TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 2826, del 12 dicembre 2013
Rifiuti.Legittimità atto dirigenziale provinciale di divieto alla prosecuzione dell'attività ex art. 216, comma 4, d.lgs. 152/2006
E’ legittimo provvedimento della Provincia di Milano che ha inibito la prosecuzione dell’attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi. Per il combinato disposto degli artt. 216 comma 2 lett. a) , d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 e 1 comma 3, d.m. 5 febbraio 1998, l'inibitoria alla prosecuzione dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi può essere imposta dalla Provincia non solo nel caso di inosservanza delle norme tecniche sulle quantità e i tipi di rifiuti recuperabili, ma anche nell'ipotesi di contrasto dell'attività di recupero dei rifiuti con le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. Ai sensi dell'art. 216 comma 4, d.lg. n. 152 del 2006, la Provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'Amministrazione. La Provincia, quindi, allorché abbia riscontrato una violazione delle condizioni di cui al comma 1 (cioè delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui all'art. 214 commi 1 e 2, che a loro volta, richiamano le norme che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi possono essere effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto), può sia immediatamente inibire la prosecuzione dell'attività, sia, ove ritenga che la stessa possa essere ricondotta a legalità fissare un termine all'interessato affinché si adegui. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02826/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00060/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 60 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Comparini F.lli S.R.L., in persona del legale rapp. p.t, rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Invernizzi, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, via Monti 41;
contro
Provincia di Milano, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Nadia Marina Gabigliani, Angela Bartolomeo, Marialuisa Ferrari, Alessandra Zimmitti, elettivamente domiciliata in Milano, via Vivaio, 1;
Parco Adda Nord, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Moroni, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Borgonuovo, 9;
Comune di Truccazzano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Bertacco, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano, via Visconti di Modrone N. 12;
nei confronti di
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Regione Lombardia, non costituita.
per l'annullamento
dell'atto dirigenziale provinciale 30 ottobre 2012/ n. 88989, prot. 200305 di "Divieto alla prosecuzione dell'attività ex art. 216, comma 4" d.lgs. 152/2006 (doc 1),
delle note provinciali 30 ottobre 2012 prot. 0200438 (doc 2) 23 ottobre 2012 prot. 194552 (doc,3) 3 bis; ricevuta il 24 ottobre 2012: doc. 4) 23 ottobre 2012 prot. 194541 (doc. 5) del verbale di sopralluogo 26 settembre 2012 citatovi, di contenuti ignoti, della nota provinciale 12 luglio 2012 prot. 0129725 (avviso d'avvio del procedimento teso al divieto di proseguire l’attivita ex art. 216d.lgs. 152/2006: doc. 6) nonchè, occorrendo, delle note provinciali 1 aprile 2011,prot. 55579 (doc. 7) 3 novembre 2010 prot. 199084 (doc. 8)
delle note comunali 3 febbraio 2011 prot. 1148/6.9.7 (doc. 9) 11 maggio 2011 prot. 4994 (doc. 11) e 3 aprile 2012 prot. 3514 (doc. 1 pagg. 4 in basso e 5 in alto) -di contenuti ignoti della nota del Parco 6 maggio 2011 prot. 1400 (doc. 10) e del verbale di sopralluogo provinciale 31 maggio 2011 (doc. 12).
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia Di Milano e di Parco Adda Nord e di Comune Di Truccazzano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2013 il dott. Maurizio Santise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è titolare di un’area censita quale cava di recupero, ove all’attività estrattiva si affianca quella di messa in riserva e recupero dei rifiuti non pericolosi. L’attività è stata autorizzata dalla Provincia di Milano alla fine degli anni 90 e poi rinnovata nel 2003, nel 2005 e nel 2008.
Con un primo provvedimento dell’1.4.2011, la Provincia di Milano comunicava i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rinnovo dell’attività sopra menzionata. La società ricorrente presentava per iscritto le proprie osservazioni (cfr. doc. 26 della memoria di parte ricorrente) con cui esponeva le ragioni che avrebbero consentito la prosecuzione dell’attività in argomento. L’amministrazione provinciale, con provvedimento del 30.10.2012, n. 88989, disponeva in via definitiva il divieto della prosecuzione dell’attività.
