Cass. Sez. III n. 30393 del 22 luglio 2009 (Ud. 18 giu. 2009)
Pres. Onorato Est. Gazzara Ric. Stefanini
Rifiuti. Sottoprodotti
Il sottoprodotto non è assoggettato a trattamento per una riutilizzazione successiva, visto che in tale categoria rientra solo ciò che non nuoce all’ambiente ed è immediatamente utilizzato come materia prima secondaria, senza previa trasformazione, così sottraendosi alla disciplina sui rifiuti di cui al d. lvo 152/06
Pres. Onorato Est. Gazzara Ric. Stefanini
Rifiuti. Sottoprodotti
Il sottoprodotto non è assoggettato a trattamento per una riutilizzazione successiva, visto che in tale categoria rientra solo ciò che non nuoce all’ambiente ed è immediatamente utilizzato come materia prima secondaria, senza previa trasformazione, così sottraendosi alla disciplina sui rifiuti di cui al d. lvo 152/06
Il Tribunale di Modena con sentenza del 10/10/08 ha dichiarato Stefanini Detalmo responsabile del reato di cui all’art. 51, comma 1, lett. a, D.Lvo 22/97, in quanto in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, in mancanza della prescritta autorizzazione di legge, effettuava attività di raccolta, trasporto e recupero di rifiuti, mediante la frantumazione di materiali inerti provenienti da demolizioni edili.
Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, con i seguenti motivi:
- evidente omissione di ogni valutazione attinente alla correlazione tra la contestazione effettuata dal P.M., in maniera generica e apparentemente alternativa, e la specifica condotta per cui si è pervenuto alla condanna dell’imputato. Il giudice di merito avrebbe dovuto individuare specificamente la fattispecie di reato, attraverso la riduzione della originaria imputazione, onde assolvere all’obbligo dettato dall’art. 521 c.p.p.;
- errata definizione e qualificazione del materiale rinvenuto nel terreno gestito dal prevenuto, non avendo il decidente rilevato che l’imputato era in attesa di ottenere la autorizzazione per la utilizzazione dell’impianto di frantumazione ed avrebbe utilizzato il materiale de quo, per poi commercializzarlo e trarne un profitto. Per il rimanente materiale rinvenuto, travi di cemento ed altro, proveniente da demolizioni edilizie, il giudice di merito ha erroneamente applicato l’istituto del deposito temporaneo, previsto dall’art. 183, co. 1, lett. m, D.L.vo 152/06;
- insufficienza delle risultanze istruttorie ed inutilizzabilità della deposizione del teste Corsini visto che costui poteva sì deporre circa l’esistenza di tale denuncia ma per l’utilizzabilità del contenuto della stessa si sarebbero dovute applicare le regole dettate dai primi tre commi dell’art. 195 c.p.p., con conseguente citazione, in qualità di testimone dello stesso Calzati. Ne consegue, ineluttabilmente, l’inutilizzabilità della deposizione del predetto teste.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
La argomentazione motivazionale, posta a sostegno della decisione impugnata, si appalesa logica e corretta.
Il giudice di merito ha dato contezza di avere affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ad esso ascritto, dopo avere sottoposto a corretta analisi le emergenze istruttorie, dalle quali ha tratto netti elementi di riscontro all’accusa mossa nei confronti dello Stefanini.
In particolare, il decidente richiama la testimonianza dell’ispettore Corsini Elena, all’epoca in servizio presso la Polizia Municipale di Zocca, dalla quale si rileva che il terreno sul quale erano stati rinvenuti i materiali di cui alla imputazione era stato concesso in affitto dai proprietari all’imputato, legale rappresentante della omonima impresa individuale, con sede in Guiglia.
Inoltre, dalle ulteriori deposizioni assunte era emerso che nel corso del sopralluogo effettuato sul terreno de quo, era stata rilevata la presenza del macchinario per la frantumazione di inerti e materiali provenienti da demolizioni, ma, in quel momento, non risultava in corso alcuna attività.
Il predetto ispettore Corsini aveva avviato un procedimento amministrativo, volto ad accertare se lo Stefanini fosse in possesso della autorizzazione relativa a detto macchinario, ma l’imputato aveva unicamente prodotto una richiesta, del 16/9/04, tendente ad ottenere la detta autorizzazione, (rilasciata il successivo 12/1/05 dalla Provincia di Modena - servizio gestione integrata sistemi ambientali).
Era seguito un esposto di un cittadino di Zocca, tale Calzati Raffaele, in data 7/10/04, volto a lamentare la presenza dell’impianto predetto in terreno in uso allo Stefanini e la attività di frantumazione in corso.
Con successivo sopralluogo, in data 11/10/04, effettuato dalla P.G., era stata rilevata la presenza dell’impianto di frantumazione di inerti e materiali provenienti da demolizioni, per circa 120 metri cubi, del ché l’ufficio tecnico edilizia del Comune di Zocca il giorno successivo aveva ordinato al prevenuto di non utilizzare l’impianto de quo e di bonificare l’area dai materiali già frantumati.
Da accertamento eseguito successivamente si rilevava che lo Stefanini non aveva ottemperato all’ordine predetto, anzi veniva riscontrata una quantità maggiore di materiale di derivazione di un cantiere edile e l’imputato curava di provvedere alla rimozione solo successivamente alla comunicazione della notizia di reato per i fatti in contestazione.
I materiali rinvenuti nel terreno nella disponibilità del prevenuto sono classificabili in parte come materie prime secondarie ed in parte come rifiuti non pericolosi, derivanti da demolizioni edilizie.
Quindi, a giusta ragione, il decidente ha evidenziato che le risultanze istruttorie consentono di ritenere provata la tesi accusatoria della penale responsabilità dello Stefanini, in ordine alla contravvenzione in materia ambientale ascrittagli, giacché costui ha effettuato attività di raccolta, trasporto e recupero rifiuti, mediante la frantumazione di materiali inerti, provenienti da demolizioni edili. Egli, peraltro, non ha ottemperato alla prima ordinanza che gli imponeva di non utilizzare il macchinario di frantumazione, per il quale era ancora privo di autorizzazione, e ciò risulta provato dal fatto che, in occasione del terzo sopralluogo, era stata rinvenuta una quantità maggiore di materiali frantumati, rispetto al sopralluogo precedente.
Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per omessa valutazione in attinenza alla correlazione tra la contestazione, effettuata dal p.m. in maniera generica ed alternativa e la specifica condotta per cui ha ritenuto di addivenire alla condanna del prevenuto; come è noto, infatti, la norma contestata prevede tre fattispecie autonome e distinte (la raccolta, il trasporto ed il recupero dei rifiuti) astrattamente idonee ad ingenerare altrettante accuse e procedimenti.
Non si è avuto modo di comprendere, data la genericità della contestazione, se il p.m. abbia inteso contestare tutte o solo alcune delle fattispecie ed in tal caso quali, ovvero se procedere ad una contestazione alternativa.
In ogni caso, a parere del ricorrente, all’esito della istruttoria dibattimentale il giudice avrebbe dovuto individuare specificamente la fattispecie di reato, attraverso la riduzione della imputazione originaria, onde assolvere all’obbligo dettato dall’art. 521 c.p.p., ma tanto non è avvenuto.
Dal vaglio a cui è stata sottoposta la decisione impugnata emerge che la doglianza de qua non ha ragion d’essere: il giudice di merito, infatti, ha rilevato che le risultanze istruttorie assunte consentono di ritenere provata la tesi accusatoria in ordine alla penale responsabilità del prevenuto per il reato contravvenzionale in materia ambientale allo stesso ascritta, giacché, esso prevenuto, in qualità di titolare della omonima impresa individuale, dunque responsabile della gestione dei rifiuti della sua impresa, ha effettuato attività di raccolta, trasporto e recupero di rifiuti, mediante frantumazione di materiali inerti, provenienti da demolizioni edili; peraltro, lo Stefanini è risultato inottemperante alla prima ordinanza, che gli imponeva la inutilizzazione del macchinario per la frantumazione, per il quale era ancora privo di autorizzazione.
Totalmente priva di fondamento si palesa anche la seconda censura, formulata in ricorso, con la quale si contesta la definizione del materiale rinvenuto nel terreno di pertinenza dell’imputato, da qualificarsi quale sottoprodotto e non, come ritenuto dal decidente, quale rifiuto.
Sul punto è sufficiente solo considerare che il sottoprodotto non è assoggettato a trattamento per una riutilizzazione successiva, visto che in tale categoria rientra solo ciò che non nuoce all’ambiente ed è immediatamente utilizzato come materia prima secondaria, senza previa trasformazione, così
sottraendosi alla disciplina sui rifiuti di cui al D.Lvo 152/06 ( Cass. 1/6/05, n. 20499).
Nella specie l’imputato sottoponeva a frantumazione il materiale derivante da demolizioni edilizie, tanto che la autorizzazione concessagli dalla Provincia di Modena era, appunto, volta a consentirgli
l’esercizio delle operazioni di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, identificati nell’allegato C) al D.Lvo 22/97 e successive modifiche ed integrazioni.
