Rifiuti urbani, Corte europea e CER 19.12.12: una sentenza «esplosiva»?
di Gianfranco AMENDOLA
Pubblicato su Rivista Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente (rivistadga.it) si ringraziano Autore ed Editore
Sanità pubblica - Regolamento (CE) n. 1013/2006 - Spedizioni di rifiuti - Art. 3, par. 5, e art. 11, par. 1, lett. i ) - Direttiva 2008/98/CE - Gestione dei rifiuti - Art. 16 - Principi di autosufficienza e di prossimità - Decisione 2000/532/CE - Catalogo europeo dei rifiuti (CER) - Rifiuti urbani non differenziati sottoposti a un trattamento meccanico che non ne altera la natura.
L’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 11 del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti, devono essere interpretati nel senso che, tenuto conto dei princìpi di autosufficienza e di prossimità, l’autorità competente di spedizione può, basandosi in particolare sul motivo previsto all’articolo 11, paragrafo 1, lettera i ), del medesimo regolamento, opporsi a una spedizione di rifiuti urbani non differenziati che, a seguito di un trattamento meccanico ai fini del loro recupero energetico, il quale non ha tuttavia sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie, sono stati classificati sotto la voce 19.12.12 dell’elenco dei rifiuti contenuto in allegato alla decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, lettera a ), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi, come modificata dalla decisione 2014/955/UE della Commissione, del 18 dicembre 2014.
Ci sono sentenze che, a prima vista, passano inosservate anche se, in realtà, hanno un contenuto che può essere dirompente. Questo è il caso della sentenza in epigrafe, in cui la Corte di giustizia europea era stata chiamata a pronunciarsi dal Consiglio di Stato 1 nell’ambito di un procedimento tra la Regione Veneto e un privato circa la spedizione, verso un cementificio in Slovenia, di duemila tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati (codice CER 20.03.01), classificati, dopo trattamento meccanico finalizzato a recupero energetico, con il codice CER 19.12.12, che riguarda « rifiuti non pericolosi (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti »2.
Diciamo subito che il fulcro della questione consiste nella qualificazione di questi rifiuti. Rileva, infatti, la Corte di giustizia che, a prescindere dal codice assegnato, ai fini delle spedizioni all’estero, i rifiuti urbani indifferenziati restano tali anche se, essendo destinati a recupero energetico, hanno subìto un trattamento meccanico, il quale non ha, tuttavia, sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie. E, pertanto, in base alla normativa comunitaria, la loro gestione deve rispettare i princìpi di autosufficienza e di prossimità i quali impongono di trattarli nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il trasporto; con il corollario evidente che, così come sostenuto dalla Regione Veneto in contrasto con la prima pronuncia del T.A.R., è del tutto legittimo opporsi alla loro esportazione.
Insomma, per la Corte europea quello che conta è la sostanza e non il dato formale della classificazione EER assegnata al rifiuto. Conclusione che, sostanzialmente, coincide con quella, contenuta nell’aggiunta recentissima alle Linee guida SNPA per la classificazione dei rifiuti, proprio e solo sui rifiuti urbani indifferenziati sottoposti a trattamento meccanico biologico, secondo cui «r esta fermo che una condizione essenziale affinché i rifiuti derivanti dal trattamento siano classificabili con codici dell’elenco europeo differenti rispetto a quello del rifiuto d’origine è che il processo abbia portato alla formazione di un rifiuto differente dal punto di vista chimico-fisico (tra cui, composizione, natura, potere calorifico, caratteristiche merceologiche, ecc.) »3.
