TAR Lombardia (MI) Sez. IV n. 1879 del 18 luglio 2023
Rifiuti.Individuazione del responsabile della contaminazione

L'assunzione volontaria dell'obbligo di bonifica da parte del proprietario dell'area non esclude il potere/dovere dell'amministrazione di individuare il responsabile dell'inquinamento ai sensi dell'art. 244, co. 2, d.lgs. 152/2006 né elide il dovere di quest'ultimo di porre rimedio all'inquinamento stesso. L'identificazione del responsabile ad opera della provincia o della città metropolitana ex art. 244 cod. amb. costituisce, infatti, un'attività doverosa posta a presidio del principio "chi inquina paga" e del primario interesse alla rimozione della fonte dell'inquinamento. Pertanto, fintanto che siffatto interesse non trovi piena soddisfazione con la completa rimozione delle passività ambientali, permane il dovere, sancito dall'art. 244, co. 2, cod. amb., di identificare il soggetto autore della contaminazione.


Pubblicato il 18/07/2023

N. 01879/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01385/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1385 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla
Falck s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Todarello e Orsola Torrani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Milano, piazza Velasca n. 4;

contro

Città Metropolitana di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marialuisa Ferrari, Nadia Marina Gabigliani, Alessandra Zimmitti e Giorgio Giulio Grandesso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico ex lege in Milano, via Freguglia n. 1;
INAIL - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andreina Amato, Francesco Campione, Vito Zammataro, Daniela Dell'Oro e Pierpaolo Piluso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Andreina Amato in Milano, via Giuseppe Mazzini n. 7;

nei confronti

Milanosesto s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso il suo studio in Milano, via Larga n. 23;
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (ora Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico ex lege in Milano, via Freguglia n. 1;
Comune di Sesto San Giovanni, Regione Lombardia, Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente (ARPA) della Lombardia, Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Città Metropolitana di Milano e Giacomo Gatta, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo, i motivi aggiunti depositati in data 6 agosto 2019 e i motivi aggiunti depositati in data 28 gennaio 2021:

- del decreto del Direttore del Settore Rifiuti e Bonifiche della Città Metropolitana di Milano, R.G. n. 2365/2019 del 2 aprile 2019, avente ad oggetto «procedimento ex d.lgs. 152/2006 parte IV titolo V. Sito di bonifica di Interesse Nazionale di Sesto San Giovanni (Mi). Area ex Falck e Scalo Ferroviario. Esito istruttoria ai sensi degli artt. 244 c. 2 e 245 c. 2 del d.lgs. 152/2006» trasmesso, a mezzo pec, con nota prot. 80721 del 3 aprile 2019;

- nonché, ove possa occorrere, nella loro natura di atti presupposti, di: nota del Comune di Sesto San Giovanni - Settore Ambiente prot. A00.c_i690.03/10/2016.0067422 del 3 ottobre 2016; relazione istruttoria della Città Metropolitana di Milano del 27 gennaio 2017; decreto del Direttore del Settore Rifiuti, bonifiche e autorizzazioni ambientali della Città Metropolitana di Milano Racc. g/n. n. 855/2017 in data 2 febbraio 2017; decreto del Dirigente del Settore Rifiuti, bonifiche e autorizzazioni ambientali della Città Metropolitana di Milano Racc. g/n. n. 2232/2017 del 10 marzo 2017, di revoca del decreto del Direttore del Settore Rifiuti, bonifiche e autorizzazioni ambientali della Città Metropolitana di Milano Racc. g/n. n. 855/2017 in data 2 febbraio 2017; parere ARPA prot. arpa_mi/188739 del 18 dicembre 2017; nota del Comune di Sesto San Giovanni Settore Territorio, Attività Produttive, Lavori Pubblici prot. A00.c_i690.23/01/2018.0006016 (prot. CMM 17013 del 23 gennaio 2018); parere del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. 1691 del 25 gennaio 2018; parere di ATS Milano prot. ATS 56940 del 17/04/2018; parere di INAIL prot. 2434 del 26/04/2018; parere di ISPRA prot. 2018/35885 del 29/05/2018;

- nonché di tutti gli ulteriori atti presupposti, consequenziali e/o comunque connessi al provvedimento qui gravato, ancorché non noti;

nonché per il risarcimento dei danni che derivano in capo alla ricorrente dagli effetti dei provvedimenti impugnati, da quantificare in corso di causa.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Milano, di Milanosesto s.p.a., del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di ISPRA e di INAIL;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 5 luglio 2023, svolta ai sensi dell'art. 87, co. 4 bis, cod. proc. amm. e dell'art. 13 quater delle norme di attuazione al cod. proc. amm., la dott.ssa Martina Arrivi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La causa verte sulla legittimità del decreto n. 2365/2019, adottato ai sensi dell'art. 244, co. 2, d.lgs. 152/2006 (cod. amb.) dalla Città Metropolitana di Milano, con il quale la società Falck s.p.a. è stata individuata quale responsabile della potenziale contaminazione riscontrata in alcune aree (denominate "Unione", "Concordia", "Vittoria" e "Transider A") comprese nel Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Sesto San Giovanni, in relazione all'attività di produzione dell'acciaio esercitata dalla suddetta società dal 1908 al 1991.

1.1. Le aree sono ora di proprietà della società Milanosesto s.p.a., che, nell'ambito di un più ampio progetto di riqualificazione urbana del Sito, ha assunto l'impegno di provvedere alla loro bonifica. Questa società ha anche promosso un'azione civile per ottenere la rivalsa dei costi sostenuti in relazione ad alcune aree ormai bonificate: trattasi di lotti appartenenti al comparto Unione, destinati a ospitare il compendio immobiliare denominato "Città della Salute e della Ricerca" di Sesto San Giovanni. Per concordi dichiarazioni delle parti in causa, il giudizio civile si è concluso con una sentenza di rigetto della pretesa di Milanosesto s.p.a., per ragioni tuttavia ignote a questo Collegio. Nell'ambito del giudizio di rivalsa è stata disposta una consulenza tecnica d'ufficio (CTU), i cui esiti sono stati prodotti in questa sede (doc. 10 Milanosesto s.p.a.).

1.2. Su istanza della stessa Milanosesto s.p.a., presentata il 30 marzo 2016, la Città Metropolitana di Milano ha avviato un primo procedimento di identificazione del responsabile dell'inquinamento ex art. 244, co. 2, cod. amb. All'esito dell'istruttoria (sintetizzata nella relazione del 27 gennaio 2017), l'amministrazione ha adottato il decreto n. 855/2017, con il quale ha attestato la correlazione delle contaminazioni riscontrate sulle aree Unione, Vittoria, Concordia e Transider A con le attività produttive esercitate da Falck s.p.a. Il decreto è stato poi revocato in autotutela, con decreto n. 2232/2017, in quanto assunto in difetto di contraddittorio con la società ricorrente.

1.3. La Città Metropolitana ha, quindi, avviato un nuovo procedimento e, acquisite le osservazioni e la documentazione trasmesse da Falck s.p.a. (contenute nel doc. 13 ricorrente), ha adottato il decreto n. 2365/2019, con il quale ha concluso che «la potenziale contaminazione ai sensi dell'all.5 Titolo V Parte Quarta del d.lgs 152/06 riscontrata nei terreni sulle aree Unione, Concordia, Vittoria e Transider A, è correlabile alle attività produttive svolte dalla società Falck s.p.a. nei termini espressi» (doc. 1 ricorrente).

1.4. Con il ricorso introduttivo Falck s.p.a. ha lamentato l'illegittimità del decreto n. 2365/2019 per sei motivi di diritto, domandando altresì il risarcimento del danno ingiustamente subito.

1.5. Conosciuti ulteriori documenti nelle more del giudizio, Falck s.p.a. ha proposto due atti di motivi aggiunti avverso il medesimo provvedimento di individuazione del responsabile della potenziale contaminazione.

