Cass.Pen. Sez. III n. 42236 del 17 ottobre 2023 (PU14 set 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric.Dall'O
Rifiuti.Amministratore di diritto ed omesso controllo sull’attività dell’amministratore di fatto

Il principio secondo cui risponde del reato contravvenzionale posto in essere dall'amministratore di fatto di una società anche l'amministratore di diritto della stessa qualora abbia omesso, sia pure per colpa, di esercitare il necessario controllo sull'attività del primo, attesa la natura anche colposa della fattispecie trova applicazione applicazione in materia di reati ambientali e prevenzionistici. Un parametro di valutazione circa l'effettiva e concreta possibilità di impedire la consumazione del reato posto in essere dall'amministratore di fatto può essere offerto dalle disposizioni di cui all'art. 6 D.lgs. n. 231 del 2001, in tema di esclusione della responsabilità dell'ente per il reato commesso dall'amministratore e dalle persone sottoposte alla sua direzione e vigilanza

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 dicembre 2022, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del 9 settembre 2021 del Tribunale di Alessandria, revocava le statuizioni civili disposte nei confronti di un coimputato non ricorrente, confermando invece nel resto l’impugnata sentenza che aveva riconosciuto colpevole la ricorrente DALL’O Vittoria – che condannava al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite – per i reati ambientali contestati (capi 1, 2, 6 e 7) nonché per i reati prevenzionistici oggetto di contestazione (capi 4, 5, 9 e 10) oltre che per il reato di cui all’art. 20, D.lgs. 139 del 2006 (capi 3 ed 8), irrogando una pena finale di mesi 7 e gg. 15 di arresto, subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno alla provincia di Alessandria ed al pagamento della provvisionale disposta in favore del comune di Sale, oltre al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, la predetta propone ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo cinque motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 27 Cost. ed agli artt. 256, co. 1, lett. a) e co. 4, D.lgs. n. 152 del 2006 a titolo di responsabilità oggettiva e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità penale della ricorrente per i reati di cui ai capi 1, 2 e 7 dell’impugnata sentenza.
In sintesi, sostiene la difesa della ricorrente che i giudici di merito ne avrebbero confermato la responsabilità penale in relazione ai predetti reati ambientali per il solo ruolo di amministratore di diritto, prestanome, senza individuare specifici elementi a sostegno della condivisione da parte della stessa delle finalità illecite e della consapevolezza, al momento di accettazione della carica, della strumentalizzazione di quella società alla realizzazione di specifici reati. I giudici avrebbero quindi dovuto descrivere la condotta della ricorrente, il suo apporto anche solo in termini di eventuale tolleranza nella gestione illecita posta in essere dal figlio Claudio Tommasi, coimputato nel presente procedimento quale amministratore di fatto. Diversamente, i giudici, a sostegno della responsabilità della ricorrente, avrebbero offerto un’argomentazione apparente, asserendo che la donna non era sprovveduta per aver svolto l’attività di commerciante e quindi consapevole che l’attività era regolamentata ed aveva aiutato il figlio nell’attività, parallela e simile, di raccolta di rottami ed in almeno due occasioni si era recata in via Stramesi (ove vi era uno dei capannoni un cui si svolgeva l’attività illecita)  insieme al figlio, oltre ad aver partecipato alle trattative per l’altro capannone, sito in San Giuliano, firmando i relativi assegni. Si tratterebbe di motivazione censurabile perché contrastante con quanto emerso in sede istruttoria, risultando infatti come la donna avesse prestato il proprio nome e la propria firma solo per la creazione di un’attività imprenditoriale lecita: il riferimento, in ricorso è all’aver la donna acquistato un ramo d’azienda ed un capannone, quello di via Stramesi, già autorizzati alla gestione di rifiuti in forma semplificata; in secondo luogo, per aver la donna sottoscritto un contratto di affitto per una porzione adiacente di capannone sempre in via Stramesi ove, per quanto a sua conoscenza, il figlio aveva intenzione di trasferire la ditta individuale avente ad oggetto il commercio di rottami, ditta autorizzata, e non d’impiegare tale sito per la gestione dei rifiuti; ancora, la donna non avrebbe