SVERSAMENTI IN MARE DI RIFIUTI SOLIDI O LIQUIDI: LUCI ED OMBRE AI <> TRA LA NORMATIVA SULLE ACQUE E QUELLA SUI RIFIUTI[1]. di Serenella Beltrame SVERSAMENTI IN MARE DI RIFIUTI SOLIDI O LIQUIDI

 

1. Introduzione. - 2. La disciplina pregressa per gli scarichi in mare. - 2.1. Criteri direttivi e regole tecniche per gli scarichi in mare di rifiuti. – 3. La normativa vigente per immissioni e smaltimenti di rifiuti in ambiente marino. –  4. Il regime transitorio.

 

1.      Introduzione.

 

Le modifiche di recente introdotte in materia di tutela delle acque[2] e, in particolare, quelle relative al regime giuridico dell’immersione in mare di materiali di diversa natura impongono alcune  riflessioni sul sistema di protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento, pure in considerazione delle novelle susseguitesi nel tempo frammentariamente e  senza soluzione di continuità riguardanti in proposito sia il D. Lgs. n. 22/97 (c.d. decreto “Ronchi”) sia la disciplina sulle acque, e  che hanno determinato la formazione di una costellazione di disposizioni inserite in ordine sparso nella legislazione, in parte riproducenti la pregressa dizione normativa (più probabilmente “per inerzia” che per consapevole utilizzo dei nuovi schemi normativi e lessicali), il cui coordinamento in carenza dei tanto auspicati quanto negletti “testi unici in materia ambientale” è rimesso al non semplice compito dell’interprete.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento appare indispensabile ripercorrere brevemente le soluzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza che, pur nel frenetico e scoordinato sovrapporsi di regole, hanno consentito di individuare la linea di discrimine  fra l’applicazione delle norme sulle acque e quelle sui rifiuti,  incidente sotto diversi profili sul sistema giuridico di tutela del mare e sulla quale si innestano le recenti disposizioni.

La vexata quaestio afferente detto <> e riguardante, in particolare, le regole applicabili allo “scarico indiretto”, ovvero all’immissione di reflui (limitatamente, però, a quelli coincidenti con i  rifiuti liquidi[3]) nel corpo recettore posta in essere con mezzi e modalità diverse dalla <>, ricompreso nella generale definizione di <> di cui all’ art. 1, comma 1, lett. a), L. n. 319/76[4] ma non escluso dal campo operativo del D.P.R. n. 915/82[5], ha da sempre costituito oggetto di dibattito fra gli studiosi del settore, originante differenziate opinioni soprattutto a causa dell’utilizzo nell’ambito delle stesse leggi dei termini di “scarico” e di “smaltimento” con valenza apparentemente equipollente ed interscambiabile.

Com’è noto le Sezioni Unite della Cassazione avevano segnato un importante punto d’arresto che aveva ricondotto ad unità i difformi orientamenti, enunciando parametri precisi riguardo ai rapporti intercorrenti fra il D.P.R. n. 915/82 e la legge  Merli, affermando che “il d.P.R. n. 915 del 1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento  (es.: conferimento,  raccolta,  trasporto, ammasso, stoccaggio) dei rifiuti con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifiuti liquidi  (o assimilabili),  attinenti  allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n.  319  del 1976, con l’unica eccezione dei fanghi e liquami tossici e nocivi, che sono, sotto ogni profilo, regolati dal d.P.R. n. 915 del 1982”[6].

Al riguardo, va sottolineato che il D.P.R. n. 915/82 costituiva la legge-quadro di protezione dell’ecosistema per la sua portata generale nel senso di voler “evitare ogni rischio di inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo” (art.1); perché stabilisce un divieto generale di abbandono dei rifiuti nell’ambiente, non solo sul suolo, ma anche nelle acque e nell’aria (come si ricava dagli artt. 1,9); perché impone l’obbligo giuridico di <> per tutti i rifiuti, come sola modalità autorizzata e controllata, a precise condizioni (anche economiche, v. artt. 13 e 20); perché solo in via di deroga consente che alcuni tipi di rifiuti (scarichi ed emissioni) arrivino all’ambiente, alla condizione che vengano rispettate le leggi di riferimento (legge n. 319/1976; legge n. 615/1966 e loro modifiche successive); perché la stessa osservanza della deroga (ossia delle leggi n. 319/1976, n. 615/1965, ecc.) si propone come doveroso controllo attraverso le prescrizioni in sede di autorizzazione per le forme di smaltimento e in sede di controlli successivi”[7].