La società ricorrente impugnava il provvedimento menzionato, contestandone la legittimità e chiedendone l’annullamento. In particolare, l’amministrazione avrebbe violato l’art. 10 bis L. 241/1990 perché nel provvedimento di rigetto definitivo non avrebbe spiegato le ragioni per cui non avrebbe accolto le doglianze mosse dalla società ricorrente. Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché l’attività della ricorrente sarebbe stata svolta sempre nel pieno rispetto delle norme tecniche di cui all’art. 214, co. 1, 2 e 3 del d.lgs. 152/2006. In ogni caso, l’amministrazione, disponendo l’inibitoria alla prosecuzione dell’attività, avrebbe violato il principio di proporzionalità amministrativa. La comunicazione, a base della richiesta di rinnovo del 2008, sarebbe poi veritiera e non conterrebbe alcuna falsità, diversamente da quanto affermato dall’amministrazione. Inoltre, il vincolo cimiteriale sarebbe sopravvenuto all’attività posta in essere dalla società ricorrente e, dunque, non applicabile. Né avrebbe pregio la doglianza che l’attività sarebbe priva delle autorizzazioni necessarie, perché l’attività non sarebbe mai mutata rispetto a quella originariamente autorizzata. Inoltre, sussisterebbero i titoli edilizi contestati dall’amministrazione. I provvedimenti impugnati sarebbero, comunque, viziati per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
La Provincia di Milano, il Parco Adda Nord e il Comune di Trucazzano si costituivano regolarmente in giudizio, contestando l’avverso ricorso e chiedendone il rigetto.
Con ricorso per motivi aggiunti la società ricorrente impugnava, altresì, la nota dell’Arpa del 1° aprile 2008, prot. 48505 e l’allegata nota Arpa del 27.3.2006, prot. 004230, con cui veniva espresso parere negativo al rinnovo dell’impianto di smaltimento dei rifiuti sopra menzionato, contestandone la legittimità e chiedendone l’annullamento.
Con ordinanza cautelare emessa il 6 febbraio 2013, il Collegio accoglieva la domanda cautelare sospendendo i provvedimenti impugnati.
Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2013, dopo la discussione delle parti la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il presente giudizio verte intorno alla legittimità del provvedimento della Provincia di Milano che ha inibito la prosecuzione dell’attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi svolta dalla società ricorrente.
Sul punto, va premesso che per il combinato disposto degli artt. 216 comma 2 lett. a) , d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 e 1 comma 3, d.m. 5 febbraio 1998, l'inibitoria alla prosecuzione dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi può essere imposta dalla Provincia non solo nel caso di inosservanza delle norme tecniche sulle quantità e i tipi di rifiuti recuperabili, ma anche nell'ipotesi di contrasto dell'attività di recupero dei rifiuti con le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente (cfr., T.A.R. Lecce, Puglia, sez. I, 14/12/2012, 2026).
Ai sensi dell'art. 216 comma 4, d.lg. n. 152 del 2006, la Provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'Amministrazione. La Provincia, quindi, allorché abbia riscontrato una violazione delle condizioni di cui al comma 1 (cioè delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui all'art. 214 commi 1 e 2, che a loro volta, richiamano le norme che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi possono essere effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto), può sia immediatamente inibire la prosecuzione dell'attività, sia — ove ritenga che la stessa possa essere ricondotta a legalità — fissare un termine all'interessato affinché si adegui.
La Provincia di Milano all’esito di un procedimento durato due anni circa, durante il quale ha in più occasioni invitato la società ricorrente ad adeguarsi alle norme tecniche e alle prescrizioni specifiche di cui all'art. 214 commi 1 e 2, ha emesso il provvedimento in questa sede impugnato.
La società ricorrente ha contestato il provvedimento perché non adeguatamente motivato e perché avrebbe violato l’art. 10 bis L. 241/1990, non avendo esplicitato le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni depositate dalla società medesima. In ogni caso, quest’ultima ha contestato il provvedimento perché irragionevole e non proporzionato, in quanto sussistevano i requisiti per consentire il prosieguo dell’attività.
Tanto premesso ritiene il Collegio che il ricorso principale e quello per motivi aggiunti siano infondati.
La società ricorrente ha stigmatizzato il provvedimento della Provincia di Milano per violazione dell’art. 10 bis L. 241/1990.
Nell’incedere dell’attività amministrativa, l’autorità pubblica è tenuta a rispettare le regole procedimentali che sottendono una valorizzazione del contraddittorio con il destinatario del provvedimento finale.
L'art. 10 bis l. n. 241 del 1990, nel disciplinare l'istituto del cd. "preavviso di rigetto", ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell'istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 06/08/2013, 4111).
E’ principio ormai consolidato della giurisprudenza, cui questo Collegio intende dare continuità, quello in base al quale non costituisce apprezzabile violazione procedurale l'ipotesi in cui il preavviso di diniego di cui all'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 non presenti una delle contestazioni trasfuse, poi, nell'atto impugnato a fondamento del rigetto, ove quest'ultimo sia autonomamente supportato da valide e diverse motivazioni, tali da sostenerlo a prescindere dalla illegittimità delle ragioni in esso trasfuse per la prima volta, dovendosi considerare, ancora, che è necessario adottare un'interpretazione dell'art. 10 bis non formalistica, dovendosi invece avere riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio subito dalla ricorrente (cfr., T.A.R. Venezia (Veneto) sez. II, 13/09/2013, 1105).