2. Costituendosi in giudizio, l'INAIL, l'ISPRA e il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica hanno dedotto la loro estraneità alla lite.

3. Si sono costituite anche la Città Metropolitana di Milano e Milanosesto s.p.a., deducendo l'infondatezza dei gravami.

4. La causa è passata in decisione all'udienza straordinaria di smaltimento del 5 luglio 2023.

DIRITTO

5. In rito, si evidenzia che la causa è suscettibile di essere decisa sulla base della copiosa documentazione prodotta, non ricorrendo perciò i presupposti di necessità e indispensabilità previsti dall'art. 63, co. 4, cod. proc. amm. per disporre, rispettivamente, la verificazione e la consulenza tecnica d'ufficio richieste dalla società ricorrente. Ai fini della decisione è possibile valorizzare anche la relazione conclusiva della CTU eseguita in sede civile, depositata sub. doc. 10 da Milanosesto s.p.a. Certamente le indagini del CTU non sostituiscono l'attività di accertamento che l'amministrazione è chiamata, in proprio, a effettuare in vista dell'identificazione del responsabile ex art. 244, co. 2, cod. amb., e, quindi, non sono idonee a sanare eventuali difetti d'istruttoria in cui fosse incorsa la Città Metropolitana. Tuttavia gli esiti della CTU, ritualmente depositata in giudizio come prova documentale, ben possono essere considerati per vagliare ex post l'esattezza o l'inesattezza delle conclusioni amministrative. Anche per questa ragione sarebbe ultroneo disporre ulteriori incombenti istruttori.

6. In via preliminare e conformemente all'avviso reso all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 73, co. 3, cod. proc. amm., va dichiarato il difetto di legittimazione passiva di tutti gli enti evocati in giudizio (inclusi l'INAIL, l'ISPRA e il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica) diversi dalla Città Metropolitana di Milano. Il decreto n. 2365/2019, infatti, è imputabile solamente a quest'ultima, mentre nessuna delle altre amministrazioni ha espresso atti di assenso vincolanti né adottato ulteriori provvedimenti oggetto di gravame. Gli atti emessi dalle altre autorità sono, infatti, solo enunciati, in via tuzioristica, nell'epigrafe del ricorso, ma non ne viene lamentata l'illegittimità.

7. Tanto premesso, le censure mosse al decreto n. 2365/2019 vengono analizzate in base alla loro reciproca connessione.

8. Si procede, pertanto, alla trattazione congiunta del primo motivo del ricorso introduttivo e del secondo atto di motivi aggiunti, in quanto entrambi volti a lamentare l'insussistenza dell'interesse pubblico e del correlato presupposto normativo all'adozione del provvedimento.

8.1. Adducendo la violazione degli artt. 244, 245 e 250 d.lgs. 152/2006 e vari profili di eccesso di potere, Falck s.p.a. sostiene che la Città Metropolitana non avrebbe dovuto avviare né concludere il procedimento per l'individuazione del responsabile della potenziale contaminazione delle aree, in quanto Milanosesto s.p.a. si era già fatta carico della bonifica del SIN di Sesto San Giovanni. Quest'ultima società, acquisita la proprietà delle aree precedentemente appartenute alla Falck s.p.a. ("aree ex Falck"), si era, infatti, impegnata a bonificarle, nell'ambito di un più ampio piano di riqualificazione urbana proposto al Comune di Sesto San Giovanni. Per alcune aree, la bonifica sarebbe addirittura terminata: per i lotti dell'area Unione (nella parte interessata dalla localizzazione della "Città della Salute e della Ricerca"), Milanosesto s.p.a. avrebbe già conseguito le certificazioni di avvenuta bonifica (doc. 26 ricorrente) e per l'area Concordia sarebbe stato già approvato dal Ministero il piano della caratterizzazione per la prima fase commerciale (doc. 27 ricorrente). Ad avviso della ricorrente, l'individuazione del responsabile della potenziale contaminazione sarebbe funzionale all'attivazione di un procedimento di bonifica, come anche evincibile dall'art. 244, co. 2, d.lgs. 152/2006, a mente del quale la provincia (rectius, la città metropolitana, ove istituita) diffida il responsabile a provvedere alla bonifica del sito. Pertanto, a siffatta individuazione non potrebbe procedersi laddove un soggetto abbia volontariamente provveduto o stia provvedendo alla bonifica dell'area, essendo già soddisfatto l'interesse pubblico alla rimozione delle passività ambientali.

8.2. Il provvedimento, oltre che privo di un presupposto normativo, sarebbe anche affetto da sviamento di potere, in quanto adottato, su istanza della stessa Milanosesto s.p.a., solo al fine di consentire a questa società di rivalersi su Falck s.p.a. dei costi di bonifica ex art. 253, co. 4, d.lgs. 152/2006.

8.3. Infine, come denunciato nel secondo atto di motivi aggiunti, il provvedimento sarebbe viziato anche per disparità di trattamento, in quanto, per un'altra area ex Falck, denominata "Decapassavant", rientrante nel SIN di Sesto San Giovanni, la Città Metropolitana di Milano avrebbe deciso di non adottare l'atto di identificazione del responsabile della contaminazione, proprio in ragione dell'intervenuta bonifica dell'area da parte del Consorzio Caltacity Due.

8.4. Le censure sono infondate.

8.5. Come più volte osservato in giurisprudenza, l'assunzione volontaria dell'obbligo di bonifica da parte del proprietario dell'area non esclude il potere/dovere dell'amministrazione di individuare il responsabile dell'inquinamento ai sensi dell'art. 244, co. 2, d.lgs. 152/2006 né elide il dovere di quest'ultimo di porre rimedio all'inquinamento stesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 aprile 2020, n. 2195; Id., Sez. VI, 4 agosto 2021, n. 5742; nel medesimo senso si sono espressi anche: T.A.R. Milano, Sez. IV, 15 aprile 2015, n. 940; Id., 2 luglio 2015, n. 1529; T.A.R. Brescia, Sez. I, 21 ottobre 2022, n. 984).

8.6. L'identificazione del responsabile ad opera della provincia o della città metropolitana ex art. 244 cod. amb. costituisce, infatti, un'attività doverosa posta a presidio del principio "chi inquina paga" e del primario interesse alla rimozione della fonte dell'inquinamento. Pertanto, fintanto che siffatto interesse non trovi piena soddisfazione con la completa rimozione delle passività ambientali, permane il dovere, sancito dall'art. 244, co. 2, cod. amb., di identificare il soggetto autore della contaminazione.

8.7. Sul punto, è utile altresì osservare che – sebbene, per un orientamento giurisprudenziale, colui che assume su di sé volontariamente l'obbligo di bonifica è per ciò stesso vincolato a portare lo stesso a termine (Cons. Stato, Sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5542; Id. VI, 4 agosto 2021, n.5742; T.A.R. Milano, Sez. III, 24 gennaio 2022, n.156) – l'esigenza di individuare il responsabile nonostante la pendenza di un procedimento di bonifica è rafforzata dal diverso orientamento secondo cui la volontaria iniziativa del proprietario incolpevole permane fintanto che vi sia la sua adesione, di tal che, ove sopravvenisse l'indisponibilità del proprietario, la procedura di bonifica si arresterebbe senza che l'amministrazione preposta alla tutela ambientale disponga di poteri coercitivi delle misure di ripristino, queste potendo essere imposte solamente al responsabile dell'inquinamento (T.A.R. Milano, Sez. IV, 15 aprile 2015, n. 940). Al contempo, il dovere dell'amministrazione di provvedere in proprio alla bonifica dell'area contaminata scatta unicamente quando il responsabile non sia individuabile o non provveda, sempre che non vi abbia provveduto il proprietario del sito né altro soggetto interessato (art. 244, co. 4, cod. amb.). Pertanto, alla luce del carattere volontario dell'intervento del proprietario incolpevole e della natura residuale della bonifica ad opera della pubblica amministrazione, la mancata identificazione del responsabile determinerebbe la frustrazione sia del principio "chi inquina paga", sia, ancor più in radice, dell'interesse pubblico alla rimozione dell'inquinamento.