 

Il giudice delle leggi condividendo detto orientamento ha concluso che “la disciplina autorizzatoria degli impianti di trattamento dei rifiuti liquidi, per conto terzi,  debba ricavarsi dalle disposizioni del d.P.R. n. 915, che, in linea generale, impongono un provvedimento abilitativo espresso per tutte le fasi  e per tutte le operazioni delle attività di smaltimento antecedenti ed autonome rispetto allo <> idrico espressamente previsto, in via esclusiva, dalla legge n. 319” aggiungendo che “in questo stesso senso, d’altronde, è interpretabile anche il recente decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che pur abrogando esplicitamente il d.P.R. 915 del 1982, tuttavia ne mantiene la stessa impostazione rispetto alla regolamentazione degli scarichi idrici, dato che, all’art. 8, lett. e), ricomprende espressamente nel proprio ambito disciplinare, distinguendoli dalle <>, i <>, usando proprio gli stessi termini dell’art. 2, comma 2, lett. d), della direttiva 75/442/CEE, che appunto il d.P.R. n. 915 recepiva ed attuava”[8].

Il giudice di legittimità ha mantenuto fermo tale indirizzo che, ormai, si può definire costante anche dopo l’entrata in vigore del decreto n. 22/97, che riproduce (con qualche ritocco) il previgente divieto generale di abbandono di rifiuti nell’ambiente (v. artt. 14, 50 e 51), evidenziando che “nonostante l’art. 8, lett e), d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, che esclude dal campo di applicazione del decreto <>, non contenga più un espresso richiamo alla l. n. 319 del 1976, la linea di discrimine tra le due normative risiede ancora nella nozione di <>; infatti, la locuzione <> è da ritenersi sinonimo di <>, intesi quali sostanze liquide o comunque convogliabili nei corpi recettori in condotta, mentre l’esclusione dei rifiuti allo stato liquido serve  per ribadire la pregressa distinzione fra le varie fasi dello smaltimento dei rifiuti; permane dunque quale criterio discretivo quello secondo cui i due distinti regimi giuridici possono trovare applicazione, ciascuno nel proprio ambito, anche per i medesimi tipi di reflui e possono talora regolare fasi diverse della medesima operazione, con la conseguenza, nella specie, che l’accumulo di acque reflue provenienti da frantoi oleari in vasche interrate, non a tenuta stagna, costituisce scarico sul suolo disciplinato dalla l. 319/76”[9].

Più in generale la valenza di legge-quadro del D. Lgs n 22/97 nella materia dell’inquinamento si desume agevolmente dalle disposizioni di principio dello stesso decreto (v. Capo 1 del Titolo 1, dedicato ai “Principi generali”), di natura cogente per le regioni (art. 1); il regime delle esclusioni di cui agli artt. 1 e 8, D. Lgs. n. 22/97, diventa operativo a condizione che le categorie esonerate dalla normativa sui rifiuti siano disciplinate da specifiche norme e questo meccanismo trova la sua logica spiegazione con la necessità di impedire che più discipline speciali regolino la stessa materia.

Ne deriva, che quando la legislazione relativa alla categoria di materiali esclusa dall’ ambito operativo del D. Lgs. n. 22/97 per effetto dell’ art. 8, citato, si presenta carente o lacunosa la disciplina-base sui rifiuti si <> per regolare le ipotesi non previste  “da specifiche disposizioni di legge”[10].

 

I parametri anzi delineati sono rimasti invariati anche dopo l’emanazione del D. Lgs. n. 152/99 che all’art. 2, lett. bb), ha ridefinito la nozione di scarico circoscrivendolo all’immissione dei reflui effettuata nei corpi recettori tramite condotta, recependo i criteri individuati dalla giurisprudenza e, per molti aspetti, risolvendo le ambiguità caratterizzanti il regime previgente.

