi costituissero effettivamente il materiale fangoso derivante dalla prima pulitura del materiale estratto dalla cava ovvero rappresentassero il risultato di una differente attività di pulizia e lavaggio, successiva alla prima pulitura e diretta ad una funzione differente, e come tale ontologicamente diversa e successiva alla attività di estrazione del materiale e di sfruttamento della cava. In quest'ultimo caso, invero, dovrebbe applicarsi il principio, pure affermato dalla ricordata decisione, secondo cui, quando si esula dal ciclo produttivo e di sfruttamento della cava, i rifiuti derivanti dalla lavorazione successiva dei materiali estratti non rientrano più nell'ambito delle esclusioni stabilite dalla disposizioni richiamate, e quindi il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale.


Ritiene quindi il Collegio che la ordinanza impugnata debba comunque essere annullata con rinvio perché il tribunale del riesame accerti se, come sostiene la difesa, i fanghi in questione derivino effettivamente dalla prima pulitura del materiale estratto ovvero si tratti del risultato di una lavorazione diversa e successiva alla prima pulitura.


Tutte le questioni relative alla applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 183 (sottoprodotti) e 186 (terre e rocce da scavo e residui della lavorazione della pietra) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, restano quindi assorbite. E' forse solo opportuno precisare, sotto quest'ultimo profilo, che il citato art. 186 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nel quale è stata trasfusa la disposizione già contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. f bis), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dall'art. 10, comma 1, della l. 23 marzo 2001, n. 93, ed interpretata dall'art. 1, comma 17, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), stabilisce ora che «le terre e rocce da scavo anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto sola nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, semprechè la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3» (comma 1), mentre il comma 2 precisa che «ai fini del presente articolo, le opere il cui progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale costituiscono unico ciclo produttivo, anche qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti utilizzi, a condizione che tali utilizzi siano tutti progettualmente previsti», ed il comma 5 puntualizza, a sua volta, che «per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il riempimento delle cave coltivate oppure la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, qualora ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato».


A questo proposito l'ordinanza impugnata, pur avendo fatto riferimento alle norme precedentemente vigenti, ha affermato che non vi sarebbe prova che il limo in questione venga ricollocato proprio nella vasche escavate al fine di riempirle, anziché in vasche appositamente create per lo stoccaggio del limo. Sennonché, a parte il fatto che l'eventuale ricollocazione in altro sito non escluderebbe ora la possibilità che sia egualmente configurabile un effettivo riutilizzo ai sensi del comma 5 del citato art. 186, va osservato, da un lato, che si tratta di una motivazione meramente apparente ed apodittica, e quindi inesistente, dal momento che non viene spiegato per quale ragione nel caso concreto il deposito dei limi in vasche (di cui una già chiusa e ricoperta con terra) che comunque si trovavano nell'area assoggettata ad escavazione non costituirebbe attività di riempimento della cava, e, dall'altro lato, che non è stato indicato nessun elemento da cui poter presumere una effettiva destinazione del limo a diversa utilizzazione.


Quanto poi ai dubbi che l'ordinanza impugnata esprime circa il fatto che i fanghi siano riutilizzati nel ciclo produttivo della cava, va anche qui rilevato, da un lato, che se il ripristino della cava costituisce una condizione necessaria posta dalla competente autorità amministrativa per lo sfruttamento della cava stessa, non può escludersi che il suo riempimento costituisca una fase del ciclo produttivo relativo al suo sfruttamento, e, da un altro lato, che la questione deve comunque essere riesaminata alla luce dei commi 2 e 5 del citato art. 186.


Non si comprende facilmente infine il significato della frase contenuta nella ordinanza impugnata secondo cui l'attività di recupero ambientale attraverso il riempimento con il limo non sarebbe di per sé incompatibile con la gestione di una discarica autorizzata, giacché ciò che rileva non è la compatibilità - ovviamente in astratto sempre sussistente - tra il riempimento e la presenza di una autorizzazione alla gestione di una discarica, bensì l'applicabilità delle disposizioni legislative dianzi richiamate e quindi, appunto, la sussistenza o meno dell'obbligo di richiedere tale autorizzazione.


L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale del riesame di Bergamo, mentre gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.


Per questi motivi


La Corte Suprema di Cassazione


annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Bergamo.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, l' 11 ottobre 2006,


L' estensore              Il presidente
 Amedeo Franco                    Enrico Papa