8.8. La questione non muta laddove, come nella fattispecie, il proprietario incolpevole abbia assunto formalmente l'obbligo di bonifica in base a un accordo amministrativo. Anzitutto non emerge che l'accordo sia stato concluso con la Città Metropolitana di Milano, apparendo invece stipulato con il Comune di Sesto San Giovanni. Pertanto la Città Metropolitana non potrebbe invocare tale convenzione per pretendere da Milanosesto s.p.a. il completamento dell'attività di bonifica. Inoltre, come già evidenziato da questo Tribunale in un caso similare, la convenzione, che si situa nel quadro di un piano di riconversione urbanistica dell'area, non incide sulle misure di tutela ambientale, di carattere emergenziale e definitivo, da adottare per fronteggiare la condizione di inquinamento dell'area, né modifica i compiti e le funzioni che l'ordinamento assegna alle province o alle città metropolitane. «Certo, è evidente che, qualora le società sottoscrittrici della convenzione non adempiano agli obblighi assunti, l'amministrazione interessata potrà utilizzare gli strumenti di tutela predisposti dall'ordinamento, laddove ve ne siano i presupposti, ma ciò non incide sulle attività che doverosamente la Provincia [la Città Metropolitana nella fattispecie] deve svolgere in presenza di una situazione di inquinamento. Si tratta di fattispecie diverse: da un lato, la riconversione urbanistica ed edilizia dell'area, che ne presuppone la bonifica, dall'altro, la necessità di dare corso alle misure che la legge impone all'amministrazione provinciale in presenza di una situazione di inquinamento ambientale. Operativamente le due situazioni presentano aspetti di sovrapposizione, in quanto è evidente che una volta bonificata l'area la condizione di inquinamento risulta superata tanto ai fini della realizzazione del piano urbanistico, quanto ai fini ambientali. Nondimeno tale sovrapposizione materiale non incide sulla distribuzione degli obblighi che la legge pone in capo all'amministrazione, al proprietario e al soggetto inquinatore in presenza di una compromissione dell'ambiente» (T.A.R. Milano, Sez. IV, 15 aprile 2015, n. 940).

8.9. Nel caso di specie, sulle aree interessate dal decreto n. 2365/2019, la procedura di bonifica è stata solo avviata ma non è stata completata, permanendo, quindi, l'interesse pubblico sotteso all'individuazione del responsabile della potenziale contaminazione.

8.10. Ciò vale anche per le aree Unione e Concordia. Invero, il decreto n. 2365/2019 precisa che «per le aree destinate alla Città della Salute e della Ricerca, gli interventi di bonifica sono conclusi e sono già state rilasciate le certificazioni di avvenuta bonifica da parte della Città metropolitana di Milano», mentre «per le aree Concordia di cui ai lotti funzionali 9B, 9C,9D,7C e 7B (parte), Unione Nord di cui ai lotti funzionali 3B e parte di lotti 3A, 2C e 2F, sono in corso procedimenti di bonifica e […], per le restanti aree, il sito si presenta ancora potenzialmente contaminato» (doc. 1 ricorrente). In sostanza, fatta eccezione per i lotti destinati a ospitare la Città della Salute e della Ricerca, i restanti terreni afferenti ai comparti Unione e Concordia rimangono inquinati, essendo la procedura di bonifica ancora in corso. Inoltre, alla luce della presenza dei medesimi contaminanti, della loro riconducibilità a identici fattori inquinanti e data l'unicità degli accertamenti tecnici necessari all'identificazione del responsabile, sarebbe formalistico altresì pretendere l'espunzione, dall'attestazione della responsabilità ambientale, di singoli lotti (cioè quelli interessati dalla realizzazione della Città della Salute e della Ricerca) appartenenti a comparti non ancora completamente bonificati. L'omogeneità dell'inquinamento riscontrato si evince sia dal provvedimento gravato (doc. 1 ricorrente), sia dal compendio istruttorio dei due procedimenti amministrativi (cfr., in particolare, relazione istruttoria del 27 gennaio 2017, prodotta sub. doc. 3 da parte ricorrente), sia dalla relazione conclusiva della CTU disposta nell'ambito del giudizio di rivalsa promosso da Milanosesto s.p.a. (doc. 10 Milanosesto s.p.a.). Questo giudizio riguarda proprio le aree destinate a ospitare la Città della Salute e della Ricerca e facenti parti del più ampio comparto Unione: ebbene, per esse il consulente del giudice civile ha riscontrato le medesime fonti di inquinamento e ha attestato la loro correlabilità con l'attività siderurgica svolta da Falck s.p.a. Inoltre, l'unicità dell'inquinamento tra le aree della Città della Salute e della Ricerca e le restanti aree ex Falck non è specificamente contestata neppure dalla ricorrente.

8.11. La descritta situazione non è equiparabile a quella dell'area Decapassavant, sulla quale erano in precedenza situati l'impianto di decappaggio per la pulitura dei nastri di acciaio e l'impianto di trattamento di riciclo delle acque di raffreddamento. Come esposto nella nota prot. 196470 del 18 novembre 2020, con cui la Città Metropolitana ha ribadito al Consorzio Caltacity Due l'insussistenza dei presupposti per l'individuazione del responsabile dell'inquinamento dell'area Decapassavant, «le aree già certificate sono riconducibili ad un inquinamento geograficamente individuato e perimetrato che non corrisponde allo stesso per il quale è in corso il procedimento di ricerca del responsabile attuale, il quale ha ad oggetto altre parti del sito industriale, pur se ad esso fisicamente connesse. L'eventuale procedimento da attivare darebbe inizio ad un'indagine diversa rispetto a quella in essere, sicché è evidente che la richiesta di parte allo stato attuale porterebbe ad un aggravio dell'istruttoria in corso» (doc. 50 Città Metropolitana). Non sussiste, perciò, la disparità di trattamento lamentata nel secondo atto di motivi aggiunti, poiché l'area Decapassavant è stata espunta dall'accertamento della responsabilità ambientale in quanto considerata un ambito di contaminazione unitario e autonomo rispetto agli altri.

9. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo Falck s.p.a. lamenta l'illegittimità del decreto n. 2365/2019 in quanto, non recando alcuna diffida ad avviare la bonifica, non rispecchierebbe il contenuto tipico prescritto dall'art. 244, co. 2, cod. amb. e sarebbe stato emesso, come già contestato, unicamente per facilitare l'azione di rivalsa di Milanosesto s.p.a.

9.1. Il motivo è infondato.

9.2. Una volta chiarito che l'amministrazione è tenuta all'individuazione del responsabile nonostante il proprietario incolpevole abbia assunto spontaneamente l'impegno alla bonifica, è gioco forza che, fintanto che l'iniziativa volontaria del proprietario prosegua, non occorre diffidare il responsabile di alcunché. Ciò posto, l'art. 244, co. 2, cod. amb. si limita a prescrivere che «[l]a provincia, […] dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo». Dunque, la norma non impone alcuna contestualità tra l'accertamento della responsabilità ambientale e la diffida, prescrivendo solo che quest'ultima intervenga – come è ovvio – dopo aver identificato il soggetto obbligato alle misure di ripristino.

9.3. Non sussiste neppure lo sviamento di potere lamentato dalla ricorrente, non potendosi sostenere che il provvedimento sia stato assunto nell'esclusivo interesse di Milanosesto s.p.a., questo essendo, anzi, funzionale ad assicurare il ripristino ambientale ove la bonifica volontariamente attivata da Milanosesto s.p.a. non sia portata a compimento. D'altra parte la censura di sviamento di potere è giuridicamente inconferente, posto che l'accertamento della responsabilità è un'attività doverosa, a cui l'amministrazione non può sottrarsi.