Sul punto è stato sottolineato che la nuova legge “da un lato non contiene alcuna limitazione espressa circa i soggetti di provenienza (tutte le <>) e circa la continuità; e dall’altro, invece, limita l’ambito degli scarichi alle sole <>. In realtà, leggendo le varie disposizioni, sembra che anche il nuovo testo consideri <> solo le acque reflue industriali, domestiche o urbane; e, quanto alla continuità, si deve rilevare che sia l’art. 54, comma 1 sia l’art. 59, comma 5, sembrano distinguere nettamente gli scarichi dalle <> (richiamate espressamente pur se poi vengono previste le medesime sanzioni). E pertanto la vera, importante novità rispetto alla Merli è costituita dalla esclusione degli scarichi indiretti o, comunque, non effettuati tramite condotta, dall’ambito della nuova normativa”[11]. Un altro autore ha precisato che “la nuova definizione di scarico, di cui all’art. 2, D. Lgs. n. 152/1999, introduce un elemento che sembra innovativo e caratterizzante la nuova nozione, perché evidenzia la necessità della provenienza dello scarico da una <>, epperciò, da una apparecchiatura oggettiva e duratura, da cui derivi l’immissione diretta delle acque reflue nei corpi ricettori, innanzi elencati (acque, suolo, sottosuolo, rete fognaria).

Eppertanto, l’espressione <> non si riferisce alla nozione di scarico (che resta quella di immissione diretta tramite condotta), ma alla natura fisica delle acque reflue, semiliquide e comunque astrattamente convogliabili in una condotta, e quindi alla nozione di acque reflue”[12].

 

2. La disciplina pregressa per gli scarichi in mare.

 

Il quadro normativo relativo agli scarichi in mare antecedente all’introduzione del D. Lgs. n. 22/97 prospetta la distinzione tra gli scarichi diretti, cioè che recapitano tramite condotta nelle acque del mare, e le immissioni di rifiuti effettuate a mezzo navi ed aeromobili.

Gli scarichi diretti possono venire effettuati previo rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità designata dalla regione territorialmente competente, in conformità alle prescrizioni ed ai limiti di accettabilità previsti dalla legge Merli[13].

Le immissioni nel mare, sia territoriale che libero, di cui all’art. 11, comma 3, L. n. 319/76, riguardano i rifiuti provenienti da terra (c.d. dumping) come è agevole desumere dalle prescrizioni inerenti l’iter istruttorio dell’autorizzazione alla quale sono subordinati (meglio chiarite nelle disposizioni attuative della menzionata norma, v. infra); il provvedimento abilitativo viene adottato dal Ministero dell’ambiente su proposta del capo  del compartimento marittimo nella cui zona di competenza si trova il porto da cui parte la nave con il carico dei materiali da scaricare, ovvero il porto più vicino al luogo di discarica, se ad opera di aeromobili[14].

L’autorizzazione dev’essere conforme alle disposizioni stabilite nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia[15], alle direttive del Comitato interministeriale,  nonché “in armonia”, cioè deve risultare compatibile, con la disciplina generale della legge Merli.

Mentre la violazione della norma concernente gli scarichi diretti in mare segue il regime di tutela ordinario della legge Merli stabilito per gli scarichi in acque superficiali[16], l’inosservanza delle regole di cui all’art. 11, comma 3, L. n. 319/76 è sanzionata per effetto di una norma ad hoc, ovvero dall’art. 24 bis L. n. 319/76[17] per cui “si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi ed aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento, ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare.

Resta fermo, in quest’ultimo caso, l'obbligo della preventiva autorizzazione”.

Rispetto al sistema normativo anzi delineato va nettamente distinto l’ambito operativo della legge a difesa del mare[18] che risponde all’esigenza, sino ad allora ignorata, di introdurre un sistema di tutela per le violazioni alle norme contenute nella Convenzione MARPOL[19] poste in essere dalle navi sia all’interno che all’esterno del mare territoriale.

La Convenzione MARPOL è finalizzata alla tutela dell’ambiente marino dall’inquinamento causato da idrocarburi e da altre sostanze nocive provenienti dalle navi, come si desume dal suo preambolo, ed il suo ambito di applicazione, ovvero l’oggetto dalla stessa disciplinato, viene specificato nella definizione di <>  inteso come ogni scarico comunque proveniente da una nave (aeronave, piattaforma o altra opera che si trovi in mare), qualunque ne sia la causa, e comprende ogni scarico, evacuazione, versamento, fuga, scarico mediante pompaggio, emanazione o spurgo[20].

Rimangono esclusi da quest’ultima nozione e, quindi, dalla tutela accordata dalla Convenzione MARPOL e dalla legge a difesa del mare[21], gli scarichi in mare di rifiuti provenienti da terra  effettuati a mezzo nave nonché gli scarichi di sostanze inquinanti derivanti dall’esplorazione, dallo sfruttamento delle risorse minerali del fondo marino e gli sversamenti inquinanti effettuati ai fini di ricerca scientifica mirante alla prevenzione dell’inquinamento.