Appare, quindi, evidente che, in realtà, il principio affermato dalla Corte europea riguarda anche la classificazione dei rifiuti in urbani e speciali (secondo l’origine) adottata dal nostro Paese nell’art. 184, d.lgs. n. 152/06. Infatti, nella realtà italiana, l’assegnazione (fatta dal produttore) del codice CER 19.12.12 ai rifiuti urbani indifferenziati dopo trattamento fa sì che vengano qualificati non più come urbani ma come speciali in quanto, come sostenuto dal TAR Veneto, l’elenco dei rifiuti « individua il CER 19 per i rifiuti speciali prodotti da attività industriali e di servizi ed il CER 20 per i rifiuti urbani, compresi quelli della raccolta indifferenziata (CER 20.03.01) »; e, pertanto, con CER 19.12.12 non si tratterebbe più di rifiuti urbani soggetti ai princìpi di prossimità ed autosufficienza, ma di rifiuti speciali che possono andare fuori Regione e all’estero. Affermazione che viene, tuttavia, contestata dalla Regione Veneto la quale, come sintetizzato dal Consiglio di Stato, ritiene che « non è esclusivamente urbano tutto ciò che è classificato al numero 20 del CER, e il numero 19 non comprende solo ed esclusivamente rifiuti speciali. In particolare, rispetto alla fattispecie, la Regione sostiene che lo stesso codice CER 19.12.12 è attribuibile ai rifiuti prodotti da impianti di trattamento meccanico, sia che in origine fossero urbani sia che fossero speciali; dipendendo la qualificazione del rifiuto a valle del trattamento dalla avvenuta trasformazione, o meno, delle caratteristiche proprie dei rifiuti a monte del trattamento (...) ».
Non a caso, a questo proposito, il rapporto ISPRA 2020 sui rifiuti urbani evidenzia che « l’analisi dei dati relativi alla gestione dei rifiuti urbani include anche i rifiuti identificati con i codici 19.12.12 (altri rifiuti compresi i materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti), 19.12.10 (rifiuti combustibili - CSS), 19.05.01 (parte di rifiuti urbani e simili non compostata), 19.05.03 (compost fuori specifica) e 190599 (rifiuti provenienti dal trattamento aerobico dei rifiuti non specificati altrimenti) che, seppur classificati come speciali a seguito di operazioni di trattamento che ne modificano la natura e la composizione chimica, sono di origine urbana. Tale scelta è giustificata dal disposto dell’art. 182 bis del d.lgs. n. 152/2006 che prevede la realizzazione dell’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento attraverso la realizzazione di una rete impiantistica integrata nell’ambito territoriale ottimale »; aggiungendo, proprio con riferimento ai rifiuti trattati nei TMB, che « nonostante l’art. 182 bis del d.lgs. n. 152/2006, e successive modificazioni, stabilisca il principio dell’autosufficienza per lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e per i rifiuti del loro trattamento a livello di ambito territoriale ottimale, l’analisi dei dati evidenzia che i rifiuti in uscita dagli impianti di trattamento meccanico biologico, vengono di frequente avviati a smaltimento in Regioni diverse da quelle in cui sono stati prodotti ».
Siamo così giunti al vero nocciolo della questione: in Italia, l’invio di rifiuti urbani indifferenziati ad impianti di trattamento viene, spesso, utilizzato, a prescindere dai risultati del trattamento, per classificarli, con CER 19.12.12, come rifiuti speciali; con la conseguenza che ad essi non si applicherebbe il divieto di « smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti » (art. 182, comma 3, d.lgs. n. 152/06) e l’obbligo di « permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi » [art. 182 bis, comma 1, lett. b)].
Illuminanti a questo proposito sono le dichiarazioni rese alla Commissione parlamentare «ecomafia», l’11 giugno 2019, dal direttore di ARPA Lazio, Marco Lupo, il quale ha evidenziato, senza peli sulla lingua, che « in Italia su questa questione del trattamento secondo me si fa molta demagogia e molto spesso il rifiuto viene mandato negli impianti di trattamento per cambiare codice e per poter “perdere” la natura urbana, poter diventare speciale e quindi girare liberamente per il nostro Paese (...) quindi il rifiuto viene mandato negli impianti che fanno un trattamento, sulla cui sostanzialità si può molto discutere. E poi vengono trasferiti con codice 19, senza bisogno di accordo interregionale, ma possono circolare liberamente essendo rifiuti speciali ».
Insomma, in Italia il trattamento con TM o TMB costituisce, in buona parte e a prescindere dalla sua efficacia, un espediente per eludere gli obblighi e i divieti sanciti, in ossequio ai princìpi di prossimità ed autosufficienza, dalla normativa comunitaria e italiana per la gestione dei rifiuti urbani.
E non si tratta certo di un fenomeno limitato. Secondo i dati del rapporto ISPRA sulla gestione dei rifiuti urbani 2020, nel 2019 il 95,4 per cento dei rifiuti urbani smaltiti in discarica e il 48,8 per cento di quelli inceneriti sono stati sottoposti a trattamento preliminare. In particolare, risulta avviato al trattamento meccanico biologico aerobico (TMB) un quantitativo di rifiuti pari a quasi 9,9 milioni di tonnellate, di cui il 79 per cento (7,8 milioni di tonnellate) era costituito da rifiuti urbani indifferenziati (identificati con il codice CER 20.03.01) 4.