10. Con il terzo motivo la ricorrente adduce la violazione degli artt. 244, 245 e 129 d.lgs. 152/2006, nonché l'eccesso di potere, per avere la Città Metropolitana proceduto con ritardo all'individuazione del responsabile e per aver invertito le fasi procedimentali: poiché la bonifica ha preceduto l'identificazione del responsabile, avvenuta invece a distanza di molti anni, Falck s.p.a. si vedrebbe esposta al rischio di subire, per via della rivalsa esercitata in sede civile da Milanosesto s.p.a., le conseguenze di scelte progettuali altrui, sulle quali la stessa non avrebbe mai avuto modo di pronunciarsi.

10.1. La doglianza va disattesa, in quanto il profilo di pregiudizio addotto dalla ricorrente non deriva dal provvedimento amministrativo, bensì unicamente dall'azione di rivalsa civilistica.

10.2. Nel caso di bonifica spontanea del sito inquinato, il proprietario ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito (cfr. art. 253, co. 4, cod. amb.) indipendentemente dall'identificazione del responsabile da parte della competente autorità amministrativa (Cass. Civ., Sez. III, 22 gennaio 2019, n. 1573; Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2020, n. 5445). Pertanto Falck s.p.a. sarebbe esposta al paventato rischio di rispondere per scelte progettuali di Milanosesto s.p.a. anche se la Città Metropolitana non l'avesse formalmente individuata come responsabile della contaminazione.

10.3. L'individuazione amministrativa della responsabilità ambientale, funzionale allo scopo di assicurare il ripristino delle matrici ambientali anche nel caso di sopravvenuta inerzia del proprietario che si è spontaneamente attivato, non ha alcun legame procedimentale con la bonifica volontaria né impone al responsabile di subire passivamente le scelte progettuali elaborate dal proprietario incolpevole. Infatti il responsabile ben può contestare, nell'ambito del giudizio civile, l'erroneità del piano di bonifica predisposto ed eseguito dalla società proprietaria delle aree, così come l'incongruità dei costi dalla stessa sostenuti. È quindi irrilevante che l'identificazione del responsabile sia intervenuta a distanza di tempo e dopo l'elaborazione o financo l'approvazione amministrativa del piano di bonifica.

11. Con il quarto motivo di ricorso Falck s.p.a. lamenta la violazione del principio "chi inquina paga" (art. 191 TFUE e artt. 3 ter e 239 d.lgs. 152/2006), della direttiva 2004/35/CE e del principio di irretroattività della legge, i quali impedirebbero all'amministrazione di imputarle una contaminazione arrestatasi nei primi anni '90, perciò prima dell'introduzione degli obblighi di bonifica, ad opera del d.lgs. 22/2017.

11.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento.

11.2. È ormai consolidato in giurisprudenza l'orientamento per cui gli obblighi di bonifica gravano anche sui responsabili di cd. contaminazioni storiche, ossia risalenti a un tempo antecedente alle prime legislazioni in materia ambientale, in quanto le misure ripristinatorie introdotte con l'art. 17 d.lgs. 22/1997 (cd. decreto Ronchi) e ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. cod. amb., lungi dall'ampliare la sfera dell'illecito o dall'introdurre nuove sanzioni a fronte di condotte inquinanti, prescrivono semplicemente obblighi di fare con l'unico scopo di ripristinare la situazione di fatto antecedente all'inquinamento ambientale e di rimuoverne gli effetti (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10; cfr., altresì Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2021, n. 7709, secondo cui le norme in materia di obblighi di bonifica «non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l'epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente»; in termini similari, cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2020 n. 2301; Id., 1 febbraio 2022, n. 677).

11.3. La conclusione trova conferma nel dato normativo.

11.4. L'art. 303, co. 1, lett. f) e g), d.lgs. 152/2006 esclude, rispetto a fatti risalenti nel tempo, l'applicazione della sola parte VI del codice, dedicata agli obblighi risarcitori del danno ambientale, e non anche la parte IV, riguardante gli obblighi di ripristino e bonifica, questi ultimi prescindendo da un addebito di responsabilità in termini civilistici della condotta inquinante e avendo unicamente finalità ripristinatoria delle matrici ambientali compromesse. Al contempo, l'art. 242, co. 1, d.lgs. 152/2006, dopo aver prescritto gli obblighi di attivazione del responsabile dell'inquinamento al verificarsi di un evento potenzialmente contaminante, precisa che «[l]a medesima procedura si applica all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione». In definitiva, ai fini delle misure ripristinatorie di cui alla parte IV del codice, alle quali è preordinata l'identificazione del "responsabile", trovano applicazione alla sola condizione che, alla data di entrata in vigore delle norme che le hanno istituite, sia ancora in essere una contaminazione che non ha esaurito la propria portata di pericolosità ambientale (in tal senso dovendosi intendere il riferimento, di cui all'art. 242, co. 1, cod. amb. ai «rischi di aggravamento della situazione di contaminazione»), a prescindere dall'epoca in cui detta contaminazione ha avuto luogo.

11.5. Né può ritenersi – come sostenuto dalla ricorrente nella memoria di replica – che nel caso di contaminazioni storiche gli obblighi di bonifica gravino unicamente in capo al "soggetto interessato", i.e. a colui che ha interesse a insediare funzioni urbane o produttive nel sito contaminato. La tesi poggia su una inesatta lettura dell'art. 242, co. 11, cod. amb., a mente del quale «[n]el caso di eventi avvenuti anteriormente all'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto che si manifestino successivamente a tale data in assenza di rischio immediato per l'ambiente e per la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune competenti l'esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l'entità e l'estensione con riferimento ai parametri indicati nelle CSC ed applica le procedure di cui ai commi 4 e seguenti». Come recentemente chiarito dal Consiglio di Stato, però, questa norma «si limita a prevedere una procedura semplificata per regolare l'intervento sul sito dei soggetti interessati all'intervento, lasciando impregiudicati i doveri di bonifica a carico dei soggetti responsabili della contaminazione. Del resto, se davvero il legislatore avesse inteso escludere, in radice, la possibilità di configurare obblighi di bonifica a carico dei responsabili di contaminazioni storiche, avrebbe fatto ricorso ad una previsione generale ed espressa in tal senso, come ha fatto, espressamente nel diverso caso dell'art. 303 lett. g) d. lgs. 152 del 2006, che ha escluso la possibilità di procedere nei confronti di responsabili di danni ambientali causati da eventi risalenti ad oltre trent'anni prima dall'entrata in vigore del codice» (Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397).

11.6. A tal fine è anche indifferente la sussistenza, in capo al responsabile, dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa. Nonostante l'utilizzo, anche nella parte IV del codice, del termine "responsabile" possa ingenerare confusione, il concetto di responsabilità rilevante ai fini della disciplina sulla bonifica va distinto da quello funzionale all'imputazione dell'obbligo risarcitorio del danno ambientale. Del resto, l'unico riferimento normativo al dolo o alla colpa è contenuto all'art. 311 d.lgs. 152/2006, afferente – per l'appunto – al risarcimento del danno ambientale. Diversamente, l'identificazione del responsabile ai fini della bonifica ex art. 244, co. 2, d.lgs. 152/2006 presuppone soltanto l'accertamento del nesso causale tra l'attività del soggetto e la contaminazione, senza che possa pretendersi dall'amministrazione la prova che questi conoscesse o dovesse conoscere e prevenire la portata inquinante della propria attività, prova del resto inesigibile rispetto alle contaminazioni storiche, rispetto alle quali la disciplina della parte IV del codice trova applicazione.