La legge a difesa del mare esplicitamente stabilisce sul punto che la sua disciplina (in particolare il titolo IV) << non riguarda lo scarico dei rifiuti in mare effettuato a mezzo navi>> che rimane assoggettato alle regole della legge Merli[22].

Infine, va ricordato che in ordine alle ipotesi di scarichi di rifiuti in mare non contemplati dalle regole sopra indicate[23] trova applicazione il divieto generale di cui agli artt. 9 e 24 D.P.R. n. 915/82.

 

2.1. Criteri direttivi  e regole tecniche per gli scarichi in mare di rifiuti.

 

In attuazione dell’art. 11, comma 3, L. n. 319/76, sono stati emanati nel corso degli anni diversi provvedimenti di fonte ministeriale. I criteri generali adottati in esecuzione del disposto citato risalgono al 1978[24] e successivamente hanno subito piccoli ma significativi ritocchi[25]. Tali regole riguardano gli “scarichi di rifiuti”  intesi come “le immissioni di rifiuti di qualsiasi origine, natura o tipo, effettuate deliberatamente”[26] in mare libero da qualsiasi tipo di impianto fisso o mobile.

Va evidenziato che l’immissione in mare libero dei rifiuti tossici e nocivi di cui al D.P.R. n. 915/82 è vietata[27].

Lo sversamento di residui diversi dai precedenti ma contenenti determinati sostanze o materiali inquinanti[28] è pure vietata a meno che non ricorrano determinate condizioni per cui gli stessi vengono resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici che si verificano naturalmente in mare. In quest’ultimo caso ed in quello in cui i materiali contengono altre specifiche sostanze o materiali[29] l’immissione è subordinata al rilascio di un’autorizzazione condizionata da parte del Ministro dell’ambiente.

In merito ai presupposti legittimanti l’ammissibilità degli scarichi devesi rilevare che quest’ultimi sono limitati ai casi in cui:

- “non esistano alternative di smaltimento, trattamento o utilizzazione dei medesimi, tecnicamente attuabili e tali da comportare minori rischi ambientali”;

- i rifiuti non contengano quantità ecologicamente significative, in termini di concentrazione o quantità complessive, di componenti riconosciuti come tossici per gli organismi marini, bioaccumulabili in quantità nocive per gli organismi viventi e per l’uomo, o tali da dar luogo a sostanze aventi dette caratteristiche;

- non diano luogo a modificazioni di natura fisica, chimica o biologica dell’ecosistema marino tali da alterarne gli equilibri ecologici, comprometterne la fruibilità per gli aspetti culturali e turistici, per il traffico marittimo nonché l’utilizzo sotto il profilo dell’acquacoltura, dell’esecizio della pesca.

Sempre in esecuzione dell’art. 11, comma 3, L. n. 319/76, è stato adottato il D.M. 24.01.1996[30], contenente le direttive  inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni relative allo scarico nelle acque del mare o in ambienti ad esso contigui, di materiali provenienti da escavo di fondali di ambienti marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambiente marino.

L’attività di scavo dei fondali nelle zone costiere e portuali costituisce una operazione periodica e, talvolta, necessaria per l’agibilità dei porti al transito e all’attracco delle navi.

E’ stato osservato  che “l’escavazione dei fondali ed il conseguente scarico in mare dei materiali di risulta, costituisce però un fattore di rischio a causa della possibile diffusione di contaminanti nell’ecosistema. In aree costiere antropizzate la presenza di fonti di contaminazione (scarichi civili ed industriali, attività portuali, etc.) produce nelle acque l’aumento di concentrazione sia di materiale organico (disciolto o particolato), che di inquinanti; questi, nel tempo, possono essere incorporati nei sedimenti a seguito di processi di decantazione, precipitazione o adsorbimento. I sedimenti risentono, dunque, della contaminazione delle acque e costituiscono una importante <> di inquinanti, rappresentando così una potenziale sorgente di contaminazione. Gli inquinanti, infatti, non sono <> nei sedimetni, ma possono essere <> sia da processi biologici (es. processi di metilazione o bioaccumulo nelle reti trofiche), che chimico-fisici (es. desorbimento per risospensione di materiale ad opera di correnti o moti ondosi). Il bioaccumulo nella fauna bentica, soprattutto negli organismi detritivori, rappresenta un importante fattore di “mobilizzazione” dei contaminanti. Le modificazioni chimico-fisiche dei sedimenti durante le operazioni di dragaggio e il relativo scarico dei materiali, possono causare la solubilizzazione degli inquinanti accumulati”[31].

