Cass. Sez. III n.41836 del 7 novembre 2008 (Ud. 30 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Castellano
Rifiuti. Sottoprodotti e materie secondarie

I residui da demolizione devono essere considerati "rifiuti" e non sottoprodotti allorquando difettino dei requisiti di legge e quando l\'interessato non assolva all\'onere di fornire la prova che detto materiale sia destinato con certezza, e non come mera eventualità, ad un utilizzo ulteriore (ad esempio, attraverso specifica ed espressa previsione nel progetto autorizzato con il titolo abilitativo edilizio).
I requisiti delle materie prime secondarie sono attualmente fissati, con previsione diretta, dal D.Lgs. n. 4/2008 e non devono più essere evinti per deduzione dalle prescrizioni del D.M. 5.2.1998: ad essi deve adeguarsi l\'emanando decreto ministeriale previsto dal 2° comma dello stesso art. 181 bis e sempre essi devono essere utilizzati quali criteri di riferimento per individuare quali possano essere considerate "materie prime secondarie", in via transitoria (art. 181 bis, comma 3), tra le numerose tipologie di materiali previste dal D.M. 5.2.1998 (e dall\'altra normativa secondaria vigente per i rifiuti pericolosi in genere e specificamente per i rifiuti pericolosi provenienti dalle navi).

Il G.I.P. del Tribunale di Taranto, con sentenza del 7.6.2007, pronunziata in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, affermava la responsabilità penale (anche) di Castellano Maria Addolorata in ordine al reato di cui:
-- all’art. 51, 2° comma, del D.Lgs. n. 2211997 [trasfuso nell’art. 256, 2° comma, del D.Lgs. n. 152/2006], per avere — nella qualità dì legale rappresentante della s.r.l. “Castellano Arredamenti” — abbandonato e concorso ad abbandonare in modo incontrollato, in un fondo di proprietà societaria, rifiuti speciali non pericolosi consistenti in scarti della lavorazione del marmo e residui da demolizione in conglomerato cementizio rinforzato con rete metallica - (acc. in Massafra, il 20.3.2006)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, la condannava alla pena di euro 3.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore della Castellano, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
— la erronea qualificazione come “rifiuti” dei materiali rinvenuti dai verbalizzanti, poiché l’area in cui essi erano stati depositati era interessata da un cantiere edilizio per la costruzione di un fabbricato industriale e gli stessi consistevano (oltre che in terre da scavo provenienti dalla realizzazione delle opere di fondazione) in residui da demolizione di un preesistente riassetto in calcestruzzo, destinati al reimpiego per il riempimento del fosso perimetrale al costruendo edificio. Sulla stessa area era stato consentito, inoltre, ad un’adiacente marmeria (la s.r.l. “Pavinmarmo”, legalmente rappresentata da Pertini Antonio, condannato quale concorrente nella medesima contravvenzione), di depositare spezzoni derivanti dai tagli di prima lavorazione di lastroni di marmo, che costituirebbero materia prima per la realizzazione di pavimenti in gettata con conglomerato cementizio.
Quanto sopra era stato evidenziato in una relazione della Polizia provinciale di Taranto, redatta l’1.6.2006 per incarico del P.M. ed acquisita al fascicolo del dibattimento, della quale il giudicante incongruamente non avrebbe tenuto conto.

MOTIVI DELLA DECISIONF
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.

1. I materiali di risulta da demolizioni
Deve evidenziarsi, anzitutto, che — nella fattispecie in esame — non è stata pronunciata condanna per “il materiale calcareo frammisto a terreno proveniente da scavo” che pure venne reperito nel fondo in oggetto all’epoca dell’accertamento.
Ciò esonera il Collegio da ogni valutazione riferita alla disciplina delle terre e rocce da scavo.

