Cass. Sez. III n. 4588 del 3 febbraio 2023 (CC 20 dic 2022)
Pres. Aceto Est. Scarcella Ric. Gallone
Rifiuti.Articolo 260-ter decreto legislativo 152 del 2006

La legge n. 12/2019, che ha convertito il d.l. n. 135/2018,  con l’art. 6, comma 2, dispone che «Dal 1° gennaio 2019, sono abrogate, in particolare, le seguenti disposizioni: a) gli articoli 16, 35, 36, 39 commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2- quater, 9, 10 e 15, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205».  Poiché l’art. 36 ha inserito, dopo l'art. 260, gli artt. 260-bis e 260-ter, si deve ritenere, senza ombra di dubbio, che quest’ultima disposizione non sia più in vigore con la conseguenza che la confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti resta disciplinata dall’art. 259, comma 2, D.lgs. n. 152/2006.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 22.06.2022, il tribunale del riesame di Brindisi ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di GALLONE GIAMPIERO, confermando il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in data 1.06.2022, con cui è stato ordinato il sequestro preventivo dell’autocarro IVECO tg. BB751RY dotato di gru marca Bonfiglioli di proprietà dell’indagato, cui è stato contestato il reato di trasporto abusivo di rifiuti pericolosi (art. 256, d. lgs. n. 152 del 2006).

2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito sommariamente indicato.

2.1. Deduce, con tale unico motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata perché non avrebbe fornito risposte esaurienti e concrete rispetto alle doglianze prospettate in sede di riesame, soprattutto con riferimento all’inspiegabile ed irragionevole comportamento del legislatore.
In particolare, si duole la difesa per aver previsto il legislatore l’esclusione della confisca ex art. 452-undecies, co. 4, c.p. unicamente per i delitti più gravi inclusi nel Tit. VI-bis del Codice penale, e non anche per le fattispecie contravvenzionali contemplate nell’art. 256, D.lgs. n. 152 del 2006, ciò determinando un contrasto con l’art. 3 e gli artt. 24 e 27, Cost.
Sul punto, il tribunale del riesame, si sarebbe limitato a rilevare che il co. 4 dell’art. 260-ter, D.lgs. n. 152 del 2006, prevede la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto in caso di accertamento delle violazioni di cui all’art. 256, comma 1, D.lgs. n. 152 del 2006, aggiungendo, poi,– preso atto che lo stesso tribunale aveva rilevato che la procedura di caratterizzazione del rifiuto fosse ancora in corso – che i giudici del riesame si sarebbero limitati ad affermare che sarebbe spettato al giudice del merito pronunciarsi sull’applicabilità dell’art. 452-undecies e, in caso di ritenuta inapplicabilità, pronunciarsi sulla fondatezza della questione di costituzionalità sollevata. Anche tale conclusione sarebbe censurabile, proprio in considerazione della funzione premiale prevista dall’esclusione della confisca in favore dell’indagato-imputato adoperatosi per eliminare le conseguenze dannose/pericolose del reato, laddove, ove egli ponga in essere un comportamento positivo, ha diritto di conoscere e avere la certezza di poter beneficiare della predetta causa di esclusione della confisca, senza dover sperare nella futura e benevola interpretazione da parte del giudice di merito.
La difesa, ciò premesso, si diffonde nella illustrazione delle ragioni per le quali tale illegittima esclusione della confisca ex art. 452-undecies, comma 4, c.p., per le ipotesi di reati contravvenzionali, presenti profili di irragionevolezza ex art. 3 Cost., a tal fine contestando gli approdi cui è pervenuta questa Corte già con due precedenti pronunce (Cass. 30691/2021; Cass. 11581/2020), con cui ha disatteso analoghe questioni di costituzionalità, richiamando peraltro i contenuti di una proposta di legge (la n. 3176 del 23.06.2021), depositata presso la Camera dei deputati, che avrebbe coordinato ed armonizzato la normativa in materia, determinando l’auspicato adeguamento della disciplina della confisca ex art. 452-quaterdecies, c.p. con quella dell’art. 452-undecies, c.p., con la conseguenza che, ove l’indagato/imputato di un reato contravvenzionale ponga in essere iniziative ripristinatorie prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, ben potrebbe beneficiare sia della riduzione della pena ex art. 452-decies, c.p. che dell’esclusione dell’applicazione della confisca ex art. 452-undecies, c.p. A tal proposito, alle pagg. 8/9 del ricorso, la difesa illustra nel merito le attività endoprocedimentali sinora svolte, che, in sintesi, dimostrerebbero come la situazione del terreno interessato sia scarsamente compromessa, con la possibilità di eliminare ogni conseguenza/residuo portando a compimento le operazioni già in fase di attuazione su istanza dell’indagato, dimostrando dunque un comportamento “virtuoso” e “ripristinatorio” che giustificherebbe la possibilità di beneficiare dell’art. 452-undecies, co. 4, c.p., di cui in sede di riesame era stata chiesta anche l’applicazione in via analogica, in considerazione della logica di prevenzione anche premiale che ciò comporterebbe.
Conclude il proprio ricorso la difesa, pertanto, sollecitando questa Corte a sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 452-undecies, co. 4, c.p., per violazione dell’art. 3, Cost., nella parte in cui non prevede che l’istituto della confisca possa essere disapplicato, in caso di messa in sicurezza, attività di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, anche in relazione alla violazione ambientale ex art. 256, D. lgs. n. 152 del 2006, trattandosi di scelta legislativa irragionevole, sia perché le contravvenzioni sono meno gravi dei delitti, sia per la funzione e natura unitaria della confisca, che persegue sempre una finalità sanzionatoria, altrimenti determinandosi la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale, sottoponendo a trattamento differenziato situazioni analoghe in presenza di identici presupposti, rappresentati dalla bonifica e/o dal ripristino dello stato dei luoghi. Quanto sopra determinerebbe, si aggiunge, anche la violazione del principio di proporzionalità, in quanto, muovendo dal principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in funzione della finalità rieducativa della pena e, quindi, in prospettiva utilitaristica ex art, 27, co. 3, Cost., dovrebbe affermarsi che il principio fissato dall’art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionale al disvalore del fatto illecito commesso e che una pena, non proporzionale, vanifica, già a livello di previsione normativa, la finalità rieducativa della pena che, ove sproporzionata, sarà avvertita come ingiusta, tenuto peraltro conto che la direttiva 2008/99/CE non ha previsto alcuna forma di confisca del mezzo utilizzato per la commissione dell’illecito.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 5.12.2022 la propria requisitoria scritta con cui ha insistito per l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, secondo il PG la questione non è rilevante, non avendo il ricorrente già provveduto alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi che costituiscono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 452-undecies cod. pen. di cui si chiede l’applicazione analogica o l’illegittimità costituzionale. Del resto, lo stesso Tribunale del riesame ha rimesso alla competenza del giudice della cognizione la valutazione di tali presupposti di fatto e, di conseguenza, della applicabilità in diritto della clausola di esclusione della confisca. Peraltro, la norma da sottoporre a scrutinio costituzionale dovrebbe ritenersi l’art. 260-ter d.lgs. 152/2006. In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ha già di recente dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 452-undecies, comma quarto, cod. pen. per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede, per i soli delitti indicati nel comma primo della medesima disposizione e non anche per le contravvenzioni ambientali previste dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, non possa essere disposta la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto dei reati (In motivazione la Corte ha precisato che, per le contravvenzioni ambientali, trova applicazione la confisca di cui all'art. 260-ter, comma 4, dello stesso d.lgs., che ha natura eminentemente sanzionatoria, mentre la misura ablatoria prevista dal codice penale presenta una funzione risarcitoria e ripristinatoria: Sez. 3, n. 15965 del 11/02/2020, Rv. 278907).