Il decreto ministeriale 24.01.1996, che consta di due articoli e tre allegati, reca importanti disposizioni fra le quali, oltre a quelle relative agli “scarichi autorizzabili” (v. Allegato A, punto 3), quelle inerenti specifici divieti di immissione in mare di materiali di dragaggio (in particolare, quei materiali classificabili come tossici nocivi ai sensi della Delibera del Comitato Interministeriale, 27 luglio 1984, ovvero contenenti particolari sostanze pericolose in quantità, concentrazione o stato chimico fisico tali da poter compromettere l'equilibrio produttivo delle risorse biologiche interessanti la pesca o l'agricoltura o la fruizione delle spiagge e la balneazione o modificare in senso negativo le qualità organolettiche ed igienico sanitarie delle produzioni ittiche o alterare significativamente l'equilibrio ecosistemico esistente, v. Allegato A, punto 2) nonché di scarico in aree protette e sensibili (v. Allegato A, punto 9).

L’autorizzazione allo scarico in mare di materiali di dragaggio può essere rilasciata solo “quando ne sia dimostrata l'impossibilità di deposizione o utilizzo a terra con minori rischi ambientali” (v. Allegato A, punto 3).

 

3. La normativa vigente per le immissioni e smaltimenti in ambiente marino.

 

Come accennato nell’introduzione al presente commento l’attuale normativa sui rifiuti, al pari di quella abrogata,  riveste valenza di legge-quadro nel  settore della protezione dell’ambiente, finalizzata al recupero o smaltimento dei rifiuti senza creare pericolo per la salute dell’uomo e dell’ecosistema nei suoi diversi elementi, avente una portata generale di prevenzione dall’inquinamento mediante controlli efficaci e, nel contempo, una funzione che potremmo definire <> di tutela dell’habitat rispetto alle altre discipline circoscritte a singole componenti del bene-ambiente.

Per quanto riguarda la protezione del mare l’art. 18, comma 2, lett. p-bis), D. Lgs. n. 22/97, riproducendo sostanzialmente l’art. 11, comma 3, L. n. 319/76 anche se sostituisce la parola “scarico” con quella onnicomprensiva di “smaltimento”, attribuisce allo Stato “l’autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nelle acque marine in conformità alle disposizioni stabilite dalle norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali vigenti in materia; tale autorizzazione è rilasciata dal Ministro dell’ambiente, sentito il Ministro delle politiche agricole, su proposta dell’autorità marittima nella cui zona di competenza si trova il porto più vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento ovvero si trova il porto da cui parte la nave con il carico di rifiuti da smaltire”.

Come già sottolineato in dottrina, tra le operazioni di “smaltimento” è altresì specificata quella dell’ “immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino”[32].

L’inosservanza dell’obbligo di autorizzazione di cui all’art. 18, lett. p-bis citato, è ora penalmente tutelato per effetto dell’art. 59, comma  11-bis, D. Lgs. n. 152/99[33] che delinea due condotte distinte: la prima, più specifica, attinente alla violazione del regime sui fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue di cui all’art. 48, comma 3, D. Lgs. n. 152/99, che richiama nel suo corpus l’obbligo previsto dalla normativa sui rifiuti; la seconda, più generale in quanto riferita ai “rifiuti” (e non solo ai fanghi laddove stabilisce “…o comunque effettua l’attività di smaltimento di rifiuti nelle acque marine…”) che innovando il sistema preesistente[34] punisce l’illecito smaltimento dei rifiuti nelle acque marine posto in essere in carenza di autorizzazione.

Rispetto a tali regole la normativa sulle acque ha introdotto un regime particolare relativo all’ immersione in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui dei seguenti residui:

1) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

2) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità ambientale e l’innocuità;

c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.

Riproducendo in parte qua i contenuti delle direttive ministeriali (v. supra, § 2.1.), l’autorizzazione all’immersione in mare di materiali di escavo è rilasciata dall’autorità competente, in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, solo quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità alle modalità da stabilirsi con decreto del Ministro dell’ambiente (di concerto con altri dicasteri ecc.), da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/99 (e non ancora adottato).