sottoscritto alcun contratto relativo alla locazione del capannone di via San Giuliano né avrebbe partecipato alle trattative, concluse verbalmente dal figlio con il proprietario, elemento questo estranei alle evidenze istruttorie e da solo idoneo a disarticolare il ragionamento probatorio della Corte d’appello. In definitiva, secondo la difesa, la Dall’O avrebbe consegnato nelle mani del figlio un’attività del tutto lecita ritenendo che in quei luoghi il figlio intendesse anche trasferire la propria ditta individuale avente ad oggetto il commercio di rottami; il fatto poi che l’attività illecita di gestione dei rifiuti fosse durata solo quattro mesi renderebbe ancora più illogico il ragionamento dei giudici territoriali, in quanto il tracollo dell’attività sarebbe stato così repentino da impedire alla madre di rendersi conto di quanto stesse accadendo pur in costanza del proprio ruolo formale, non potendo sospettare che in così poco tempo il figlio riempisse di rifiuti sia il capannone principale che quello destinato alla ditta di rottami, laddove nessun ruolo avrebbe potuto gravare sulla donna non avendo nemmeno saputo della locazione da parte del Tommasi. In ogni caso, si aggiunge, l’obbligo di vigilanza sembrerebbe essere stato assolto dalla ricorrente, essendosi la stessa recata due volte presso il capannone di Via Stramesi, pur non essendo state contestualizzate cronologicamente tali visite, non essendo quindi dato sapere in che periodo della breve vita della Tommasi siano intervenute e cosa quindi la donna avesse potuto apprezzare circa lo stato dei luoghi e, dall’altro, che proprio le emergenze istruttorie, segnatamente la deposizione del teste Bianchi, ex dipendente della Tommasi SRL, avevano escluso che la madre di quest’ultimo avesse mai operato all’interno del capannone né impartito disposizioni, avendola vista una sola volta in compagnia del figlio al suo interno. Inconferente logicamente, peraltro, sarebbe poi l’argomentazione dei giudici territoriali che individuerebbero la responsabilità della madre nell’aver assunto la carica di amministratore unico in considerazione del conflitto di interessi con il figlio, già titolare della ditta individuale di commercio di rottami, trattandosi di elemento neutro e del tutto legittimo ed anzi compatibile con l’ampliamento della ditta di famiglia. A ciò si aggiunga, infine, che per quegli stessi fatti già i giudici avevano individuato un solo colpevole nella persona del figlio della ricorrente, cui era stato ascritto il più grave reato di traffico illecito di rifiuti, tanto che già in primo grado la posizione di quest’ultimo per i reati ambientali di cui ai capi 1, 2 e 7 era stata definita con una sentenza di non doversi procedere per ne bis in idem nei confronti del Tommasi. Quanto sopra renderebbe maggiormente evidente l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nell’attribuire la responsabilità all’imputata in virtù del solo ruolo formale, atteso che la DDA di Torino aveva ritenuto che il solo dato formale non fosse sufficiente per attribuire la responsabilità alla ricorrente per il più grave reato oggetto di imputazione al figlio.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 27 Cost. ed agli artt. 20, D.lgs. n. 139 del 2005 e 55, co. 5, lett. c), D.lgs. 81 del 2008 a titolo di responsabilità oggettiva, e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità penale della ricorrente per i reati di cui ai capi 3, 4, 8 e 9 della sentenza impugnata.
In sintesi, la difesa, muovendo dalle medesime basi argomentative già sviluppate nel primo motivo per i reati ambientali, ritiene che la responsabilità penale per l’omessa presentazione della segnalazione certificata di inizio attività per i soli siti non autorizzati nonché per l’omessa adozione delle misure prevenzionistiche, sia stata ascritta alla ricorrente per il solo ruolo formale di amministratore di diritto, prestanome del proprio figlio, in assenza di elementi che ne comprovassero la condivisione dell’attività illecita ivi svolta dal figlio, atteso che anche la titolarità di una posizione di garanzia propria del datore di lavoro non può prescindere dal principio di effettività ed alla concreta vicinanza all’area di rischio presidiata dalle norme che si assumono violate, accompagnata da un concreto potere di intervento. Ove quindi si fossero applicati i principi giurisprudenziali in materia affermati da questa Corte, di cui la difesa richiama alcuni precedenti in ricorso, la responsabilità penale della ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa, in quanto dette violazioni riguarderebbero, da un lato, una sola porzione del capannone di via Stramesi affittata dalla ricorrente in un momento successivo per ospitare la ditta di commercio dei rottami del figlio e non già per illecitamente gestire i rifiuti, non precedendo tale capannone il transito del personale della Tommasi SRL né il suo utilizzo fino al trasferimento della ditta individuale relativa al commercio dei metalli; dall’altro, il sita di via San Giuliano, estraneo alla ricorrente, in quanto locato verbalmente dal figlio che corrispondeva un’indennità di occupazione, dunque in sito inesistente per l’imputata. I giudici di merito, sul punto, non avrebbero offerto argomentazioni idonee a sostenere che la ricorrente fosse a conoscenza delle irregolarità della porzione di capannone adiacente a quello principale di via Stramesi (avendo consegnato al figlio un capannone a norma) o dell’esistenza dell’altro capannone di via San Giuliano in quanto affittato verbalmente dal figlio.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, cod.pen. e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine all’esclusione dell’applicabilità della predetta disposizione con riferimento ai reati di cui ai capi 3, 4, 8 e 9.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata laddove la Corte territoriale ha escluso l’applicazione della speciale causa di non punibilità, richiesta per le sole contravvenzioni afferenti alla normativa antincendio, ritenendo che tali reati andassero valutati congiuntamente alla fattispecie più grave di cui all’art. 452-quaterdecies, oggetto di contestazione solo al figlio della ricorrente, ciò in quanto la donna avrebbe agevolato il figlio nell’attività illecita. Si tratterebbe di motivazione censurabile per aver escluso i giudici l’applicabilità dell’art. 131-bis, cod. pen. alle contravvenzioni relative alla prevenzione incendi per la loro continuità con il più grave reato per il quale, però, è stato condannato solo il figlio della ricorrente, estendendo dalle imputazioni illegittimamente ed illogicamente anche alla madre, mai coinvolta formalmente nel procedimento della DDA per traffico illecito di rifiuti. La contestazione in esame, analoga a quella ascritta al figlio di maggiore gravità, ha una qualificazione giuridica ben più ridotta dell’altra su cui il figlio ha patteggiato la pena, e, del resto, sotto il profilo delle modalità della condotta, gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria non consentirebbero alcun paragone con la condotta dolosa ascritta al figlio. A ciò si aggiunge che le contravvenzioni in materia di prevenzione incendi, le uniche per le quali era stata chiesta l’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., mai avevano cagionato un pericolo di incendio presso i siti non autorizzati, come emergente dai rilievi effettuati dai VV.FF. della provincia di Alessandria sia da parte del personale tecnico incaricato dalla Provincia, da cui era emerso chela capacità di autocombustione di quei rifiuti risultò pari a zero, dato tecnico rilevante in termini di valutazione della tenuità dell’offesa completamente pretermesso dai giudici di merito. Né, del resto, l’argomento impiegato per escludere l’art. 131-bis, cod. pen., basato sui precedenti penali della ricorrente, sarebbe dirimente, avendo la stessa riportato due precedenti non specifici per reati di indole del tutto diversa che, secondo la giurisprudenza di legittimità citata in ricorso, non sarebbero ostativi al riconoscimento del fatto di particolare tenuità.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, cod. pen., e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione, circa l’esclusione dell’applicabilità del fatto di particolare tenuità con riferimento al reato di cui al capo 6).
In sintesi, richiamate le medesime argomentazioni già sviluppate a proposito del motivo che precede, ritiene la difesa che la motivazione della sentenza si esponga a censura anche per il mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità con riferimento al fatto contestato al capo 6), atteso che anche per l’omessa ottemperanza all’ordinanza sindacale, avrebbero dovuto tenersi in considerazione il minimo apporto dell’imputata nell’intera vicenda, avendo la donna consegnato nelle mani del figlio una ditta del tutto regolare ed autorizzata, dovendosi peraltro considerare l’indisponibilità tecnica ed economica della ricorrente alla messa in pristino richiesta dal comune, peraltro con irrisoria tempistica.

