La Corte di giustizia europea ed i TMB italiani

di Mauro SANNA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringrazia l'Editore

A distanza di sei anni la Corte di giustizia europea è tornata ad occuparsi della gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia ed in particolare degli impianti di trattamento meccanico biologico impiegati denominati TMB.

Con la prima Sentenza del 15/10/2014 n. C-323/13 la Corte di giustizia europea Sez. VI, aveva condannato l’Italia, per non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare che una parte dei rifiuti urbani conferiti nelle discariche del SubATO di Roma ed in quelle del SubATO di Latina non fosse sottoposta ad un trattamento che comprendesse un’adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione di quella organica.

Perciò l’Italia era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, da un lato, del combinato disposto degli articoli 1, paragrafo 1, e 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182, pag. 1), nonché degli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3), e, dall’altro lato, dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale ultima direttiva.

Con la seconda sentenza del 11 novembre 2021, n C315/20 la Corte di giustizia europea Sez. VIIIha stabilito che, ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1013/2006, i rifiuti urbani non differenziati destinati al recupero che, a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, il quale non ha, tuttavia, sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie, sono stati classificati alla voce 19 12 12 del CER, devono essere considerati rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica.

Infatti, in questo caso si intendeva trasferire all’estero i rifiuti solidi urbani sottoposti a trattamento meccanico, ma tale esportazione non era ammissibile perché l’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 11, paragrafo 1, lettera i), del regolamento n. 1013/2006, interpretati alla luce del considerando 33 della direttiva 2008/98, implicano che rifiuti urbani non differenziati che siano stati classificati alla voce 19 12 12 del CER a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, trattamento che non ha tuttavia sostanzialmente alterato le proprietà iniziali di tali rifiuti, devono essere considerati come rientranti tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, previsti da tali disposizioni, nonostante il fatto che queste ultime menzionino il codice 20 03 01 del CER.

Queste due sentenze, quella del 2014 e quella attuale del 2021, si integrano tra di loro e chiariscono quali siano effettivamente i comportamenti che devono essere adottati perché la gestione dei rifiuti solidi urbani e specificatamente il loro trattamento avvenga in modo conforme alla normativa comunitaria.

Infatti mentre nella prima sentenza la Corte si occupavadelle operazioni di selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della loro frazione organica, nella seconda sentenza la Corte prende in esame e definisce l’operazione di trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico.

Le due sentenze quindi nel loro insieme vengono a considerare ed esplicitare proprio le due operazioni di trattamento svolte negli impianti TMB italiani: la selezione e la stabilizzazione.

Gli impianti TMB

Per comprendere il diverso significato delle due sentenze e la rilevanza che esse hanno nelle modalità da adottare nella gestione dei rifiuti solidi urbani, è necessario prioritariamente chiarire, anche se brevemente, che cosa si intenda per TMB, e quali sono le operazioni che effettivamente sono svolte in un tale impianto.

Il termine TMB infatti di per se può indurre in errore, specie i non tecnici e i non addetti ai lavori che potrebbero ritenere che si tratti di un impianto unitario, mentre esso è invece costituito da due impianti ben distinti che hanno anche finalità completamente differenti.

Il Trattamento Meccanico Biologico è realizzato da due impianti, differenti per caratteristiche strutturali e per i trattamenti che eseguono, funzionanti separatamente, posti in generale uno di seguito all’altro, quando sono entrambi presenti.

L’impianto di trattamento meccanico

Il rifiuto solido urbano viene inizialmente sottoposto a triturazione per realizzare l’apertura dei sacchi e la sua omogeneizzazione merceologica e granulometrica.

Il rifiuto in uscita dal trituratore è poi convogliato tramite nastri trasportatori al vaglio rotante dove si realizza la separazione del sovvallo o sopravaglio costituito da materiali con dimensioni maggiori di 50-90 mm, denominato frazione “secca”, che dopo essere stata sottoposta a deferrizzazione viene evacuata per mezzo di un sistema di nastri, e tramogge.