Mentre l’immissione in mare dei residui relativi all’attività di pesca non è subordinata ad autorizzazione, quella dei materiali inerti (v. supra sub 2) è assoggettata al previo rilascio di un provvedimento abilitativo in conformità alle norme delle convenzioni internazionali vigenti in materia, ricorrendo determinate condizioni (v. art. 35, comma 3, D. Lgs. n. 152/99).

Un regime specifico è pure stabilito per la movimentazione dei fondali marini derivante dall’attività di posa in mare di cavi e condotte (v. art. 35, comma 5, D. Lgs. n. 152/99).

Per la violazione degli obblighi di autorizzazione stabiliti nell’art. 35, citato[35], è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria “salvo che il fatto non costituisca reato”, ovvero nei casi in cui la fattispecie concreta non integri altre ipotesi di rilievo penale.

L’art. 59, comma 11, D. Lgs. n. 152/99, che riproduce fedelmente la pregressa disposizione di cui all’art. 24 bis, L. n. 319/76, sanziona l’inottemperanza al “divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia….”, da leggersi in coordinamento alle disposizioni della legge a difesa del mare n. 979/1982 ed alle altre norme  previste dalle convenzioni internazionali[36] che spesso utilizzano il termine  <> anziché quello di <> per indicare l’immissione di rifiuti.

Sotto il profilo sanzionatorio, non va dimenticato che i comportamenti sopra delineati possono, altresì, integrare e concorrere con le fattispecie contravvenzionali previste in tema di bonifica dei siti contaminati di cui agli artt.  58, D. Lgs. n. 152/99[37] e 17 e 51 bis, D. Lgs. n. 22/97[38], che hanno per oggetto la tutela di beni giuridici diversi rispetto alle ipotesi anzi descritte. 

Infine, la disciplina relativa al divieto di abbandono di rifiuti, di cui agli artt. 14, 50 e 51, D. Lgs. n. 22/97, completa il sistema di protezione di cui si discute.

Per quanto riguarda i rifiuti prodotti dalle navi va ricordato che nelle aree portuali la gestione di tali materiali “è organizzata dalle autorità portuali, ove istituite, o dalle autorità marittime, che provvedono anche agli adempimenti di cui agli artt. 11 e 12 (v. art. 19, comma 4-bis, D. Lgs. n. 22/97)[39].

 

4. Il regime transitorio.

 

Per quanto riguarda il regime interinale, attinente nello specifico le norme regolamentari e tecniche, va ricordato che ai sensi dell’ art. 62, comma 8, D. Lgs. n. 152/99, collocato tra le “regole transitorie e finali”, “le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l’articolo 63 restano in vigore, ove compatibili con gli allegati al presente decreto e fino all’adozione di specifiche normative in materia”.

L’art. 63 D. Lgs. n. 152/99 (recante “Abrogazione di norme) ha abolito gran parte della legislazione  pregressa tra cui la legge Merli (che ha rappresentato per moltissimi anni il fulcro della disciplina sulla tutela delle acque) travolgendo, di conseguenza, anche le disposizioni attuative emanate sulla base della stessa che, però, grazie alla norma transitoria di cui all’ art. 62, comma 8, citato, restano in vigore (ove compatibili con gli allegati al D. Lgs. n. 152/99) sino all’adozione dei provvedimenti delegati ai quali compete dare esecuzione in tutti i suoi molteplici aspetti alla nuova normativa in esame.

Ne deriva, che per effetto di quest’ultima disposizione ed in carenza dei decreti ministeriali attuativi dell’art. 35, D. Lgs. n. 152/99, le norme regolamentari e tecniche (v. supra § 2.1.) alle quali detto disposto conferisce ultrattività devono tuttora considerarsi operative in riferimento alle ipotesi di immissioni di rifiuti in mare[40] stabilite dall’art. 35.

Per quanto concerne il divieto di smaltimento in mare di rifiuti tossici nocivi[41] va rimarcato che lo stesso devesi ritenere tuttora valido ed operativo in quanto la Delibera del Ministro per l’Ecologia del 7 gennaio 1986 che ha introdotto nell’ordinamento tale <>, al pari del resto delle altre norme regolamentari più sopra illustrate, è stata adottata sulla base giuridica dell’art. 11, comma 3, L. n. 319/76 (come si legge espressamente nel titolo dell’atto) e, quindi, è ancora in vigore per effetto dell’art. 62, comma 8,  D. Lgs. n. 152/99.

