Cass. Sez. III n. 36119 del 1 settembre 2016 (Ud 30 giu 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Mocci M. Imputato: Gavillucci
Rifiuti.Natura plurisoggettiva non necessaria del reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti

Il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006) non ha natura necessariamente plurisoggettiva, richiedendo per la sua integrazione la predisposizione di una struttura volta a realizzare il commercio illegale dei rifiuti che può essere approntata anche da una sola persona.

 RITENUTO IN FATTO

    1. La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 9 giugno 2014 del GIP presso il Tribunale di Milano, dichiarava non doversi procedere nei confronti di G.V. e G., per essere estinti per prescrizione i reati sub b), c), e), f), g), h), i), assolveva l'imputata dal reato sub a) perchè il fatto non sussiste e rideterminava la pena per le residue imputazioni in mesi 8 e giorni 20 per G.V. ed in mesi 8 per G.G.. La responsabilità penale per i due prevenuti veniva riconfermata in ordine al reato di cui all'art. 110 c.p., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, comma 1, oltre che per il delitto p. e p. dall'art. 485 c.p., avendo, in concorso fra loro e con un terzo, al fine di conseguire ingiusti profitti, svolto un'attività di gestione di rifiuti, in violazione dei contratti di appalto e della legge.

    In relazione ai capi di condanna, la Corte distrettuale ricordava come il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, comma 1 non avesse natura necessariamente plurisoggettiva. G.V. avrebbe supportato il fratello nella gestione illecita dei rifiuti, mettendogli a disposizione le strutture della CCM (di cui era amministratore unico).

    2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, sulla scorta di due motivi (1) violazione di legge, in relazione agli artt. 546 e 129 c.p.p. per il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) ed in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, comma 1, lett. a), art. 157 c.p., art. 533 c.p.p. e art. 62 bis c.p.; 2) carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione).

    2.1. Si dolgono, innanzi tutto, i ricorrenti che la Corte territoriale abbia ritenuto meramente irrilevante l'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado, che aveva omesso la natura della sanzione detentiva irrogata a proposito dei capi F), H) ed I).

    Inoltre, essendo risultato che la G. era iscritta all'albo dei gestori ambientali, la stessa avrebbe dovuto essere assolta con formula terminativa ampia non solo dal capo a), ma anche dal capo c), ex art. 129 c.p.p.. Sempre a proposito dell'imputata, essendo mancata l'identificazione della stessa, il fatto che ella fosse data per presente sarebbe stata solo una convinzione dei verbalizzanti. Tuttavia la Corte non avrebbe dedicato alcuna motivazione a tale punto, come ad altre obiezioni difensive, quale il passaggio di proprietà del parco automezzi, dalla CCM alla GVR del fratello.

    Sarebbe mancata, altresì, qualunque possibilità di differenziare il delitto di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 rispetto alla corrispondente contravvenzione.

    La Corte territoriale avrebbe poi erroneamente affermato che la consumazione del predetto delitto potesse essere riferibile anche ad un solo soggetto, giacchè l'attività integrativa del reato avrebbe presupposto il concorso di più soggetti. Ed allora, non dimostrata la presenza della G., l'elemento oggettivo del reato non sarebbe mai esistito nella realtà. Neppure il requisito dell'ingiusto profitto avrebbe potuto dirsi integrato, oltre alla palese insussistenza di un danno ambientale.

    Infine, sotto il profilo sanzionatorio, la sentenza impugnata non avrebbe provveduto a detrarre dalla pena complessiva quella relativa all'improcedibilità di diverse delle imputazioni, nè a motivare adeguatamente la mancata concessione delle attenuanti generiche.

    Le parti civili Giada Macchine s.r.l. ed T.A. hanno depositato memoria ex art. 611 c.p.p., chiedendo la conferma delle statuizioni civili della sentenza impugnata.
    

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    4.1. La Corte deve preliminarmente osservare che il ricorso, dopo aver articolato in rubrica due distinti motivi, affastella - in un unico, indifferenziato e disorganico sviluppo - una serie di questioni, logicamente autonome, che avrebbero senz'altro meritato capitoli specifici e che hanno reso difficoltosa la comprensione del mezzo d'impugnazione.

    4.2. Il ricorso va pertanto preliminarmente depurato da tutte le valutazioni spettanti ai giudici di merito - con riguardo ad esempio all'attestazione della presenza della G. presso la CCM da parte dei verbalizzanti - dalle questioni di puro fatto, dai problemi già esaurientemente delibati dalla Corte d'Appello e su cui le deduzioni dei ricorrenti non riescono ad incidere in alcun modo (come riguardo la rilevanza dell'invocato errore del dispositivo della sentenza di primo grado), ed infine dalle doglianze totalmente generiche (come l'erronea quantificazione della pena). Tutti i predetti rilievi sono dunque inammissibili.