Oggi, questa sentenza della Corte europea rimette tutto in discussione perché afferma il principio che non contano le classificazioni e le qualificazioni formali ma conta la sostanza, e cioè la idoneità del trattamento a modificare le proprietà e qualità del rifiuto.
A questo punto, si pone, tuttavia, in primo luogo, il problema di capire se tale principio riguarda solo i rifiuti destinati all’esportazione ovvero tutti i rifiuti urbani. Infatti, una delle argomentazioni utilizzate dalla Corte di giustizia si riporta al ‘considerando’ 33 della direttiva 2008/98/CE, il quale afferma che i rifiuti urbani indifferenziati restano tali anche quando sono stati oggetto di un’operazione di trattamento dei rifiuti che non ne abbia sostanzialmente alterato le proprietà; affermazione che, tuttavia, si riferisce espressamente «ai fini dell’applicazione del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti » all’estero. E, pertanto, certamente, il principio affermato dalla Corte di giustizia vale per i rifiuti (trattati) destinati all’esportazione. Né poteva essere altrimenti visto che la Corte era vincolata al quesito propostole, che si riferiva solo alle spedizioni all’estero.
Tuttavia, sembra di cogliere alcune aperture verso una interpretazione più estensiva. Se, infatti, è vero che il ‘considerando’ 33 vale solo per le spedizioni all’estero, è anche vero che la Corte lo ricollega direttamente ai princìpi generali di autosufficienza e di prossimità, ricordando, poche righe sopra (n. 24), che « l’articolo 16 della direttiva 2008/98 impone agli Stati membri di creare una rete integrata e adeguata di impianti per il trattamento dei rifiuti destinati allo smaltimento e dei “rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, inclusi i casi in cui detta raccolta comprenda tali rifiuti provenienti da altri produttori”, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Tale articolo prevede altresì che gli Stati membri debbano concepire detta rete, in particolare, in modo da consentire ad essi di mirare individualmente all’autosufficienza nel trattamento di tali rifiuti e che detto trattamento possa avvenire in uno degli impianti appropriati più vicini al luogo in cui vengono prodotti »; ribadendo, subito dopo (n. 25), che « una delle più importanti misure che devono essere adottate dagli Stati membri, in particolare tramite gli enti locali dotati di competenza a tale riguardo, consiste nel cercare di trattare detti rifiuti nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, segnatamente per i rifiuti urbani non differenziati, per limitarne al massimo il trasporto (v. sentenza del 12 dicembre 2013, in causa C‑292/12, Ragn-Sells, EU:C:2013:820, punti 60 e 61 nonché giurisprudenza ivi citata) ».
Princìpi che, ovviamente, valgono per tutti i rifiuti urbani non differenziati, per i quali da un lato si richiede che il loro trattamento avvenga nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti 5 ; e dall’altro, richiedendo che vi siano impianti «appropriati» e che si tenga conto delle «migliori tecniche disponibili» postulano che gli impianti di trattamento 6 , qualora non provvedano direttamente al recupero o allo smaltimento, pur se non portano alla formazione di un rifiuto – per dirla con ISPRA – « differente dal punto di vista chimico-fisico», compiano tuttavia operazioni significative direttamente collegate alla fase finale del recupero o dello smaltimento che certamente non può avvenire in ambito territoriale diverso.
In ogni caso, pur volendo limitare l’ambito della sentenza ai soli rifiuti destinati all’esportazione, non c’è dubbio che essa porterà a notevoli contraccolpi per quanto concerne la gestione dei rifiuti urbani indifferenziati. Infatti, i funzionari ed i giudici italiani hanno l’obbligo di dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia, e, pertanto, i princìpi restrittivi in essa affermati dovranno immediatamente essere rispettati per le 321.000 tonnellate (dati ISPRA 2020) di rifiuti prodotti dai TMB italiani che vengono conferite all’estero, in particolare dalla Campania (oltre 158 mila tonnellate), dal Friuli-Venezia Giulia (oltre 60 mila tonnellate), dal Veneto (quasi 33 mila tonnellate), dalla Toscana (oltre 30 mila tonnellate), dal Lazio (quasi 24 mila).