12. Il quinto motivo del ricorso introduttivo va scrutinato assieme al primo motivo aggiunto, in quanto entrambi volti a contestare l'accertamento amministrativo per insufficiente istruttoria, per mancanza di un metodo scientifico e, in definitiva, per l'insussistenza della prova che l'inquinamento rilevato sia, più probabilmente che non, correlato all'attività industriale esercitata sul sito dalla ricorrente.

12.1. Le doglianze sono infondate, fatta eccezione per quella, riportata al punto 5.9.7 del ricorso introduttivo e al punto 7.5 dei motivi aggiunti, specificamente dedicata all'area Transider A.

12.2. All'analisi delle specifiche argomentazioni attoree va premesso, in linea generale, che, ai fini dell'individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento ambientale, «la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di Giustizia UE, esclude l'applicabilità di una impostazione "penalistica" (incentrata sul superamento della soglia del "ragionevole dubbio"), trovando invece applicazione, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area ed inquinamento dell'area medesima, il canone civilistico del "più probabile che non" (cfr., ancora, in termini la sentenza n. 5668 del 2017 ed i precedenti ivi indicati). La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nell'interpretare il principio "chi inquina paga" (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l'inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento» (Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121; cfr. altresì Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10; Id., Sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1742; Id., 12 luglio 2022, n. 5863). L'individuazione del responsabile, quindi, può basarsi anche su elementi indiziari (quali, a mero titolo esemplificativo, la tipica riconducibilità dell'inquinamento rilevato all'attività industriale condotta sul fondo o la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato), giacché la prova può essere data in via diretta o indiretta, potendo cioè, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 cod. civ. (cfr., ex multis, T.A.R. Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562; T.A.R. Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202; T.A.R. Bologna, Sez. II, 29 ottobre 2020, n. 677). Laddove l'amministrazione abbia fornito elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare – con pari analiticità – la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668; T.A.R. Milano, Sez. III, 15 ottobre 2021, n. 2236).

12.3. Ebbene, nel caso di specie la Città Metropolitana ha fornito plurimi elementi idonei ad attestare come, più probabilmente che non, l'inquinamento riscontrato sul sito sia riconducibile all'attività industriale di Falck s.p.a. A fronte di tale quadro indiziario, i fattori eziologici alternativi addotti dalla ricorrente – tra cui, in particolare, le attività di riporto di materiali ad opera di coloro che lottizzarono le aree all'inizio del secolo scorso e le industrie esercitate nel circondario – si sono rivelati per larga parte indimostrati e, comunque, insufficienti a smentire la plausibilità dell'accertamento amministrativo.

12.4. I vari elementi probatori a sostegno delle statuizioni dell'amministrazione verranno considerati funditus nel prosieguo, con riferimento alle singole componenti inquinanti. È opportuno, però, sin da subito evidenziare che, tra le presunzioni semplici correttamente valorizzate dalla Città Metropolitana si annovera il fatto che Falck s.p.a. ha esercitato sul sito un'attività notoriamente inquinante – quale è quella di produzione dell'acciaio – per un arco temporale complessivo di circa 80 anni, da quando ha acquistato i terreni fino alla completa dismissione dell'acciaieria nel 1991. Nonostante gli stabilimenti si siano ampliati gradualmente, la produzione rimane risalente nel tempo: per come riportato nel ricorso, la società ha insediato la propria attività sull'area Unione già nel 1908, sull'area Vittoria A nel 1920, sull'area Concordia nel 1922 (con un successivo ampliamento a est di tale comparto negli anni '60) e sull'area Vittoria B nel 1948. Il fattore temporale non è autonomamente probante, ma non può essere neppure minimizzato, costituendo un indizio grave – nonché concordante con l'esito delle indagini tecniche – della responsabilità ambientale di Falck s.p.a.

12.5. È opportuno, altresì, considerare che la stessa Falck s.p.a., dopo aver dismesso l'acciaieria, ha elaborato un piano d'indagine della situazione ambientale e un piano della caratterizzazione (doc. 54 e 55 Città Metropolitana) illustranti i centri di pericolo, le aree di criticità, le tipologie di rifiuti e di contaminanti plausibilmente riconducibili alla pregressa attività, i quali hanno trovato riscontro nelle indagini dirette eseguite dalla Città Metropolitana nel successivo procedimento funzionale all'identificazione del responsabile della contaminazione ex art. 244, co. 2, cod. amb.

12.6. Non può sottacersi, poi, che le conclusioni a cui è giunta l'amministrazione sono state confermate dal CTU nominato nella causa civile di rivalsa incardinata da Milanosesto s.p.a. Come già chiarito, gli esiti dell'istruttoria processuale non suppliscono l'attività di accertamento demandata all'amministrazione nel procedimento volto all'individuazione del responsabile, ma costituiscono indice dell'esattezza delle indagini già eseguite dalla Città Metropolitana. Invero, la causa civile – e, correlatamente, la CTU – ha riguardato solamente le aree della Città della Salute e della Ricerca; tuttavia, per come già esposto, non emerge alcun elemento da cui evincere una eterogeneità dell'inquinamento riscontrato in questi lotti rispetto ai comparti analizzati dalla Città Metropolitana. Pertanto, le conclusioni del CTU concorrono a corroborare gli accertamenti amministrativi.

12.7. Volgendo l'analisi ai fattori eziologici alternativi addotti dalla ricorrente, questa sostiene, anzitutto, che la Città Metropolitana non abbia tenuto in considerazione la plausibile riconducibilità della contaminazione ai materiali di riporto (terre di scavo, scorie, laterizi, materiali di scarto derivanti dalle industrie della zona) riversati sui terreni dagli originari proprietari degli stessi per consolidare le terre, di matrice argillosa, e renderle adatte allo sfruttamento edilizio. È a detto consolidamento – eseguito da terzi, all'inizio del '900, prima dell'acquisto delle aree già lottizzate da Falck s.p.a. – che sarebbe perciò addebitabile l'inquinamento.

In realtà, questa prospettazione, contenuta nelle relazioni tecniche depositate dalla ricorrente anche durante l'istruttoria procedimentale, è rimasta priva di sostegno probatorio ed è contraddetta da ulteriori elementi d'indagine.

Come anche evidenziato nel provvedimento, non v'è evidenza documentale che comprovi la collocazione, sulle aree ex Falck, di materiali di riporto ad opera di altri soggetti. Anche la nota del Comune di Sesto San Giovanni del 23 gennaio 2018, acquisita durante l'istruttoria procedimentale e richiamata nel provvedimento, evidenzia che «tale ricostruzione storica non menziona, con riferimento in particolare alle suddette opere di urbanizzazione e agli insediamenti industriali, atti in possesso dell'Amministrazione comunale, e pertanto l'Amministrazione comunale non è in grado di confermarla». Sul punto, è utile ribadire che, laddove l'amministrazione abbia raggiunto, seppur in via presuntiva, la prova che l'inquinamento sia addebitabile, più probabilmente che non, all'attività di un dato operatore, grava su quest'ultimo l'onere di fornire una prova piena – e non un mero indizio – di fattori causali alternativi.

D'altra parte, ove si seguisse la tesi attorea, anche i terreni sottostanti lo scalo ferroviario, coevo alla realizzazione dell'acciaieria, avrebbero dovuto essere egualmente consolidati, circostanza al contrario smentita dagli esigui spessori di terreno di riporto (generalmente inferiori al metro) ritrovati nel corso dei lavori di bonifica ivi realizzati e dall'assenza di significativi depositi di scorie.

Inoltre, come illustrato nel provvedimento – e ribadito dal CTU nella relazione tecnica depositata nel giudizio civile di rivalsa – la prospettazione attorea non è credibile dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo. Per il primo aspetto, considerato che i primi insediamenti Falck sono stati attivati nel 1908, appare improbabile che, nei pochi anni all'inizio del secolo scorso, siano stati depositati materiali così ingenti da giustificare l'inquinamento riscontrato nel sito. Per il secondo aspetto, gli inquinanti rinvenuti nel sottosuolo risultano compatibili con l'attività di acciaieria svolta dalla ricorrente.