Inammissibile è da considerare anche il terzo motivo di ricorso, non solo per quanto attiene alla contestata analisi valutativa delle emergenze istruttorie, svolta dal giudice di merito, il cui riesame, peraltro, in questa è inibito, ma in particolare in merito alla eccezione di inutilizzabilità della deposizione della teste Corsini Elena, nella parte in cui riporta il contenuto della denuncia presentata da Calzati Raffaele, in quanto non risulta dagli atti che la difesa del prevenuto abbia richiesto la audizione del detto Calzati, ex art. 195, co. 1, c.p.p.: devono, infatti, ritenersi utilizzabili le dichiarazioni de relato qualora l’imputato non si sia avvalso del diritto di chiedere che sia chiamato a deporre il teste di riferimento e tale disciplina non si pone in contrasto con l’art. 111 Costituzione, in quanto l’ordinamento consente che la formazione della prova avvenga senza contradditorio, quando vi è il consenso dell’imputato (Cass. 2/7/03, Baini; Cass. 24/10/03, De Rose).
Si osserva, da ultimo, che la inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p..
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono motivi per ritenere che lo Stefanini abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente, con i seguenti motivi:
- evidente omissione di ogni valutazione attinente alla correlazione tra la contestazione effettuata dal P.M., in maniera generica e apparentemente alternativa, e la specifica condotta per cui si è pervenuto alla condanna dell’imputato. Il giudice di merito avrebbe dovuto individuare specificamente la fattispecie di reato, attraverso la riduzione della originaria imputazione, onde assolvere all’obbligo dettato dall’art. 521 c.p.p.;
- errata definizione e qualificazione del materiale rinvenuto nel terreno gestito dal prevenuto, non avendo il decidente rilevato che l’imputato era in attesa di ottenere la autorizzazione per la utilizzazione dell’impianto di frantumazione ed avrebbe utilizzato il materiale de quo, per poi commercializzarlo e trarne un profitto. Per il rimanente materiale rinvenuto, travi di cemento ed altro, proveniente da demolizioni edilizie, il giudice di merito ha erroneamente applicato l’istituto del deposito temporaneo, previsto dall’art. 183, co. 1, lett. m, D.L.vo 152/06;
- insufficienza delle risultanze istruttorie ed inutilizzabilità della deposizione del teste Corsini visto che costui poteva sì deporre circa l’esistenza di tale denuncia ma per l’utilizzabilità del contenuto della stessa si sarebbero dovute applicare le regole dettate dai primi tre commi dell’art. 195 c.p.p., con conseguente citazione, in qualità di testimone dello stesso Calzati. Ne consegue, ineluttabilmente, l’inutilizzabilità della deposizione del predetto teste.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
La argomentazione motivazionale, posta a sostegno della decisione impugnata, si appalesa logica e corretta.
Il giudice di merito ha dato contezza di avere affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ad esso ascritto, dopo avere sottoposto a corretta analisi le emergenze istruttorie, dalle quali ha tratto netti elementi di riscontro all’accusa mossa nei confronti dello Stefanini.
In particolare, il decidente richiama la testimonianza dell’ispettore Corsini Elena, all’epoca in servizio presso la Polizia Municipale di Zocca, dalla quale si rileva che il terreno sul quale erano stati rinvenuti i materiali di cui alla imputazione era stato concesso in affitto dai proprietari all’imputato, legale rappresentante della omonima impresa individuale, con sede in Guiglia.
Inoltre, dalle ulteriori deposizioni assunte era emerso che nel corso del sopralluogo effettuato sul terreno de quo, era stata rilevata la presenza del macchinario per la frantumazione di inerti e materiali provenienti da demolizioni, ma, in quel momento, non risultava in corso alcuna attività.
Il predetto ispettore Corsini aveva avviato un procedimento amministrativo, volto ad accertare se lo Stefanini fosse in possesso della autorizzazione relativa a detto macchinario, ma l’imputato aveva unicamente prodotto una richiesta, del 16/9/04, tendente ad ottenere la detta autorizzazione, (rilasciata il successivo 12/1/05 dalla Provincia di Modena - servizio gestione integrata sistemi ambientali).
Era seguito un esposto di un cittadino di Zocca, tale Calzati Raffaele, in data 7/10/04, volto a lamentare la presenza dell’impianto predetto in terreno in uso allo Stefanini e la attività di frantumazione in corso.
Con successivo sopralluogo, in data 11/10/04, effettuato dalla P.G., era stata rilevata la presenza dell’impianto di frantumazione di inerti e materiali provenienti da demolizioni, per circa 120 metri cubi, del ché l’ufficio tecnico edilizia del Comune di Zocca il giorno successivo aveva ordinato al prevenuto di non utilizzare l’impianto de quo e di bonificare l’area dai materiali già frantumati.
Da accertamento eseguito successivamente si rilevava che lo Stefanini non aveva ottemperato all’ordine predetto, anzi veniva riscontrata una quantità maggiore di materiale di derivazione di un cantiere edile e l’imputato curava di provvedere alla rimozione solo successivamente alla comunicazione della notizia di reato per i fatti in contestazione.
I materiali rinvenuti nel terreno nella disponibilità del prevenuto sono classificabili in parte come materie prime secondarie ed in parte come rifiuti non pericolosi, derivanti da demolizioni edilizie.