2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 185, cod. pen. e 540, cod. proc. pen. e correlato vizio di mancanza della motivazione in ordine alle statuizioni civili ed alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
In sintesi, premesso che la Corte territoriale aveva revocato le statuizioni civili nei confronti del figlio della ricorrente per aver versato questi nel processo principale a suo carico una somma a titolo di parziale risarcimento del danno pari a 50.000 euro, si sostiene che la conferma delle statuizioni civili nei confronti della ricorrente a favore della provincia di Alessandria e del comune di Sale, cui era subordinato il beneficio della sospensione condizionale, sarebbe illegittima, in quanto per le violazioni ambientali si sarebbe verificata un’illegittima duplicazione del risarcimento del danno riconosciuto ai due enti pubblico per il medesimo fatto illecito, essendo il risarcimento già stato disposto e corrisposto dal figlio della ricorrente nell’ambito del procedimento principale sorto presso la DDA di Torino, procedimento i cui fatti sono gli stessi di quelli contestati nel presente processo. Lo stesso Tomasi avrebbe del resto corrisposto a favore del comune di Sale la somma di 50.000 euro, allorquando nel presente giudizio aveva lamentato un esborso di poco più di 21.960 euro. I giudici territoriali non avrebbero offerto alcuna motivazione per giustificare la duplicazione del risarcimento del danno disposto, per i medesimi fatti anche nell’ambito del procedimento svoltosi davanti al tribunale di Alessandria, ponendolo a carico della ricorrente, né avrebbero motivato in ordine al quantum nel momento in cui avevano confermato il medesimo importo disposto dal primo giudice, somma che tenuto conto della condotta della ricorrente e di quanto già versato dal figlio avrebbe dovuto subire un ridimensionamento. Parimenti illegittima sarebbe poi la motivazione nella parte i cui ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al versamento delle somme in favore della Provincia di Alessandria e del comune di Sale, avendo entrambi gli enti omesso di quantificare i danni patiti, risultando la somma indicata dal comune del tutto coperta dal risarcimento offerto dal Tommasi nel processo principale per gli stessi fatti, sicché si sarebbe escluso il godimento del beneficio di cui all’art. 163, cod. pen., sulla base di un risarcimento che non troverebbe alcuna giustificazione.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 21 luglio 2023 la propria requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
In sintesi, secondo il PG, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non è necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio a una valida alternativa. Nel caso in esame i giudici del merito hanno conformemente disegnato la figura ed il ruolo dell’imputata nella gestione delle attività illecite, motivando adeguatamente su come l’interessata, rispondendo come amministratore di diritto dal punto di vista oggettivo, unitamente all’amministratore di fatto, per non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, dal punto di vista soggettivo, la stessa avesse quantomeno la generica consapevolezza degli illeciti perpetrati dall’amministratore effettivo. L’imputata, infatti, è un soggetto non estraneo al mondo imprenditoriale e pienamente compartecipe alle interessenze del figlio, amministratore di fatto della società, con cui, come sottolineato in precedenza, lavorava in modo strettamente congiunto).
Deve, infine, essere evidenziato per il PG come non rilevi la circostanza che tutti i reati – fatta eccezione per l’imputazione sub 6) il cui termine di prescrizione maturerà il prossimo 8.10.2023 – si siano estinti per prescrizione, rispettivamente, quelli sub 1, 2, 3 e 4 in data 17.01.2023, quelli sub 7, 8 e 9 in data 6.03.2023, atteso che la sentenza di condanna in grado d’appello è intervenuta in data antecedente (13.12.2022). Trova infatti applicazione il principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01).

4. La difesa della parte civile comune di Sale (Avv. Piero D’Ettorre), in data 26.07.2023 ha fatto pervenire in via telematica le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso oltre alla liquidazione delle spese di costituzione e difesa di parte civile nel presente grado, da liquidarsi in euro 2.205,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA. La difesa della parte civile Provincia di Alessandria (Avv. Alberto Vella), in data 3.08.2023, ha fatto pervenire in via telematica le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso, oltre alla liquidazione delle spese di costituzione e difesa di parte civile nel presente grado, da liquidarsi in euro 1.796,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.

5. La difesa della ricorrente (Avv. Mario Gebbia) ha fatto, infine, pervenire in data 8.09.2023, in replica alla requisitoria del PG, le proprie conclusioni scritte, con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.  

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha motivato le ragioni per le quali la ricorrente è stata riconosciuta colpevole quale amministratore di diritto della società TOMMASI SRL, a lei formalmente intestata, lungi dall’ascrivere alla stessa una forma di responsabilità oggettiva. I giudici hanno affermato infatti che la stessa aveva assunto consapevolmente la carica di amministratore unico della predetta società, perfettamente conscia del fatto che sulla stessa gravavano una serie di obblighi, compresi quelli inerenti alla tutela dell’ambiente. Si trattava, precisano i giudici, di persona non certo sprovveduta avendo esercitato il mestiere di commerciante, dunque essendo consapevole che ogni attività imprenditoriale è regolata da norme, ed aveva aiutato il figlio nell’attività, parallela e simile, di raccolta dei rottami, secondo quanto dichiarato dal medesimo imputato TOMMASI, il quale, come si legge in sentenza, all’ud. 4.03.2021 aveva confermato che la madre lavorasse con lui nella TOMMASI CLAUDIO, dandogli una mano in ufficio. A ciò si aggiunge che, in almeno due occasioni, la stessa si era recata in Via Stramesi insieme al figlio, oltre ad avere partecipato alle trattative pe ril capannone di San Giuliano ed avere formato i relativi assegni, senza dimenticare, si legge in sentenza, che il suo intervento aveva agevolato le manovre del figlio, che non poteva figurare come amministratore della SRL dato il conflitto di interesse con la ditta individuale TOMMASI CLAUDIO.

2.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo le doglianze della ricorrente si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.  
Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26/10/2022 – dep. 26/01/2023, Lembo, n.m.; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).  

2.2. Perde, quindi, alla luce di quanto sopra, di spessore argomentativo l’alternativa versione difensiva fondata sulla sostanziale buona fede della ricorrente, madre dell’imputato, che avrebbe consegnato una struttura, quella di Via Stramesi, del tutto in regola e munita delle relative autorizzazioni, laddove ella sarebbe stata all’oscuro invece delle vicende afferenti il capannone di San Giuliano, oggetto di trattative che sarebbero state condotte unicamente dal figlio che aveva concordato verbalmente con il proprietario del medesimo il versamento di un’indennità di occupazione.
Trattasi, infatti, di versione che si fonderebbe su un supposto travisamento probatorio in cui sarebbero incorsi i giudici di merito che avrebbero non correttamente valutato sia i documenti in atti (segnatamente il contratto di locazione dell’immobile di via San Giuliano sia quanto riferito dall’imputato TOMMASI in dibattimento, unitamente all’esame del coimputato Rossi e il contenuto di uno scambio di mail intercorse tra quest’ultimo ed il Tommasi oltre che, infine, le dichiarazioni del teste Bianchi, sentito all’ud. 10.12.2020, la cui deposizione viene richiamata per stralcio in ricorso). Deve, tuttavia, rilevarsi che detta trama argomentativa, sostenuta suggestivamente dalla arguta difesa della ricorrente, non può tuttavia essere suscettibile di valutazione dinanzi a questa Corte trattandosi di censura motivazionale, quella di manifesta illogicità condotta sulla base del supposto travisamento probatorio, che non tiene conto della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Rv. 241023 – 01).
Diversamente, la tecnica compilatoria del ricorso, siccome strutturata dalla difesa del ricorrente, si risolve nell’indicare a questa Corte solo la pagina di interesse della deposizione del teste, dell’esame dell’imputato o del documento asseritamente travisato - addirittura senza nemmeno specificamente indicare quali mail del richiamato scambio tra il Rossi e il Tommasi abbiano rilievo -, sostanzialmente devolvendo alla Corte di legittimità il compito di ricercare ed individuare, nell’intero corpus dell’esame, della deposizione o del documento, dette parti oggetto di presunto travisamento, operazione del tutto incompatibile con la cognizione di pura legittimità spettante alla Corte. Deve, quindi, essere ribadito che il ricorso per cassazione con cui si contesti il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 - dep. 14/03/2012, Rv. 252349 – 01).

2.3. Né ha pregio la censura di violazione di legge fondata sulla presunta erronea applicazione dei principi in tema di responsabilità, sotto il profilo che la ricorrente sarebbe stata ritenuta colpevole in base ad un principio di responsabilità oggettiva in qualità di mero amministratore di diritto. Ed invero, deve essere in questa sede affermato che – a differenza della giurisprudenza richiamata in ricorso, relativa a reati dolosi – che nel caso in esame le imputazioni contestate alla ricorrente riguardano tutte fattispecie punibili a titolo di colpa. Ed allora trova applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui risponde del reato contravvenzionale (nella specie di esercizio non autorizzato di intermediazione o interposizione di manodopera) posto in essere dall'amministratore di fatto di una società anche l'amministratore di diritto della stessa qualora abbia omesso, sia pure per colpa, di esercitare il necessario controllo sull'attività del primo, attesa la natura anche colposa della fattispecie. In motivazione, infatti, questa Corte ha precisato che un parametro di valutazione circa l'effettiva e concreta possibilità di impedire la consumazione del reato posto in essere dall'amministratore di fatto può essere offerto dalle disposizioni di cui all'art. 6 D.lgs. n. 231 del 2001, in tema di esclusione della responsabilità dell'ente per il reato commesso dall'amministratore e dalle persone sottoposte alla sua direzione e vigilanza (Sez. 3, n. 25313 del 10/12/2014 - dep. 17/06/2015, Rv. 263839 – 01).

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato per le medesime ragioni già espresse a proposito del primo motivo, segnatamente con riferimento alla censura di attribuzione della responsabilità penale sotto il profilo della responsabilità oggettiva.
Anche in relazione alle imputazioni afferenti l’omessa segnalazione certificata di inizio attività per i due siti non autorizzati nonché per l’omessa adozione di misure idonee a prevenire gli incendi e tutelare l’incolumità dei lavoratori, infatti, le doglianze difensive ruotano attorno al presunto vizio di travisamento probatorio che avrebbe inficiato la sentenza impugnata, sollevando censure di violazione di legge fondate sulla presunta esclusiva valorizzazione del ruolo di amministratore unico della ricorrente, madre del Tommasi, cui sarebbe stata attribuita la responsabilità quale prestanome del figlio senza che emergesse una concreta posizione di garanzia della donna. Come già esposto a proposito delle contestazioni afferenti alla materia ambientale, valgono nel caso in esame i medesimi argomenti, atteso che si verte, nel caso in esame, di responsabilità colposa per le violazioni afferenti ai capi 3, 4, 8 e 9 della rubrica. Deve, a tal proposito infatti essere ribadito che in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell'amministratore della società, cui fa capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 299 d.lgs. 8 aprile 2008, n. 81, la corresponsabilità del datore di lavoro e quella di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici (Sez. 4, n. 30167 del 06/04/2023, non massimata).

4. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Ed infatti, i giudici territoriali hanno escluso l’applicabilità della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità nei confronti dell’attuale ricorrente, evidenziando come la stessa aveva di fatto agevolato il figlio nell’attività illecita, non essendo del resto nemmeno incensurata avendo un precedente per violazione dell’art. 455, cod. pen. ed una recente condanna per la violazione della disciplina in materia di rifiuti. Oltre a ciò, aggiunge la Corte territoriale, deve anche valorizzarsi il fatto che i due imputati, dunque anche la attuale ricorrente, hanno violato plurime norme poste a tutela di interessi diversi, ossia ambiente, tutela dei lavoratori, incolumità pubblica.