    4.3. Residuano allora - ad avviso di questa Corte - due soli rilievi, in punto di diritto, ossia la correttezza della qualificazione giuridica del reato D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 260 e l'assoluzione con formula ampia di G.V. dal capo c). Essi sono però destituiti di fondamento.

    Quanto al primo profilo, del tutto correttamente la Corte territoriale richiamando pronunzie di legittimità, che questo Collegio condivide - ha affermato che il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260) non ha necessariamente natura plurisoggettiva (Sez. 3, n. 15630 del 12/01/2011 (dep. 20/04/2011), Costa, Rv. 249984). Non bisogna infatti confondere - come mostrano di fare i ricorrenti - l'apporto di mezzi e personale, ossia la predisposizione di una vera e propria struttura volta a realizzare il traffico dei rifiuti, che può essere approntata anche da una sola persona, con il contributo operativo anche di altri soggetti.

    Quanto al secondo profilo, mentre nel capo a) era contestato alla G. il trasporto senza licenza di ingenti quantità di rifiuti - sicchè del tutto condivisibilmente la Corte milanese, una volta accertato il possesso della licenza, ha prosciolto nel merito l'imputata - nel capo c) era contestato alla prevenuta il concorso nel reato posto in essere dal coimputato A., attraverso la fornitura di mezzi e personale alla s.p.a. Tagliabue per il trasporto di rifiuti da essa prodotti.

    5. Occorre poi rilevare che il mutato quadro legislativo, a seguito del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, con la depenalizzazione della fattispecie di cui all'art. 485 c.p., impone l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alle condotte di falso, di cui al capo j), perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

    Traendo le fila del discorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con riguardo a G.V. e con riferimento al capo j). Conseguentemente, dalla pena comminata in appello, devono essere espunti giorni 20 di reclusione, che costituiscono l'aumento, ai fini della continuazione, per il predetto reato.

    6. Quanto alla sorte delle statuizioni civili, a seguito dell'abrogazione del predetto reato, questo Collegio è a conoscenza della rimessione alle Sezioni Unite del quesito "se, in caso di condanna pronunciata per un reato successivamente abrogato e configurato quale illecito civile ai sensi del D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, possa decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili ovvero debba revocare le statuizioni civili" (ordinanza Sez. 2, n. 26092 del 15/06/2016 (dep. 22/06/2016)).

    Questo Collegio è altresì a conoscenza del contrasto - all'origine della rimessione - fra le pronunzie che hanno statuito la preclusione a decidere in merito ai collegati effetti civili, come conseguenza dell'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (Sez. 5, n. 16147 del 01/04/2016 (dep. 19/04/2016), Favaloro, Rv. 266503; Sez. 5, n. 15634 del 19/02/2016 (dep. 14/04/2016), Guerzoni, Rv. 266502; Sez. 5, n. 14044 del 09/03/2016 (dep. 07/04/2016), Di Bonaventura, Rv. 266297) e quelle decisioni che hanno, per converso, stabilito il dovere di decidere comunque sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (Sez. 2, n. 14529 del 23/03/2016 (dep. 11/04/2016), Bosco, Rv. 266467; Sez. 5, n. 14041 del 15/02/2016 (dep. 07/04/2016), Carbone, Rv. 266317).

    Il Collegio ritiene di dover aderire al secondo orientamento, preso atto dell'autonomia ontologica delle statuizioni civili rispetto alla commissione del reato presupposto (fra l'altro direttamente legato, quest'ultimo, agli effetti della prescrizione, che invece non travolge le altre), tanto più che, sul piano sostanziale, nulla cambia per le parti processuali. Infatti, con riguardo agli interessi civili, il Tribunale ha pronunziato una condanna generica, poi confermata dalla Corte territoriale nei medesimi termini. La pronuncia di condanna generica al risarcimento presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo del danno, rimanendo l'accertamento della concreta esistenza dello stesso riservato alla successiva fase, con la conseguenza che al giudice della liquidazione è consentito di negare la sussistenza del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudicato formatosi sull'an (Cass. Civile 13/09/2012 n. 15335 (Rv. 623804)).

    Pertanto, ferme restando le stesse statuizioni, gli imputati vanno condannati alla rifusione delle spese del grado nei confronti delle parti civili costituite, che si liquidano in un'unica nota spese, stante il litisconsorzio processuale fra le stesse.
    
    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di G.V., in relazione al reato contestatole al capo j), perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena, rideterminando quella finale in mesi otto di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di G.V.. Dichiara inammissibile il ricorso di G.G.. Condanna entrambi al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500 per ciascuno, in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle parti civili Giada Macchine s.r.l. e T.A., che liquida in complessivi Euro 4.020, oltre spese generali ed accessori di legge.

    Così deciso in Roma, il 30 giugno 2016.

    Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2016