Un cenno conclusivo merita la Circolare del Ministero dell’Ambiente 28.07.2000[42], che in riferimento alla classificazione giuridica del materiale inerte proveniente da scavo fornisce i seguenti chiarimenti:

“a) In primo luogo si ritiene che debbano sempre essere considerate rifiuti le terre da scavo che presentino concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti accettabili stabiliti dal D.M. 471/99 per i siti con destinazione verde privato, pubblico e residenziale. In tal caso, infatti, si pone l’evidente esigenza di controllare l’utilizzo delle terre e rocce da scavo al fine di prevenire il trasferimento di inquinanti e determinare l’inquinamento di altri siti con conseguente obbligo di bonifica dei siti medesimi;

b) Si ritiene, invece, che non debbano essere qualificate rifiuto e, di conseguenza, non rientrino nel campo di applicazione del D. Lgs. 22/97 le terre da scavo che presentino concentrazioni di inquinanti inferiori ai limiti accettabili stabiliti dal DM 471/99 per siti ad uso residenziale, verde privato e pubblico, e che siano destinate al normale ciclo di utilizzo della terra quali, a mero titolo esemplificativo, sottofondi e rilevati stradali, rimodellamenti morfologici, usi agricoli, riempimenti ecc.;

c) Si ritiene, infine, che le terre da scavo possono essere riutilizzate direttamente nel sito dove sono prodotte a prescindere dalla loro classificazione giuridica. In tale evenienza, infatti, non si determina alcun rischio di trasferimento di inquinanti in altri siti e quindi non sussistono le esigenze di controllo a fini di tutela ambientale proprie del regime dei rifiuti. Ovviamente, resta salvo l’obbligo di provvedere alla bonifica del terreno e del sito quando ne ricorrano le condizioni ed i presupposti ai sensi dell’art. 17, D. Lgs. 22/97 e del DM 471/99”.

La nozione di “rifiuto” sopra prospettata appare in palese contrasto sia con il dato letterale dell’art. 6 lett. a), D. Lgs. n. 22/97, che non richiama in alcun modo i limiti di accettabilità di cui al D.M. n. 471/99, sia con i criteri interpretativi enunciati costantemente dalla giurisprudenza comunitaria[43] che nazionale.

Senza voler eludere le ben note e complesse difficoltà pratiche connesse alla tematica in esame che richiederebbero un’analisi che esula dai limiti propri della presente trattazione (e che comunque non possono essere risolte con una circolare che contra legem introduce parametri normativi non previsti esponendo incredibilmente, di conseguenza, i destinatari della stessa a gravi rischi sul piano penale e, soprattutto, di gestione economica dell’impresa lato sensu intesa), va precisato che le terre e rocce vergini (ovvero non contaminate da pregresse attività antropiche) non sono mai state qualificate come “rifiuti” né dalla giurisprudenza né dalla dottrina, almeno per  quanto consta a chi scrive.

 



[1] Articolo pubblicato in Riv. Giur. Amb., 2001, n. 2, p. 223.

[2] V. artt. 15, 21 e 23, D. Lgs. n. 18 agosto 2000, n. 258, recante “Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128”, in S.o. n. 153/L a G.U. 18.09.2000 n. 218.

[3] Come chiarito dalla Suprema Corte “non sembra esatto affermare (come afferma un obiter dictum, ripreso da Corte cost. 173/98, Cass., sez. un., 27 settembre  1995, Forina) che la materia dei rifiuti comprende un’area più vasta in cui <> la materia attinente alle acque di scarico, giacchè – com’è noto – tra i rifiuti non possono comprendersi alcune acque di scarico (per esempio le acque meteoriche e quelle di raffreddamento), e inversamente le acque di scarico comprendono sostanze che non sono qualificabili come rifiuti liquidi (appunto le acque meteoriche e di raffreddamento). Più esattamente, le due nozioni circoscrivono due aree che non sono concentriche, ma solo parzialmente sovrapponibili o coincidenti. La porzione coincidente delle due aree è quella dei rifiuti liquidi.

E’ proprio l’esistenza di questa pozione comune tra le due aree che impone un’actio finium regundorum tra la normativa sulla tutela delle acque e quella sui rifiuti” (cfr. Cass. sez. 3, 03.08.99, C.C.24.06.99, imp. Belcari, in Foro it. 1999, n. 12, II, p. 691).  

[4]Ai sensi dell’ art. 1, comma 1, lett. a), L. n. 319/76, la legge Merli si applica agli “scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonchè in fognature, sul suolo e nel sottosuolo”.