4. In data 2.12.2022, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire memoria scritta, con la quale, reiterando quanto già dedotto con il ricorso, ha insistito perché venga sollevata la questione di costituzionalità nei termini già illustrati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e successive modifiche ed integrazioni, è inammissibile.

2. Con l’unico motivo dedotto, sostanzialmente, il ricorrente, sia pure censurando la violazione di legge e il vizio di motivazione, si duole per il mancato accoglimento dell’applicabilità al caso di specie dell’art. 452-undecies c.p. con conseguente differimento alla cognizione di merito, congiuntamente alla questione della presunta illegittimità costituzionale del medesimo articolo per contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

3. Per ciò che concerne tale ultimo profilo, giova ricordare che questa Corte, occupandosi di una fattispecie analoga a quella che occupa, sebbene il ricorrente la ritenga non sufficientemente idonea a superare i dubbi di legittimità costituzionale, aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 452-undecies, comma quarto, cod. pen. per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede, per i soli delitti indicati nel comma primo della medesima disposizione e non anche per le contravvenzioni ambientali previste dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di messa in sicurezza, bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, non possa essere disposta la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto dei reati (In motivazione la Corte ha precisato che, per le contravvenzioni ambientali, trova applicazione la confisca di cui all'art. 260-ter, comma 4, dello stesso d.lgs., che ha natura eminentemente sanzionatoria, mentre la misura ablatoria prevista dal codice penale presenta una funzione risarcitoria e ripristinatoria: Sez. 3, n. 15965 del 11/02/2020, Rv. 278907).