12.8. Ancora Falck s.p.a. obietta che la Città Metropolitana di Milano non abbia considerato il contributo inquinante di società terze, insediatesi sulle aree prima della stessa ricorrente.

Anche questa contestazione è priva di fondamento.

L'attività di altre industrie non viene prospettata, neppure dalla ricorrente, come causalmente efficiente, da sola, alla produzione dell'inquinamento rilevato, sicché non esonererebbe Falck s.p.a. dalla propria responsabilità. Inoltre, il fattore eziologico in questione è privo di sostegni probatori idonei a smentire i multipli elementi posti alla base del giudizio di responsabilità dell'amministrazione. In definitiva, non è stata fornita una prova liberatoria sufficiente a mettere in discussione che l'inquinamento è stato provocato – più probabilmente che non – dalla ricorrente.

È del resto credibile la prospettazione dell'amministrazione per cui il contributo inquinante di altre industrie, quand'anche sussistente, sia stato ininfluente, tenuto conto del maggior periodo temporale di operatività dell'acciaieria e dell'ingente estensione geografica di questa.

12.9. Sono infondate anche le argomentazioni con cui la ricorrente procede a contestare la riconducibilità dei singoli contaminanti riscontrati nei siti alla propria attività produttiva.

12.10. Per quanto riguarda l'amianto, va smentita l'affermazione attorea per cui l'amministrazione avrebbe frainteso la relazione tecnica dei consulenti della ricorrente. Tale relazione addebita il deposito di amianto alle demolizioni eseguite da Milanosesto s.p.a. a seguito della vendita delle aree da parte di Falck s.p.a. Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente (secondo cui la Città Metropolitana avrebbe affermato che la relazione avesse addebitato l'amianto alle lottizzazioni del primo '900), il decreto n. 2365/2019 prende posizione su siffatta ricostruzione, smentendole la credibilità. Nel provvedimento, infatti, è spiegato che l'amianto è stato riscontrato all'interno dei materiali di riporto costituiti da terreni, laterizi, scorie e refrattari, collocati al di sotto di solette o pavimentazioni; pertanto «si può concludere che la presenza di amianto non sia imputabile a fenomeni di dispersione a seguito delle demolizioni operate dopo la vendita delle aree». È evidente, quindi, come l'amministrazione abbia, del tutto ragionevolmente, escluso la riconducibilità della contaminazione da amianto alle demolizioni eseguite da Milanosesto s.p.a. in quanto il contaminante è stato rinvenuto nelle parti sotterranee dei terreni, evidentemente preesistenti a siffatte demolizioni. Solo ad abundantiam – ma non è certo questo il punto focale della motivazione provvedimentale – il decreto esclude anche che l'amianto sia stato collocato nei primi anni del '900 (dunque dai lottizzanti dei terreni), trattandosi di un materiale non utilizzato all'epoca.

Nei motivi aggiunti, Falck s.p.a. addebita poi alla Città Metropolitana di aver confuso l'amianto presente nei terreni, rilevante ai fini dell'addebito di responsabilità ambientale, con l'amianto presente nelle strutture edilizie, che invece non è fonte di inquinamento ma deve essere solamente rimosso o isolato ai sensi del d.m. 6 settembre 1994. Anche questa contestazione è priva di fondamento, in quanto il provvedimento dà atto che l'amianto preso in considerazione è quello rinvenuto nei materiali di riporto collocati al di sotto di solette e pavimentazioni, i.e. nel terreno e non nelle strutture murarie.

12.11. Per quanto riguarda le scorie, la ricorrente sostiene, da un lato, che anche in questo caso la Città Metropolitana abbia frainteso il contenuto delle relazioni tecniche dei consulenti di Falck s.p.a. e, dall'altro lato, che le scorie rinvenute nell'area non provengano dai forni elettrici utilizzati dall'acciaieria ma siano, più probabilmente, legate all'attività di consolidamento dei terreni effettuata all'inizio del '900 in vista della loro lottizzazione.

Le contestazioni sono prive di fondamento.

La derivazione delle scorie rinvenute dai forni elettrici in uso presso l'acciaieria è comprovata da più elementi.

Il provvedimento richiama, anzitutto il "Rapporto Sostenibilità 2017 - Federacciai", che attesta come i forni elettrici utilizzati nelle acciaierie producano ingenti quantitativi di scorie (15% in peso e in volume dell'acciaio prodotto). Falck s.p.a. ritiene, invero, che siffatto documento non sia utilizzabile rispetto al caso di specie in quanto fotograferebbe l'attuale modus operandi dell'industria siderurgica, rivelandosi perciò inconferente con l'acciaieria Falck, operativa dal 1908 al 1991. Si tratta di un'obiezione non circostanziata, in quanto parte ricorrente omette di spiegare quali siano le diversità tra l'industria moderna e quella del passato e, soprattutto, in che modo siffatte diversità smentiscano che le acciaierie risalenti nel tempo non producessero scorie da forno elettrico. Del resto, come efficacemente osservato dalla Città Metropolitana di Milano, «se dei cambiamenti ci sono stati dal secolo scorso ad oggi, specie sulle tematiche ambientali, non possono essere che evoluzioni migliorative rispetto a quelle di oltre 40 anni fa» (pag. 18 memoria difensiva).

Inoltre il provvedimento menziona plurime autorizzazioni rilasciate a Falck s.p.a. per lo smaltimento in discarica delle scorie e, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tali documenti hanno portata confessoria perché attestano, specificamente, che le scorie smaltite derivano dai forni elettrici dell'acciaieria. Si vedano, ad esempio, la delibera di Giunta regionale n. IV/17761 del 16 febbraio 1987, intitolata "Autorizzazione alla ditta Falck s.p.a. per la costruzione e l'esercizio di una discarica di rifiuti inerti e scorie di fonderia di forno elettrico sita nei comuni di Sesto San Giovanni e Cologno Monzese" e la delibera di Giunta provinciale prot. 12733 del 18 luglio 1996, avente ad oggetto "Proroga ed ampliamento dell'autorizzazione per una discarica di rifiuti inerti e scorie di acciaieria da forno elettrico sita nei comuni di Cologno Monzese e Sesto San Giovanni della società ECOSESTO di Milano": trattasi di autorizzazioni emesse sulla base delle dichiarazioni di Falck s.p.a., a riprova che la derivazione delle scorie dai forni elettrici fu attestata in primis dalla società ricorrente. Si veda, inoltre la comunicazione di Falck s.p.a. del 25 ottobre 1982 prot. CEPI Ing.Dgi/ec, avente ad oggetto "L. 94/80 Discarica di Sesto San Giovanni", ove si legge: «i rifiuti da smaltire provengono dagli insediamenti produttivi del Gruppo Falck dell'area milanese e sono costituiti da scorie in pezzature diverse derivanti dalla produzione di acciaio mediante forni elettrici ad arco».

Il provvedimento chiarisce anche l'implausibilità della prospettazione per cui le scorie derivino dai riporti effettuati dai lottizzanti prima dell'acquisto delle terre da parte di Falck s.p.a. Esse, infatti, sono state riscontrate sia in zone superficiali del terreno, al di sotto del manto bituminoso o delle solette di fondazione sia, a maggiori profondità, come rinfianco delle strutture interrate o tra gli spazi di fondazione degli edifici. In definitiva, non esiste alcuna evidenza scientifica idonea ad attestare che le scorie siano state riportate sui terreni prima dell'edificazione.

