Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1556, del 23 marzo 2015
Rifiuti.Mancanza prossimità ai luoghi di produzione. Illegittimità annullamento AIA per impianto di recupero e smaltimento di polveri di ossido di ferro

L’indispensabilità dell’impianto in relazione ai fabbisogni di smaltimento locali e dunque la sua stretta prossimità ai luoghi di produzione non costituisce un presupposto la cui mancanza deve necessariamente condurre al diniego dell’autorizzazione integrata ambientale. Ciò che rileva in via primaria è invece la rispondenza delle caratteristiche dell’impianto alle esigenze di trattamento e di recupero dei rifiuti speciali in esso conferiti, profilo che risulta debitamente accertato nel procedimento che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione ambientale impugnata, nonché nella motivazione del provvedimento finale, e che il Comune appellato non ha mai specificamente contestato nella propria impugnativa. Inoltre, le esigenze di garantire la rispondenza dell’impianto al principio di prossimità risultano nel caso di specie soddisfatte, alla stregua della quale la Regione si riserva di verificare il rispetto del principio di prossimità in caso di conferimento di ceneri di pirite provenienti da altre regioni. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01556/2015REG.PROV.COLL.

N. 06951/2014 REG.RIC.

N. 08134/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6951 del 2014, proposto da Nekta Servizi s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Stefania Masini e Stefano Nespor, con domicilio eletto presso la prima, in Roma, via Antonio Gramsci 24; 

contro

Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristina Zampieri, Emanuele Mio, Ezio Zanon e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri 5; 
Comune di San Dona’ di Piave, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Pellegrini, con domicilio eletto presso Federica Scafarelli in Roma, via G. Borsi 4; 
Provincia di Venezia;


sul ricorso numero di registro generale 8134 del 2014, proposto da Nekta Servizi s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Stefania Masini e Stefano Nespor, con domicilio eletto presso la prima, in Roma, via Antonio Gramsci 24; 

contro

Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristina Zampieri, Ezio Zanon, Emanuele Mio e Andrea Manzi,con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri 5; 
Provincia di Venezia, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Vinti e Roberta Brusegan, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via Emilia 88; 
Comune di San Dona’ di Piave; 

per la riforma

quanto al ricorso n. 6951 del 2014:

della sentenza del T.A.R. VENETO, Sezione III, n. 773/2014, resa tra le parti, concernente un’autorizzazione ambientale per la realizzazione di un impianto di recupero e smaltimento delle polveri di ossidi di ferro

quanto al ricorso n. 8134 del 2014:

della sentenza del T.A.R. VENETO, Sezione III, n. 772/2014, resa tra le parti, concernente un’autorizzazione ambientale per la realizzazione di un impianto di recupero e smaltimento delle polveri di ossidi di ferro

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli appelli incidentali della Regione Veneto e gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Dona’ di Piave e della Provincia di Venezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2015 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Maria Stefania Masini, Andrea Manzi, Federica Scafarelli, su delega dell’avvocato Vincenzo Pellegrini, Emanuele Mio, Ezio Zanon, Cristina Zampieri, Stefano Vinti e Roberta Brusegan;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con separati ricorsi, il Comune di San Dona’ di Piave e la Provincia di Venezia impugnavano davanti al TAR Veneto l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla Regione Veneto alla Nekta Servizi s.r.l per la realizzazione nel territorio dell’amministrazione comunale ricorrente di un impianto di recupero e smaltimento di polveri di ossido di ferro (delibera di giunta regionale n. 2129 del 23 ottobre 2012).

2. Con le sentenze in epigrafe il TAR adito accoglieva i ricorsi ed annullava conseguentemente la delibera di giunta regionale impugnata.

