Consiglio di Stato Sez. IV n. 6490 del 22 luglio 2025
Rifiuti.Responsabilità per abbandono o deposito incontrollato
La responsabilità per illeciti ambientali, tra i quali figura anche l'abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, si basa sul criterio probatorio del "più probabile che non" o della preponderanza dell'evidenza, perciò richiede che la responsabilità di un soggetto nella commissione dell'illecito, ipotizzata dall'autorità competente, sia più probabile della sua negazione, in linea con l'orientamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea, la quale, nell'interpretare il principio "chi inquina paga", ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ossia come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento, nonché conformemente alla considerazione per cui la "responsabilità ambientale" non ha natura penalistica, perciò non richiede il rigore probatorio previsto in subiecta materia
Pubblicato il 22/07/2025
N. 06490/2025REG.PROV.COLL.
N. 09407/2023 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9407 del 2023, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierina Buffoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
il Comune di -OMISSIS-, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, Sez. I, -OMISSIS-, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. -OMISSIS-, con la quale il sindaco del Comune di -OMISSIS- ha ordinato di ottemperare all'ordinanza n. 90 del 17 giugno 2009, relativa alla rimozione dei rifiuti abbandonati presso l'area sita in via -OMISSIS-, denominata "-OMISSIS-".
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2025 il Cons. Martina Arrivi e viste le conclusioni delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Sulla base di una denuncia del 2009, effettuata da un testimone che aveva sorpreso il ricorrente ad abbandonare alcuni rifiuti nell'area di pertinenza di un cotonificio dismesso in -OMISSIS-, l'omonimo Comune, con ordinanza dirigenziale n. 90 del 17 giugno 2009, dispose, a carico del ricorrente, la rimozione «dei rifiuti formati da bidoni di latta e onduline di colore grigio, presumibilmente contenenti fibre di amianto (eternit)», ai sensi dell'art. 192, co. 3, d.lgs. 152/2006. L'ordinanza venne impugnata dal ricorrente dinanzi al T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, ma il giudizio fu dichiarato estinto per perenzione, con decreto n. 119 dell'11 aprile 2016, divenuto definitivo.
Perdurando l'illecito abbandono dei rifiuti, il sindaco del Comune di -OMISSIS- adottò l'ordinanza n. 19 del 19 febbraio 2018, con la quale rinnovò l'ordine ex art. 192, co. 3, d.lgs. 152/2006, sanando il vizio di incompetenza contenuto nella precedente ordinanza dirigenziale e specificando la quantità di rifiuti da rimuovere, pari a 5/6 mc di eternit. Questo secondo provvedimento è stato annullato con sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, per vizio di istruttoria e per violazione del contraddittorio procedimentale, dal momento che l'amministrazione aveva omesso di accertare in loco e con la partecipazione del ricorrente il quantitativo di eternit asseritamente abbandonato da questi.
Infine, il sindaco del Comune di -OMISSIS- ha adottato l'ordinanza n. -OMISSIS-, con la quale ha confermato la prima ordinanza n. 90 del 2009 e ha ordinato al ricorrente di ottemperarvi entro i successivi sessanta giorni.
2. L'ordinanza n. -OMISSIS- è stata impugnata dal ricorrente dinanzi al T.A.R. Brescia, che, con sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il gravame.
3. Con ricorso notificato il 31 ottobre 2023 e depositato il 29 novembre 2023, il ricorrente ha appellato la sentenza, articolando sette motivi di censura.
4. Si è costituito il Comune di -OMISSIS-, eccependo l'irricevibilità dell'appello per tardiva notificazione del ricorso e deducendone l'infondatezza nel merito.
5. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 giugno 2025.
6. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di irricevibilità dell'appello sollevata dalla difesa del Comune resistente. Essa parte dall'errato presupposto che la sentenza di primo grado sia stata notificata il 28 agosto 2023, traendone la conclusione che la notificazione del ricorso in appello, in data 31 ottobre 2023, sia avvenuta oltre il termine breve di impugnazione di cui all'art. 92, co. 1, cod. proc. amm., pari a sessanta giorni dalla notifica della sentenza. In realtà, la sentenza di primo grado è stata notificata il 29 agosto 2023, perciò la notifica dell'impugnazione risale al sessantesimo giorno dalla notificazione della sentenza, nel rispetto del termine decadenziale.
