Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE MELCHIOR WATHELET presentate l’11 dicembre 2014
Causa C‑320/13 Commissione europea contro Repubblica di Polonia

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 258 TFUE – Promozione dell’uso dell’energia rinnovabile – Direttiva 2009/28/CE – Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Mancanza di recepimento e/o di comunicazione delle misure di recepimento – Penalità»

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate l’11 dicembre 2014 (1)

Causa C‑320/13

Commissione europea

contro

Repubblica di Polonia

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 258 TFUE – Promozione dell’uso dell’energia rinnovabile – Direttiva 2009/28/CE – Articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Mancanza di recepimento e/o di comunicazione delle misure di recepimento – Penalità»





1.        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che, «non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie a conformarsi alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (2), o comunque non informandone la Commissione, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, della suddetta direttiva».

2.        Inoltre, in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la Commissione chiede alla Corte di condannare la Repubblica di Polonia al pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data di pronuncia della sua sentenza nella presente causa, per inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di recepimento della direttiva 2009/28. L’importo proposto, inizialmente fissato in EUR 133 228,80, è stato infine ridotto a EUR 61 380 nel corso del procedimento.

3.        La causa de qua offre dunque alla Corte l’occasione di interpretare, per la prima volta, il nuovo meccanismo introdotto dal Trattato di Lisbona che permette alla Corte di comminare a uno Stato membro una sanzione finanziaria fin dalla prima condanna per inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa (3).

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

4.        Con le direttive 2009/29/CE (4) e 2009/30/CE (5), la direttiva 2009/28 fa parte del «pacchetto energia e clima», adottato nel mese di aprile del 2009. L’obiettivo di tale pacchetto era quello di istituire un quadro normativo che consentisse all’Unione europea di raggiungere, nel 2020, taluni obiettivi in materia di clima e di energia, ossia una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto al loro livello del 1990, un aumento al 20% della quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia e un miglioramento del rendimento energetico nell’Unione del 20%.

5.        L’articolo 1 della direttiva 2009/28 determina l’oggetto e la sfera di applicazione della direttiva. Quest’ultima stabilisce un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili. Essa fissa obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sia nel consumo finale lordo di energia sia nei trasporti. Peraltro, essa detta norme relative ai trasferimenti statistici tra gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative, all’informazione e alla formazione nonché all’accesso alla rete elettrica per l’energia da fonti rinnovabili. Infine, essa fissa criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi.

6.        L’articolo 2 della direttiva 2009/28, nelle disposizioni di cui alle lettere da a) ad o), contiene alcune definizioni.

7.        L’articolo 5 della direttiva 2009/28 sviluppa le modalità di calcolo della quota di energia da fonti rinnovabili.

8.        L’articolo 13 della direttiva 2009/28 impone agli Stati membri di vigilare affinché in varie procedure amministrative, regolamentazioni e in diversi codici sia assicurata una serie di garanzie, informazioni o incentivi.

9.        L’articolo 14 della direttiva 2009/28, rubricato «Informazione e formazione», prevede una serie di obblighi di natura tale da garantire l’accesso e la diffusione di varie informazioni relative all’energia rinnovabile e al suo utilizzo.

10.      L’articolo 16 della direttiva 2009/28 è volto a favorire e a garantire l’accesso alle reti di trasmissione e di distribuzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili.

11.      L’articolo 17 della direttiva 2009/28 definisce i criteri di sostenibilità che devono rispettare i biocarburanti e i bioliquidi per essere presi in considerazione nella valutazione del rispetto dei requisiti della direttiva stessa per quanto riguarda gli obiettivi nazionali e gli obblighi in materia di energie rinnovabili, nonché per determinare se il consumo di detti biocarburanti e di detti bioliquidi possa beneficiare di sostegno finanziario. L’articolo 18 fissa i principi che permettono di garantire la verifica del rispetto di tali criteri di sostenibilità. L’articolo 19 enuncia le prescrizioni che disciplinano il calcolo dell’impatto sui gas a effetto serra dei biocarburanti e dei bioliquidi.

12.      L’articolo 21 della direttiva 2009/28, dal canto suo, contiene varie disposizioni specifiche relative all’energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti.

13.      Infine, l’articolo 27 della direttiva in parola precisa quanto segue:

«1.      Fatto salvo l’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 5 dicembre 2010.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

2.      Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva».

B –    Il diritto polacco

14.      Secondo il ricorso e il controricorso, la Repubblica di Polonia avrebbe recepito la direttiva 2009/28, in particolare, per mezzo della:

–        legge recante modifica della legge sull’energia e della legge sulla tutela ambientale (Ustawa o zmianie ustawy – Prawo energetyczne oraz ustawy – Prawo ochrony środowiska), del 4 marzo 2005 (Dz. U n. 552), come modificata;

–        legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi (Ustawa o biokomponentach i biopaliwach ciekłych), del 25 agosto 2006 (Dz. U n. 169, posizione 119), come modificata;

–        legge recante modifica della legge sull’energia, della legge sulla tutela ambientale e della legge sul sistema di conformità (Ustawa o zmianie ustawy – Prawo energetyczne, ustawy – Prawo ochrony środowiska oraz ustawy o systemie oceny zgodności), del 12 gennaio 2007 (Dz. U n. 21, posizione 124);

–        legge recante modifica della legge sulle accise e di varie altre leggi (Ustawa o zmianie ustawy o podatku akcyzowym oraz o zmianie niektórych innych ustaw), dell’11 maggio 2007 (Dz. U n. 99, posizione 666);

–        legge recante modifica della legge sull’immissione in circolazione di strumenti finanziari e di varie altre leggi (Ustawa o zmianie ustawy o obrocie instrumentami finansowymi oraz niektórych innych ustaw), del 4 settembre 2008 (Dz. U del 2009, n. 165, posizione 1316);

–        legge recante modifica della legge sulla tutela ambientale e di varie altre leggi (Ustawa o zmianie ustawy – Prawo ochrony środowiska oraz niektórych innych ustaw), del 20 novembre 2009 (Dz. U n. 215, posizione 1664);

–        legge recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi (Ustawa o zmianie ustawy – Prawo energetyczne oraz o zmianie niektórych innych ustaw), dell’8 gennaio 2010 (Dz. U n. 21, posizione 104);

–        legge recante modifica della legge sul sistema di sorveglianza e di controllo della qualità dei carburanti e di varie altre leggi (Ustawa o zmianie ustawy o systemie monitorowania i kontrolowania jakości paliw oraz niektórych innych ustaw), del 27 maggio 2011 (Dz. U n. 153, posizione 902), come modificata.

15.      È pacifico che tali disposizioni legislative non contengono alcun riferimento alla direttiva 2009/28 e non sono state corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale.

16.      La pubblicazione ufficiale della legge adottata il 26 luglio 2013, «recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi» (Dz. U, posizione 984), è tuttavia corredata da una siffatta menzione. Il testo di tale legge è stato pubblicato il 27 agosto 2013 ed è stato trasmesso alla Commissione il 29 agosto 2013.

17.      Ciò vale anche per la legge recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi adottata il 21 marzo 2014 (Dz. U, posizione 457), alla quale la Commissione ha fatto riferimento all’udienza del 7 ottobre 2014.

II – Il procedimento precontenzioso

18.      Conformemente all’articolo 27, la direttiva 2009/28 doveva essere recepita nel diritto interno dagli Stati membri entro il 5 dicembre 2010.