Il giudice di primo grado giudicava fondata in entrambe le pronunce la censura di violazione dell’art. 16 l. reg. 11/2010 (“Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2010”), il quale demanda alle Province di esprimere un parere sui progetti di impianti di smaltimento di rifiuti nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti ex art. 199 t.u. ambiente. Secondo il TAR tale parere ha carattere vincolante ed era stato nel caso di specie disatteso dalla Regione, avendo la Provincia di Venezia dichiarato l’impianto proposto dalla Nekta Servizi non indispensabile per il fabbisogno locale di smaltimento di rifiuti ferrosi (delibera di giunta n. 11 del 7 febbraio 2012).

3. Entrambe le sentenze sono impugnate in via principale dalla Nekta Servizi ed in via incidentale dalla Regione Veneto.

4. Resistono agli appelli rispettivamente contro di loro proposti il Comune di San Donà di Piave, che ripropone ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. i motivi di impugnativa non esaminati dal giudice di primo grado, e la Provincia di Venezia.

DIRITTO

1. Preliminarmente va disposta la riunione degli appelli per evidenti ragioni di connessione oggettiva ex art. 70 cod. proc. amm., essendo i mezzi in questione proposti contro sentenze rese su impugnative nei confronti dei medesimi provvedimenti amministrativi.

2. Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di improcedibilità dell’appello n. 6951/2014 per sopravvenuta carenza di interesse, formulata dal Comune di San Donà di Piave, sul rilievo che la delibera di giunta regionale n. 2129 del 23 ottobre 2012 impugnata è scaduta, per effetto dello spirare della proroga concessa dalla Regione alla Nekta Servizi fino al 22 ottobre 2014 per l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto.

3. L’eccezione deve essere respinta.

Per effetto della pronuncia di annullamento emessa in primo grado il provvedimento autorizzativo regionale risulta infatti attualmente rimosso dall’ordinamento giuridico e conseguentemente deprivato di effetti. In ragione di ciò non è possibile postularne la scadenza, perché questa presuppone l’esistenza di un provvedimento valido ed appunto efficace.

4. Può dunque passarsi al merito.

A questo riguardo, deve premettersi che l’art. 16 l. reg. n. 11/2010, che il TAR ha ritenuto violato, svolge una funzione di salvaguardia del piano regionale di gestione dei rifiuti ex art. 199 t.u. ambiente, nelle more della relativa approvazione da parte della Regione Veneto. Infatti, la norma di legge regionale subordina il rilascio di provvedimenti di autorizzazione alla realizzazione di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali alla «deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

In questo caso, la giunta provinciale di Venezia ha espresso un giudizio di non indispensabilità dell’impianto della Nekta Servizi: «in quanto non pienamente rispettato il principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento». Secondo l’amministrazione provinciale, infatti, innanzitutto «la Provincia di Venezia è considerata provenienza prioritaria ma non esclusiva dei rifiuto oggetto del trattamento»; ed inoltre dall’istruttoria procedimentale svolta non è emerso alcun elemento oggettivo «che assicuri che i rifiuti trattati (…) proverranno dai depositi allocati nella Provincia di Venezia».

5. La Regione Veneto ha tuttavia ritenuto non vincolante questo parere.

Con atto n. 355 del 23 maggio 2012 la commissione regionale VIA ha infatti espresso un giudizio di compatibilità ambientale positivo, tenuto conto dell’istruttoria svolta, subordinatamente al rispetto di alcune prescrizioni, e, contestualmente, parere favorevole all’approvazione del progetto ed al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Il provvedimento impugnato ha quindi fatto proprio il parere della commissione regionale, disattendendo quello contrario della Provincia di Venezia.

6. Sul punto va rilevato che prima del rilascio dell’autorizzazione la Regione ha chiesto all’ARPAV di svolgere approfondimenti sui fabbisogni locali della tipologia di impianto da approvare, sulla base dei flussi regionali dei codici dei rifiuti CER rilevanti. Questi sono compendiati nella relazione del 25 settembre 2012, nella quale l’Agenzia regionale riferisce che per il codice CER 010308 (ceneri di pirite) i flussi regionali «interessano quantitativi modesti», mentre per il codice CER 191302 «non è possibile stabilire (…) se vi sia o meno, e quanto possa essere, la produzione/presenza effettiva di ceneri di pirite all’interno del territorio regionale».