7. Può passarsi all'analisi delle censure mosse dall'appellante.
8. Esse vengono suddivise in due gruppi: un primo gruppo di doglianze parte dal presupposto che l'ordinanza n. -OMISSIS- costituisca una riedizione del potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati; un secondo gruppo di censure, invece, è articolato per il caso in cui si consideri l'ordinanza impugnata un mero atto esecutivo della precedente ordinanza n. 90 del 2009.
Occorre, dunque, appurare quale sia la natura giuridica del provvedimento impugnato.
Esso è un atto di convalida dell'ordinanza n. 90 del 2009, nella parte in cui elimina il vizio di incompetenza che affliggeva il provvedimento precedente, e di conferma della stessa in relazione ai contenuti sostanziali, che vengono de plano richiamati. Infatti, l'ordinanza n. -OMISSIS- principia con il richiamo alla precedente ordinanza n. 90 del 2009, «che si intende qui integralmente confermata nei relativi contenuti», e riporta il seguente passaggio della sentenza n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato: «Non vi è dubbio che, con l'estinzione del relativo processo per perenzione, il provvedimento del 2009 sia divenuto definitivo. Così come non vi è dubbio che, nel caso di non esecuzione dell'ordine di rimozione e ripristino, l'amministrazione - perdurando l'illecito – possa, ed anzi debba riesercitare il proprio potere; se, del caso, come nella specie, emendando il difetto di competenza originario, attraverso l'emanazione di una ordinanza sindacale anziché un provvedimento direttoriale». Pertanto, facendo seguito alle indicazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, il Comune di -OMISSIS- ha rinnovato l'ordine di rimozione dei rifiuti, richiamando integralmente gli accertamenti contenuti nel provvedimento del 2009, ma, al contempo, ha sanato il vizio di incompetenza, grazie all'intervento del sindaco, anziché del dirigente, che aveva adottato l'ordinanza precedente. Il provvedimento, infine, contiene la riassegnazione al responsabile di ulteriori termini per ottemperare all'ordine di rimozione dei rifiuti.
9. Tanto chiarito, si procede all'analisi del primo gruppo di censure, articolate in coerenza con la predetta qualificazione giuridica dell'ordinanza impugnata.
10. Con il primo motivo di appello («Violazione e falsa applicazione art. 192 del d.l.vo n. 152 del 2006; Eccesso di potere per travisamento fatti, difetto di motivazione e difetto assoluto di istruttoria, apoditticità, perplessità»), si addebita al T.A.R. di aver escluso che il Comune dovesse effettuare una nuova istruttoria ai fini dell'emanazione dell'ordinanza n. -OMISSIS-. Secondo l'appellante, l'ordinanza n. 90 del 2009 sarebbe ormai caducata, in quanto sostituita dall'ordinanza n. 19 del 2018, poi annullata dal Consiglio di Stato (con la sentenza n. -OMISSIS-) proprio per difetto di istruttoria. Di conseguenza, ai fini dell'adozione dell'ordinanza n. -OMISSIS-, l'amministrazione avrebbe dovuto riaccertare i fatti e i presupposti dell'illecito o, quantomeno, considerare le sopravvenienze intercorse dal 2009 e, segnatamente, che il terreno dell'ex cotonificio è ormai divenuto una discarica abusiva, contenente numerosi altri rifiuti oltre a quelli ai tempi abbandonati dal ricorrente.
Il motivo è infondato.
L'ordinanza n. 90 del 2009, divenuta inoppugnabile per perenzione del ricorso proposto contro di essa, continua a essere efficace, poiché l'ordinanza che l'aveva rimpiazzata (la n. 19 del 2018) è stata annullata in sede giurisdizionale. Vero è che il Comune di -OMISSIS- aveva deciso di sostituire la precedente ordinanza con una nuova, anche per eliminare il vizio di incompetenza, ma l'annullamento del provvedimento sostitutivo ha fatto rivivere quello originario. Ne consegue che l'amministrazione ben può richiamare i contenuti dell'ordinanza n. 90 del 2009 e, con essi, gli accertamenti già eseguiti in ordine all'abbandono dei rifiuti.
Del resto, il trascorrere del tempo non vale a sanare l'illecito posto in essere, sicché il responsabile non vanta alcuna pretesa all'aggiornamento dell'istruttoria ai tempi compiuta dall'amministrazione. Né questi può beneficiare delle sopravvenienze per sottrarsi a un ordine ormai impartito anni or sono: in particolare, non può invocare la modifica dello stato dei luoghi per addurre eventuali difficoltà nella rimozione dei rifiuti e nella riduzione in pristino, posto che tali difficoltà avrebbero ben potuto essere evitate con la pronta esecuzione del provvedimento. L'unica sopravvenienza idonea a esentare il responsabile dall'ottemperanza all'ordine dell'amministrazione è l'intervenuto adempimento dello stesso, il quale, nella fattispecie, non è mai stato né addotto né dimostrato.