Ma, a nostro sommesso avviso, il «merito» maggiore di questa sentenza è di avere, finalmente, scoperchiato le «scatole nere» dei rifiuti 19.12.127.
Perché, in realtà, nel nostro Paese con il codice 19.12.12 si fa di tutto e si tratta di tutto. Non a caso ISPRA, nei suoi rapporti sui rifiuti urbani, evidenzia che « il codice EER 19.12.12 viene utilizzato dai gestori degli impianti per identificare sia la frazione secca, sia gli scarti di trattamento e talvolta, in maniera impropria, per indicare la frazione umida ». Con la conseguenza – aggiungiamo noi – di svincolare tutti questi rifiuti dal principio di prossimità.
E pertanto, dopo questa importante sentenza, è necessario un immediato intervento a livello tecnico e politico per fare chiarezza in sede nazionale ed evitare che, approfittando dell’assenza di adeguati controlli, il codice CER 19.12.12 venga utilizzato in maniera impropria o, peggio, per aggirare obblighi e divieti di legge. Ed è appena il caso di ricordare, in proposito, che la Suprema Corte, sin dal 2011, considera anche la semplice modifica del codice CER al fine di destinare rifiuti ad impianti che non potrebbero riceverli, una condotta «abusiva» che, ricorrendone i presupposti, può addirittura integrare il delitto di traffico illecito di rifiuti8.
A livello tecnico, occorre, in particolare, con riferimento alla sentenza della Corte di giustizia, chiarire al più presto quando, per le spedizioni di rifiuti, si può parlare di trattamento meccanico che non determina una sostanziale alterazione delle proprietà originarie dei rifiuti urbani indifferenziati. Nella sentenza, infatti, questa questione non viene trattata in quanto il Consiglio di Stato, chiedendo l’intervento della Corte europea, aveva dato come acquisito che, nel caso in esame, il trattamento non aveva « sostanzialmente alterato le proprietà originarie del rifiuto urbano indifferenziato »9, così come accertato da un «verificatore» incaricato di stabilire, in base alla documentazione in atti, se il trattamento cui erano stati sottoposti i rifiuti era tale da determinare una natura sostanzialmente diversa degli stessi 10 .
Ma, contestualmente, occorre anche chiarire, più in generale e alla luce della gerarchia comunitaria sui rifiuti e degli obiettivi di economia circolare, quale sia il risultato che si richiede ad un impianto di trattamento di rifiuti urbani non differenziati (specie TMB), anche ai fini del cambiamento di codice CER e conseguente, eventuale esenzione dal principio di prossimità.
Basta leggere, del resto gli artt. 181, comma 5, 182, comma 3 e 182 bis, comma 1, d.lgs. n. 152/06 per capire che l’intento del legislatore, in armonia con la gerarchia comunitaria, è quello di limitare il più possibile la circolazione dei rifiuti urbani destinati a smaltimento, ammettendo, invece, la libera circolazione per quelli destinati a riciclaggio o recupero.
E allora bisogna considerare che, come abbiamo detto, ogni anno (rapporto ISPRA 2020) nei TMB italiani vengono «trattati» 7,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati, di cui 4 milioni vanno in discarica, 2,3 milioni in impianti di incenerimento con recupero di energia mentre solo 125 mila tonnellate vanno a riciclaggio.
Tutto 19.12.12?
Gianfranco Amendola
1 Cons. Stato, Sez. IV 1° luglio 2020, n. 4196 ord.
2 Trattasi di rifiuti compresi nella più generale voce 19.12 relativa a « Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti (ad esempio selezione, triturazione, compattazione, riduzione in pellet) non specificati altrimenti ».
3 Decreto MITE (Ministero della transizione ecologica) 9 agosto 2021, n. 47, con cui « si approvano le Linee guida sulla classificazione dei rifiuti di cui alla delibera del Consiglio del sistema nazionale per la protezione dell’ambiente del 18 maggio 2021, n. 105, così come integrate dal sotto-paragrafo denominato “3.5.9 - Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, da introdurre al Capitolo 3 delle stesse, che, allegate al presente provvedimento, ne costituiscono parte integrante e sostanziale ». Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA) comprende ISPRA e ARPA.
4 ISPRA aggiunge significativamente che « frequentemente, i rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico biologico, identificati con i codici del capitolo 19 dell’elenco europeo dei rifiuti, vengono inceneriti, smaltiti in discarica o recuperati in impianti localizzati fuori Regione ».