La frazione separata costituente il sottovaglio, composta da materiali con dimensioni minori di 50-90 mm ed una importante componente organica, è denominata frazione umida, destinata al successivo trattamento di tipo biologico viene evacuata per mezzo di un sistema di nastri, e tramogge.

Pertanto, considerato il tipo di frazionamento svolto, solo per convenzione si assume che il sopravaglio che si separa nel trattamento meccanico sia costituito dalla frazione secca del rifiuto solido urbano e che il sottovaglio sia costituito dalla frazione umida; è evidente però che della percentuale di componente umida o secca presente nelle due frazioni non c’è nessuna certezza essendo la separazione, almeno negli impianti tradizionali, funzione solo delle caratteristiche dimensionali dei rifiuti.

Mentre la frazione secca, costituita da un insieme eterogeneo di materie plastiche, cellulosiche e, in minor misura, tessili, legnose e biodegradabili, può essere ulteriormente raffinata al fine di arricchirla della componente combustibile da destinare agli impianti dedicati alla valorizzazione energetica dei rifiuti (impianti di combustione, impianti a pirolisi, gassificatori, ecc.), la frazione umida per la sua stabilizzazione deve essere inviata all’impianto biologico.

Il trattamento biologico

Nell’impianto di trattamento biologico si realizza la fermentazione della frazione umida dei rifiuti. Esso prevede l’impiego di biocelle in cui la frazione umida, permanendovi per un tempo adeguato, subisce un processo statico di igienizzazione e stabilizzazione mediante una “biossidazione accelerata” che attiva i processi degradativi a carico delle componenti organiche maggiormente fermentescibili ed inibisce così ulteriori processi di fermentazione.

Perciò in questo impianto, completamente autonomo rispetto a quello meccanico, basato sui processi ossidativi operati dai microrganismi coadiuvati dal periodico rivoltamento, dall’aerazione e dalla bagnatura, si attua la mineralizzazione delle componenti organiche degradabili con una riduzione del volume a causa della perdita di acqua ed anidride carbonica che si realizza durante il processo.

Terminato il processo di stabilizzazione, il materiale, nel caso sia da impiegare in particolari utilizzi, può essere eventualmente sottoposto ad un ulteriore trattamento meccanico di raffinazione.

Pertanto mentre l’impianto di trattamento meccanico si può definire come un impianto di pretrattamento dei rifiuti solidi urbani perché si limita solo a separarli in due frazioni, ai fini dei successivi trattamenti di recupero o smaltimento, l’impianto biologico che segue quello meccanico svolge invece effettivamente un trattamento definitivo di una parte dei rifiuti urbani riducendone il volume e la nocività per l’ambiente.

Appunto all’impianto biologico si riferiva la prima sentenza del 15/10/2014 della Corte di giustizia

Che puntualizzava la necessità della stabilizzazione mediante trattamento biologico della frazione umida dei rifiuti separati con il trattamento meccanico. Essa non approfondiva però in alcun modo le modalità di esecuzione di questo trattamento né specificava le caratteristiche che dovevano possedere i rifiuti che ne scaturivano perché l’operazione potesse essere definita effettivamente come trattamento dei rifiuti solidi urbani.

Solo con la seconda sentenza del 11 novembre 2021è stato preso in esame il trattamento meccanico e più precisamente sono state considerate le caratteristiche che devono essere possedute dai rifiuti costituenti la frazione secca separata perché si possa affermare che i rifiuti solidi urbani abbiano subito un effettivo trattamento.

La Sentenza della Corte di giustizia europea del 15/10/2014

Questa prima sentenza, limitandosi a considerare la selezione senza però specificarne i limiti ed il suo significato, lasciava un vuoto notevole per la qualificazione dei rifiuti separati e sui possibili comportamenti da adottare nella loro gestione.

Infatti, mentre per la frazione umida, una volta assicurata la sua separazione dal secco, non era necessario stabilire quali fossero le caratteristiche che essa doveva possedere, considerato che il suo unico possibile successivo trattamento era la stabilizzazione, invece per quanto riguarda la frazione secca, è necessario stabilire dei vincoli , infatti il suo destino almeno in Italia è funzione della sua composizione e delle opportunità di smaltimento e recupero che si presentano e non è costituito con certezza dalla termovalorizzazione.