19.      Poiché non le è stata comunicata nessuna misura nazionale di recepimento della direttiva 2009/28, il 27 gennaio 2011 la Commissione ha inviato al governo polacco una lettera di diffida.

20.      Il 18 marzo 2011, le autorità polacche hanno informato la Commissione che le disposizioni della direttiva 2009/28 sarebbero state recepite dalla legge sull’energia da fonti rinnovabili e dalla legge recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi, la cui entrata in vigore era prevista per la fine dell’anno 2011.

21.      Il 17 giugno 2011, la Commissione ha inviato una nuova lettera di diffida al governo polacco. In essa la Commissione rilevava che, per quanto di sua conoscenza, le misure annunciate dalla Repubblica di Polonia nella sua lettera del 18 marzo 2011 non erano state ancora adottate e che non le era stata trasmessa nessuna comunicazione a tal proposito.

22.      La Commissione precisava inoltre che la mancanza di recepimento e di comunicazione delle pertinenti misure nazionali costituiva una violazione dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, nonché dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

23.      La Commissione aggiungeva infine che tali inadempimenti potevano dar luogo all’imposizione di sanzioni finanziarie ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

24.      Il 2 agosto 2011, le autorità polacche competenti hanno comunicato alla Commissione, a titolo di recepimento della direttiva 2009/28, la legge del 27 maggio 2011 recante modifica della legge sul sistema di sorveglianza e di controllo della qualità dei carburanti e di varie altre leggi. Il 16 agosto 2011, queste stesse autorità le hanno comunicato, a titolo di recepimento della direttiva 2009/28, le seguenti altre disposizioni nazionali:

–        la legge del 4 settembre 2008 recante modifica della legge sull’immissione in circolazione di strumenti finanziari e di varie altre leggi;

–        la legge del 4 marzo 2005 recante modifica della legge sull’energia e della legge sulla tutela ambientale;

–        la legge del 12 gennaio 2007 recante modifica della legge sull’energia, della legge sulla tutela ambientale e della legge sul sistema di conformità;

–        la legge del 20 novembre 2009 recante modifica della legge sulla tutela ambientale e di varie altre leggi;

–        la legge dell’8 gennaio 2010 recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi;

–        la legge del 25 agosto 2006 sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi;

–        la legge dell’11 maggio 2007 recante modifica della legge sulle accise e di varie altre leggi;

–        la comunicazione del Maresciallo della Dieta della Repubblica di Polonia, del 16 maggio 2006, che promulga la legge consolidata sull’energia.

25.      Il 17 agosto 2011, le autorità polacche hanno informato la Commissione che ritenevano che le disposizioni della direttiva 2009/28 fossero state sufficientemente recepite in Polonia, da un lato, mediante la legge del 10 aprile 1997 sull’energia e, dall’altro, mediante la legge del 25 agosto 2006 sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi. Esse hanno peraltro confermato le modifiche introdotte dalla legge dell’8 gennaio 2010 recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi. Analogamente, dette autorità hanno fatto sapere alla Commissione che erano stati avviati lavori relativi a due progetti di legge, uno sulle fonti di energia rinnovabili, l’altro recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi e della legge sulla tutela ambientale.

26.      Poiché riteneva che gli atti che le erano stati notificati non integrassero un recepimento della direttiva 2009/28 ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della stessa, il 26 marzo 2012 la Commissione ha emesso un parere motivato rivolto alla Repubblica di Polonia, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Essa vi precisava altresì che l’inadempimento in questione poteva dar luogo a sanzioni pecuniarie conformemente all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

27.      Con lettera del 25 maggio 2012, la Repubblica di Polonia ha risposto a detto parere motivato sostenendo che l’adozione del piano di azione nazionale previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 non costituiva unicamente una misura di carattere amministrativo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, di tale direttiva; che l’applicazione, dal 1° ottobre 2005, di un regime di aiuti nazionale a favore della produzione di elettricità da fonti di energia rinnovabili era sufficiente per poter considerare la direttiva in questione come recepita in Polonia; che le disposizioni relative alla quota minima del 10% di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti e ai criteri di sostenibilità erano state recepite dalla legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi, come modificata dalla legge del 27 maggio 2011, e che il recepimento dei criteri di sviluppo sostenibile sarebbe terminato alla fine dell’anno 2012. Infine, le autorità polacche trasmettevano un calendario dei lavori relativi alla legge sulle fonti di energia rinnovabili, che si riteneva recepisse le disposizioni della direttiva 2009/28 già applicate o il cui recepimento, come stabilito dalla stessa direttiva, era previsto per una data successiva.

28.      La Commissione, ritenendo che da tale risposta e dagli atti trasmessi risultasse che la Repubblica di Polonia non aveva ancora adempiuto agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, ha deciso di proporre il presente ricorso il 21 marzo 2013.

29.      Nel suo ricorso, datato 11 giugno 2013 e pervenuto alla Corte il l2 giugno 2013, la Commissione contesta alla Repubblica di Polonia, da un lato, di non aver adottato le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 2009/28 e, dall’altro, in ogni caso, di non averla informata, ossia di non averle comunicato gli eventuali strumenti utili.

III – Le fasi scritte e orali del procedimento

30.      Nella sua replica, la Commissione riteneva che, malgrado l’adozione della legge del 26 luglio 2013 da parte della Repubblica di Polonia, quest’ultima non avesse ancora recepito gli obblighi enunciati agli articoli 2, lettere b), c), d), g), m), n) e o); 5 (e allegati II, III e VII); 13; 14, paragrafi 1, 2, 5 e 6; 16, paragrafi 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 9; 17; 18; 19 (e allegato V) e 21 della direttiva 2009/28.

31.      Con lettera del 1° ottobre 2014, la Commissione ha tuttavia informato la Corte che, in seguito alla controreplica depositata dalla Repubblica di Polonia e a talune informazioni che quest’ultima le aveva trasmesso, da ultimo il 12 settembre 2014, essa circoscriveva l’oggetto del proprio ricorso.

32.      L’oggetto del ricorso è ormai circoscritto al mancato recepimento degli articoli 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6; 14, paragrafi 2, 5 e 6; 17, paragrafi da 3 a 5, e 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, e la penalità richiesta è ridotta alla somma di EUR 61 380 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione delle disposizioni violate.

33.      In tale contesto, il 7 ottobre 2014 si è tenuta un’udienza. Durante tale udienza, il governo polacco e il governo dei Paesi Bassi (il quale era precedentemente intervenuto), nonché la Commissione, hanno presentato le loro osservazioni orali.

IV – Sugli inadempimenti contestati alla Repubblica di Polonia

A –    I principi applicabili

34.      La giurisprudenza della Corte relativa alla mancanza di comunicazione delle misure nazionali di recepimento di una direttiva e alla carenza nel recepimento stricto sensu è abbondante. Se ne possono utilmente ricavare alcune grandi linee guida.

35.      In primo luogo, non è inutile ricordare che, nei confronti degli Stati membri destinatari, le disposizioni di una direttiva sono vincolanti e che ciò è tanto più vero per le disposizioni che fissano il termine per l’entrata in vigore delle norme contemplate (6).

36.      In secondo luogo, se è vero che la trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale non implica necessariamente la riproduzione formale e testuale delle sue disposizioni in una norma espressa e specifica, a seconda del contenuto della direttiva stessa può essere sufficiente il contesto generale. Quest’ultimo deve allora garantire effettivamente la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché i singoli, qualora la direttiva miri ad attribuire loro diritti, siano in grado di conoscerne la piena portata e, eventualmente, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (7).

