Cass. Sez. III n. 18024 del 2 maggio 2023 (UP 30 mar 2023)
Pres. Ramacci Rel. Di Stasi Ric. Di Palma ed altro
Rifiuti.Gestione dei rifiuti e responsabilità del Sindaco
L'art. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» stabilisce, al comma 1, che ai dirigenti degli enti locali spetta la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, che devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Sebbene la disposizione in esame distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, è evidente che il sindaco, una volta esercitati i poteri attribuitigli dalla legge, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, essendo necessario, da parte sua, anche il successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate; egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico — operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20/05/2022, il Tribunale di Castrovillari dichiarava gli attuali ricorrenti Di Palma Filomena e Lefosse Nilo responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod.pen., 256 comma 1 lett. a), 183 lett b) n. 2 d.lgs 152/2006 e li condannava alla pena di euro 3.000,00 di ammenda ciascuno.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Di Palma Filomena e Lefosse Nilo, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che il Tribunale, basandosi sulle dichiarazioni dei testi escussi, senza valutarne criticamente il contenuto, aveva fatto dato rilievo, ai fini dell’integrazione del reato contestato, al superamento del termine massimo previsto dallo smaltimento dei rifiuti; inoltre, il Giudice di merito non aveva valutato tutte le risultanze processuali ed in particolari le dichiarazioni testimoniali che comprovavano che per procedere allo smaltimento dei fanghi era necessario raggiungere “la palabilità” degli stessi e che al momento del controllo era in itinere una delibera per effettuare lo smaltimento, già programmato ed in corso di esecuzione in virtù della delibera del 19/09/2017 n. 172; la responsabilità della Di Palma, quale Sindaco del Comune di Albidona era stata basata su argomentazioni apparenti, attraverso il semplice richiamo a principi giurisprudenziali; al momento del sopralluogo in data 02/10/2017, l’incarico di responsabile dell’Ufficio Tecnico del Le Fosse era cessato da ben quattro mesi.
Con il secondo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che erroneamente il Tribunale non aveva ritenuto applicabile l’istituto di cui all’art. 131 bis cod.pen., non avendo considerato che lo smaltimento dei fanghi sarebbe dovuto avvenire entro il 15/05/2017, che al momento del sopralluogo era in atto l’iter di smaltimento giusta determina dirigenziale n. 172/2017 e che l’incarico dirigenziale del Le Fosse era cessato in data 01/06/2017.
Con il terzo motivo deducono violazione degli artt. 132 e 133 cod.pen. e vizio di motivazione, lamentando che la pena base era stata fissata in misura superiore al minimo edittale senza motivazione sul punto.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3.Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto dell’art. 23, comma 8 d.l. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in sostanza, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo la doglianza formalmente riferita a vizio di motivazione e violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 cod.proc.pen., è in realtà diretta a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Giudice di merito (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Il ricorrente lamenta, in sostanza, una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata e non condivisibile delle risultanze probatorie e, pertanto, come formulata, la censura non può trovare ingresso in sede di legittimità.
Ribadito la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito congrua e non manifestamente illogica motivazione in ordine al fondamento dell’affermazione di responsabilità dei ricorrenti (pag da 4 a 13 della sentenza impugnata, ove, in aderenze alle risultanze istruttorie, si evidenziava che gli imputati, nelle rispettive qualità di sindaco p.t. del comune di Albidone- Di Palma Filomena- e di responsabile dell’Ufficio tecnico del medesimo ente- Lefosse Nilo-, omettevano, nelle circostanze di tempo indicate, di provvedere allo smaltimento dei fanghi prodotti dal depuratore comunale).
Giova ricordare che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue (art. 127, d.lgs 3 aprile 2006, n. 152) sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti sia nel caso di mancato trattamento nell'impianto di depurazione, sia quando il trattamento venga effettuato in luogo diverso o in modo incompleto, inappropriato o fittizio (Sez.3, n. 36096 del 22/09/2011, Rv. 251264 – 01, in fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti, costituiti da fanghi di depurazione di un impianto di depurazione di acque reflue urbane, di cui era stato omesso lo smaltimento) e che, con riferimento alla posizione della ricorrente Di Palma Filomena, come questa Corte abbia già avuto modo di prendere in considerazione la posizione del sindaco rispetto all'attività di gestione di rifiuti con riferimento proprio all'art. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», il quale stabilisce, al comma 1, che ai dirigenti degli enti locali spetta la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, che devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Richiamando i contenuti di precedenti pronunce, si è a tale proposito affermato che sebbene la disposizione in esame distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, è evidente che il sindaco, una volta esercitati i poteri attribuitigli dalla legge, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, essendo necessario, da parte sua, anche il successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate; egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico — operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente (Sez. 3, n. 37544 del 27/6/2013, Rv. 256638).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel valutare la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen., ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità, rimarcando la gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità della condotta in relazione alla non occasionalità della condotta in ragione della presenza di anomalie nell’impianto di depurazione.
Le argomentazioni sono congrue e logiche e la motivazione è conforme al principio di diritto, secondo cui, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis cod.pen. ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.3, n.34151 del 18/06/2018, Rv.273678 – 01; Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 - 01).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 del20/03/2013, Rv.256197).
3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
4. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/03/2023