4. Tale questione, si osserva, non assume alcun rilievo nella fase cautelare in cui si controverte soltanto della legittimità del sequestro preventivo utilizzato per il trasporto dei rifiuti. Invero, in concreto, il complesso delle norme contestate, artt. 452–undecies, commi 3 e 4, c.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 27 Cost., non è applicabile e, quindi, l’asserita lesione dei principi costituzionali, al più, si pone in un ambito puramente astratto.
Il ricorrente censura la motivazione del tribunale del riesame laddove enuncia il principio come sopra sintetizzato sostenendo che la misura cautelare è finalizzata all’applicazione, nella fase di merito, della confisca obbligatoria prevista dalla legge e quindi il dubbio sulla costituzionalità della seconda può ridondare sulla legittimità del primo. Quanto dedotto è in astratto corretto, se non che il presupposto su cui fondare la richiesta della disapplicazione della confisca può essere solo l’esistenza di un comportamento “virtuoso”, parificabile alle situazioni poste a base della norma di cui all'art. 452-undecies, comma 4, cod. pen. ovvero la messa in sicurezza dei luoghi, le attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi, attività a tutt’oggi non concluse e pertanto non valutabili dal giudice del riesame.

5. Proprio tale ultimo aspetto trova conferma nell’istanza ex art. 318 bis e ss. D.lgs. 152 del 2006 proposta dallo stesso ricorrente.
A tal proposito, la legge n. 68 del 2015, con l'art. 1, comma 9, è intervenuta anche sul d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo una parte VI-bis recante la "Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale" che contempla, agli artt. 318-bis e ss. una procedura di estinzione del reato, la cui operatività è subordinata all'adempimento, da parte del responsabile della violazione, di una serie di prescrizioni tendenti al risanamento dell'integrità ambientale, oltre che al pagamento di una somma di denaro (Art. 318-ter D.lgs. 152/2006). In particolare, essa opera a seguito della verifica, conclusa con esito positivo, delle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza al contravventore ai fini dell'eliminazione della contravvenzione, nonché del pagamento della sanzione amministrativa (Art. 318-quater, D.lgs. 152/2006).
La più recente giurisprudenza ha chiarito che tali disposizioni trovano applicazione tanto rispetto alle condotte esaurite, per tali dovendosi intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per le quali risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore, tanto con riferimento alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l'illecito commesso. In ogni caso, come dispone l'art. 318-bis, il loro ambito applicativo è limitato «alle sole ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette» (Sez. 3, n. 36405 del 18/04/2019, Rv. 276681).

6. Il ricorrente, da quanto risulta, ha richiesto l’ammissione alla procedura prevista dall’art. 318 e ss D.lgs. n. 152 del 2006, ma, dalla lettura del provvedimento impugnato e dello stesso ricorso, si evince che la procedura è ancora in corso. A ciò si aggiunga che il tribunale del riesame di Brindisi era ignaro sia dei certificati delle analisi relative alla caratterizzazione del rifiuto sia del rapporto di prova dal quale emergerebbe la scarsa compromissione del terreno, non essendo stati allegati dallo stesso indagato (il ricorrente nell’atto di riesame risulta aver allegato i documenti elencati nel ricorso fino al punto 15) che, invece, produce dinanzi alla Corte di legittimità, alla quale è precluso ogni apprezzamento non essendo giudice del fatto, e potendo accedere agli atti se non per valutare eccezioni processuali, nella specie non dedotte (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Rv. 277609 – 01; Sez. 3, n. 27417 del 01/04/2014; Rv. 259188 – 01; Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Rv. 257541 - 01).