La correttezza degli accertamenti espletati dalla Città Metropolitana durante l'istruttoria procedimentale è, altresì, comprovata dalla relazione del CTU espletata nel giudizio civile: il consulente del giudice, dopo ulteriori indagini in situ, ha confermato che le scorie sono state rinvenute nelle immediate vicinanze dei luoghi ove erano ubicati i forni e le altre attrezzature connesse alle lavorazioni dell'acciaio, nonché dei depositi di metalli, e ha nuovamente smentito che le predette scorie, data la loro collocazione, possano provenire da eventuali – e comunque indimostrati – riporti effettuati all'inizio del '900 nell'ambito del consolidamento dei terreni.

12.12. È parimenti inverosimile la derivazione delle contaminazioni da idrocarburi alle suddette attività di riporto sui terreni destinati all'edificazione, tenuto conto dell'assenza di prove sul punto e del fatto che le contaminazioni più marcate sono state rilevate in corrispondenza di "centri di pericolo" quali serbatoi, tubazioni e vasche. È irrilevante che, a seguito della dismissione dell'acciaieria, Falck s.p.a. abbia rimosso i serbatoi contenenti queste sostanze, dato che il loro rinvenimento nel sottosuolo attesta come l'area non sia stata completamente bonificata.

12.13. Falck s.p.a. contesta altresì la conclusione, a cui è giunta la Città Metropolitana, circa la correlazione tra i metalli rinvenuti (piombo, nichel, cadmio, rame, zinco e cromo) e il ciclo produttivo dell'acciaio, asserendo, invece, che tali materiali fossero presenti in fanghi composti da scarti di concerie con i quali, prima delle lottizzazioni avvenute all'inizio del '900, sarebbero state fertilizzate le terre, allora agricole.

La prospettazione attorea non è convincente.

Anzitutto parte ricorrente implicitamente tenta di sostenere che la rilevazione di tali inquinanti interessi unicamente il comparto Concordia est. In realtà, il decreto n. 2365/2019 si focalizza su questo comparto perché solo rispetto ad esso la relazione del consulente tecnico della ricorrente (doc. 13 ricorrente) aveva prospettato la presenza di fanghi derivanti dagli scarti delle concerie. La rilevazione dei metalli è, invece, estesa a tutte le aree considerate nel provvedimento. La circostanza è confermata dalla relazione istruttoria del 27 gennaio 2017 (doc. 3 ricorrente), ove l'inquinamento da metalli è stato riscontrato nei comparti Unione, Vittoria e Concordia e parimenti correlato all'attività siderurgica di Falck s.p.a.

La derivazione dei metalli dall'attività produttiva della ricorrente è confortata da plurimi elementi.

Il rapporto di Federacciai del 2017, della cui attendibilità si è già dato conto, attesta la produzione di scorie metalliche da parte delle apparecchiature utilizzate nella produzione dell'acciaio. Lo stesso rapporto dà atto che siffatte scorie si sono statisticamente ridotte dal 2005, segno che, in epoca precedente, esse erano più consistenti.

Inoltre, la presenza di metalli nei comparti delle aree ex Falck emerge anche dai certificati analitici e dalle schede del catasto rifiuti trasmesse, negli anni, dalla stessa Falck s.p.a. A nulla rileva che tali documenti si riferiscano a comparti diversi dal Concordia est, posto che, come già osservato, l'accertamento dell'amministrazione non è circoscritto a tale comparto. Inoltre, i certificati e le schede, che si basano su dichiarazioni della stessa società ricorrente, attestano che i rifiuti (contenenti metalli) provengono dal ciclo produttivo dell'acciaieria: in essi si fa riferimento a "fanghi" (provenienti, però, non dai terreni sottostanti gli stabilimenti, bensì) derivanti dalla neutralizzazione di soluzioni acide di decapaggio o dall'abbattimento ad umido di fumi dei forni elettrici, nonché a scorie e polveri prodotte dalle attrezzature dell'acciaieria.

Infine, la tesi per cui, limitatamente al comparto Concordia est, i metalli fossero presenti in fanghi di conceria manca di documenti probanti ed è smentita anche alla luce della collocazione dei metalli «negli orizzonti superficiali costituiti da riporti frammisti a rifiuti (scorie, frammenti di calcestruzzo e laterizi, polvere nera), e non nei sottostanti terreni naturali eventualmente oggetto delle citate pratiche agricole, terreni naturali che sono risultati contaminati in solo quattro sondaggi. A titolo esemplificativo si possono consultare le stratigrafie dei piezometri realizzati recentemente nel Concordia, dalle quali si evince la presenza di scorie nei primi metri del sottosuolo» (cfr. decreto n. 2365/2019 sub. doc. 1 ricorrente).

12.14. Con riferimento alle diossine, la loro correlazione con il ciclo produttivo dell'acciaio si ricava dal rapporto di Federacciai, ove si legge che, negli ultimi anni, sono state poste in essere misure di intervento tese a ridurre la produzione di siffatti inquinanti: «Sempre con riferimento al forno elettrico il livello di emissione associato alla BAT relativa alle emissioni di diossine e furani (PCCD/F) è passato da un intervallo avente come estremo superiore 0,5 ng I-TEQ/Nm3 a un valore singolo di 0,1 ng 1-TEQ/Nm3. (periodo 2001- 2012)». L'attendibilità del dato non è contestata dalla ricorrente, che si limita a sostenere, in generale, come il "Rapporto di Sostenibilità – Federacciai 2017" non sia un documento probante perché fotografa la situazione attuale e non il passato. Al contrario, specialmente per quanto concerne le diossine, il rapporto tiene conto della pregressa idoneità delle acciaierie alla produzione di siffatti inquinanti, dando atto dei miglioramenti raggiunti solo in epoca recente.

Inoltre, il nesso causale tra il ciclo produttivo e la contaminazione da diossine è confermato nella CTU espletata nel giudizio civile: «Le diossine (e i furani) si formano in particolari condizioni come sottoprodotti in numerosi processi chimici, nonché in praticamente tutti i processi di combustione con presenza di atomi cloro.

Nelle acciaierie, anche lombarde, tali emissioni sono state documentate e quantificate in numerosi e qualificati studi e negli anni più recenti è stata prevista l'introduzione di filtri a carbone per una loro riduzione.

Emesse in atmosfera ricadono al suolo con tre meccanismi concorrenti:

- deposizione umida attraverso le precipitazioni

- deposizione secca di particolato per caduta gravitazionale delle particelle

- deposizione secca della fase vapore ed assorbimento dalla vegetazione.

Nei terreni in esame detti inquinanti sono risultati superiori ai limiti di riferimento nel campione di top soil prelevato in corrispondenza del sondaggio UN.S 037, effettuato nel corso del Piano di Caratterizzazione AQUATER del 2003 (doc 55-bis-integra doc.13, 2^Memoria, Milanosesto), ovvero le diossine sono state trovate sulla superficie topografica.

Ove la contaminazione fosse stata precedente alle attività Falck, i rimaneggiamenti di terreno, che sono occorsi necessariamente negli anni per adeguare ed ampliare le strutture civili e industriali, avrebbero disperso le diossine o causato il ritrovamento a maggiori profondità: così non è stato.

Pertanto è possibile affermare che tali diossine derivino dalle attività e cicli produttivi dell'acciaieria ed alle attività connesse del Gruppo Falck» (punto 3.1.7 relazione del CTU sub. doc. 10 Milanosesto s.p.a.).

Rimasta incontestata la compatibilità intrinseca tra l'attività di Fack s.p.a. e la produzione di diossine, perde rilievo la prospettazione di parte ricorrente, ripresa dalla relazione del proprio consulente (doc. 13 ricorrente), per cui tali inquinanti siano pervenuti sulle aree ex Falck per dispersione da altre industrie presenti nella zona.

