SPIAGGIE PRIVATE CON SABBIA DA SCAVO E/O DA DEMOLIZIONI? VIGILATE, VIGILATE.

di Alberto PIEROBON

 

 

Un amico, durante le sue ferie estive, passate al mare, nota che il figlioletto (di circa un anno) ha una tosse persistente, soprattutto quando sta in spiaggia.
Si tratta di una spiaggia privata, a uso esclusivo di un condominio antistante la spiaggia “demaniale”, tra di loro divise da una stradina cementificata percorsa da bagnanti, turisti, venditori ambulanti, ecc.
I genitori del bambino, per scrupolo, si rivolgono ad un noto pediatra della località marina che consiglia loro di tenere il bimbo lontano dalla sabbia per qualche giorno, oltre a prescrivere degli antibiotici.
Il medico motiva l’allontanamento del bimbo dalla sabbia indicando altri casi, a lui capitati, di bambini che presentavano allergie e analoghi fenomeni di tosse.

Quale, allora, potrebbe essere la correlazione?

Si è voluto capire meglio la situazione e, semplicemente, “scavando” una buca di quasi un metro nella spiaggetta privata del condominio, si è notata la presenza di materiale per così’ dire “inerte”, quali piccoli sassi, addirittura dei pezzettini di mattone, del gesso, ecc.

Ulteriori approfondimenti sono stati rivolti verso chi aveva collocato, e come, la sabbia nella spiaggia privata.
Ovviamente, il referente principale (se non il primo) veniva individuato  nell’amministratore del condominio, il quale ogni anno, provvede a far sistemare, da una ditta appaltatrice, la spiaggietta privata, ivi collocando della sabbia proveniente da scavi litoranei, che viene solitamente scelta tra diverse “offerte” acquisite.
In pratica,  in queste occasioni, sembra che vengano presentati agli amministratori interessati a questi interventi, dei “campioni” di sabbia posti in distinti secchi, dove, oltre ad un preliminare esame grossolano visivo, l’interessato (cioè l’amministratore) immerge la mano “sentendo” la consistenza del materiale e, quindi, alfine scegliendo la sabbia così ritenuta consona per la spiaggia.

Alla luce di quanto sopra, sembra quindi probabile che la sabbia “venduta” e collocata dall’impresa privata (sempre locale) derivi da operazioni di demolizioni e di escavazione effettuate in cantieri edili, provvedendo, poi, l’impresa medesima,  a miscelare questo materiale con altra sabbia da fondale, ecc.
Il peso specifico elevato della sabbia e/o la granulometria della stessa potrebbe aver comportato, in presenza di vento, l’alzamento della cosiddetta “sabbia”, facendola respirare (trattandosi di polveri sottili inalabili) ai villeggianti.
Così realizzando l’effetto che bimbi, anziani e malati, essendo notoriamente i soggetti più “sensibili” , abbiano manifestato forme di allergie, di tosse, ecc. ciò proprio perché trattasi, alla fin fine, di materiale inerte o silicati.

A questo punto occorre evidentemente entrare nell’aspetto giuridico,  chiedendosi quale possa essere la normativa qui specificatamente invocabile.
Infatti, questa “sabbia” va considerata quale un rifiuto o che altro?
Quali sono poi le attività da svolgersi per accertare e quindi poi contestare una siffatta “gestione”?

In generale, la tematica che affiora (o che diventa il “cavallo di troia” di queste situazioni) è quella del ripascimento dei litorali marini , anche adibiti a balneazione (1).

Com’è noto i fenomeni di erosione marina comportano la necessità (tra altro) di provvedere a nuovamente collocare nei siti la sabbia “portata via” dal mare, per così dire “prelevandola” da altri siti idonei e compatibili.

In tal caso, sempre in via generalissima (vedasi oltre, per quanto riguarda le differenziazioni attuative operate in sede regionale),  il Comune del territorio marino interessato, chiede (solitamente nel periodo primaverile) al Genio Civile di ricollocare la sabbia derivante anche dalle demolizioni effettuate nell’ambito del medesimo territorio comunale.

Il Genio civile è tenuto ad effettuare (vedasi oltre) una serie di analisi chimiche e microbiologiche, con la presenza dell’Arpa, onde verificare la eventuale presenza di metalli pesanti, di pesticidi, ecc.
Infine, i dati costì acquisiti, vengono comunicati al Genio civile che acquisirà eventualmente altri pareri, al fine dell’emanazione (o meno) dell’autorizzazione alla ricollocazione della sabbia che presenti caratteristiche di ammissibilità e di accettabilità avendo in considerazione il sito di destinazione.
L’art. 21 della legge 31.7.2002, n. 179 (recante “Disposizioni in materia ambientale”) (2) individua nella regione l’autorità competente per l’istruttoria e il rilascio dell’autorizzazione di cui all’allora art. 35, comma 2 del d.lgs. 11.5.1999, n. 152: ora corrispondente, testualmente, all’art. 109 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (3), ovvero del cosiddetto “codice ambientale”.

Ecco che le regioni adottano delle proprie procedure e pure dei protocolli attestanti i criteri da adottarsi per gli interventi di escavazione, di trasporto e di impiego di materiali da scavo di fondali marini e/o salmastri e/o di terreni litoranei emersi, da utilizzarsi per il ripascimento degli arenili.