37.      Inoltre, se una direttiva prevede espressamente che le disposizioni di recepimento della stessa debbano contenere un riferimento ad essa o essere corredate da siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale, allora, in ogni caso, è necessario adottare un atto positivo di recepimento (8).

38.      In terzo luogo, sebbene spetti alla Commissione dimostrare l’esistenza dell’asserito inadempimento e fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento nell’ambito di un procedimento promosso in base all’articolo 258 TFUE, gli Stati membri sono nondimeno tenuti, a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, nel vegliare sull’applicazione delle norme del diritto dell’Unione (9).

39.      A tal fine, gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione informazioni chiare e precise. Esse devono indicare senza ambiguità quali siano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative con cui lo Stato membro ritiene di aver adempiuto i vari obblighi ad esso imposti dalla direttiva.

40.      In mancanza delle suddette informazioni, la Commissione non è in grado di stabilire se lo Stato membro abbia effettivamente e completamente attuato la direttiva. L’inadempimento di tale obbligo da parte di uno Stato membro – che non abbia affatto fornito informazioni o le abbia date in modo non abbastanza chiaro e preciso – può giustificare di per sé l’avvio di un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE per far dichiarare l’inadempimento stesso (10). In questo contesto, lo Stato membro non può contestare alla Commissione di essersi limitata, nel suo ricorso, a constatare l’assenza di qualsiasi trasposizione della direttiva entro il termine prescritto, senza cercare di dimostrare sotto quale aspetto le disposizioni del suo diritto interno vigente non fossero conformi a quelle di detta direttiva poiché la mancanza di precisione del ricorso risulterebbe allora dal comportamento di tale Stato membro durante la fase precontenziosa del procedimento (11).

41.      In quarto luogo, la sussistenza dell’asserito inadempimento è valutata alla luce della situazione dello Stato membro esistente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, posto che la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi (12).

42.      Terminerò la presente sintesi rilevando che i vari principi in parola sono stati esplicitamente ricordati o applicati nei confronti della Repubblica di Polonia in almeno quattro recenti sentenze (sentenze Commissione/Polonia, C‑551/08, EU:C:2009:683; Commissione/Polonia, C‑326/09, EU:C:2011:155; Commissione/Polonia, C‑362/10, EU:C:2011:703, e Commissione/Polonia, C‑281/11, EU:C:2013:855).

B –    Sulla sussistenza degli inadempimenti alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato

43.      Il principale inadempimento contestato dalla Commissione alla Repubblica di Polonia, dalla prima lettera di diffida del 27 gennaio 2011 fino al ricorso, consiste nel non aver adottato le misure necessarie per il recepimento della direttiva 2009/28. Successivamente, la Commissione contesta altresì a tale Stato di non averle notificato le eventuali misure che avrebbe adottato a tal fine.

44.      In risposta a tali affermazioni, la Repubblica di Polonia ha innanzitutto dichiarato, nella sua lettera del 18 marzo 2011, che le disposizioni della direttiva 2009/28 sarebbero state recepite dalla legge sull’energia da fonti rinnovabili e dalla legge recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi, la cui entrata in vigore era prevista per la fine dell’anno 2011.

45.      Il 2 agosto 2011, le autorità polacche competenti hanno comunicato alla Commissione, a titolo di recepimento della direttiva 2009/28, la legge del 27 maggio 2011 recante modifica della legge sul sistema di sorveglianza e di controllo della qualità dei carburanti e di varie altre leggi. Peraltro, esse hanno trasmesso diverse altre leggi il 16 agosto 2011.

46.      Tuttavia, il 17 agosto 2011, le autorità polacche hanno informato la Commissione che, dopo un’approfondita analisi del diritto nazionale, ritenevano in definitiva che le disposizioni della direttiva 2009/28 fossero state sufficientemente recepite in Polonia, da un lato, mediante la legge del 10 aprile 1997 sull’energia e, dall’altro, mediante la legge del 25 agosto 2006 sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi. Esse hanno altresì confermato le modifiche introdotte dalla legge dell’8 gennaio 2010, recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi. Al contempo, dette autorità hanno fatto sapere alla Commissione che erano stati avviati lavori relativi a due progetti di legge, uno sulle fonti di energia rinnovabili, l’altro recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi e della legge sulla tutela ambientale.

47.      Infine, in risposta al parere motivato inviatole, la Repubblica di Polonia ha affermato in particolare, da un lato, che il recepimento dei criteri di sviluppo sostenibile sarebbe terminato alla fine dell’anno 2012 e, dall’altro, che la legge sulle fonti di energia rinnovabili, che si riteneva recepisse talune disposizioni della direttiva 2009/28, doveva entrare in vigore il 1° gennaio 2013.

48.      Tali elementi di fatto, che compaiono nel ricorso della Commissione, sono stati esplicitamente riconosciuti dalla Repubblica di Polonia nel controricorso che essa ha depositato nell’ambito della fase scritta della presente causa.

49.      A prescindere da tale riconoscimento, non posso omettere il fatto che, il 26 luglio 2013, il legislatore polacco ha adottato una nuova legge recante modifica della legge sull’energia e di varie altre leggi e che essa è stata trasmessa alla Commissione, il 29 agosto 2013, a titolo di recepimento della direttiva 2009/28. Lo stesso governo polacco, nella sua controreplica, ha precisato che la legge in questione costituiva «l’atto fondamentale che garantisce il recepimento della direttiva 2009/28».

50.      Di conseguenza, da tale successione cronologica risulta incontrovertibilmente che la direttiva 2009/28 non era stata completamente recepita nel diritto polacco, non soltanto alla data stabilita dall’articolo 27 della stessa direttiva (il 5 dicembre 2010), ma anche alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato.

51.      Infatti, sostenendo che la legge adottata il 26 luglio 2013, ossia una data ampiamente successiva alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, costituiva «l’atto fondamentale che garantisce il recepimento della direttiva 2009/28», la Repubblica di Polonia ha implicitamente riconosciuto che la normativa nazionale preesistente non costituiva un recepimento completo di detta direttiva (13).

52.      La Repubblica di Polonia ha confermato tale deduzione all’udienza del 7 ottobre 2014 ammettendo, questa volta esplicitamente, che, nel maggio 2012, la direttiva 2009/28 non era stata ancora recepita nel diritto interno, ad eccezione di talune disposizioni.

53.      Inoltre, occorre rilevare che, prima della trasmissione di una tavola di concordanza, il 12 settembre 2014, la Repubblica di Polonia non aveva mai precisato quali disposizioni, tra le numerose norme trasmesse alla Commissione a titolo di recepimento della direttiva 2009/28, garantissero l’integrazione di specifici articoli di tale direttiva nel diritto interno polacco.

54.      Come nella causa Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683), la Repubblica di Polonia «non ha fornito nessuna indicazione precisa ed essenziale riguardo al contenuto delle norme nazionali che, [a suo dire], recepiscono la direttiva» (14). Orbene, come ho precedentemente ricordato, gli Stati membri sono tenuti ad agevolare lo svolgimento del compito della Commissione fornendo «indicazioni sufficientemente precise riguardo al contenuto delle norme nazionali che (...) recepiscono la direttiva» (15).

55.      Ritengo che tale inadempimento dell’obbligo di leale cooperazione possa non soltanto giustificare di per sé l’avvio di un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE per far dichiarare l’inadempimento stesso (16), ma altresì una condanna dello Stato in questione, a fortiori quando detto comportamento è adottato reiteratamente (17).