1.1 Quanto, invece, ai rinvenuti residui da demolizione consistenti in “pezzi di conglomerato cementizio rinforzato con rete metallica”, va rilevato che — ai sensi dell’art. 7, 3° comma - lett. b), del DLgs. n. 2211997 e dell’art. 184, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 — sono rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività dì demolizione, costruzione..”
In relazione ai residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego, questa Sezione:

-- in alcune decisioni ha ritenuto possibile il loro riutilizzo, nello stesso od in diverso ciclo produttivo, solo quale attività di recupero (così Cass., Sez. III: 9.7.2004, n. 30127, Piacentino; 15.6.2005, n. 22511, Venticinque);
-- con la sentenza 2.10.2003, n. 37508, Papa, si è espressa nel senso che “i materiali inerti derivanti dalla demolizione di un manufatto e reimpiegati nell’ambito dello stesso cantiere non assumono la natura di rifiuto, stante la interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nell’art. 14 del D.L. 8.7.2002, n. 138, convertito con legge 8.8.2002, n. 178, atteso che sono conseguenza di un processo di produzione, comprendente la demolizione del manufatto ed il reimpiego integrale sul posto, e l’assenza di prova di un reale pericolo per l’ambiente”;
-- con la sentenza n. 46680 dell’ 1.12.2004, Falconi ed altri, ha ribadito l’applicabilità dell’art. 14 del D.L. n. 138/2002, a condizione che risultassero certi: a) l’individuazione del produttore e/o detentore dei materiali, b) la provenienza degli stessi, c) la sede ove sono destinati, d) il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo;
-- con le sentenze 9.10.2006, n. 33882, P.M. in proc. Barbati; 12.12.2006, n. 40445, Bisogno; 5.4.2007, n. 14185, Brugnera ed altro, ha rilevato che il materiale proveniente da demolizioni non può qualificarsi “materia prima secondaria”, ai sensi dell’art. 181, commi 6 e 13, del D.Lgs. n. 152/2006;
-- con la più recente sentenza 7.4,2008, n. 14323, ha affermato il principio secondo il quale i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati “sottoprodotti”, ai sensi dell’art. 183, lett. n), del DlLgs. n. 152/2006, soltanto a condizione che:
- il loro utilizzo sia certo e avvenga direttamente ad opera dell’azienda che li produce;
- gli stessi materiali non vengano sottoposti a trasformazioni preliminari;
- l’utilizzazione non comporti condizioni peggiorative per l’ambiente o la salute.

1.2 Nella vicenda in esame [ove l’accertamento del reato è intervenuto in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152] va esclusa la possibilità di ricondurre la fattispecie alle previsioni dell’art. 14 del D.L. 8.7.2002, n. 138, convertito nella legge 8.8.2002, n. 178 (sarebbe erroneo soffermarsi, pertanto, sulla “vexata quaestio” concernente l’applicabilità di tale disposizione normativa a fronte delle contrastanti disposizioni comunitarie), in quanto manca la dimostrazione oggettiva che i reperiti pezzi di conglomerato cementizio rinforzato con rete metallica fossero certamente ed effettivamente destinati ad essere riutilizzati nell’attività costruttiva che si riferisce essere stata iniziata in quel sito (ma in relazione alla quale nulla è dato conoscere circa le caratteristiche di progettazione e lo stato dei lavori] senza subire alcun intervento preventivo di trattamento, ovvero dopo avere subito un trattamento preventivo, ma senza la necessità di alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’Allegato C) del D.Lgs n. 22/1997.

1.3 I residui da demolizione in oggetto, poi, devono essere considerati “rifiuti” anche in relazione allo ius superveniens, in quanto essi non appaiono riconducibili al regime eccettuato previsto per i sottoprodotti.
L’art. 183, comma 1- lett. n), del D.Lgs n.152/06, nella formulazione originaria, definiva sottoprodotti “i prodotti dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo”, precisando che non erano soggetti alle disposizioni della parte quarta i sottoprodotti “impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo” e che “l’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale”.
L’attuale art. 183, comma 1- lett. p), del D.Lgs n.152/06 (riscritto dall’art. 2, comma 20, del D.Lgs. n. 4/2008] qualifica come sottoprodotti “le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a). che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato”.
Non è prescritta, dunque una necessaria contestualità tra produzione e riutilizzo del sottoprodotto, ma viene imposto all’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza, e non come mera eventualità, ad un utilizzo ulteriore.
Alla stregua della normativa anzidetta, deve ribadirsi che, nella vicenda che ci occupa. pure tenendosi conto della relazione redatta dalla Polizia provinciale di Taranto, in data 1.6.2006, per incarico del P.M., risulta soltanto asserito (cioè riferito agli agenti accertatori) - ma non dimostrato (ad esempio, attraverso specifica ed espressa previsione nel progetto autorizzato con il titolo abilitativo edilizio) - che i residui da demolizione fossero destinati, sin dalla fase della loro produzione, al preventivamente individuato integrale riutilizzo per reinterro, senza trasformazioni preliminari e senza compromissione della qualità ambientale.