Tra questi materiali rientrano, appunto, le sabbie:
    sommerse del largo;
    dei porti turistici e pescherecci;
    delle aree interne alle foci fluviali;
    gli scavi di terreni in prossimità della fascia litoranea.
Per ognuno di questi interventi solitamente (e giustamente) si pretende l’individuazione di diversi punti di campionamento; il controllo di diversi parametri sui quali verrà poi effettuata l’analisi; ecc.
Inoltre, anche il sito di destinazione (di ripascimento) è soggetto a verifiche ai fini della determinazione di compatibilità dei sedimenti di apporto, ivi stabilendo i punti di campionamento, i parametri da analizzare, le modalità di effettuazione dei campionamenti, delle caratterizzazione e dei criteri di valutazione delle sabbie.

Molte utili indicazioni si rinvengono negli studi anzitempo effettuati dall’APAT (ora ISPRA), citasi,  per esempio, il “Manuale per la movimentazione di sedimenti marini” (elaborato dagli allora enti APAT-ICRAM) e pure in vari decreti ministeriali, i quali (ancorchè se risalenti) rimangono un utile riferimento, ad esempio, citasi l’ancora attuale Decreto Ministero dell’Ambiente datato 24 gennaio 1996, oltre alle delibere regionali che approvano delle direttive tecniche o protocolli di intesa in parte qua.

La procedura che le regioni prevedono ai fini di cui trattasi, solitamente contemplano il coinvolgimento del Genio civile, delle Arpa e di altri soggetti (talvolta i comuni e le commissioni consultive e/o quelle tecniche regionali, ecc.).

Va peraltro ricordato (ed evidenziato) come la recente normativa sulle terre e rocce da scavo consente, a certe condizioni, la fuoriuscita dalla disciplina dei rifiuti del materiale che viene considerato quale “sottoprodotto”, oppure sempre un non rifiuto allorquando il materiale si situi sotto certe soglie gestionali e/o comunque modeste, ecc.

Tornando al “dunque”: che fare nella situazione di cui in esordio?

A distanza di tempo è infatti difficile provare la presenza di contaminanti organici, sembra, invece, più facile riscontrare la presenza di metalli pesanti da confrontarsi con i limiti previsti, per esempio, quelli della colonna 1A “aree residenziali” di cui al codice ambientale, proprio perché trattasi di sabbia che è a contatto con le persone e adiacente ad un condominio turistico (cioè in una area residenziale).

Certo è che i nostri controllori e i comuni interessati dovrebbero porre più attenzione anche su questi aspetti che riguardano la tutela della salute umana, diritti che vengono, ancora una volta, messi in secondo piano rispetto alle logiche di profitto (a tacer d’altro).
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(1) Nel sito www.treccani.it, leggiamo la definizione di ripascimento: “In geomorfologia, il complesso dei fenomeni di trasporto e di deposito che avvengono essenzialmente tramite i corsi d’acqua e determinano l’accrescimento del volume di un tratto di spiaggia: si ha stabilità della costa quando l’entità del ripascimento è tale da bilanciare gli effetti dell’erosione”. In particolare il ripascimento artificiale viene definito come il “tipo di intervento a difesa dei litorali in erosione che consiste nell’immettere sulla spiaggia ingenti quantitativi di sedimenti, allo scopo di ricostruirne la parte erosa. I principali vantaggi del r. artificiale sono: la quasi completa assenza di opere di difesa (-> litorale, regione) che, oltre a creare problemi ambie ntali ed estetici, interferiscono con la dinamica del litorale; l’ampliamento in tempi brevissimi della spiaggia; la possibilità di interrompere il progetto in qualsiasi momento, nel caso si rivelasse inefficace. Tra gli svantaggi vanno invece annoverati: la necessità di ripetere periodicamente l’intervento, che non può essere considerato definitivo e unico; il costo abbastanza elevato; la necessità di disporre di un sedimento da riversare che abbia specifiche caratteristiche granulometriche e sedimentologiche, simili a quelle della spiaggia in erosione, e la non sempre facile reperibilità di esso”.
(2) Art. 21. Autorizzazione per gli interventi di tutela della fascia costiera.
1. Per gli interventi di ripascimento della fascia costiera, nonché di immersione di materiali di escavo di fondali marini, o salmastri o di terreni litoranei emersi all’interno di casse di colmata, di vasche di raccolta o comunque di strutture di contenimento poste in ambito costiero, l’autorità competente per l’istruttoria e il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 35, comma 2, del d.lgs. 11.5.1999, n. 152, è la regione, nel rispetto dei criteri stabiliti dal medesimo articolo 35 e fermo restando quanto previsto dall’articolo 62, comma 8, del citato d.lgs. n. 152 del 1999. In caso di impiego di materiali provenienti da fondali marini, la regione, all’avvio dell’istruttoria per il rilascio della predetta autorizzazione, acquisisce il parere della commissione consultiva della pesca istituita presso la cap itaneria di porto interessata e ne informa il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
(3) Art. 109 (immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte).
1. Al fine della tutela dell’ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l’immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:
    materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;
    inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale;
    materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.
2. L’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dall’autorità competente solo quando è dimostrata, nell’ambito della relativa istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero oppure del loro smaltimento alternativo in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e forestali, delle attività produttive previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.
3. L’immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione, con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione all’autorità competente.
4. L’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera c), non è soggetta ad autorizzazione.
5. La movimentazione dei fondali marini derivante dall’attività di posa in mare di cavi e condotte è soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità alle modalità tecniche stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole e forestali, per quanto di competenza, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto. Nel caso di condotte o cavi facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale, o di connessione con reti energetiche di altri stati, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni interessate, nell’ambito del procedimento unico di autorizzazione delle stesse reti.