12.15. Rispetto ai PCB (policlorobifenili), parte ricorrente genericamente sostiene che la Città Metropolitana non abbia considerato che Falck s.p.a. avesse già dismesso tutte le apparecchiature contenenti tale contaminante. L'affermazione non ha pregio, perché non priva di rilevanza il fatto che «[l]a presenza di PCB, contenuti nell'olio diatermico, è stata riscontrata nei terreni sottostanti in corrispondenza degli alloggiamenti di trasformatori/condensatori elettrici. Tali apparecchiature erano presenti in tutti i comparti a servizio degli impianti» (decreto n. 2365/2019 sub. doc. 1 ricorrente).

12.16. A differenti conclusioni occorre giungere (solo) con riferimento al comparto Transider A. Per esso fondatamente la ricorrente contesta l'imputazione di responsabilità, non avendo posseduto i terreni né avendovi operato.

In nessuna parte del provvedimento è possibile rintracciare quale sia il collegamento soggettivo tra l'area Transider e l'attività di Falck s.p.a. Per converso, come illustrato dalla ricorrente anche in fase di istruttoria procedimentale (cfr. doc. 13 ricorrente, pag. 118 e ss.) e nel ricorso, Falck s.p.a. non ha mai avuto la disponibilità giuridica dell'area in questione.

La cronistoria degli eventi, non contestata dall'amministrazione, è la seguente. L'area Transider, composta dai terreni censiti al catasto al foglio 32, mappali 61, 62, 63, 64, 65, 66, 72 e 77, è appartenuta, dapprima, alla società Celestri s.p.a., che, a partire dagli anni '40, l'ha utilizzata per il recupero di materiali ferrosi. Con atto di concentrazione del 1971, le società Celestri s.p.a. (rectius, la società Arinox s.r.l., succeduta alla prima) e Rottamaindustria s.p.a. hanno conferito le aziende di loro titolarità a Transider s.p.a. Nel 1993, Transider s.p.a. ha ceduto il ramo d'azienda alla società Immobiliare Falkon s.r.l., contestualmente ridenominata Nuova Transider s.p.a. Quest'ultima società ha dismesso l'attività sull'area alla fine degli anni '90. Nel 2000, Nuova Transider s.p.a. si è trasformata in s.r.l., assumendo la denominazione di Termica Lucchese s.r.l., fusasi per incorporazione, nel 2003, in Edison Termoelettrica s.p.a., a sua volta fusasi per incorporazione in Edison s.p.a. Pertanto, Falck s.p.a. non è stata mai proprietaria dei terreni dell'area Transider, né risulta alcun titolo giuridico che le abbia conferito la disponibilità degli stessi ai fini del loro impiego nell'attività industriale. Né a questi fini può rilevare l'affermazione – contenuta nella memoria difensiva della Città Metropolitana di Milano ma, invero, priva di sostrato probatorio – che la Transider s.p.a. fosse controllata da Falck s.p.a., perché il controllo societario non attesta alcuna disponibilità giuridica, da parte della società controllante, dei terreni appartenenti alla società controllata.

Neppure risulta che Falck s.p.a. abbia mai concretamente operato sull'area Transider A.

Nel provvedimento viene citato «il documento Aquater dicembre 2002 "Piano di caratterizzazione delle aree ex Falck, Area Transider A ¬Evoluzione Storica" che riprende gli elaborati Montgomery Watson del 1996 redatti per conto di Falck» (doc. 1 ricorrente). Gli elaborati Montgomery Watson si riferiscono al piano di indagine ambientale elaborato, per l'appunto, dalla società Montgomery Watson per il Gruppo Falck all'esito della dismissione dell'acciaieria. Sebbene il piano (doc. 57 Città Metropolitana) citi Transider tra le aree di proprietà del "Gruppo Falck", dallo stesso non si evince che la società Falck s.p.a. vi abbia materialmente operato. Del resto, assieme a Transider viene menzionata anche l'area Trai, per il cui inquinamento, invece, la Città Metropolitana non ha identificato Falck s.p.a. come responsabile, in mancanza di prove che essa ne avesse la disponibilità. In definitiva, l'afferenza dell'area Transider al Gruppo Falck non dimostra che l'area sia stata utilizzata dalla società Falck s.p.a. piuttosto che da altre società appartenenti al medesimo gruppo, tra cui la Città Metropolitana include la Transider s.p.a.

Il provvedimento cita, ancora, un'autorizzazione di raccolta e trasporto di rifiuti (d.r.g. Lombardia 111/54652) rilasciata, però, non a Falck s.p.a., ma a Transider s.p.a., nonché gli atti provinciali relativi a un sopralluogo del 12 novembre 1986, da cui si evincerebbe che "la ditta" (Transider s.p.a.) svolgesse attività di trasporto, di officina e lavaggio di automezzi. Infine, il provvedimento dà atto che tale attività «è stata trasferita nell'area Concordia, al civico 45 di via Mazzini a Sesto San Giovanni con ingresso da via Muggiasca, sino al 1997 anno in cui è stata ceduta alla Rotamfer, che è stata attiva su tale porzione di area dal 13/01/1997 al 28/07/2001». Tuttavia, da un lato, dalla lettura del provvedimento non si comprende quando tale "trasferimento" all'area Concordia sia avvenuto e, dall'altro lato, nei motivi aggiunti la ricorrente ha allegato – senza che la circostanza sia stata contestata dall'amministrazione – che, in realtà, l'evento fu successivo alla dismissione, nel 1991, delle acciaierie Falck.

Pertanto, per l'area Transider A, il provvedimento deve essere annullato, in mancanza di prove che l'inquinamento riscontrato su di essa sia effettivamente correlabile all'attività espletata da Falck s.p.a.

13. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta l'illegittimità del decreto n. 2365/2019 poiché, contrariamente alla relazione istruttoria del 27 gennaio 2017 (in base alla quale era stato emanato il primo provvedimento d'identificazione del responsabile della contaminazione, poi revocato in autotutela), non distinguerebbe i contaminanti per ogni comparto, mettendone in evidenza le specificità.

13.1. La censura è priva di pregio.

13.2. In primo luogo, la relazione del 27 gennaio 2017 (doc. 3 ricorrente) tratta in maniera unitaria i contaminanti rinvenuti nelle aree Unione, Concordia e Vittoria, cioè nelle stesse aree per cui gli accertamenti dell'amministrazione si sono rivelati fondati.

13.3. In secondo luogo la doglianza verte su un elemento puramente formale o stilistico concernente la modalità di esposizione della motivazione provvedimentale, senza mettere in dubbio l'attendibilità dell'accertamento istruttorio sottostante. L'amministrazione è del tutto libera di accorpare la trattazione per aree con caratteri simili, alla luce dell'unicità della fonte della contaminazione e delle componenti inquinanti riscontrate.

14. Per le ragioni suesposte, il provvedimento, fatta eccezione per l'area Transider A, resiste alle censure attoree.

15. La domanda risarcitoria deve essere respinta. Per i comparti Unione, Vittoria e Concordia, l'infondatezza della pretesa discende pianamente dall'accertata legittimità dell'attività provvedimentale della Città Metropolitana di Milano. Per il comparto Transider A, non sono state fornite prove dei danni asseritamente patiti da Falck s.p.a. a causa del provvedimento avversato.

16. Stante la complessità delle questioni sottese e la reciproca soccombenza, le spese di giudizio vengono compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto e integrato dai motivi aggiunti, così provvede:

- dichiara il difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni diverse dalla Città Metropolitana di Milano;

- accoglie i gravami nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il decreto n. 2365/2019 nella parte in cui individua la ricorrente quale responsabile della potenziale contaminazione dell'area Transider A;

- respinge, nel resto, la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria;

- compensa le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2023, mediante collegamento da remoto in videoconferenza ex artt. 87, co. 4 bis, cod. proc. amm. e 13 quater delle norme di attuazione al cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati:

Gabriele Nunziata, Presidente

Antonio De Vita, Consigliere

Martina Arrivi, Referendario, Estensore