2. Gli spezzoni derivanti dai tagli di prima lavorazione di lastroni di marmo

2.1 Anche per gli spezzoni di marmo non sono applicabili, nella specie, le previsioni dell’art. 14 del D.L n. 138/2002, convertito nella legge n. 178/2002, in quanto manca la dimostrazione che essi potessero essere o fossero effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo od in diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente, ovvero dopo avere subito un trattamento preventivo, ma senza la necessità di alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’Allegato C) del D.Lgs. n. 22/1997.

2.2 Detti spezzoni neppure possono essere qualificati “sottoprodotti” nella fattispecie in esame, perché, pure qualora si voglia ritenere che essi abbiano un valore economico di mercato:
-- il loro impiego non risulta “certo ed integrale” sin dalla fase della produzione, non avviene direttamente nel corso del processo di produzione e non è previsto che avvenga nel corso di altro processo di utilizzazione preventivamente individuato e definito;
-- non risulta altresì che essi:
a) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati;
b) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui sopra, ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione,

2.3 Gli spezzoni di marmo in oggetto non possono altresì essere considerati “materia prima secondaria”, secondo la disciplina vigente a decorrere dall’entrata in vigore del DLgs. n. 152/2006 [pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 96/L del 14.4.2006].
L’art. 181, comma 6, di tale D.Lgs. (nella formulazione originaria) prevedeva la possibilità di ottenere materie prime secondarie attraverso attività di recupero — in attesa dell’emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio — rinviando alle disposizioni previste dal D.M. 5.2.1998 e disponendo che materie siffatte fossero sottoposte al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, purché avessero le caratteristiche indicate da quel decreto ministeriale e fossero “direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo”.
Nella vicenda che ci occupa la previsione normativa in oggetto non è applicabile, poiché non risulta che gli spezzoni di marmo fossero direttamente destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego in un ciclo produttivo. Essi, inoltre, non costituivano il risultato di una operazione di recupero giunta al suo completamento, come richiesto dal comma 12 dell’originario art. 181.
Il D.Lgs. 16.1.2008, n. 4 ha modificato l’art. 181 (riducendolo a soli tre commi ed eliminando, in particolare, la disposizione anzidetta) e nell’art. 181 bis, di nuova introduzione, ha fissato requisiti e condizioni che debbono sussistere perché un materiale possa essere considerato non un rifiuto ma una materia prima secondaria.
Alla stregua della più recente normativa:
-- deve trattarsi di materie e sostanze prodotte da un’operazione dì riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
-- devono essere individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;
-- devono essere individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
-- devono essere precisati i criteri di qualità ambientale; i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto;
-- le materie e sostanze devono avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato.
I requisiti delle materie prime secondarie, dunque, sono attualmente fissati, con previsione diretta, dal D.Lgs. n. 4/2008 e non devono più essere evitai per deduzione dalle prescrizioni del D.M. 5.2.1998: ad essi deve adeguarsi l’emanando decreto ministeriale previsto dal 2° comma dello stesso art. 181 bis e sempre essi devono essere utilizzati quali criteri di riferimento per individuare quali possano essere considerate “materie prime secondarie”, in via transitoria (art 181 bis, comma 3), tra le numerose tipologie di materiali previste dal D.M. 5.2.1998 (e dall’altra normativa secondaria vigente per i rifiuti pericolosi in genere e specificamente per i rifiuti pericolosi provenienti dalle navi).
Anche in relazione a tali più recenti disposizioni gli spezzoni di marmo in oggetto non possono essere considerati materia prima secondaria, poiché non prodotti “da un’operazione di
riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti”.

2.4 Appare opportuno rilevare, infine, che non riguardano la fattispecie accertata le disposizioni di cui all’art. 6, 1° comma - lett. m), del D.Lgs. n. 22/1997 [attualmente art. 183, 1° comma - lett. m), del D.Lgs. n. 152/2006], sia perché tali disposizioni sono riferite al deposito temporaneo dei rifiuti effettuato, prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti sia perché esse sono subordinate al rispetto di determinate condizioni alcune delle quali, nel caso in esame, non risultano osservate [in particolare: termini di durata e scadenze temporali per l’avviamento alle operazioni di recupero o di smaltimento (al fine di assicurare l’effettiva temporaneità); tenuta dei registri di carico e scarico].

3 Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.