Inoltre, l'obbligo di motivazione gravante sulla P.A. a fronte delle osservazioni proposte a seguito del preavviso di rigetto non impone ai fini della legittimità del definitivo diniego dell'istanza dell'interessato, la puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, essendo sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno del provvedimento finale (cfr., T.A.R. Sicilia, Palermo sez. I, 11/07/2013, 1485).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, non può dubitarsi che l’amministrazione provinciale abbia emesso il provvedimento motivando adeguatamente in ordine alle ragioni che hanno condotto al rigetto dell’istanza presentata dalla società ricorrente.
Nel caso di specie, l’amministrazione provinciale ha esplicitato l’iter che ha condotto all’esito procedimentale indicato, richiamando il parere negativo emesso dal Parco Adda Sud e le note del Comune di Trucazzano che evidenziavano varie criticità presenti nell’attività di smaltimento dei rifiuti posti in essere dalla società ricorrente.
L’amministrazione provinciale ha poi concluso, vietando la prosecuzione dell’attività, ritenendo che “le caratteristiche dell’impianto e la modalità di gestione dell’attività di recupero non sono conformi alle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui ai commi 1, 2, 3 dell’art. 214, del d.lgs. 152/2006”.
In relazione alla mancanza dei requisiti tecnici è possibile rifarsi al sopralluogo effettuato dai funzionari del Settore Rifiuti e Bonifiche della Provincia di Milano del 26.9.2012, e richiamato nel provvedimento impugnato, con cui è stato accertato che l’area in oggetto è gestita in violazione dell’art. 216 del d.lgs. 152/2006 perché non recintata, in contrasto con quanto previsto dall’allegato 5 del DM 5.2.1998; inoltre, è stato riscontrato che le aree funzionali e gli stoccaggi non sono dotate di cartelli riportanti il Cer o almeno la tipologia di rifiuto, in violazione del sub allegato 1 del D.M. 5.2.1998; nell’area 1 e nell’area 2 sono stati individuati rifiuti riconducibili a tipologie diverse da quelle previste; i rifiuti in messa in riserva in attesa di trattamento riconducibili a demolizioni sono stati rinvenuti posizionati in luoghi non idonei; il frantoio è stato accertato come posizionato al di fuori dell’area pavimentata; il frantumato in uscita dall’impianto era scaricato dal nastro direttamente al di fuori dell’area pavimentata su area in terra battuta in zona non conforme a quella indicata in planimetria; i cumuli di materiale certificato non erano chiaramente individuati e fisicamente separati dai cumuli in attesa di certificazione; i rifiuti decadenti dall’attività erano posizionati in 2 container distinti e in due contenitori e sono fuori dell’area indicata in planimetria.
Da questi rilievi emerge che il provvedimento impugnato è correttamente motivato perché le caratteristiche dell’impianto e la modalità di gestione dell’attività di recupero non sono conformi alle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui ai commi 1, 2, 3 dell’art. 214, del d.lgs. 152/2006.
La società ricorrente, del resto, ha contestato questi dati solo genericamente non fornendo alcun supporto documentale alle proprie argomentazioni, ma limitandosi a mere affermazioni, prive di riscontro documentale.
Il Collegio non può, quindi, che dare rilievo al sopralluogo effettuato dai funzionari della Provincia in data 26.9.2012, che assume valore di atto pubblico in ordine a quanto dagli stessi dichiarato.
Ne deriva che le violazioni dai pubblici funzionari riscontrate non consentono la prosecuzione dell’attività di smaltimento dei rifiuti posta in essere dalla società ricorrente.
Non sussiste neanche il denunciato vizio di proporzionalità, perché, come già precisato, il provvedimento in questa sede impugnato giunge all’esito di un complesso procedimento durato circa due anni in cui l’amministrazione ha in più occasioni consentito alla società ricorrente di mettersi in regola con le norme tecniche.
Tale circostanza rende superfluo scandagliare gli altri motivi di ricorso, in quanto il provvedimento impugnato si fonda su una pluralità di autonomi motivi e la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo, senza rendere necessaria l’indagine sull'eventuale illegittimità degli altri motivi (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 03/09/2013, n. 4375).
Ne deriva che il ricorso principale e quello per motivi aggiunti vanno respinti.
Le spese possono compensarsi in ragione della peculiarità della fattispecie esaminata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sul ricorso per motivi aggiunti li respinge.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Mauro Gatti, Primo Referendario
Maurizio Santise, Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)