11. Con il secondo motivo («Violazione e falsa applicazione art. 192 del d.l.vo n. 152 del 2006; Eccesso di potere per travisamento fatti, difetto di motivazione e difetto assoluto di istruttoria, apoditticità, perplessità Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge 241/1990»), si censura la sentenza del T.A.R., nella parte in cui ha escluso l'esistenza dei vizi di difetto di istruttoria e di violazione del contraddittorio dedotti in primo grado. Il ricorrente aveva difatti lamentato che il Comune di -OMISSIS- non avesse compiuto alcun accesso ai luoghi né coinvolto il responsabile nel procedimento in vista dell'adozione dell'ordinanza n. -OMISSIS-, il tutto in violazione dell'art. 192, co. 3, d.lgs. 152/2006 e degli artt. 7 e ss. l. 241/1990. Il T.A.R. ha respinto la doglianza statuendo che, vista la cristallizzazione dell'accertamento contenuto nell'ordinanza n. 90 del 2009, l'atto non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello adottato, nonché evidenziando che il ricorrente avrebbe dovuto indicare i fatti che, ove gli fosse stato comunicato l'avvio del procedimento, avrebbe portato all'attenzione della PA. L'appellante contesta questo capo della sentenza sostenendo che, se l'ordinanza n. -OMISSIS- sottende una riedizione del potere di cui all'art. 192 d.lgs. 152/2006, necessita di una nuova istruttoria rispettosa dei crismi del giusto procedimento e che, se il ricorrente fosse stato avvertito del procedimento, avrebbe indicato all'amministrazione di dover ripetere l'accertamento e, comunque, di dover attualizzare i fatti, verificando la persistenza dell'illecito. In particolare, avrebbe esposto che ormai è crollato il tetto dell'ex cotonificio, probabilmente composto da amianto, sicché i rifiuti ora presenti potrebbero considerarsi il frutto di eventi diversi dall'abbandono da lui perpetrato, che l'area è divenuta una discarica abusiva ove si sono accumulati svariati rifiuti e che è inesigibile l'esecuzione di un'ordinanza del 2009 a fronte di un mutato contesto ambientale.
Anche questo motivo è privo di fondamento, poiché, come condivisibilmente osservato dal giudice di primo grado, l'ordinanza n. -OMISSIS- recepisce l'accertamento dei fatti già cristallizzato nell'ordinanza n. 90 del 2009, divenuto inoppugnabile in ragione della perenzione del giudizio promosso per la sua impugnazione: «L'intangibilità dell'ordinanza del 2009, infatti, preclude la possibilità di rimettere in discussione fatti già accertati in via definitiva e dunque esclude il necessario avvio di una nuova istruttoria, e non è possibile dunque riproporre censure già avanzate con il ricorso del quale è stata dichiarata l'estinzione» (così testualmente si esprime la sentenza appellata). Pertanto, il ricorrente, come non può in giudizio negare le responsabilità ascrittegli nel 2009, così non avrebbe potuto efficacemente farlo nel procedimento amministrativo funzionale all'emanazione della nuova ordinanza. Sotto il profilo oggettivo-contenutistico, infatti, l'ordinanza n. -OMISSIS- non contiene una rinnovazione degli accertamenti propedeutici all'ordine di rimozione dei rifiuti, ma un puro recepimento di quelli già compiuti e ormai cristallizzatisi. Quanto alle sopravvenienze frattanto occorse, se ne ribadisce l'irrilevanza e, pertanto, l'inutilità di un eventuale contraddittorio su di esse.