Quindi, a giusta ragione, il decidente ha evidenziato che le risultanze istruttorie consentono di ritenere provata la tesi accusatoria della penale responsabilità dello Stefanini, in ordine alla contravvenzione in materia ambientale ascrittagli, giacché costui ha effettuato attività di raccolta, trasporto e recupero rifiuti, mediante la frantumazione di materiali inerti, provenienti da demolizioni edili. Egli, peraltro, non ha ottemperato alla prima ordinanza che gli imponeva di non utilizzare il macchinario di frantumazione, per il quale era ancora privo di autorizzazione, e ciò risulta provato dal fatto che, in occasione del terzo sopralluogo, era stata rinvenuta una quantità maggiore di materiali frantumati, rispetto al sopralluogo precedente.
Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per omessa valutazione in attinenza alla correlazione tra la contestazione, effettuata dal p.m. in maniera generica ed alternativa e la specifica condotta per cui ha ritenuto di addivenire alla condanna del prevenuto; come è noto, infatti, la norma contestata prevede tre fattispecie autonome e distinte (la raccolta, il trasporto ed il recupero dei rifiuti) astrattamente idonee ad ingenerare altrettante accuse e procedimenti.
Non si è avuto modo di comprendere, data la genericità della contestazione, se il p.m. abbia inteso contestare tutte o solo alcune delle fattispecie ed in tal caso quali, ovvero se procedere ad una contestazione alternativa.
In ogni caso, a parere del ricorrente, all’esito della istruttoria dibattimentale il giudice avrebbe dovuto individuare specificamente la fattispecie di reato, attraverso la riduzione della imputazione originaria, onde assolvere all’obbligo dettato dall’art. 521 c.p.p., ma tanto non è avvenuto.
Dal vaglio a cui è stata sottoposta la decisione impugnata emerge che la doglianza de qua non ha ragion d’essere: il giudice di merito, infatti, ha rilevato che le risultanze istruttorie assunte consentono di ritenere provata la tesi accusatoria in ordine alla penale responsabilità del prevenuto per il reato contravvenzionale in materia ambientale allo stesso ascritta, giacché, esso prevenuto, in qualità di titolare della omonima impresa individuale, dunque responsabile della gestione dei rifiuti della sua impresa, ha effettuato attività di raccolta, trasporto e recupero di rifiuti, mediante frantumazione di materiali inerti, provenienti da demolizioni edili; peraltro, lo Stefanini è risultato inottemperante alla prima ordinanza, che gli imponeva la inutilizzazione del macchinario per la frantumazione, per il quale era ancora privo di autorizzazione.
Totalmente priva di fondamento si palesa anche la seconda censura, formulata in ricorso, con la quale si contesta la definizione del materiale rinvenuto nel terreno di pertinenza dell’imputato, da qualificarsi quale sottoprodotto e non, come ritenuto dal decidente, quale rifiuto.
Sul punto è sufficiente solo considerare che il sottoprodotto non è assoggettato a trattamento per una riutilizzazione successiva, visto che in tale categoria rientra solo ciò che non nuoce all’ambiente ed è immediatamente utilizzato come materia prima secondaria, senza previa trasformazione, così
sottraendosi alla disciplina sui rifiuti di cui al D.Lvo 152/06 ( Cass. 1/6/05, n. 20499).
Nella specie l’imputato sottoponeva a frantumazione il materiale derivante da demolizioni edilizie, tanto che la autorizzazione concessagli dalla Provincia di Modena era, appunto, volta a consentirgli
l’esercizio delle operazioni di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, identificati nell’allegato C) al D.Lvo 22/97 e successive modifiche ed integrazioni.
Inammissibile è da considerare anche il terzo motivo di ricorso, non solo per quanto attiene alla contestata analisi valutativa delle emergenze istruttorie, svolta dal giudice di merito, il cui riesame, peraltro, in questa è inibito, ma in particolare in merito alla eccezione di inutilizzabilità della deposizione della teste Corsini Elena, nella parte in cui riporta il contenuto della denuncia presentata da Calzati Raffaele, in quanto non risulta dagli atti che la difesa del prevenuto abbia richiesto la audizione del detto Calzati, ex art. 195, co. 1, c.p.p.: devono, infatti, ritenersi utilizzabili le dichiarazioni de relato qualora l’imputato non si sia avvalso del diritto di chiedere che sia chiamato a deporre il teste di riferimento e tale disciplina non si pone in contrasto con l’art. 111 Costituzione, in quanto l’ordinamento consente che la formazione della prova avvenga senza contradditorio, quando vi è il consenso dell’imputato (Cass. 2/7/03, Baini; Cass. 24/10/03, De Rose).
Si osserva, da ultimo, che la inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p..
Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono motivi per ritenere che lo Stefanini abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.