4.1. Alla stregua di tale motivazione il ricorso si appalesa privo di pregio, avendo infatti limitato le proprie censure esclusivamente con riferimento alla circostanza per la quale i giudici avrebbero accomunato il ruolo della madre a quello del figlio, valorizzando peraltro i precedenti penali che sarebbero irrilevanti agli effetti dell’esclusione dell’art. 131-bis, cod. pen. I giudici territoriali, tuttavia, non hanno confutato l’ulteriore ratio decidendi sulla cui base i giudici territoriali hanno parimenti fondato il giudizio di mancato riconoscimento della predetta causa di non punibilità, ossia la circostanza per cui la ricorrente si fosse resa responsabile della violazione di disposizioni poste a tutela di interessi diversi. È infatti stato più volte affermato da questa Corte che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l'imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima "ratio punendi"), anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (Fattispecie di violazioni da parte del datore di lavoro di diverse disposizioni in materia di sicurezza di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 181: Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017 - dep. 11/01/2018, Rv. 271863 – 01).
Il motivo deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, non avendo attinto il medesimo tale ultima ratio decidendi, trovando infatti applicazione il principio, già affermato in giurisprudenza, secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse "rationes decidendi" poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017 - dep. 23/01/2018, Rv. 272448 – 01).

5. Anche il quarto motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità, dovendo infatti essere valutato unitamente al precedente, tenuto conto della plurima violazione delle disposizioni di legge da parte dell’attuale ricorrente e, in ogni caso, dovendosi tener presente che si tratta di violazione, quella contestata al capo 6), unicamente alla Dall’O, direttamente ascrivibile alla stessa in quanto rimasta inottemperante all’ordinanza di rimozione dei rifiuti nei siti indicati, nonostante la veste di amministratore di diritto della società di cui il figlio era amministratore di fatto.
Le argomentazioni difensive, fondate sul minimo apporto della donna e sulla asserita indisponibilità tecnica ed economica alla messa in pristino richiesta dal comune con tempistica definita irrisoria introducono, peraltro, argomentazioni fattuali che, in quanto tali, sfuggono alla valutazione di questa Corte, cui è inibito operare valutazioni circa il merito della vicenda.

6. Infine, anche il quinto ed ultimo motivo è inammissibile.
Ed invero, dalla lettura del motivo d’appello proposto dinanzi alla Corte territoriale, si evince chiaramente che le doglianze difensive erano state sviluppate con riferimento alle statuizioni civili, articolandole con riguardo alle precarie condizioni economiche dell’imputata. Le doglianze svolte nel motivo di ricorso, diversamente, si fondano su una ragione diversa (illegittima duplicazione del risarcimento del danno, in quanto già corrisposto dal figlio nel parallelo processo penale svoltisi nei suoi confronti per il delitto ambientale di cui all’art. 452-quaterdecies, cod. pen., derivandone anche un vizio motivazionale per non aver i predetti giudici motivato sul quantum dell’importo determinato a titolo di risarcimento nonostante quanto già versato dal figlio della ricorrente, cui si aggiunge l’ulteriore doglianza fondata sulla circostanza di non aver entrambi gli enti omesso di quantificare i danni patiti).
Trattasi, quindi, all’evidenza di motivo inammissibile perché proposto per la prima volta in sede di legittimità ex art. 606, comma 3, c.p.p. Non possono infatti essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l'avvenuta rappresentazione al giudice di merito, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell'impugnata sentenza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale.

6.1. A ciò si aggiunga, infine, che quanto determinato in favore del comune di Sale è stato oggetto esclusivamente di condanna generica a titolo di provvisionale, donde, per tale parte, il ricorso sarebbe oltremodo inammissibile, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (tra le tante: Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773 – 02).

7. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.

8. Segue, infine, la condanna alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile comune di sale, liquidate come da dispositivo in base alla richiesta difensiva, conforme ai parametri disciplinati dal D.M. 55/2014 recante: "Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell'art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247", aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022.
Diversamente, non vi è luogo per la liquidazione delle spese e compensi professionali richiesti dall’altra parte civile, Provincia di Alessandria, in assenza di qualsivoglia contributo apportato da tale difesa al giudizio di legittimità. Trova, invero, applicazione il principio secondo cui nel giudizio di legittimità, in caso di ricorso dell'imputato rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all'art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza (Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, Rv. 281923 – 01).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Sale che liquida in complessivi euro 2.205, oltre accessori di legge. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Provincia di Alessandria.
Così deciso, il 14 settembre 2023