D’altra parte era difficile per la Corte di giustizia percepire la necessità di precisare le caratteristiche che dovevano essere possedute dal rifiuto perché fosse possibile considerarlo trattato, in quanto per Essa la sola modalità di gestione dei rifiuti solidi urbani nota e comprensibile è quella prevista dalla normativa comunitaria, ma le modalità di gestione dei rifiuti solidi urbani si realizzano realmente negli impianti italiani. sono in molti casi ben differenti da quelle previste dalla normativa Comunitaria.

Questa infatti con la Decisione di esecuzione (UE) 2018/1147 della Commissione del 10 agosto 2018 ha stabilito le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili – BEST AVAILABLE TECHNIQUES (BAT) – per il trattamento dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, prevedendo tra le attività di smaltimento e recupero dei rifiuti non pericolosi e quindi specificatamente per i rifiuti solidi urbani, i seguenti tipi di trattamento:

-trattamento biologico;

– trattamento fisico-chimico;

– pretrattamento dei rifiuti destinati all’incenerimento o al coincenerimento;

E’ bene sottolineare come questo ultimo trattamento, nel quale si può configurare il trattamento meccanico svolto dai TMB, è previsto dalla normativa comunitaria esclusivamente per il recupero energetico dei rifiuti combustibili, e per questo scopo, come si rileva dal BRef di settore, è adottato negli altri Paesi della Comunità.

Quindi la normativa comunitaria non prevede mai la possibilità che l’attività del TMB sia finalizzata solo alla semplice separazione degli RSU in due frazioni: umido e secco e che quindi resti fine a sé stessa e che perciò i TMB non siano utilizzati per produrre materiale combustibile dal secco e materiale fertilizzante o comunque stabilizzato dall’umido, come previsto dalla normativa.

La Sentenza del 15/10/2014 non approfondiva perciò cosa si dovesse intendere per trattamento meccanico e quando effettivamente i rifiuti solidi urbani si potessero considerare trattati.

Questo stesso argomento era stato anche affrontato quasi contemporaneamente dal Consiglio di Stato con la sentenza del 27.10.2014.

La Sentenza del Consiglio di Stato del 27.10.2014

II Consiglio di Stato con la Sentenza n. 05242/2014, sulla base di quanto accertato dal verificatore, (Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche del MATTM 3), aveva stabilito quale era il codice CER da attribuire ai rifiuti prodotti negli impianti di trattamento e se questi presentavano caratteristiche differenti da quelli originari trattati.

Questa Sentenza premettendo che “…ad eccezione del caso di rifiuti urbani oggetto di spedizioni transfrontaliere, non esistono disposizioni particolari o specifiche che stabiliscono quando un’operazione di trattamento di un rifiuto domestico indifferenziato produce un nuovo o diverso rifiuto”. e che “…quando un’operazione di trattamento produce un nuovo rifiuto, al quale può e deve essere legittimamente assegnato un codice CER diverso da quello che individuava il rifiuto prima del trattamento”…

Concludeva: .al rifiuto risultante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto”…

ma precisava che un’operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto ha prima del trattamento sono diverse da quelle del rifiuto trattato”…

La sentenza considerava infatti che nella disciplina comunitaria ed in quella nazionale non è espressamente stabilito quali operazioni di trattamento producono un nuovo rifiuto, mentre è definito nuovo produttore di rifiuti (art. 183, comma 1, lett. f), del D. Lgs. n. 152 del 2006) “chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”, deve concludersi che, come sottolineato anche dai verificatori, un’operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto ha prima del trattamento sono diverse da quelle del rifiuto trattato.

Nel caso di specie, come già rilevato in precedenza, le approfondite indagini svolte dal verificatore hanno accertato che “…le caratteristiche dei rifiuti in uscita dal trattamento, pur evidenziando alcune proprietà analitiche diverse rispetto a quelle del rifiuto urbano in ingresso, non consentono di sostenere che il trattamento ha modificato le stesse conformemente agli scopi previsti dal citato art. 2 [comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 36/2003]”, giacché “…il confronto fra le quantità di rifiuti in ingresso e quelle in uscite mostra scarse differenze che indicano esigue perdite di processo legate alla mancata stabilizzazione che non comporta una riduzione dei volumi complessivamente avviati alle successive operazioni di smaltimento”…

Perciò: “In definitiva, benché il prodotto derivante dall’attività di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria possa essere considerato come un nuovo prodotto in quanto realizzato negli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio STIR (quali nuovi produttori di rifiuti ex art. 183 del D. Lgs. n. 152 del 2006), lo stesso non ha in concreto perduto le caratteristiche di rifiuto urbano e come tale è sottoposto al principio dell’autosufficienza regionale per il relativo smaltimento.

Pertanto, come non irragionevolmente evidenziato dal verificatore “i rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice 19 continuano ad essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma ai soli fini dello smaltimento. Tale vincolo non opera qualora siano conferiti ad impianti di recupero o avviati a operazioni finalizzate al recupero”………….

D’altra parte il verificatore a cui era stato affidato l’accertamento aveva anche rilevato che:

e) l’idoneità del trattamento a produrre rifiuti speciali non comporta che detto trattamento sia automaticamente efficace anche per adempiere all’obbligo di conferimento in discarica dei soli rifiuti trattati. Infatti, ai fini del conferimento in discarica il trattamento deve conseguire l’ulteriore obiettivo di modificare le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza.

Tale sentenza, come è noto, oltre a ristabilire il principio dell’autosufficienza regionale per lo smaltimento dei rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti solidi urbani, non ha avuto alcuna conseguenza sulle modalità di gestione degli stessi ma essa, a differenza di una sentenza della Corte di giustizia europea, non era vincolante.

La Sentenza della Corte di giustizia europea del 11/9/2021

Alla medesima conclusione della Sentenza del Consiglio di Stato è di fatto pervenuta anche la recente sentenza della Corte di giustizia europea del 11 novembre 2021, con la quale è stato chiarito infatti cosa si debba intendere per rifiuto trattato, specificando che i rifiuti secchi separati mediante trattamento meccanico per essere qualificati trattati devono risultare diversi dai rifiuti urbani originari.

Essi quindi, dopo il trattamento, perché questo sia qualificato come tale, dovranno presentare caratteristiche sostanzialmente modificate rispetto a quelle iniziali, altrimenti non si potrà parlare di trattamento di rifiuti e conseguentemente quelli ottenuti da tali trattamenti inefficaci dovranno continuare ad essere considerati come rifiuti urbani non differenziati e non avrà alcuna rilevanza che i rifiuti così trattati siano stati classificati con il CER 19 12 12.

Il chiarimento apportato dalla recente sentenza della Corte di giustizia europea va perciò ben oltre al semplice divieto di invio dei rifiuti non trattati all’estero essa infatti esplicita in maniera più generale cosa si debba intendere per trattamento dei rifiuti, stabilendo che esso non può essere qualificato come tale quando le caratteristiche dei rifiuti e le proprietà iniziali degli stessi rimangono sostanzialmente inalterate, situazione che appunto si realizza per quelli derivanti da un trattamento meccanico.

Ne consegue che il trattamento meccanico, non potendo essere considerato idoneo a modificare le caratteristiche dei rifiuti urbani essendo esse di fatto rimaste inalterate nel rifiuto considerato trattato, non può neanche considerarsi adeguato a modificare le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza, requisiti previstiper i rifiuti urbani ammissibili in discarica.

In questo modo viene perciò anche meno la possibilità di considerare il trattamento meccanico come operazione adeguata a rendere ammissibile il conferimento dei rifiuti in discarica, in conformità a quanto previsto dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. 36/03 che prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento, a meno che non siano rifiuti il cui trattamento non contribuisca a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente ed i rischi per la salute umana e non risulti indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente (Nota 1).