[5] V. la definizione di rifiuto di cui all’art. 2, comma 1, D.P.R. n. 915/82 che fa riferimento a “qualsiasi sostanza od oggetto”, ivi comprese le sostanze a base acquosa, liquide o semiliquide;  l’art. 2, comma 6, D.P.R. cit. che “fa salva” la legge Merli per quanto concerne la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi…purchè non tossici e nocivi, in cui il termine “smaltimento” viene sostituito a quello di scarico; l’art. 2, comma 7, D.P.R. cit. che esclude dall’ambito applicativo del decreto gli scarichi disciplinati dalla L. n. 319/76, senza peraltro precisare il significato del termine “scarico”. D’altro canto, la L. n. 319/76, all’art. 2 lett. e) n. 2) e 3), estende il proprio ambito operativo alla regolamentazione dello “smaltimento dei liquami sul suolo” nonché dello “smaltimento dei fanghi residuati dai cicli di lavorazione e dai processi di depurazione”, in entrambi i casi senza meglio chiarire la portata del termine “smaltimento”.

[6]Cfr. Cass. S.U. 27.10.1995, Forina, in Foro it. 1996, II, c. 150; in dottrina v. F. Giampietro, Rapporti tra la legge Merli sugli scarichi e il D.P.R. N. 915/82 sullo smaltimento dei rifiuti: le Sezioni Unite si pronunciano dopo 13 anni di contrasti giurisprudenziali, in Cass. Pen. 1996, 6, p. 1759.

[7] Cfr. Cass. sez. 3, sent. n. 2208, 22.12.1992, imp. Fava e altri, in questa Rivista, 1993, n. 2, p. 289, in materia di incenerimento di rifiuti; rispetto al tema specifico dell’inquinamento marino, ad analoghe considerazioni circa la valenza di legge quadro del D.P.R. n. 915/82 giunge  Pret. Sestri Ponente, sent. n. 40, 22.02.1986, imp. Cornale, in questa Rivista, 1986, p. 367, con nota di F. Perli, Scarico di rifiuti tossici in mare, che, dopo un breve excursus delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 915/82 con particolare riferimento al rapporto con quelle di cui alla L. n. 319/76, conclude che il legislatore, con gli artt. 9 e 24, ha “inteso dettare una norma di chiusura del sistema, vietando quelle condotte che, pur non integrando gli estremi di una vera e propria attività di smaltimento (perché compite al di fuori di un’attività di impresa o comunque organizzata e sistematica), sono tuttavia pericolose per l’ambiente; si tratta di un pericolo di minore intensità proprio perché si sostanzia in atti isolati, tanto che l’art. 24 commina per questa condotta semplici sanzioni amministrative per  lo <> di rifiuti urbani o speciali, ed una modesta sanzione penale per lo <> di rifiuti tossici e nocivi. In pratica la stessa distinzione si può trovare, nel testo del D.P.R., tra lo scarico incontrollato di un quantitativo di rifiuti urbani, che viene sanzionato in via amministrativa dagli artt. 9 comma 1 e 24, e l’esercizio sistematico di una vera e propria discarica ….per la quale scattano le severe sanzioni penali previste dall’art. 25 comma 2”.

[8]Cfr. C. Cost. sent. n° 173 dep. il 20.05.1998, Di Taranto, G. U.,1^ s. spec., 1997, n° 17.

[9]Cfr. Cass. sez. 3, 23.05.1997, ric. Bacchi, in Foro it. 1997, II, c. 762, con nota di V. Paone e commento di G. Amendola “Legge Merli e d. leg. n. 22 sui rifiuti: la prima pronuncia della Cassazione”; conf.  Cass. sez. 3, sent. n° 5605 del 11.06.1997, Beciani e altro, in CED  Rv. 208439, per cui “l’ attività  di  estrazione di ghiaia rientra nella disciplina del d.P.R.  10  settembre  1982, n. 915 e, dopo la sua abrogazione, del D.L.G. 5 febbraio  1997,  n.22, per tutte le singole operazioni di smaltimento dei rifiuti, siano  essi  solidi  o  liquidi, con esclusione delle operazioni - concernenti i  liquidi  - attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina della Legge  10  maggio  1976, n.319, con l’ unica eccezione dei fanghi e liquami tossici e  nocivi,  già  regolati dal citato d.P.R. n.915 del 1982. ( Nella specie, relativa  a  rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna, la S.C. ha osservato  che  la  decisione impugnata aveva correttamente considerato scarico la  fuoriuscita