12. Con il terzo motivo di appello («Violazione e falsa applicazione art. 192 del d.l.vo n. 152 del 2006;Violazione e falsa applicazione legge 689 del 1981; eccesso di potere per travisamento fatti, difetto di motivazione e difetto assoluto di istruttoria»), si censura nuovamente il passaggio della sentenza in cui è affermata l'intangibilità dell'accertamento dei fatti contenuto nell'ordinanza n. 90 del 2009 e nel quale, ad abundantiam, il giudice di prime cure ha statuito che la responsabilità del ricorrente nell'abbandono dei rifiuti sia stato, ai tempi, compiutamente dimostrato, conformemente allo standard probatorio del "più probabile che non" (in termini: «quanto alla prova della commissione dell'illecito, deve ribadirsi l'intangibilità dei presupposti di fatto cristallizzati nell'ordinanza n. 9 del 2009. La questione dell'accertamento della responsabilità non può quindi più essere riproposta in questa sede, anche perché le verifiche esperite nel 2009, sulla base della denuncia di un testimone oculare, hanno univocamente condotto a identificare il ricorrente come autore dell'abbandono dei "dei rifiuti formati da bidoni di latta e onduline di colore grigio, presumibilmente contenenti fibre di amianto (eternit)" secondo il criterio "del più probabile che non" applicabile al caso di specie. Va infatti osservato che la giurisprudenza più recente ha affermato che la responsabilità per abbandono di rifiuti può es-sere accertata sia nel processo penale che nel procedimento amministrativo, con la differenza che solo nel primo va raggiunta la certezza della colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio", mentre nel secondo opera il criterio del "più probabile che non" (TAR Friuli Venezia Giulia, 7 novembre 2017 n. 304)»). In senso contrario, l'appellante sostiene che l'accertamento si sia caducato per via della sostituzione dell'ordinanza n. 90 del 2009 con l'ordinanza n. 19 del 2018 e che, in materia di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, la prova della responsabilità del soggetto non proprietario del terreno ove i rifiuti sono rinvenuti debba essere fornita secondo lo standard probatorio penalistico.
Il motivo è destituito di fondamento, dal momento che, come già esposto, l'ordinanza n. 90 del 2009 è tuttora efficace e intangibile e, così, lo è anche l'accertamento della responsabilità ivi contenuto. Pertanto, il ricorrente è decaduto dalla possibilità di negare il proprio coinvolgimento nell'illecito ascrittogli.
In ogni caso, la responsabilità per illeciti ambientali, tra i quali figura anche l'abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, si basa sul criterio probatorio del "più probabile che non" o della preponderanza dell'evidenza, perciò richiede che la responsabilità di un soggetto nella commissione dell'illecito, ipotizzata dall'autorità competente, sia più probabile della sua negazione, in linea con l'orientamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea, la quale, nell'interpretare il principio "chi inquina paga", ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ossia come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento, nonché conformemente alla considerazione per cui la "responsabilità ambientale" non ha natura penalistica, perciò non richiede il rigore probatorio previsto in subiecta materia (cfr. Corte Giust. UE, 4 marzo 2015, C-534/13; Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668; Id., 1 aprile 2020, n. 2195; Id., 21 febbraio 2023, n. 1776).
13. Il quarto motivo di appello («Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per travisamento dei presupposti; Estinzione del potere amministrativo per decorso del tempo») mira a censurare il capo della sentenza nel quale il T.A.R. ha escluso l'intervenuta prescrizione dell'illecito per decorso di cinque anni dai fatti. Il giudice di prime cure ha ritenuto non applicabile detto termine sia sulla base della giurisprudenza penale, che considera il reato di mancata ottemperanza all'ordine di rimozione dei rifiuti un reato permanente, sia ritenendo inconferente il richiamo, effettuato dal ricorrente, all'art. 28 l. 689/1981, trattandosi di una norma riguardante le sole sanzioni pecuniarie amministrative e inapplicabile al potere di accertamento dell'illecito ambientale. In sede di appello, il ricorrente ha dedotto che il T.A.R. abbia frainteso la censura formulata in primo grado, poiché egli non aveva contestato la prescrizione del "potere di accertare" ma del "potere di sanzionare" l'illecito. Ebbene, tale ultimo potere dovrebbe considerarsi prescritto per decorso del termine quinquennale di cui all'art. 28 l. 689/1981, applicabile alle sanzioni amministrative, tenuto anche conto che ormai è troppo tardi per sanzionare una condotta svoltasi nel 2009, oltretutto dinanzi a un contesto fattuale del tutto cambiato.
Il motivo va disatteso.
Anzitutto, l'appellante non ha specificamente censurato la statuizione del primo giudice secondo cui «il reato di mancata ottemperanza all'ordine sindacale di rimozione dei rifiuti, di cui all'art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, abbia natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino all'ottemperanza all'ordine ricevuto». Con essa, il T.A.R. ha stabilito che qualsivoglia termine di prescrizione non potrebbe decorrere fintanto che i rifiuti non siano stati rimossi: trattasi di una motivazione autosufficiente ai fini del rigetto della doglianza, sicché la sua mancata contestazione priva di concretezza l'intero motivo di appello.