Anche il Decreto Legislativo 121/2020, di a ttuazione della Direttiva 2018/850 che modifica la Direttiva 1999/31/CE, modificando ed integrando la precedente normativa sulle discariche costituita dal D.Lgs. 36/2003, ha ribadito la necessità che i rifiuti conferiti in discarica vengano precedentemente trattati (Nota 2).

La sentenza del 11 novembre 2021 della Corte di giustizia stabilendo che il trattamento meccanico svolto nei TMB, cioè la triturazione e vagliatura dei rifiuti solidi urbani non è idoneo a modificare le proprietà originarie di tali rifiuti, cosicché essi continuano a rientrare tra i rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, stabilisceanche che il frazionamento svolto nei TMB non può essere considerato come un trattamento idoneo e sufficiente a permettere lo smaltimento degli RSU in discarica.

Pertanto viene così di fatto ad essere escluso che la semplice separazione del rifiuto urbano in due frazioni possa soddisfare quanto previsto dall’art 7 del D.Lgs. 36/03 e possa essere considerata un trattamento adeguato a determinare qualche beneficio ambientale quando esso è abbancato in discarica riducendone il volume e le caratteristiche di pericolo, perché essa non determina invece di per sé stessa, alcuna modifica dei suoi requisiti di qualità ambientale e lascia inalterata. la sua identità.

La sentenza della Corte di giustizia europea perciò ribadisce quanto già statuito dal Consiglio di Stato relativamente alla non idoneità delle operazioni ditriturazione e vagliatura dei rifiuti solidi urbani a modificarne le proprietà originarie cosicché essi, anche dopo tali trattamenti, continuano a rientrare tra i rifiuti urbani non differenziati.

Tale sentenza inoltre diversamente da quella del Consiglio di Stato non fa esclusivo riferimento ai soli rifiuti solidi urbani destinati allo smaltimento ma fa specifico riferimento anche ai rifiuti solidi urbani conferiti ad impianti di recupero. Infatti i rifiuti oggetto della sentenza erano rifiuti sottoposti a un trattamento meccanico e classificati con il CER 19 12 12 destinati ad un cementificio sito in Slovenia ai fini del loro utilizzo in co-combustione, e quindi al recupero energetico.

Le due sentenze della Corte di giustizia nel loro insieme hanno chiarito che il trattamento meccanico non è un trattamento definitivo ma solo un pretrattamento e che mentre per l’umido il trattamento definitivo si esaurisce solo con il trattamento biologico, per il secco questo si realizza, quando esso assume caratteristiche sue proprie ben distinte da rifiuti solidi urbani originari trattati e in forza delle conclusioni delle BAT può essere destinato alla termovalorizzazione.

In conclusione le due sentenze della Corte di giustizia nel loro insieme e quella del Consiglio di Stato in concreto, rilevano come i trattamenti ditriturazione e vagliatura dei rifiuti solidi urbani quando il rifiuto umido non viene ad essere stabilizzato sono di fatto fine a sé stessi.

Infatti, poiché non viene ridotto il volume e le caratteristiche di pericolo dei rifiuti trattati, né vengono ad essere modificate le loro proprietà originarie, i TMB ed i trattamenti in essi svolti non sono né adeguati né sufficienti a garantire dei trattamento idonei a rendere ammissibile lo smaltimento in discarica dei rifiuti solidi urbani secondo quanto stabilito dall’art 7 del D.Lgs. 36/03.

Note:

Nota 1. In un primo momento ai sensi dell’art. 17 dello stesso decreto, le discariche si dovevano adeguare alla normativa entro il 16 luglio 2005. Tale regime transitorio, successivamente veniva prorogato più volte fino al 30 giugno 2009.

La Legge n. 13/2009 dava la possibilità alle Regioni di chiedere l’ulteriore proroga di tale termine al 31 dicembre 2009. Pertanto su richiesta della Regione Siciliana il Ministero dell’Ambiente differiva l’entrata in vigore dei criteri di ammissibilità in discarica di cui al DM 3 agosto 2005, per nove discariche siciliane.

Nota 2. L’art. 2 comma 1 lett. h) del D.Lgs. 121/2020 definisce “trattamento”: i processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza