Cass. Sez. III n. 41014 del 22 novembre 2010 (Ud. 21 ott. 2010)
Pres. Ferrua Est. Amoresano Ric. Coletto
Rifiuti. Limo

Il limo non rientra nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del Dlv. n.152 del 2006. I fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di covo non possono essere considerati rifiuti, l’esclusione contemplata dall'art.185, non può operare esclusivamente per la prima setacciatura del materiale estratto, in quanto non si vede la ragione per la quale la prima pulitura del materiale estratto, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non posso avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio il quale costituirebbe, a differenza della setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria

 

DIENZA del 21.10.2010

SENTENZA N.

REG. GENERALE N. 8343/2010


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.


Dott. Giuliana Ferrua                                    Presidente

Dott. Alfredo  Teresi                                     Consigliere
Dott. Amedeo Franco                                  Consigliere

Dott. Silvio Amoresano                                Consigliere Rel.
Dott. Giulio Sarno                                        Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) Co. Mi. nata il xx.ad.xxxx
- avverso la sentenza del 16.9.2009 del Tribunale di Pordenone
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- sentite le conclusioni del P. G., dr. M.Giuseppina Fodaroli, che ha chiesto rigettarsi il ricorso
- sentito il difensore, avv. Bruno Malattia, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso


OSSERVA


1) Con sentenza in data 16.9.2009 il Tribunale di Pordenone dichiarava Coletto Michela responsabile del reato ascrittole, qualificato il fatto quale abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art.256 comma in riferimento al comma 1 lett.a) d.lgs 3 aprile 2006 e, concesse le circostanze attenuanti generiche, la condannava alla pena di euro 6.000,00 di ammenda.


Assumeva il Tribunale che il 4 aprile 2006 personale del Corpo forestale dello Stato aveva sottoposto a controllo l'insediamento produttivo della s.a.s. Coletto, di cui l'imputata era amministratore e legale rappresentante.


Si trattava di un impianto di lavaggio di materiale inerte (ghiaia di fiume o di cava) che produceva come residuo un prodotto fangoso denominato "limo"; tale fango veniva depositato in vasche per consentirne la chiarificazione (cioè la eliminazione dell'acqua) e successivamente, per consentire la completa asciugatura, era steso al suolo in apposita area. Il processo di ottenimento del limo era, quindi, del tutto naturale.


Dopo aver dato atto che, alla data dell'accertamento, il regime del limo, quale residuo della lavorazione delle ghiaie estratte e lavate, era quello imposto dalla parte quarta del D.L.gs 152/06, riteneva il Tribunale che non potesse parlarsi di sottoprodotto, non ricorrendo le condizioni previste dall'art.183 comma 1 lett.p) del medesimo decreto legislativo. Il sottoprodotto, quale bene originato in via residuale dall'attività produttiva principale, è tale purché il suo riutilizzo, oltre che economicamente conveniente sia certo, oggettivo, integrale e predeterminato. Nel caso di specie, come emergeva dagli atti, il limo costituiva residuo continuativo rispetto alla attività di lavaggio, che non veniva reimpiegato per programmate e autorizzate attività, ma giaceva in accumuli in attesa di ricevere destinazione ancora ignota al momento dell'ammasso. Risultava, infatti, che gli accumuli di limo persistevano all'interno dell'impianto almeno dalla fine dell'anno 2004. La fattispecie concreta era quindi riconducibile alla ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti realizzato da imprenditore.


2) Ricorre per Cassazione Co. Mi., a mezzo del difensore, denunciando con il primo motivo la erronea applicazione della legge penale, nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ed il travisamento di prove decisive. La qualificazione del limo come residuo delle lavorazioni e poi come rifiuto i assolutamente illogica. Le stesse argomentazioni del Tribunale avrebbero dovuto portare alla conclusione che il limo, oltre a non essere un rifiuto, va considerato a tutti gli effetti una merce o un prodotto o sottoprodotto che ha un suo preciso utilizzo ed una domanda di mercato.


Dalle risultanze processuali emerge indiscutibilmente che il limo ricavato veniva periodicamente ceduto a terzi. E' palesemente insostenibile la tesi del Tribunale che il limo debba considerarsi un rifiuto se chi lo produce non sa fin dal primo momento a chi e quando lo venderà (siffatta tesi porterebbe a qualificare come rifiuti un enorme numero di prodotti).


Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione della legge penale in relazione all'art.256 cit. Tale norma non trova applicazione nel caso di specie, sia perché il limo non è un rifiuto nel momento in cui viene prodotto, sia perché l'area all'interno della quale era depositato si trovava all'interno dell'impianto industriale.


Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt.162 bis c.p. e 141 norme attuazione c.p.p.


La Co., era stata tratta a giudizio per rispondere del reato di cui all'art.256 comma 3 D. L.vo 152/06, sanzionato con la pena dell'arresto e dell'ammenda.


Il Tribunale, con la sentenza, ha ritenuto di qualificare il fatto ex art.256 comma 2 che prevede la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.


Essendo possibile, a seguito della modifica dell'imputazione, l'oblazione, a norma dell'art.141 comma 4 bis disp.att.c.p.p. l'imputata avrebbe dovuta essere rimessa in termini; né tale facoltà era preclusa ai sensi del comma 3 dell'art.162 bis, non essendo stato effettuato alcun accertamento in ordine alla eventuale permanenza di conseguenze dannose o pericolose del reato.


3) Il ricorso va accolto per le ragioni di seguito indicate.


3.1) L'indirizzo prevalente di questa Corte, cui il Collegio ritiene di aderire, esclude che il limo" rientri nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del D.L.gs. n.152 del 2006.


La sentenza di questa sezione n.41584 del 9.10.2007, nel richiamare la decisione n.5315 dell'11 ottobre 2006- 8 febbraio 2007, Doneda, che aveva stabilito il principio che i fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava non possono essere considerati rifiuti, ribadiva che "l'esclusione contemplata dal D.L.gs n.152 del 2006, art.85, non può operare esclusivamente per la prima setacciatura del materiale estratto, in quanto non si vede la ragione per la quale la prima pulitura del materiale estratto, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio....il quale costituirebbe, a differenza della setacciarura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria". La motivazione dava atto che una precedente decisione (sez,3 n.42949 del 29.10.2009, rv.222968) era pervenuta a conclusioni diverse, ma evidenziava anche che si trattava di una "difformità" più apparente che reale, trattandosi in quel caso di fattispecie relativa non al lavaggio di materiale estratto bensì al materiale risultante dalla demolizione della cava stessa. Si sottolineava, infine, che "l'escludere che la normativa in vigore consideri come rifiuto i fanghi di primo lavaggio non comporta un disinteresse dell'ordinamento per le ricadute che l'attività di lavaggio può avere nell'ambiente circostante, posto che la normativa a tutela delle acque e della loro qualità può costituire riferimento in caso di eventuali modalità di trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle acque fluviali interessate".


Risultando dalla stessa sentenza impugnata che il limo veniva prodotto dall'attività di primo lavaggio ("....consistita nel primo lavaggio della ghiaia rilevata da coltivazioni di cava..." pag.2 sent.), va ritenuta insussistente l'ipotesi di reato contestata.

3.2) Rimanendo assorbita ovviamente ogni altra doglianza (in particolare quella relativa alla denunciata violazione dell'art.162 bis c.p. e 141 disp. att. c.p.p.), la sentenza impugnata va annullata perché il fatto non sussiste.


P. Q. M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.


Così deciso in Roma il 21 ottobre 2010

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 22 Nov. 2010