Ad ogni modo, l'ordine di rimozione dei rifiuti, di cui all'art. 192, co. 3, d.lgs. 152/2006 costituisce una misura ripristinatoria, funzionale a eliminare la fonte di compromissione dell'ambiente e, pertanto, non è soggetta ai termini di prescrizione propri delle sanzioni punitive, primo fra tutti quello quinquennale di cui all'art. 28 l. 689/1981, riferito, oltretutto, alle sole sanzioni pecuniarie. L'amministrazione può, quindi, ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, sempre che ne individui il responsabile, fino a che essi si trovano in loco, ossia fino a quando permane l'interesse pubblico alla cessazione dell'illecito e al ripristino dello stato dei luoghi.
14. Con il quinto motivo («Violazione del giudicato»), l'appellante sostiene che, contrariamente a quanto stabilito dal T.A.R., l'ordinanza n. -OMISSIS- violi il giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, che aveva censurato l'ordine di rimozione dei rifiuti per difetto di istruttoria e per violazione del contraddittorio procedimentale. Infatti, il Comune di -OMISSIS- avrebbe adottato un nuovo ordine di rimozione dei rifiuti senza rinnovare l'istruttoria e senza coinvolgere il ricorrente, dunque reiterando i vizi riscontrati dal Consiglio di Stato.
A prescindere dal fatto che la nullità per violazione del giudicato non può essere fatta valere in sede di cognizione ordinaria, ma esclusivamente con il ricorso in ottemperanza (cfr. artt. 31, co. 4, e 114 cod. proc. amm.), la doglianza è infondata.
Nella richiamata sentenza n. -OMISSIS-, il Consiglio di Stato ha censurato l'ordinanza n. 19 del 2018 per difetto di istruttoria e per violazione del contraddittorio, in quanto, con essa, il Comune aveva modificato l'indicazione del quantitativo di rifiuti da rimuovere, rispetto a quanto stabilito nella precedente ordinanza n. 90 del 2009. In sostanza, l'ordinanza n. 19 del 2018 non si limitava a confermare l'esito degli accertamenti espletati nel 2009, ma ne aggiungeva di nuovi, relativi alla quantità di eternit asseritamente abbandonata dal ricorrente. Ebbene, il Consiglio di Stato ha statuito che proprio in ragione della novità di tali rilievi fattuali l'amministrazione avrebbe dovuto effettuare un accesso in loco e coinvolgere il ricorrente nel procedimento. Viceversa, l'ordinanza n. -OMISSIS- conferma in toto l'accertamento dell'ordinanza n. 90 del 2009, perciò è priva di elementi di novità che avrebbero richiesto una riapertura dell'istruttoria.
15. Residuano da analizzare il sesto e il settimo motivo di appello, rispettivamente intitolati «Violazione e falsa applicazione art. 192 del D.lvo n. 152 del 2006» e «Incompetenza (violazione e falsa applicazione dell'art. 107, comma 1 e 2, del D. Lgs. 267/2000)». Come già accennato, le censure vengono proposte per l'eventualità in cui l'ordinanza n. -OMISSIS- debba ritenersi un mero atto esecutivo dell'ordinanza n. 90 del 2009. In tal caso, essa non avrebbe dovuto essere adottata dal sindaco (quale titolare del potere di ordinare la rimozione dei rifiuti ex art. 192, co. 3, d.lgs. 152/2006), ma dal dirigente, titolare di competenze residuali ex art. 107 d.lgs. 267/2000. Inoltre, l'ordinanza n. -OMISSIS- sarebbe illegittima, poiché attuativa di un'ordinanza ormai inefficace (la n. 90 del 2009), in quanto sostituita da un'altra ordinanza annullata (la n. 19 del 2018).
Le doglianze sono infondate, giacché, come già esposto, l'ordinanza n. -OMISSIS- non costituisce un atto esecutivo della precedente ordinanza n. 90 del 2009, ma una convalida-conferma della stessa.
16. In conclusione, l'appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado confermata.
17. Le spese del secondo grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna parte appellante al pagamento, in favore del Comune di -OMISSIS-, delle spese del secondo grado di giudizio, liquidate in euro 5.000 per compensi, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, co. 1 e 2, d.lgs.196/2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità di parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Paolo Marotta, Consigliere
Martina Arrivi, Consigliere, Estensore