Cass. Sez. III n. 27911 del 25 giugno 2019 (UP  4 apr 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Di Nicola Ric. Scavone
Rifiuti.Proprietario dell’area e responsabilità per deposito incontrollato

Il proprietario di un’area su cui terzi depositino in modo incontrollato rifiuti, è penalmente responsabile dell’illecita condotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale


RITENUTO IN FATTO

1. Virgilio Mario Scavone ricorre per cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Milano ha confermato quella del tribunale che lo aveva condannato alla pena di mesi sette di arresto ed euro 3000 di ammenda per il reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, perché in Milano, in strada privata via San Romanello, su di un’area a lui in uso, effettuava un’attività di raccolta rifiuti pericolosi e non pericolosi, in assenza della prescritta autorizzazione, in particolare carcasse di veicoli, batterie ed olii di motori esausti derivanti dalla sua attività di autoriparazioni/carrozzeria. Accertato in Milano, il 13 marzo 2009.

2. Il ricorrente, per il tramite del suo difensore di fiducia, affida il ricorso a tre motivi, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo eccepisce la prescrizione del reato, sostenendo che, a seguito della restituzione nel termine per impugnare la sentenza e a causa dell’erronea notificazione dell’estratto contumaciale, il reato, per il quale è intervenuta la condanna, si è nel frattempo prescritto.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale per l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 256, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 in relazione all’articolo 40 capoverso del codice penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Sostiene che la Corte di appello è pervenuta alla conferma della sentenza di condanna di primo grado sulla base di un’erronea valutazione dei fatti e alla luce di una non corretta applicazione delle norme giuridiche penali in materia di rapporto di causalità per mancata attivazione nell’impedimento dell’evento del reato commesso da altri.
Ricorda che la Corte territoriale ha ritenuto di configurare la responsabilità penale del ricorrente sul rilievo che egli, quanto all’area ove insistevano i rifiuti, avesse stipulato un fittizio contratto di locazione in quanto, nella qualità di proprietario del terreno, aveva conservato una copia delle chiavi di accesso all’immobile e sul rilievo che ciò costituisse, in ogni caso, prova sufficiente della conoscenza da parte sua dell’attività illecita di discarica di rifiuti esercitata nell’area, implicando il possesso delle chiavi dell’immobile anche il mantenimento di un potere di accesso e controllo sull’area stessa, incompatibile con il totale passaggio della detenzione al locatario.
Obietta il ricorrente che un tale approdo si pone in aperto contrasto con l’evoluzione giurisprudenziale in materia, la quale nega l’esistenza di una posizione di garanzia del proprietario per l’impedimento di reati commessi da altri soggetti rispetto agli illeciti di abbandono e realizzazione o gestione di discarica senza autorizzazione, sottolineando che nella legislazione ambientale una siffatta posizione di garanzia è rinvenibile unicamente a carico del produttore e/o detentore dei rifiuti.
Inoltre, sarebbe stata violata anche la disposizione di cui all’articolo 110 del codice penale in tema di concorso di persone, poiché il ricorrente sarebbe stato inspiegabilmente l’unico soggetto chiamato a rispondere del reato contestato, sulla base di una condotta omissiva (che come tale prevede quindi l’attivazione di un soggetto nei confronti dell’inerzia altrui), senza che sia stato contestato alcun concorso di persone nel reato.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale per l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione all’articolo 43 del codice penale).
Assume che la Corte di appello ha indicato, quale fondamento della colpevolezza, una responsabilità soggettiva per colpa sul presupposto che il ricorrente non avrebbe adempiuto all’obbligo di impedire l’uso illecito della cosa locata, pur essendone consapevole o potesse esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’articolo 40, comma 2, del codice penale.
Obietta che tale riferimento risulta viziato in quanto frutto di una generalizzazione ed omissione di motivazione perché costituisce la riproposizione di un principio generico fondato su presupposti fattuali e giuridici non applicabili al caso concreto.
Afferma che, alla luce dell’odierna giurisprudenza in tema di “ordinaria diligenza” e conseguente attribuibilità per colpa dell’evento di reato, affinché possa configurarsi l’elemento psicologico-soggettivo del dolo o almeno della colpa (da imputare al proprietario dell’area), che dovrebbe sorreggere la condotta omissiva di cui all’articolo 40, comma 2, del codice penale, deve verificarsi l’azione tipica rappresentata dalla norma stessa, nel senso che, dal comportamento del proprietario dell’area, deve desumersi un elemento di compartecipazione a livello morale o materiale nella altrui illecita condotta, con la conseguenza che un comportamento meramente omissivo non è sufficiente ad integrare la fattispecie di concorso nel fatto illecito commesso da altre persone.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, stabilito che il proprietario dell’area o colui che ne abbia la disponibilità per altro diritto reale di godimento è corresponsabile in solido con l’autore dell’illecito abbandono dei rifiuti da parte di terzi, solo qualora venga accertato il concorso, a qualsiasi titolo, nella condotta di compartecipazione agevolatrice, non sussistendo in questo caso una posizione di garanzia in capo allo stesso.
Ne consegue che tollerare un comportamento altrui non è sufficiente a far integrare l’illecito ed inoltre la colpevolezza del proprietario dell’area non può essere ravvisata se non esiste una esplicita legge che preveda l’obbligo giuridico di controllo, finalizzato ad impedire l’evento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre premettere che, sulla base delle disposizioni interne alla Corte, la motivazione della sentenza viene redatta in forma semplificata.

2. Il ricorso è inammissibile e la declaratoria di inammissibilità rende manifestamente infondato il primo motivo di gravame, in quanto la prescrizione del reato non è maturata alla data della sentenza di appello (29 maggio 2013), precludendo la presentazione di un ricorso inammissibile la formazione, per costante giurisprudenza della Corte, del rapporto giuridico processuale nella fase dell’impugnazione.
    
3. Il secondo ed il terzo motivo, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
Essi sono manifestamente infondati.
Come lo stesso ricorrente si mostra avvertito, i Giudici di merito, con doppia e conforme motivazione, hanno accertato come il ricorrente avesse concesso in locazione “un gabbiotto in lamiera senza permanenza di persone, con uso bagnetto, posto su una base di terreno cementato e recintato”. Egli, quindi, aveva pienamente conservato la proprietà e la piena disponibilità dell’area, oggetto della condotta illecita che gli era stata contestata. Inoltre, la conservazione delle chiavi di accesso al terreno costituiva, secondo il logico convincimento dei Giudici di merito, anche indice rilevante del carattere fittizio della locazione e comunque prova sufficiente della conoscenza da parte del locatore dell’attività illecita di discarica di rifiuti esercitata nell’area, implicando ciò il mantenimento di un potere di accesso e di controllo sull’area stessa da parte del proprietario, incompatibile con il totale passaggio della detenzione al locatario. Il fatto poi che l’imputato fosse perfettamente consapevole dell’attività di gestione e di produzione dei rifiuti, di cui al capo di imputazione, è stato desunto dalla circostanza che il ricorrente avesse presentato una richiesta di sanatoria per regolarizzare la posizione di uno dei due conduttori del gabbiotto concesso in locazione, ossia di uno straniero privo del permesso di soggiorno, richiesta di regolarizzazione giustificata proprio sul rilievo che, in loco, fosse esercitata l’attività lavorativa dalla quale derivava la produzione dei rifiuti.
Pertanto, nell’esprimere il proprio convincimento, la Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale il proprietario di un’area su cui terzi depositino in modo incontrollato rifiuti, è penalmente responsabile dell’illecita condotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale (Sez.  3, n. 45974 del 27/10/2011, Spagnuolo, Rv. 251340) e ciò in quanto, in tema di rifiuti, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione. E’ stato, infatti, affermato che risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti il proprietario che conceda in locazione un terreno a terzi per svolgervi un’attività di smaltimento di rifiuti, in quanto incombe sul primo, anche al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), l’obbligo di verificare che il concessionario sia in possesso dell’autorizzazione per l’attività di gestione dei rifiuti e che questi rispetti le prescrizioni contenute nel titolo abilitativo (Sez.  3, n. 36836 del 09/07/2009, Riezzo, Rv. 244966).
Queste impostazioni, ormai consolidate nella giurisprudenza della Corte e che il Collegio pienamente condivide, hanno superato, nei termini in cui esse sono state espresse, la posizione che la giurisprudenza di legittimità, richiamata anche dal ricorrente, aveva assunto in passato secondo la quale, in tema di gestione dei rifiuti, la responsabilità del soggetto avente la disponibilità di un’area sulla quale terzi abbiano abbandonato rifiuti è configurabile soltanto qualora venga accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto, ovvero per una condotta di compartecipazione agevolatrice, non sussistendo in questo caso una posizione di garanzia in capo allo stesso (Sez. 3, n. 21966 del 15/03/2005, Nugnes, Rv. 231645).
Infatti, nel caso in cui, come nella specie, il proprietario conceda, in tutto o in parte, a terzi beni immobili in uso per l’esercizio di un’attività dalla scaturisca una produzione di rifiuti, detta attività deve ritenersi soggetta ad autorizzazione cosicché incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’articolo 42 Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione  dell'immobile avvenga nel rispetto dei parametri legali, e, quindi, che il terzo, cui venga concesso in uso il bene, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti che su detto terreno venga esercitata e rispetti le prescrizioni in essa contenute.
Nella specie, invero, il proprietario era a conoscenza dell’attività svolta ed aveva anche contribuito attivamente alla realizzazione dell’illecito presidiato dalla sanzione penale, concedendo l’uso di un “gabiotto” a tale scopo e persino consentendo che i rifiuti prodotti dall’attività fossero accumulati sul terreno circostante.
 Peraltro, è stato correttamente osservato, nella impugnata sentenza, che l’autore della stessa può essere chiamato a risponderne anche a titolo di colpa, cosicché, anche escludendosi il concorso dell'imputato con gli esercenti l’attività di riparazione di veicoli e dalla cui attività derivava la produzione dei rifiuti, correttamente ne è stata egualmente affermata la responsabilità, per quanto rilevato in ordine all’obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché egli ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’articolo 40, comma 2, del codice penale.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 04/04/2019