7. Un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso attiene alla errata individuazione della norma applicabile in tema di confisca con riferimento alla materia dei rifiuti.
Nell’ordinanza, infatti, si menziona l’art. 260-ter, commi 4 e 5 D.lgs. 152/2006 quale fondamento della confisca del veicolo utilizzato per commettere il traffico abusivo di rifiuti di cui all’art. 256 comma 1 del medesimo decreto, traffico abusivo di rifiuti.
In realtà, la disposizione appena richiamata non è quella concretamente applicabile al caso di specie.
Invero, al verificarsi di reati contravvenzionali di siffatto tipo, la norma di riferimento, fino al 2010, era l’art. 259 che, ancorché nella rubrica si riferisca al «traffico illecito di rifiuti», prevedeva, nel comma 2, che «alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto».
Senonché l'art. 36, comma 1, D. Lgs. n. 205 del 3 dicembre 2010 ha introdotto nel D.lgs. n. 152/2006 l'art. 260-ter (Sanzioni amministrative accessorie. Confisca). Il comma 4 della novella prevede che: «In caso di trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi, è sempre disposta la confisca del veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato per il trasporto del rifiuto, ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, salvo che gli stessi che appartengano, non fittiziamente a persona estranea al reato» e, nel comma 5, che «Il fermo di cui al comma 1 e la confisca di cui al comma 4 conseguono obbligatoriamente anche all'accertamento delle violazioni di cui al comma 1 dell'art. 256».
A tal proposito va, inoltre, ricordata la l. n. 12/2019, che ha convertito il d.l. n. 135/2018, con la quale il legislatore ha soppresso definitivamente il Sistema informatico di controllo per la tracciabilità dei rifiuti (cd. SISTRI) sostituendolo con il “Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti, gestito direttamente dal Ministero dell’Ambiente”, il cui funzionamento è demandato ad un decreto dello stesso Ministero che non ha ancora visto la luce. Orbene, l’art. 6, comma 2, cit. legge, dispone che «Dal 1° gennaio 2019, sono abrogate, in particolare, le seguenti disposizioni: a) gli articoli 16, 35, 36, 39 commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2- quater, 9, 10 e 15, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205».
Poiché l’art. 36 ha inserito, dopo l'art. 260, gli artt. 260-bis e 260-ter, si deve ritenere, senza ombra di dubbio, che quest’ultima disposizione non sia più in vigore con la conseguenza che la confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti resta disciplinata dall’art. 259, comma 2, D.lgs. n. 152/2006. Trattasi di un’ipotesi di confisca, quest’ultima, che riguarda per quanto qui di interesse “il trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4”, (si veda in tal senso anche Sez. 3 n. 516 del 12 gennaio 2022 “nel caso di configurabilità del reato di trasporto illecito di rifiuti, la disciplina applicabile non è quella di cui all’art. 260-ter, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, bensì quella di cui all’art. 259, comma 2, d.lgs. cit., la quale prevede la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto in caso di condanna o di applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. Di conseguenza, l’unico limite all’applicabilità della confisca è costituito dall’appartenenza del bene ad un terzo proprietario in buona fede rispetto all’uso illecito del veicolo, con onere della prova a carico del medesimo soggetto”) fondata su presupposti e condizioni diverse da quelle indicate dall’art. 452-undecies, commi 3 e 4, c.p., e rispetto alla quale il ricorrente, in sede di impugnazione, non si confronta, risultando pertanto parimenti inammissibile sotto il profilo della rilevanza.

8. Terzo ed ultimo profilo di inammissibilità, infine, discende dalla circostanza per la quale, come pacificamente risulta dagli atti, il provvedimento di sequestro preventivo, oltre che essere stato disposto ai sensi dell’art. 321, co. 2, c.p.p., risulta essere stato altresì disposto ai sensi dell’art. 321, co. 1, c.p.p., ossia come sequestro impeditivo, al fine di evitare che la sua libera disponibilità possa agevolare la commissione di altri reati della stessa indole di quelli per i quali si procede.
Se così è, come effettivamente risulta dall’ordinanza impugnata, il ricorso è inammissibile non censurando il ricorrente l’ordinanza con riferimento a tale profilo, senza dunque attaccare una delle due rationes decidendi del provvedimento impugnato. Sul punto è pacifico che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse "rationes decidendi", ignorando l’altra, poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017 - dep. 23/01/2018, Rv. 272448 – 01; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, non massimata).
Ciò, in altri termini, comporta che, quand’anche si ritenesse illegittimo il provvedimento impugnato sotto il profilo della funzionalità del sequestro rispetto alla confisca obbligatoria ex art. 259, co. 2, d.lgs. n. 152 del 2006 o si ritenesse sospetta di incostituzionalità la previsione dell’art. 452-undecies, c.p. nei termini prospettati dal ricorrente, nessun effetto utile discenderebbe per il ricorrente medesimo dall’eventuale accoglimento, in quanto il mezzo rimarrebbe comunque in sequestro per finalità impeditive ex art. 321, co. 1, c.p.p.
Ed allora, vertendosi in materia cautelare reale, il ricorrente difetta di interesse concreto all’impugnazione non potendone derivare dall’eventuale accoglimento, per il ricorrente, l’unico effetto utile, ossia la restituzione del mezzo in sequestro (restituzione rispetto alla quale, come è noto, non opererebbe in astratto il divieto di cui all’art. 324, co. 7, c.p.p.: Sez. U, sentenza n. 40847 del 30/05/2019, Rv. 276690 – 02). È pacifico infatti nella giurisprudenza di questa Corte che l'indagato è legittimato ad impugnare il provvedimento che disponga una misura cautelare reale ovvero che ne confermi l'applicazione solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale all'impugnazione stessa, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753 – 04; Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011, Rv. 251091 - 01).

9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.  
Così deciso, il 20 dicembre 2022