5 Quanto all’applicazione del principio di prossimità anche ai rifiuti speciali, cfr., di recente, Cons. Stato, Sez. VI 1° luglio 2021 n. 5025, in www.osservatorioagromafie.it , 6 agosto 2021, secondo cui « Il c.d. criterio di prossimità vale anche per la gestione dei rifiuti speciali e non solo per quelli urbani, perché pur dovendosi escludere una soluzione che preveda il divieto assoluto di trattamento di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni, il criterio della prossimità deve comunque ritenersi un criterio di cui tenere conto anche per i rifiuti speciali, unitamente agli ulteriori criteri rilevanti »; in dottrina cfr. Deliperi, Il criterio di prossimità vale tendenzialmente anche per la gestione dei rifiuti speciali , in www.lexambiente.it, 22 ottobre 2021.
6 È vero che la definizione di «trattamento» [art. 183, comma 1, lett. s)] comprende le operazioni di recupero o smaltimento di rifiuti, includendovi anche quelle che servono alla loro «preparazione» prima del recupero o dello smaltimento, ma, a nostro sommesso avviso, trattandosi di una catena unica e finalizzata, deve trattarsi di preparazione idonea e significativa rispetto alla destinazione finale.
7 Pierobon, Apriamo le «scatole nere» del rifiuto EER 191212, in www.osservatorioagromafie.it , 2021, il quale premette che « molte sono le questioni che si pongono, sia nella classificazione dei rifiuti urbani (RU) e speciali (RS) correlati alla codificazione, sia con riguardo ai princìpi di autosufficienza e di prossimità, sia con rilievo al regime di privativa e non privativa, sia per gli strumenti quali il piano di gestione regionale dei rifiuti (RU e RS) e gli altri piani “a cascata”, sia per la problematica della gestione dei RU, in particolare del trattamento meccanico biologico (TMB) e la disciplina sulle discariche, sia per taluni incombenti amministrativi, ad es. i proventi tariffari, il MUD, etc. ». Cfr. altresì, per approfondimenti e richiami, Id., Il rifiuto EER 191212: dall’origine ai destini. Il caso delle spedizioni transfrontaliere , in Azienditalia, 5/2021, 892 e ss. Cfr. altresì, tra i primi commentatori, Sanna, La gestione del rifiuto con codice CER 19 12 12, in www.industrieambiente.it , 2012.
8 Cass. Sez. III Pen. 22 dicembre 2011, n. 47870, Giommi, in www.lexambiente.it.
9 Dalla sentenza del Consiglio di Stato risulta che si trattava di « rifiuti da spedire in un impianto estero per operazioni di recupero energetico R1 (utilizzo del rifiuto trattato come combustibile o come altro mezzo per produrre energia), individuate specificamente con il codice R12, secondo quanto previsto dall’allegato C dello stesso Codice dell’ambiente. In particolare, sulla base della dichiarazione della società Futura, si tratta di “Residuo secco di rifiuti urbani, disidratato, vagliato, separato in impianto aerolico e balistico, separato magneticamente e a correnti parassite. Il prodotto finale è libero da metalli e inerti. La primaria riduzione volumetrica che effettua Futura permette di utilizzare il materiale presso il sistema hot disc presente nell’impianto di recupero finale. Operazione di recupero R12 ” »
10 Ecco il testo integrale del quesito: « Qualora il verificatore possa rispondere al quesito sulla base della documentazione in atti e degli altri elementi di conoscenza di cui disponga in ragione delle sue funzioni, verifichi, sulla base di argomentazioni tecniche, se operazioni di “trattamento” corrispondenti a quelle descritte nella notifica IT 019249, comprensiva del relativo dossier, datata 12 ottobre 2015, inviata da Plan Eco alla Regione Veneto - Direzione regionale tutela dell’ambiente, e successive integrazioni (documenti in atti in quanto depositati in data 30 giugno 2016 in allegato al ricorso di primo grado), siano idonee a mutare o meno la composizione dei rifiuti stessi sotto il profilo chimico-fisico, in modo tale da determinarne una natura sostanzialmente diversa dai rifiuti, urbani prima di tale trattamento, idonea ad operazioni di recupero energetico (R.1, R.12), giustificandosi così (o meno) sotto il profilo tecnico-scientifico, relativo alla fisica e alla chimica dei materiali, il fatto che tali rifiuti dopo il “trattamento” siano o meno da includersi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali ».