Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4595, del 1 ottobre 2015
Rifiuti.La disciplina ex d.lgs. 36/2003 è applicabile anche alle discariche già autorizzate.

La disciplina contenuta nel d.lgs. 36/2003 è applicabile anche alle discariche già autorizzate precedentemente all’entrata in vigore della stessa. Al riguardo, va rilevato che l’art. 17, d.lgs. 36/2003, nel dettare disposizioni transitorie e finali, al comma 1, prevede che: «Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate», al comma 3, stabilisce che: «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell'autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all'autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all'articolo 14» ed al comma 5, infine, conclude che: «In caso di mancata approvazione del piano di cui al comma 3, l'autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all'articolo 12, comma 1, lettera c) ». Il legislatore è chiaro nel prevedere in capo ai titolari di discariche autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, ossia al 27 marzo 2003, un obbligo di presentazione di un piano di adeguamento, che contenga necessariamente le garanzie finanziarie. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 



N. 04595/2015REG.PROV.COLL.

N. 09936/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9936 del 2009, proposto dalla s.p.a. Lif, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avvocato Armando Montarsolo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via San Tommaso D'Aquino, n. 116; 

contro

La Provincia di Udine, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Arturo Benigni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Siracusa, n. 16; 

nei confronti di

La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Michela Delneri e Daniela Iuri, domiciliata in Roma, piazza Colonna, n. 355; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, n. 302/2009, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Udine e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Armando Montarsolo, Massimiliano Aita su delega dell'avvocato Arturo Benigni, Michela Delneri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Friuli-Venezia Giulia, la s.p.a. Lif impugnava la delibera della Giunta Provinciale di Udine n. 150 dd. 21 luglio 2008 e del DPGR n. 266 pres. dd. 11 agosto 2005, come modificato dal DPGR n. 409 pres. dd. 18 novembre 2005:, nella parte in cui: a) prevede la presentazione di garanzie finanziarie "adeguate entro 30 giorni dall'approvazione o mancata approvazione del piano di adeguamento"; b) all'art. 2, prevede che sono obbligati alla presentazione delle garanzie finanziarie, i soggetti pubblici e privati, già autorizzati alla gestione di discariche che hanno presentato il piano di adeguamento della discarica, senza distinzione tra discariche che hanno ottenuto l'approvazione del piano di adeguamento e quelle che non l'hanno ottenuta; c) all'art. 4 non distingue le garanzie da prestare fra discariche adeguate e discariche non adeguate.

Successivamente, con un primo ricorso per motivi aggiunti la società impugnava la delibera della giunta provinciale di Udine n. 187 dd. 1° settembre 2008 e la determina della Provincia di Udine dd. 18 settembre 2008.

Infine, con un secondo ricorso per motivi aggiunti, la scoietà impugnava la deliberazione della giunta provinciale di Udine n. 337 del 15 dicembre 2008, limitatamente ai punti 6, 8, 15 e 17 del deliberato, nonché la nota n. 2009/1415 dell’8 gennaio 2009.

2. L’originaria ricorrente deduceva di essere di avere in esercizio le discariche di: I) Remanzacco; II) Marignacco; III) Pradamano, e contestava con i ricorsi la disciplina e le modalità di chiusura delle discariche in questione.

3) Il primo giudice con la sentenza indicata in epigrafe si pronunciava solo sul ricorso introduttivo e sul primo ricorso per motivi aggiunti, dichiarandoli in parte inammissibili (in relazione alle doglianze concernenti la discarica di Remanzacco) ed in parte infondati, mentre riservava di decidere a seguito di istruttoria sul secondo ricorso per motivi aggiunti.

3. Propone appello l’originario ricorrente, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che il discrimine per l'applicazione delle nuove regole, introdotte dal D. Lgs 36/2003, è la mera circostanza che la discarica fosse in attività al 27 marzo 2003, data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo e da tale elemento fa derivare la piena applicabilità alla discarica gestita dalla Lif della nuova normativa.