Deve peraltro evidenziarsi che nell’autorizzazione impugnata è espressamente esaminata la posizione della commissione regionale VIA sopra citata, la quale aveva manifestato l’avviso che il conferimento delle ceneri di pirite fosse limitato «al solo ambito territoriale della regione Veneto». Sul punto, nell’autorizzazione la Regione ha precisato che dalla legislazione nazionale in materia (che si analizzerà infra) non è ricavabile «un vincolo territoriale tassativo tra impianti di gestione di rifiuti speciali e relativo bacino di utenza», formulando conseguentemente la prescrizione in base alla quale il conferimento in esso «di rifiuti prodotti all’esterno dell’ambito territoriale diverso dalla regione Veneto è subordinato, alla verifica del rispetto del principio di prossimità» (prescrizione n. 6).

7. Ciò premesso in fatto, condivisibile è innanzitutto la prima censura contenuta negli appelli principali della Nekta Servizi.

Il TAR ha ritenuto che quest’ultima non potesse dolersi dell’illegittimità della delibera della giunta provinciale n. 11/2012, perché dalla stessa non impugnata in via incidentale.

Come tuttavia evidenzia la società appellante principale, nessun onere di impugnativa era configurabile a suo carico per il solo fatto che il parere provinciale è stato ritenuto vincolante dalle parti ricorrenti in primo grado.

L’onere del controinteressato di proporre ricorso incidentale è infatti circoscritto dall’art. 42 cod. proc. amm. al caso in cui questa parte intenda proporre «domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale».

Come poi statuito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 7 aprile 2011, n. 4, nella posizione di “difesa attiva” che attraverso il ricorso incidentale è possibile assumere rientrano i casi in cui il controinteressato: «a) formula un’eccezione, eventualmente a carattere riconvenzionale; b) propone una vera e propria domanda riconvenzionale, diretta all’annullamento di un atto; c) articola una domanda di accertamento pregiudiziale, volta, comunque, ad ottenere una pronuncia che precluda l’esame del merito del ricorso principale» (§ 33).

8. In particolare, l’eccezione in senso proprio è lo strumento per introdurre nel giudizio fatti nuovi, non dedotti nella domanda principale, con l’effetto di ampliare il thema decidendum in funzione paralizzante dell’accoglimento di quest’ultima domanda.

Con specifico riguardo al giudizio impugnatorio, l’eccezione deve essere proposta nelle forme del ricorso incidentale laddove con essa si intenda precludere l’accertamento di illegittimità dell’atto impugnato dedotto in via principale. Più precisamente, una simile condotta difensiva si traduce nella contrapposta domanda di accertamento dell’illegittimità di atti amministrativi facenti parte della medesima sequenza procedimentale o comunque funzionalmente connessi a quello impugnato, che abbiano attribuito una posizione di vantaggio al ricorrente principale, legittimante quest’ultimo alla proposizione di tale impugnativa. L’onere di proporre ricorso incidentale è dunque speculare a quello di allegare i fatti costitutivi della domanda introdotta con il ricorso principale, concernendo atti la cui lesività è solo potenziale, in considerazione dell’esito finale dell’attività amministrativa, comunque favorevole, ma che si sia poi attualizzata per effetto della proposizione del ricorso principale, facendo conseguentemente sorgere l’interesse a proporre la contro impugnazione prevista dal citato art. 42 del codice del processo.

9. Nel caso di specie la Nekta Servizi si è invece limitata ad una mera difesa, rispetto all’assunto, posto a base di entrambi i ricorsi di primo grado, che il parere provinciale sarebbe vincolante e perciò illegittimamente disatteso dalla Regione con il rilascio dell’autorizzazione impugnata.

Inoltre, la delibera giuntale n. 11 del 7 febbraio 2012 della Provincia di Venezia non ha attribuito a quest’ultima, né al Comune di San Dona’ di Piave, alcuna utilità materiale, ma, quale atto endoprocedimentale del procedimento autorizzatorio ambientale, si è limitata ad esprimere l’avviso che l’impianto non fosse necessario ed occorresse invece mantenere lo status quo.

10. Va poi ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, gli atti endoprocedimentali, quali appunto i pareri, non sono autonomamente impugnabili, divenendo tali solo laddove, in ragione della loro natura vincolante, siano risultati idonei «ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva» (da ultimo: Sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296), e cioè abbiano avuto l’effetto di conformare la successiva determinazione finale dell’amministrazione formale titolare della potestà decisionale.

Questa regola non può quindi essere applicata nel presente giudizio, in cui il supposto atto vincolante è stato disatteso in sede di provvedimento conclusivo.

11. Sono fondati anche il secondo motivo di entrambi gli appelli principali e le censure contenute negli appelli incidentali della Regione, tendenti nel loro complesso a negare che la delibera della giunta provinciale ex art. 16 l. reg. n. 11/2010 abbia carattere vincolante.

In effetti, in base alla sua formulazione letterale, la disposizione in esame potrebbe indurre a ritenere tale carattere, ivi prevedendosi che l’autorizzazione alla realizzazione di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali non possa essere rilasciata in mancanza della deliberazione provinciale che accerti l’indispensabilità.

12. Nondimeno tale norma va necessariamente letta in combinato con la legislazione nazionale in materia di rifiuti.

Ciò in ragione del fatto che, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (da ultimo espressa nelle sentenze 2 aprile 2014, n. 67 e 2 dicembre 2013, n. 285), in questa materia lo Stato è titolare di una competenza statale esclusiva, riconducibile all’ipotesi della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essendo conseguentemente inibito al legislatore regionale introdurre deroghe o limiti di varia natura e portata.

13. Tanto precisato, tra le norme nazionali rilevanti ai fini del presente giudizio vengono in rilievo, in primo luogo, quelle che attribuiscono alle Regioni il potere di autorizzare i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti [artt. 196, comma 1, lett. d), e 208 t.u. ambiente], mentre alle Province è tra l’altro devoluto il potere di pianificazione delle «zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti» [art. 197, comma 1, lett. d)], sulla base dei criteri stabiliti in sede di piano di gestione dei rifiuti dalla Regione ai sensi della lett. l), comma 3, art. 199.

Sotto questo primo profilo, quindi, si ricava innanzitutto che non è consentito al legislatore regionale derogare alla ripartizione di competenze stabilita a livello nazionale. Diversamente opinando, si attribuirebbe un potere di veto ad un ente privo di competenza primaria nella funzione di autorizzazione di impianti di smaltimento e recupero di rifiuti.

14. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene il Comune di San Dona’ di Piave, la finalità di salvaguardia del piano regionale di gestione dei rifiuti, perseguita dal legislatore veneto attraverso il parere provinciale ex art. 16 l. n. 11/2010, deve necessariamente essere intesa negli stretti limiti della funzione e dei contenuti del piano, non potendo devolversi alle norme di salvaguardia finalità eccedenti rispetto a quest’ultimo.

Deve allora osservarsi che rientra nei contenuti del piano regionale di gestione dei rifiuti ex art. 199 quello di definire «il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti» [comma 3, lett. g)].

Questa previsione si correla con l’art. 182-bis, il quale enuncia i principi di autosufficienza e prossimità nello smaltimento dei rifiuti. La declinazione di questi principi è svolta nel comma 1 nei seguenti termini:

a) ciascun ambito territoriale ottimale deve tendere all’obiettivo di integrale smaltimento e trattamento «dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti» (principio di autosufficienza);

b) lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati deve avvenire «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti» (principio di prossimità);

c) le attività di smaltimento e recupero devono avvenire mediante l’utilizzo dei metodi e delle tecnologie più idonee a preservare l’ambiente e la salute pubblica.

15. Sulla base di queste previsioni, la Corte Costituzionale ha affermato che i principi di autosufficienza e prossimità, in diretta attuazione dei quali sono definiti ambiti territoriali ottimali per le tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti, sono cogenti esclusivamente per quanto concerne lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti urbani, ma non già per le medesime attività riguardanti i rifiuti speciali, perché per questa tipologia di rifiuti occorre avere riguardo alle relative caratteristiche ed alla conseguente esigenza di specializzazione nelle operazioni di trattamento dello stesso (in questo senso si è espressa la Corte Costituzionale, a proposito della legislazione regionale veneta, nella sentenza 4 dicembre 2002, n. 505; in precedenza, si vedano anche le sentenze 19 ottobre 2001, n. 355 e 14 luglio 2000, n. 281).

Da ultimo, nella sentenza 23 gennaio 2009, n. 10, la Corte Costituzionale ha precisato che norme della specie sono espressive di una linea di politica legislativa favorevole ad una rete integrata di impianti appropriati, atta a garantire lo smaltimento dei rifiuti speciali in prossimità al luogo di produzione, senza che tuttavia ciò possa tradursi in un divieto: «nella disciplina statale l'utilizzazione dell'impianto di smaltimento più vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare, ma ne “permette” anche altre» (§ 10 della parte in diritto).

16. Nella medesima linea interpretativa si colloca anche la giurisprudenza questo Consiglio di Stato, espressa nelle sentenze di questa Sezione dell’11 giugno 2013, n. 3215 e della VI Sezione, 19 febbraio 2013, n. 993, richiamata dalla Nekta Servizi. In quest’ultima si è in particolare statuito che per i rifiuti speciali ha rilievo primario il criterio della specializzazione dell’impianto, in relazione al quale deve essere coordinato il principio di prossimità, con cui si persegue lo scopo di ridurre il più possibile la movimentazione di rifiuti. Si è quindi precisato al riguardo che il criterio della specializzazione persegue l’interesse fondamentale al trattamento di questa particolare tipologia di rifiuti in vista di un loro possibile reimpiego funzionale ad altre attività, e cioè del loro recupero, come definito alla lett. t) dell’art. 183, nel rispetto del criterio gerarchico fissato dall’art. 179, in virtù del quale il recupero deve essere privilegiato rispetto allo smaltimento in discarica.

17. Pertanto, dalla ricognizione della normativa primaria in materia di rifiuti, come sopra svolta, si deve ritenere che la norma di legge regionale costituente il fondamento della delibera consiliare della Provincia di Venezia contestata non abbia attribuito a quest’ultimo ente un potere sostanzialmente decisionale, attraverso l’espressione di un parere vincolante.

Il riferimento testuale in essa contenuta all’indispensabilità dell’impianto di recupero «in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento», altro non è che una riproduzione del principio di prossimità sancito dal legislatore nazionale nel sopra menzionato art. 182-bis, comma 1, lett. b), t.u. ambiente, e che, come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, non si pone in termini stringenti tali da tradursi in un divieto all’insediamento di impianti di recupero di rifiuti speciali provenienti al di fuori degli ambiti territoriali ottimali.

18. Con tale previsione il legislatore regionale veneto ha inteso coinvolgere i consigli provinciali nei procedimenti autorizzativi di nuovi impianti di recupero di rifiuti speciali nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione. Ciò al fine di supplire alla mancanza del necessario atto programmatorio sovraordinato, acquisendo dagli enti interessati elementi istruttori in ordine ad un profilo rilevante nel rilascio dei titoli autorizzativi, senza tuttavia spogliarsi della competenza primaria al riguardo e senza annettere all’accertamento negativo compiuto dalla Provincia, ed espresso nella delibera consiliare prevista dall’art. 16, comma 2, natura di atto ostativo al rilascio del titolo autorizzativo.

19. Sulla linea interpretativa finora tracciata si muove del tutto correttamente l’autorizzazione regionale impugnata, la quale specificamente confuta il contrario parere provinciale negando che per gli impianti di gestione di rifiuti speciali sia configurabile un «obbligo di esclusività» con l’utenza locale e un consequenziale «obbligo di conferimento da parte di soggetti appartenenti ad un dato ambito territoriale».

Conseguentemente, è errata la pronuncia del TAR che, invece, in accoglimento del ricorso del Comune di San Dona’ di Piave, ha ritenuto l’autorizzazione ambientale rilasciata dalla Regione Veneto irrimediabilmente viziata perché contrastante con la presupposta delibera consiliare della Provincia che ha accertato la non indispensabilità dell’impianto di recupero proposto dalla Nekta Servizi.

20. In via di ulteriore conseguenza, diviene superfluo lo scrutinio di costituzionalità della norma regionale sollecitato dall’appellante principale in entrambi i propri mezzi.

21. A questo punto devono quindi essere esaminati i motivi di ricorso riproposti ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. dal Comune di San Dona’ di Piave nella propria memoria costitutiva nel giudizio di appello n. 6951/2014 di r.g.

22. Con un primo ordine di censure, l’amministrazione civica sostiene che l’autorizzazione regionale sarebbe fondata su un’istruttoria ed una motivazione carenti in ordine all’imprescindibile presupposto, previsto dal più volte citato art. 16 l. reg. n. 11/2010, dell’indispensabilità dell’impianto, a causa della dell’assenza di dati precisi relativamente ai flussi di ceneri di pirite destinate ad essere conferite nell’impianto.

23. Il motivo non può essere accolto alla luce dell’interpretazione fornita della norma regionale in questione ed esposta in sede di esame degli appelli principali ed incidentali.

Occorre infatti ribadire quanto detto sopra, e cioè che l’indispensabilità dell’impianto in relazione ai fabbisogni di smaltimento locali e dunque la sua stretta prossimità ai luoghi di produzione non costituisce un presupposto la cui mancanza deve necessariamente condurre al diniego dell’autorizzazione integrata ambientale. Ciò che rileva in via primaria è invece la rispondenza delle caratteristiche dell’impianto alle esigenze di trattamento e di recupero dei rifiuti speciali in esso conferiti, profilo che risulta debitamente accertato nel procedimento che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione ambientale impugnata, nonché nella motivazione del provvedimento finale, e che il Comune appellato non ha mai specificamente contestato nella propria impugnativa.

Sotto questo profilo risulta pertanto errata la premessa interpretativa su cui si imperniano le censure contenute nel motivo in esame.

Inoltre, le esigenze di garantire la rispondenza dell’impianto al principio di prossimità risultano nel caso di specie soddisfatte dalla citata prescrizione n. 6, alla stregua della quale la Regione si riserva di verificare il rispetto del principio di prossimità in caso di conferimento di ceneri di pirite provenienti da altre regioni.

24. Con un ulteriore motivo il Comune lamenta il fatto che, dopo il parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione espresso dalla commissione regionale VIA n. 355 del 23 maggio 2012, la Regione abbia nondimeno disposto un supplemento di istruttoria, al fine di acquisire dalla ARPAV i dati aggiornati relativi ai flussi regionali dei rifiuti classificati con codice CER destinati ad essere trattati nell’impianto della Nekta Servizi.

25. Anche questo motivo non può essere accolto.

Il supplemento è stato infatti motivato dalla necessità di approfondire la coerenza dell’impianto al principio di indispensabilità fissato dalla legislazione regionale e dunque al criterio della prossimità, la cui mancanza – come ampiamente rilevato sopra - non osta tuttavia al rilascio dell’autorizzazione ambientale, come finora visto.

La Regione ha dunque ritenuto, in modo del tutto ragionevole, ed anzi coerente con gli interessi di cui le amministrazioni ricorrenti in primo grado si fanno portatrici, di tenere conto del contrario avviso della Provincia di Venezia rispetto alla localizzazione dell’impianto, al fine di verificare la piena rispondenza di quest’ultimo anche al principio della prossimità, oltre che a quello primario della specializzazione, acquisendo ulteriori elementi di valutazione rilevanti per il rilascio dell’autorizzazione ambientale, e riservandosi in ogni caso di verificare l’osservanza di quest’ultimo canone, mediante la più volte citata prescrizione n. 6.

26. Con un ulteriore motivo viene dedotta la violazione dell’art. 26, comma 7, l. reg. n. 3/2000 (“Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti”), a causa del fatto che in sede autorizzativa non si è provveduto all’approvazione del piano di monitoraggio e controllo dell’impianto.

27. Il motivo è infondato, perché la Nekta Servizi ha presentato il piano di monitoraggio e controllo in data 27 marzo 2012. Richiesta di esprimere il proprio parere sul piano, ARPAV si è espressa in modo parzialmente interlocutorio (nota del 13 giugno 2012), ragione per la quale nell’autorizzazione impugnata la Regione formulava alla società istante l’ulteriore prescrizione di presentare un aggiornamento del piano prima dell’avvio dell’impianto, anche al fine di adeguare lo stesso alle prescrizioni formulate dalla commissione regionale VIA nel citato parere n. 355 del 23 maggio 2012 (prescrizioni nn. 7 e 8). Questa richiesta è stata quindi riscontrata dall’odierna appellante principale, con il deposito dell’aggiornamento in data 7 gennaio 2013.

Alla luce di ciò deve ritenersi che il piano sia stato approvato nell’autorizzazione dalla Regione, essendosi fatta comunque salva l’esigenza di provvedere al relativo aggiornamento al fine di renderlo conforme alle prescrizioni formulate in sede autorizzativa.

Non è poi condivisibile l’assunto secondo cui il piano avrebbe dovuto tenere conto delle disposizioni in materia recate dalla delibera di giunta regionale n. 863 del 15 maggio 2012, trattandosi di provvedimento successivo alla presentazione dell’avvio del procedimento autorizzativo.

28. Infondato è anche il motivo con cui viene censurata la mancata effettuazione della valutazione ambientale strategica ex art. 6 d.lgs. n. 152/2006.

Questo apporto istruttorio è dovuto per «i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale», e non già per i procedimenti autorizzativi di singoli impianti, benché questi abbiano effetto di variante, comunque non generale, rispetto agli strumenti urbanistici vigenti.

29. Infine, a non diverse conclusioni conduce l’esame dell’ultimo motivo, nel quale il Comune di San Dona’ di Piave lamenta che le formalità pubblicitarie del progetto di impianto non siano state concordate, come invece previsto dall’art. 14 della citata l. reg. n. 10/1999. Il vizio dedotto non oltrepassa la soglia della mera irregolarità, non essendo nemmeno prospettata quale lesione degli interessi partecipativi abbia determinato il mancato concerto tra soggetto proponente ed amministrazione locale in ordine alla pubblicità da effettuare per l’impianto proposto dalla Nekta Servizi.

30. In conclusione, in accoglimento degli appelli principali ed incidentali, le sentenze del TAR Veneto con essi impugnate devono essere riformate, dovendosi respingere i ricorso del Comune di San Dona’ di Piave e della Provincia di Venezia.

Le spese del doppio grado di entrambi i giudizi possono nondimeno essere compensate tra tutte le parti per il numero, la complessità e la delicatezza delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli principali ed incidentali, come in epigrafe proposti, e previa loro riunione, li accoglie tutti e per l’effetto, in riforma delle sentenze di primo grado, respinge i ricorsi del Comune di San Dona’ di Piave e della Provincia di Venezia.

Compensa integralmente tra tutte le parti le spese di tutti i giudizi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)