Il TAR non avrebbe rilevato che lo stesso art. 17 del D. Lgs 36/2003 prevedrebbe che le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del decreto avrebbero potuto continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui erano state autorizzate, e che fino a tale data sarebbero state efficaci le autorizzazioni. Il medesimo decreto, poi, stabilirebbe che, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, il gestore della discarica avrebbe potuto presentare un piano di adeguamento sulla base della nuova normativa e che, infine, ( comma 5 ) la mancata approvazione sarebbe stata sanzionata con la chiusura delle discarica.

Inoltre, l'art. 17, laddove impone i piani di adeguamento per tutte le strutture esistenti, si riferirebbe solo a quelle in piena attività, e di queste solo a quelle che avessero ottenuto l'autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio della discarica .

Sarebbe, quindi, evidente che, nel caso in esame, essendo la discarica esaurita e non essendoci alcuna ragione per autorizzare una gestione successiva, non potevano essere imposte nuove garanzie finanziarie, non collegabili ai prezzi praticati durante l'attività.

Un secondo profilo di doglianza contenuto nel presente appello è rappresentato dall’errore in cui sarebbe incorso il TAR, non rilevando l’incompetenza dell’amministrazione provinciale, ai sensi dell’art. 23, comma 1-bis, l.r. Friuli Venezia-Giulia, n. 30/1987.

La Provincia di Udine, infatti, possedendo una rilevante partecipazione della s.p.a. EXE, gestore di una discarica, non avrebbe potuto adottare il provvedimento autorizzativo finale, risultando traslate le competenze a favore dell’amministrazione regionale.

Per il resto l’appellante si riporta integralmente ai motivi di ricorso di primo grado.

4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione provinciale sostiene: a) l’inammissibilità dell’appello per difetto di notifica; b) l’inammissibilità dell’appello per difetto di interesse; c) l’inammissibilità dell’appello per i motivi rinunciati; d) l’infondatezza dell’appello anche in ragione del precedente di di questo Consiglio n. 1662/2014.

5. L’amministrazione regionale, dal canto suo, sostiene l’inammissibilità dell’appello nella parte in cui si limita a richiamare i motivi di primo grado, la tardività dell’impugnazione del decreto del Presidente della Regione dell’11 agosto 2005, n. 266, se autonomamente lesivo, e nel resto l’infondatezza del gravame in esame.

6. Nelle successive difese l’appellante evidenzia che il TAR Friuli, con ordinanza n. 533/2014, avrebbe sollevato una questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 5, comma 1, l.r. Friuli Venezia Giulia, n. 30/1987, richiamando la sentenza della Corte costituzionale, n. 67/2014, che avrebbe escluso che la determinazione delle garanzie finanziarie possa avvenire con atto regionale regolamentare.

7. Il presente appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.

7.1. L’onere di specificità dei motivi di appello, oggi previsto dall’art. 104 c.p.a., infatti, era già ampiamente affermato anche per il processo amministrativo dalla giurisprudenza di questo Consiglio prima della sua entrata in vigore. Così Cons. St., Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8966, ha affermato che: «Il requisito della specificità dei motivi di appello, prescritto dall'art. 342 Cod. proc. civ. applicabile anche al processo amministrativo, non si presta ad una definizione generale, astratta e assoluta, dovendo piuttosto essere correlato alla motivazione della sentenza impugnata, nel senso che la manifestazione volitiva dell'appellante deve essere formulata in modo da consentire di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione, e deve quindi contenere l'indicazione, sia pure in forma succinta, degli errori attribuiti alla sentenza censurata, i quali vanno correlati alla motivazione di questa ultima e quindi devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione».

Facendo applicazione del suddetto principio, si deve rilevare che il primo giudice ha analizzato puntualmente tutti i motivi del ricorso di primo grado, pertanto, il presente appello - nella parte in cui si limita a riportarsi ai suddetti motivi senza formulare alcuna critica ai passaggi logico-giuridici della sentenza impugnata - va dichiarato inammissibile.

7.2. Peraltro, l’infondatezza delle due critiche espresse dall’appellante consente di prescindere dalle eccezioni proposte dalle amministrazione appellate.

7.2.1. Va, infatti, rilevato che la questione relativa all’applicazione temporale della disciplina contenuta nel d.lgs. 36/2003 è già stata vagliata da questa Sezione con la pronuncia n. 1662/2014, che ha ritenuto la disciplina de qua applicabile anche alle discariche già autorizzate precedentemente all’entrata in vigore della stessa.

Al riguardo, va rilevato che l’art. 17, d.lgs. 36/2003, nel dettare disposizioni transitorie e finali, al comma 1, prevede che: «Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate», al comma 3, stabilisce che: «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell'autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all'autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all'articolo 14» ed al comma 5, infine, conclude che: «In caso di mancata approvazione del piano di cui al comma 3, l'autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all'articolo 12, comma 1, lettera c) ».

Il legislatore è chiaro nel prevedere in capo ai titolari di discariche autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, ossia al 27 marzo 2003, un obbligo di presentazione di un piano di adeguamento, che contenga necessariamente le garanzie finanziarie.

Nella fattispecie è la stessa appellante che ammette (cfr. pag. 4 del presente appello) che la propria discarica rimaneva in attività sino al 22 dicembre 2006 e che essa presentava il piano di adeguamento previsto dal citato art. 17 in data 26 settembre 2003.

Tale presentazione, lungi dall’essere espressione di una facoltà da parte dell’originaria ricorrente, risultava dovuta sulla base delle citate disposizioni, in quanto diretta espressione del principio di precauzione, teso ad evitare di riversare in capo alla collettività i costi ed i rischi della chiusura di un impianto non adeguabile.

Né può trarsi argomento dalla circostanza che vi sarebbe stato un breve periodo tra il momento di entrata in vigore della nuova normativa e quella di cessazione dell’attività, tale da non consentire il recupero dei costi per le garanzie finanziarie, poiché deve considerarsi a tal fine il più ampio periodo dell’intera efficacia dell’autorizzazione.

Inoltre, la bontà della lettura proposta si apprezza anche attraverso il dettato del comma 5, dell’art. 14, d.lgs. n. 36/2003, secondo il quale: «Nel caso di impianti di discarica la cui coltivazione ha raggiunto, alla data di entrata in vigore del presente decreto, l'80% della capacità autorizzata, il massimale da garantire secondo i parametri previsti è ridotto nella misura del 40%.».

Tale disposizione ha preso in considerazione gli interessi anche dei gestori delle discariche, modula l’ammontare delle garanzie finanziarie da prestare in ragione del livello di coltivazione residuo della discarica.

7.2.2. In ordine alla contestazione inerente l’incompetenza da parte dell’amministrazione provinciale a causa della situazione di conflitto di interessi, nella quale si sarebbe trovata, risulta condivisibile l’ulteriore impugnata statuizione del TAR.

L’art. 23, comma 1-bis¸ della citata l.r. n. 30/1987, recita dispone , infatti: «Qualora la Provincia promuova o partecipi ad aziende o società di cui all'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, come modificato dall'articolo 17, comma 58, della legge 15 maggio 1997, n. 127, che abbiano tra le proprie attività la progettazione, la realizzazione e la gestione di impianti di smaltimento dei rifiuti e che le esercitino direttamente o tramite partecipazione ad altre società, il provvedimento finale di autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio, come previsto dalle vigenti disposizioni di legge e regolamentari, spettano rispettivamente alla Giunta regionale ed al Direttore regionale all'ambiente».

Tale disposizione vieta alla Provincia di rilasciare il provvedimento di autorizzazione a favore della società, che promuove o partecipa, ma non anche di non esercitare i propri poteri anche nei confronti di ogni altro soggetto, nel caso in cui abbia una partecipazione in una società che gestisca un diverso impianto di smaltimento rifiuti.

8. Quanto, infine, alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, l.r. Friuli Venezia Giulia, n. 30/1987, deve osservarsi che essa difetta di rilevanza, poiché non si collega ad alcuno dei due motivi ammissibili contenuti nel presente appello, in quanto riguarda il diverso aspetto dello strumento giuridico attraverso il quale stabilire i parametri per la quantificazione delle garanzie finanziarie, sicché esula dal thema decidendi, oggetto del presente giudizio.

9. L’appello deve, quindi, essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte deve essere respinto. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 9936 del 2009, come in epigrafe proposto,lo dichiara in parte inammissibile ed in parte lo respinge.

Condanna Lif S.p.a. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, sia in favore della regione Friuli Venezia-Giulia che in favore della Provincia di Udine, per un totale di euro 4.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/10/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)