56.      Aggiungo che, pertanto, l’argomento relativo all’inammissibilità sostenuto dalla Repubblica di Polonia nella sua controreplica, secondo il quale la Commissione avrebbe ampliato l’oggetto del ricorso precisando soltanto nella sua replica gli articoli della direttiva 2009/28 che considerava non ancora recepiti, non può essere condiviso (18).

57.      Peraltro, tale affermazione è ampiamente erronea. Infatti, gli articoli della direttiva 2009/28 citati dalla Repubblica di Polonia erano già stati esplicitamente elencati dalla Commissione al punto 34 del suo ricorso, con la sola eccezione degli articoli 5 e 21. Tuttavia, dalla lettera della Commissione del 1° ottobre 2014 risulta che questi due articoli ormai non fanno più parte dell’oggetto del presente ricorso.

58.      Infine, secondo la Repubblica di Polonia, l’obbligo di includere un riferimento alla direttiva nell’atto di diritto nazionale deve essere considerato come un obbligo distinto dall’obbligo di recepimento che si imporrebbe soltanto per gli atti giuridici di recepimento adottati da uno Stato membro successivamente all’entrata in vigore della direttiva (19).

59.      Tale interpretazione è in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale, «se una direttiva prevede esplicitamente che le disposizioni relative al suo recepimento contengano un riferimento ad essa o siano corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale, è in ogni caso necessario adottare un atto positivo di recepimento» (20).

60.      Orbene, un siffatto atto non era stato ancora adottato dalla Repubblica di Polonia alla scadenza del termine stabilito dalla Commissione nel suo parere motivato.

61.      Dalle precedenti considerazioni risulta che, alla scadenza del termine stabilito dal parere motivato, la Repubblica di Polonia non aveva ancora adottato tutte le misure necessarie per il recepimento della direttiva 2009/28 e non aveva comunicato gli strumenti utili.

C –    Sulla sussistenza degli inadempimenti al momento dell’esame dei fatti

62.      La questione della persistenza di un inadempimento al momento dell’esame dei fatti è, in linea di principio, superflua nell’ambito di un ricorso fondato sull’articolo 258 TFUE.

63.      Tuttavia, nel presente ricorso, la Commissione chiede altresì alla Corte di condannare la Repubblica di Polonia al pagamento di una penalità in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE. Orbene, parafrasando la costante giurisprudenza elaborata dalla Corte riguardo all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, «l’imposizione di una penalità in linea di principio è giustificata solo ove perduri l’inadempimento derivante[, nel presente caso, dalla mancanza di comunicazione delle misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa,] fino all’esame dei fatti da parte della Corte» (21).

64.      Come ho già segnalato, con lettera del 1° ottobre 2014, la Commissione ha informato la Corte che rinunciava parzialmente al proprio ricorso in seguito alla controreplica depositata dalla Repubblica di Polonia e a talune informazioni che essa le aveva trasmesso, da ultimo, il 12 settembre 2014. L’oggetto del ricorso è dunque ormai limitato, per quanto concerne il mancato recepimento della direttiva 2009/28, al mancato recepimento degli articoli 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6; 14, paragrafi 2, 5 e 6, nonché 17, paragrafi da 3 a 5, e 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28.

65.      Sulla base degli elementi comunicati alla Corte, ritengo altresì che detti articoli della direttiva 2009/28 non possano effettivamente essere considerati come sufficientemente recepiti nel diritto polacco.

1.      Sul recepimento dell’articolo 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6, della direttiva 2009/28

66.      L’articolo 13 della direttiva 2009/28 impone agli Stati membri di vigilare affinché sia assicurata una serie di garanzie, informazioni o incentivi in varie procedure amministrative, regolamentazioni e diversi codici quali le procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze relative alle materie disciplinate dalla direttiva (articolo 13, paragrafo 1), le specifiche tecniche necessarie per beneficiare di taluni regimi di sostegno (articolo 13, paragrafo 2) o la promozione di talune apparecchiature negli edifici privati o pubblici (articolo 13, paragrafi da 3 a 6).

67.      Sebbene la Commissione abbia rinunciato agli addebiti relativi all’articolo 13, paragrafi 1 e 3, essa sostiene la tesi secondo cui i paragrafi 2, 4, 5 e 6 dell’articolo 13 della direttiva 2009/28 non sono stati ancora oggetto né di una comunicazione di misure di recepimento né di un soddisfacente recepimento.

68.      Vero è che, nei suoi atti processuali o all’udienza del 7 ottobre 2014, la Repubblica di Polonia non ha fornito nessuna indicazione relativa al recepimento di tali paragrafi.

69.      Orbene, l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2009/28 impone agli Stati membri di definire «chiaramente le specifiche tecniche da rispettare affinché le apparecchiature e i sistemi per le energie rinnovabili possano beneficiare dei regimi di sostegno» (22).

70.      Detta disposizione, al pari delle varie garanzie previste dai paragrafi 4, 5 e 6 dell’articolo 13, non è applicata con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza richieste perché sia soddisfatto il requisito della certezza del diritto.

71.      Di conseguenza, ritengo che gli inadempimenti relativi alla carenza nel recepimento dell’articolo 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6, siano sufficientemente dimostrati dalla Commissione e persistano al momento dell’esame dei fatti.

2.      Sul recepimento dell’articolo 14, paragrafi 2, 5 e 6, della direttiva 2009/28

72.      I paragrafi 2, 5 e 6 dell’articolo 14 della direttiva 2009/28 pongono a carico degli Stati membri precisi obblighi di informazione nei confronti di professionisti quali, in particolare, gli urbanisti o gli architetti (paragrafo 5) o, in generale, nei confronti dei cittadini (paragrafo 6).

73.      Secondo le spiegazioni fornite dalla Repubblica di Polonia nella sua controreplica, i differenti obblighi in questione sarebbero soddisfatti da una prassi amministrativa, generalmente applicata, consistente nel pubblicare talune informazioni su siti Internet pubblici, come quelli dell’Ufficio di regolamentazione dell’energia, del Ministero dell’Economia o di altre istituzioni competenti non altrimenti definite.

74.      Come ho già avuto più volte occasione di ricordare, secondo una costante giurisprudenza le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie perché sia soddisfatto il requisito della certezza del diritto.

75.      Da tale requisito deriva che «non si può ritenere che semplici prassi amministrative, per natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano valido adempimento degli obblighi che incombono agli Stati membri nel contesto della trasposizione di una direttiva (v. sentenza del 12 luglio 2007, Commissione/Austria, C‑507/04, [EU:C:2007:427], punto 162 e giurisprudenza ivi citata)» (23).

76.      La regola in questione, ricordata dalla Corte meno di un anno fa in una sentenza che riguardava la Repubblica di Polonia (sentenza Commissione/Polonia, C‑281/11, EU:C:2013:855), può essere applicata anche nella presente causa: la prassi amministrativa generalmente applicata invocata dalla Repubblica di Polonia non ha potuto essere «comunicata» alla Commissione a titolo di misura di recepimento. Essa non costituisce neppure un adeguato recepimento dell’articolo 14, paragrafi 2, 5 e 6, della direttiva 2009/28.

3.      Sul recepimento degli articoli 17, paragrafi 3, 4 e 5, e 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28

77.      Gli articoli 17 e 18 della direttiva 2009/28 sono volti ad instaurare un mercato interno dei biocarburanti e dei bioliquidi.

78.      Detti biocarburanti e bioliquidi devono soddisfare i criteri di sostenibilità definiti ai paragrafi da 2 a 5 dell’articolo 17, da un lato, per poter essere inclusi tra quelli che rispettano i requisiti della direttiva e, dall’altro, per poter beneficiare di un sostegno finanziario.

79.      All’udienza del 7 ottobre 2014, la Commissione ha sostenuto che il legislatore polacco, nella sua legge del 21 marzo 2014 recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi (Dz. U, posizione 457), aveva optato per un mero rinvio alle disposizioni dell’articolo 17 della direttiva unicamente per i biocarburanti. Tale lettura formale non è stata contraddetta dalla Repubblica di Polonia. Quest’ultima ha semplicemente aggiunto che il metodo del rinvio alla direttiva garantiva un recepimento soddisfacente.

80.      La lettura dell’articolo 1, punto 18), della citata legge conferma che nella legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi è inserito un nuovo capo 4 a e che il nuovo articolo 28 a, 1, punto 1), di quest’ultima legge si limita, riguardo ai soli biocarburanti, a rinviare ai criteri di sostenibilità previsti all’articolo 17, paragrafi da 3 a 6 della direttiva 2009/28.

81.      Ritengo che i criteri di sostenibilità imposti nelle disposizioni in parola non possano essere considerati meramente tecnici. Al contrario, la loro applicazione richiede l’intervento del legislatore polacco e non può limitarsi ad un mero rinvio al testo della direttiva (24).

82.      Ciò vale, in particolare, per l’articolo 17, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2009/28, il quale prevede che «[i] biocarburanti e i bioliquidi presi in considerazione (...) non sono prodotti a partire da materie prime ottenute su terreni che presentano un elevato valore in termini di biodiversità, ossia terreni che nel gennaio 2008 o successivamente possedevano uno degli status seguenti, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno conservato detto status: (...) b) aree designate: i) a norma di legge o dall’autorità competente per scopi di protezione della natura (...)».

83.      Il mero rinvio a una disposizione della direttiva che, a sua volta, per la definizione di una nozione necessaria per la sua applicazione (i «terreni che presentano un elevato valore»), fa riferimento a una decisione di destinazione risultante da une legge o adottata da un’autorità competente non altrimenti definita non consente di garantire un recepimento completo poiché lascia sussistere uno stato di incertezza riguardo all’estensione del settore disciplinato dalla direttiva 2009/28 (25). La Repubblica di Polonia era pertanto tenuta ad adottare le disposizioni nazionali necessarie per il recepimento di tali disposizioni.

84.      Inoltre, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, la legge del 21 marzo 2014 recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi non contiene nessuna disposizione che, da un lato, obblighi gli operatori economici a «dimostrare che sono stati rispettati i criteri di sostenibilità di cui all’articolo 17, paragrafi da 2 a 5», e, dall’altro, obblighi questi ultimi ad utilizzare, a tal fine, il sistema di equilibrio di massa descritto all’articolo 18 della direttiva in parola.

85.      A fini di completezza, preciso inoltre che, nei suoi atti processuali, la Repubblica di Polonia sosteneva che gli articoli da 17 a 19 e 21 della direttiva 2009/28 erano stati recepiti grazie al piano di azione nazionale in materia di energie rinnovabili, adottato il 7 dicembre 2010 e notificato alla Commissione il 15 dicembre 2010.

86.      A tal proposito, condivido tuttavia la posizione sostenuta dalla Commissione. I piani di azione nazionali previsti all’articolo 4 della direttiva 2009/28 fissano gli obiettivi nazionali per la quota di energia da fonti rinnovabili consumata nel settore dei trasporti, dell’elettricità e del riscaldamento e raffreddamento nel 2020, tenendo conto degli effetti di altre misure politiche relative all’efficienza energetica sul consumo finale di energia (26). Essi sono destinati a informare la Commissione delle misure adottate dagli Stati membri per raggiungere tali obiettivi mediante la loro descrizione, nonché delle misure da adottare per ottemperare alla prescrizioni di cui agli articoli da 13 a 19 della direttiva 2009/28.

87.      Si tratta dunque unicamente di un documento informativo e programmatico. Esso non può soddisfare, di per sé, gli obblighi positivi necessari per rispettare il dettato degli articoli 17, paragrafi da 3 a 5, e 18 paragrafo 1, della direttiva 2009/28.

D –    Conclusione sugli inadempimenti

88.      Dal complesso delle precedenti osservazioni risulta che:

–        da un lato, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato inviato dalla Commissione alla Repubblica di Polonia il 26 marzo 2012, quest’ultima non aveva né comunicato alla Commissione né adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2009/28 e che,

–        dall’altro, al momento dell’esame dei fatti, la Repubblica di Polonia non aveva ancora recepito nel diritto interno gli articoli 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6; 14, paragrafi 2, 5 e 6; 17, paragrafi 3, 4 e 5, nonché 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, né aveva comunicato alla Commissione sufficienti misure di recepimento.

V –    Sull’applicabilità dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

89.      Ho appena concluso che, al momento dell’esame dei fatti, la Repubblica di Polonia non aveva ancora recepito nel diritto interno gli articoli 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6; 14, paragrafi 2, 5 e 6; 17, paragrafi 3, 4 e 5, nonché 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 e non aveva comunicato alla Commissione sufficienti misure di recepimento.

90.      Nell’eventualità che, come me, anche la Corte pervenga a tale conclusione, occorre esaminare la domanda di condanna al pagamento di una penalità formulata dalla Commissione in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

91.      Infatti, una penalità costituisce, di per sé, un mezzo finanziario appropriato al fine di indurre uno Stato membro ad adottare i provvedimenti necessari per mettere fine ad un inadempimento constatato e per garantire il completo recepimento di una direttiva (27).

92.      Tuttavia, benché la possibilità di comminare una condanna finanziaria nei confronti di uno Stato fin dal primo ricorso per inadempimento sia stata introdotta dal Trattato di Lisbona e sia applicabile da quasi cinque anni, la Corte non ha ancora avuto occasione di avvalersene né di interpretarla.

93.      Secondo l’articolo 260, paragrafo 3, primo comma, TFUE: «[l]a Commissione, quando propone ricorso dinanzi alla Corte in virtù dell’articolo 258 [TFUE], reputando che lo Stato membro interessato non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, può, se lo ritiene opportuno, indicare l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato che essa consideri adeguato alle circostanze». Il secondo comma precisa che, «[s]e la Corte constata l’inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. Il pagamento è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza».

94.      L’articolo 260, paragrafo 3, TFUE solleva perlomeno quattro quesiti interpretativi che esaminerò in successione:

–        In primo luogo, se l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE possa essere applicato a una direttiva adottata prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (ambito di applicazione ratione temporis).

–        In secondo luogo, se la Commissione debba motivare specificamente la propria decisione di chiedere la condanna al pagamento di una penalità e/o di una somma forfettaria in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

–        In terzo luogo, quale sia il comportamento che può comportare l’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE (ambito di applicazione ratione materiae).

–        In quarto luogo, se la Commissione possa applicare nell’ipotesi di un primo inadempimento il metodo di calcolo da essa utilizzato nel contesto dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.

A –    L’applicabilità ratione temporis dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

95.      La Repubblica di Polonia e il Regno dei Paesi Bassi ritengono che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non sia applicabile alle direttive adottate prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Poiché detto articolo precisa che esso si applica quando uno Stato non abbia adempiuto «all’obbligo di comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa» e poiché tale procedura è stata codificata solo con il Trattato di Lisbona, l’articolo de quo non può essere applicato alle direttive adottate prima del 1° dicembre 2009. Ciò si verificherebbe nel caso di specie dal momento che la direttiva 2009/28 è stata adottata il 23 aprile 2009 conformemente alla procedura di codecisione prevista all’articolo 251, paragrafo 3, CE.

96.      Non condivido l’interpretazione sostenuta da questi due Stati membri.

97.      Innanzitutto, sebbene il Trattato di Lisbona, all’articolo 289, paragrafo 1, TFUE, abbia previsto una terminologia specifica per qualificare la procedura di adozione degli atti giuridici dell’Unione (e, di conseguenza, gli atti giuridici adottati su tale base), è improprio considerare detta procedura differente dalla procedura di codecisione precedentemente applicabile.

98.      Sia il legislatore dell’Unione (28) che la Corte (29) e la dottrina (30) individuano nella procedura legislativa ordinaria descritta dagli articoli 289, paragrafo 1, TFUE e 294 TFUE la fedele riproduzione della precedente procedura di codecisione. La dottrina che si è espressa più specificamente sull’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si mostra altresì favorevole all’applicabilità del meccanismo previsto da tale disposizione alle direttive adottate secondo la procedura di codecisione (31).

99.      Inoltre, l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE istituisce una modalità procedurale che, dunque, è immediatamente applicabile in mancanza di specifiche norme transitorie. Orbene, il protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie non contiene nessuna disposizione relativa all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE (32).

100. Peraltro, il termine fissato dall’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 per applicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva de qua scadeva il 5 dicembre 2010. Di conseguenza, non può trattarsi di un’applicazione retroattiva dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE poiché il comportamento contestato alla Repubblica di Polonia ha avuto necessariamente inizio solo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

101. Inoltre, quando la possibilità di condannare uno Stato membro al pagamento di una penalità o di una somma forfettaria è stata introdotta nel Trattato per l’omessa esecuzione di una prima sentenza di condanna per inadempimento, la Corte ha dichiarato che era sufficiente «rilevare che tutte le fasi del procedimento precontenzioso [si erano] svolte dopo l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea» (33) perché la nuova disposizione potesse essere applicata. Ritengo che tale giurisprudenza possa essere applicata, mutatis mutandis, all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

102. Infine, l’applicabilità immediata dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non può comportare una violazione del principio di certezza del diritto nei confronti degli Stati membri, mentre la Commissione, nella sua comunicazione relativa all’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, dell’11 novembre 2010 (34) (in prosieguo: la «comunicazione»), ha reso noto che avrebbe applicato «il nuovo strumento previsto all’articolo 260, paragrafo 3, e i principi e i criteri per la sua applicazione esposti nella presente comunicazione alle procedure avviate ai sensi dell’articolo 258 dopo la pubblicazione della presente comunicazione e alle procedure avviate prima della sua pubblicazione, ad eccezione di quelle per le quali ha già adito la Corte» (35). Inoltre, in detta comunicazione la Commissione si è impegnata a non tener conto del periodo precedente la data dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, da un lato, per la determinazione dell’importo delle sanzioni e, dall’altro, per quanto concerne la durata dell’infrazione.

103. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo dunque che l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE si applichi alla omessa comunicazione delle misure di recepimento di una direttiva, quale la direttiva 2009/28, adottata secondo la procedura di codecisione prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e il cui termine di recepimento è scaduto dopo tale data.

B –    La decisione di chiedere il pagamento di una penalità o di una somma forfettaria in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

104. L’articolo 260, paragrafo 3, TFUE precisa che la Commissione può, se reputa che uno Stato membro non abbia adempiuto all’obbligo di comunicare le misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, indicare l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte di tale Stato se lo ritiene opportuno.

105. Secondo la Commissione, «questa formulazione deve essere intesa nel senso che [le] conferisce (...) un ampio potere discrezionale, analogo a quello di avviare o meno una procedura d’infrazione ai sensi dell’articolo 258 [TFUE], di cui la Commissione dispone secondo una giurisprudenza costante» (36). La Commissione aggiunge che considera «opportuno usare lo strumento previsto all’articolo 260, paragrafo 3, in linea di principio in tutti i casi riguardanti inadempimenti rientranti nel campo di applicazione di tale disposizione» (37).

106. Ci si è chiesti, tuttavia, se tale precisazione del Trattato, che inferisce una libertà la quale non compare all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, non implichi la necessità di una specifica motivazione da parte della Commissione qualora scelga di cogliere l’opportunità in questione.

107. Non sono di questo avviso.

108. Infatti, la possibilità di chiedere la condanna dello Stato membro al pagamento di una penalità o di una somma forfettaria per inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di recepimento di una direttiva si inserisce necessariamente nel quadro della procedura prevista all’articolo 258 TFUE. Orbene, vero è che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la Commissione non è tenuta ad instaurare un procedimento su tale fondamento, ma in proposito dispone di un potere del tutto discrezionale (38). L’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, in realtà, si limita ad evidenziare e confermare detta libertà riguardo ad un particolare elemento della procedura in un contesto specifico, ossia la domanda di condanna finanziaria di uno Stato membro in occasione di un primo ricorso per inadempimento in relazione alla omessa comunicazione delle misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa.

109. Tale possibilità si inserisce dunque nella decisione della Commissione di avviare un procedimento in base all’articolo 258 TFUE, la quale non è soggetta al controllo della Corte (39), mentre la decisione di comminare una penalità o una somma forfettaria spetta soltanto alla Corte. Come dichiarato dalla Corte a proposito del precedente articolo 228 CE (divenuto articolo 260 TFUE), «il testo dell’art. 228 CE, come anche la sua finalità (...), non implica che la condanna ad una somma forfettaria debba avere il carattere automatico che la Commissione suggerisce nella comunicazione del 2005. Nel disporre che la Corte “può” comminare il pagamento di una penalità o di una somma forfettaria allo Stato membro inadempiente, detta disposizione investe la Corte di un ampio potere discrezionale al fine di decidere se si debba o meno imporre sanzioni siffatte» (40). A mio avviso, l’interpretazione de qua può essere applicata all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE e alla decisione di principio adottata dalla Commissione al punto 17 della sua comunicazione. Infatti, il verbo «potere» è utilizzato anche all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, poiché quest’ultimo precisa che la Corte «può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità» (41) se constata l’inadempimento.

110. Peraltro, la certezza del diritto è ugualmente garantita poiché la decisione della Commissione di ricorrere «in linea di principio» al meccanismo in questione è stata inserita nella sua comunicazione. Certamente, la riserva secondo cui la Commissione non esclude la possibilità che in casi particolari la domanda di sanzioni ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE possa risultare inopportuna è suscettibile di comportare, eventualmente, una disparità di trattamento tra gli Stati membri. Tuttavia, essa inerisce al procedimento previsto dall’articolo 258 TFUE e al potere discrezionale lasciato, da un lato, alla Commissione riguardo all’avvio dello stesso e, dall’altro, alla Corte rispetto all’inflizione e all’importo della condanna finanziaria.

111. A tal proposito, indubbiamente non è inutile ricordare che la Corte ha già dichiarato che, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispone, la Commissione è anche libera di avviare un procedimento per inadempimento unicamente «contro alcuni (...) degli Stati membri che si trovino in una situazione analoga dal punto di vista del rispetto del diritto [dell’Unione]» (42). Mi sembra pertanto che tale libertà di valutazione debba essere riconosciuta, a fortiori, quando si tratta di esercitare una modalità di detto ricorso (43).

112. Infine, sebbene nella propria comunicazione la Commissione ritenga opportuno usare lo strumento previsto all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, in linea di principio in tutti i casi riguardanti inadempimenti rientranti nel campo di applicazione di tale disposizione, l’opportunità di questa scelta dovrà comunque essere motivata in ciascun caso di specie, in particolare per quanto concerne la valutazione dell’importo della penalità (44). La motivazione relativa ai criteri utilizzati per tale valutazione fornisce necessariamente allo Stato la possibilità di comprendere, o addirittura di contestare dinanzi alla Corte, l’adeguatezza della decisione adottata dalla Commissione.

113. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo dunque che la Commissione non debba motivare specificamente la propria decisione di avvalersi della possibilità offertale dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE di chiedere la condanna di uno Stato membro a una penalità o a una somma forfettaria per non aver comunicato le misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa.

C –    L’applicabilità ratione materiae dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE

114. La determinazione dell’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE solleva l’interrogativo più delicato, ossia se occorra attenersi al tenore letterale dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, il quale appare scevro da ambiguità, posto che contempla solo l’obbligo per uno Stato membro di «comunicare le misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa» (45), o se la disposizione debba essere interpretata come riferita anche alla mancanza di recepimento.

115. A mio avviso, la prima interpretazione, sostenuta dalla Repubblica di Polonia e dal Regno dei Paesi Bassi, non può essere seguita salvo privare di qualsiasi efficacia, se non di qualsiasi utilità, il meccanismo.

1.      Una mera comunicazione o la necessità di un recepimento

116. L’obiettivo dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è di contrastare più efficacemente e rapidamente i ritardi nel recepimento di una direttiva (46). Come rileva correttamente la dottrina, «sarebbe incoerente impedire alla Commissione di perseguire uno Stato membro ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, per il motivo che quest’ultimo avrebbe comunicato alla Commissione delle misure di recepimento; infatti, nulla impedirebbe a detto Stato membro di comunicare qualsiasi misura di recepimento, comprese misure prive di qualsiasi connessione con la direttiva in questione. (...) Tale lettura restrittiva non può dunque trovare accoglimento» (47).

117. Inoltre, è difficile immaginare che uno Stato membro che abbia omesso di comunicare alla Commissione le misure di recepimento di una direttiva – a prescindere dal fatto che l’abbia o meno effettivamente recepita o che abbia unicamente omesso di comunicare le misure di recepimento di una direttiva che avrebbe tuttavia effettivamente recepito – e nei cui confronti sia stata avviata la fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento, si astenga dal trasmettere qualsiasi elemento prima della scadenza del parere motivato.

118. Ciò premesso, poiché per adempiere all’obbligo di cui all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE basterebbe che uno Stato membro comunicasse alla Commissione qualsiasi documento e lo presentasse come una «misura di recepimento», è certo che detto articolo non sarebbe mai applicato.

119. A contrario, prendendo in considerazione l’assenza di recepimento, al di là dell’assenza materiale di una «comunicazione», la seconda interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE consente di conferire un effetto utile al nuovo meccanismo istituito dal Trattato di Lisbona, permettendo di esercitare una reale pressione su uno Stato membro per garantire il rapido recepimento di una direttiva.

120. Tuttavia, tale interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE comporta inevitabilmente un altro quesito, ossia se si tratti di verificare l’esistenza di un qualsiasi recepimento o di un recepimento corretto.

2.      Un recepimento totale o parziale, corretto o scorretto

121. La modifica del Trattato, al fine di autorizzare la condanna al pagamento di una penalità o di una somma forfettaria fin dal primo ricorso per inadempimento, era stata presa in esame in occasione delle discussioni relative al progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa.

122. Se si considerano i lavori preparatori di tale progetto, dalla nota di trasmissione del Praesidium della Convenzione (Segretariato della Convenzione europea, CONV 734/03), del 12 maggio 2003, risulta che «[n]ella prassi si distinguono i casi di “mancata comunicazione” [quando lo Stato membro non ha adottato nessuna misura di recepimento) dai casi di recepimento scorretto (quando le misure di recepimento adottate dallo Stato membro, secondo la Commissione, non sono conformi alla direttiva (o legge quadro)]. Il meccanismo proposto non si applicherebbe nella seconda fattispecie» (48).

123. Nella sua comunicazione, la Commissione precisa cosa intende per recepimento «scorretto». A suo avviso, «l’inadempimento di cui all’articolo 260, paragrafo 3, comprende sia la mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva sia la loro comunicazione parziale. Quest’ultimo caso si verifica quando le misure di attuazione comunicate non si applicano all’intero territorio dello Stato membro o quando la comunicazione è incompleta perché non indica le misure di attuazione di una parte della direttiva. Qualora lo Stato membro fornisca tutte le spiegazioni necessarie sul modo in cui ritiene di aver attuato integralmente la direttiva, la Commissione potrà reputare che lo Stato membro non sia venuto meno all’obbligo di comunicare le misure di attuazione, e di conseguenza l’articolo 260, paragrafo 3, non sarà applicabile. Qualsiasi controversia sulla sufficienza delle misure di attuazione comunicate o delle norme giuridiche vigenti nell’ordinamento giuridico nazionale sarà risolta secondo la procedura normale per la corretta attuazione della direttiva ai sensi dell’articolo 258 [TFUE]» (49).

124. La stessa Commissione sembra dunque non voler procedere a un esame di «merito» nell’ambito di un primo ricorso per inadempimento, come essa ha peraltro confermato nelle sue osservazioni scritte depositate nell’ambito della presente controversia e all’udienza del 7 ottobre 2014.

125. Mi interrogo tuttavia sulla possibilità di verificare la completezza di un recepimento senza esaminare il contenuto, e dunque il merito, della norma comunicata a titolo di recepimento.

126. Infatti, distinguere il recepimento di una direttiva dalla sua applicazione è semplice: il recepimento può essere stato effettuato correttamente, ma di fatto essere male applicato. L’esame di queste due situazioni può essere effettuato in modo indipendente, senza particolari difficoltà, posto che la seconda ipotesi non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

127. Per contro, mi sembra molto più aleatorio tracciare una chiara linea di demarcazione tra la verifica di un recepimento completo e quella di un recepimento corretto (50). Mi sembra illusorio e fonte di confusione individuare un criterio quale l’errore manifesto o l’errore grave che permetterebbe di attivare la competenza a proporre una sanzione finanziaria in base all’articolo 260, paragrafo 3, TFUE.

128. Questa difficoltà mi sembra ancora maggiore considerato il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri dall’articolo 288, terzo comma, TFUE.

129. Infatti, la libertà degli Stati membri è costantemente confermata dalla giurisprudenza della Corte. «Se quindi è indispensabile che la situazione giuridica derivante dalle misure nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di conoscere l’ampiezza dei loro diritti e obblighi, cionondimeno, secondo la formulazione stessa dell’art. [288], terzo comma, [TFUE], gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato che queste ultime devono raggiungere e da tale disposizione risulta che la trasposizione in diritto interno di una direttiva non esige necessariamente un’azione legislativa in ciascuno Stato membro. La Corte ha inoltre ripetutamente statuito che (…) non è sempre richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in base al suo contenuto, un contesto normativo generale (...)» (51).

130. In altri termini, come ho già ricordato in occasione dell’esame degli inadempimenti contestati alla Repubblica di Polonia, il recepimento di una direttiva non implica necessariamente la riproduzione formale e testuale delle sue disposizioni in una norma espressa e specifica (52). Per contro, è indispensabile che le disposizioni di una direttiva siano attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità, precisione e chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto (53).

131. Di conseguenza, nel contesto di discrezionalità descritto ai paragrafi precedenti, mi sembra difficile verificare il ricorrere dei requisiti di incontestabilità, specificità, precisione e chiarezza mediante un semplice esame superficiale e formale del contesto legislativo o regolamentare esistente.

132. L’atteggiamento della Commissione nelle due cause la cui udienza era fissata per il 7 ottobre 2014 esprime tale difficoltà. Mentre, nell’ambito della presente causa, essa afferma di non voler verificare se le misure nazionali recepiscano «adeguatamente» le prescrizioni della direttiva (54), nell’ambito della causa Commissione/Romania (C‑405/13) (55), chiariva che il controllo da essa svolto nel quadro dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non si limitava semplicemente alla constatazione dell’assenza di notifica delle misure di recepimento della direttiva nel diritto nazionale ma che, al contrario, doveva analizzare ilcontenuto delle misure nazionali notificatele dallo Stato membro quali misure di recepimento della direttiva, al fine di poter rilevare l’assenza (totale o parziale) di recepimento nel diritto nazionale degli obblighi definiti dal legislatore dell’Unione (56).

133. La stessa evoluzione dell’unica causa in esame evidenzia le difficoltà pratiche dell’opzione scelta dalla Commissione.

134. Infatti, all’udienza del 7 ottobre 2014, la Commissione ha confermato che persisteva nel proprio ricorso (proposto in base all’articolo 258 TFUE) e nella propria domanda di penalità (fondata sull’articolo 260, paragrafo 3, TFUE) per recepimento incompleto della direttiva.

135. Orbene, se si considera l’esempio dell’articolo 17, paragrafi da 3 a 5, della direttiva 2009/28, si è visto supra che la legge adottata dalla Repubblica di Polonia il 21 marzo 2014, recante modifica della legge sui biocomponenti e sui biocarburanti liquidi, applicava le disposizioni in questione mediante un rinvio puro e semplice al testo della direttiva.

136. Ove la Commissione sostiene che tale rinvio non garantisce il recepimento «completo» della direttiva 2009/28, non posso tuttavia dare torto alla Repubblica di Polonia che individua in questo atteggiamento una contraddizione con il punto 19 della comunicazione della Commissione.

137. Infatti, si tratta di un evidente caso di «controversia sulla sufficienza delle misure di attuazione comunicate» (57). Orbene, secondo il punto 19 della citata comunicazione, un siffatto caso «sarà risolt[o] secondo la procedura normale per la corretta attuazione della direttiva».

138. A mio avviso, tale distinzione tra il carattere (in)completo o (s)corretto del recepimento di una direttiva non ha ragion d’essere.

139. Ritengo infatti che la Corte non possa applicare l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE senza esaminare la sufficienza delle misure di recepimento, salvo vedere il suo obiettivo aggirato troppo facilmente. In quest’ottica, la Commissione deve necessariamente poter procedere alla stessa attività prima del procedimento.

140. Peraltro, tale interpretazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE non contrasta affatto con la ripartizione dei ruoli e delle competenze delle differenti istituzioni che intervengono nel procedimento. Qualora la Commissione proponga alla Corte di condannare lo Stato membro in questione al pagamento di una penalità o di una somma forfettaria, soltanto la Corte decide se e in quale misura accogliere la domanda (senza superare l’importo proposto dalla Commissione). Inoltre, in caso di valutazioni divergenti sulla correttezza o meno del recepimento, lo Stato membro interessato, dal canto suo, ha l’occasione di dimostrare alla Commissione nel corso della fase precontenziosa, e successivamente alla Corte nell’eventuale fase contenziosa, di aver perfettamente adempiuto ai propri obblighi.

141. Il carattere grave o manifesto del recepimento scorretto o della completezza del recepimento potrebbe, se del caso, avere rilevanza soltanto nell’ultima fase del procedimento in questione, posto che la Corte dispone di un ampio potere discrezionale in materia di imposizione di sanzioni finanziarie (58).

142. Nello stesso modo in cui la Corte ha già dichiarato che il recepimento scorretto di un articolo di una direttiva non costituiva necessariamente una violazione sufficientemente qualificata che potesse comportare il risarcimento di un danno conseguente all’errata scelta del legislatore nazionale (59), nella propria decisione di condanna di uno Stato membro al pagamento di una penalità o di una somma forfettaria la Corte potrebbe scegliere di tener conto del fatto che detto Stato membro abbia comunicato soltanto misure che integrano un recepimento scorretto manifesto o qualificato.

143. L’adozione dell’interpretazione letterale e restrittiva dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE (ossia la mancanza di comunicazione stricto sensu) o di un’interpretazione intermedia (ossia un’interpretazione che limiti l’applicazione dell’articolo de quo ai casi di recepimento incompleto senza esame di merito o alle ipotesi di recepimento scorretto manifesto) avrebbe l’unica conseguenza di far beneficiare gli Stati membri inadempienti di un guadagno di tempo.

144. Infatti, in tali ipotesi, dopo aver fatto constatare dalla Corte la mancanza di comunicazione delle misure di recepimento di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, la Commissione sarebbe obbligata a proporre un secondo ricorso in base all’articolo 258 TFUE, questa volta per far constatare la mancanza di recepimento «corretto» e, se del caso, un terzo ricorso in base all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE per mancata esecuzione della «seconda» sentenza. Un siffatto allungamento dei procedimenti sarebbe del tutto contrario alla ratio dell’inserimento dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE nel Trattato.

145. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, propongo di interpretare l’articolo 260, paragrafo 3, TFUE nel senso che esso autorizza la Commissione a chiedere alla Corte di comminare una penalità o una somma forfettaria a uno Stato membro che non abbia comunicato nessuna misura di recepimento entro il termine stabilito dalla direttiva o che abbia comunicato soltanto misure che costituivano unicamente un recepimento incompleto o scorretto della direttiva in questione.

D –    La determinazione dell’importo della penalità o della somma forfettaria

146. Conformemente alla posizione adottata dalla Commissione ai punti 23 e 28 della sua comunicazione relativa all’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la penalità e, se del caso, la somma forfettaria che la Commissione proporrà ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE saranno calcolate secondo il metodo utilizzato per i ricorsi alla Corte a norma del paragrafo 2 di detto articolo, come illustrato ai punti da 14 a 18 della comunicazione del 13 dicembre 2005 [SEC(2005) 1658] (in prosieguo: la «comunicazione del 2005»).

147. Tale scelta della Commissione mi sembra appropriata per tre ragioni.

148. In primo luogo, poiché gli strumenti finanziari previsti dall’articolo 260, paragrafo 3, TFUE sono identici a quelli previsti al paragrafo 2 dello stesso articolo, non vedo la ragione di impedire alla Commissione di utilizzare lo stesso metodo di calcolo, mentre da una giurisprudenza costante della Corte risulta che, sebbene orientamenti come quelli contenuti nelle comunicazioni della Commissione non vincolino la Corte, essi contribuiscono a garantire la trasparenza, la prevedibilità e la certezza del diritto con riferimento all’azione condotta da tale istituzione (60).

149. In secondo luogo, gli obiettivi perseguiti dai paragrafi 2 e 3 dell’articolo 260 TFUE sono simili nelle due fattispecie.

150. Così come il procedimento previsto all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE ha lo scopo di spingere uno Stato membro inadempiente a eseguire una sentenza per inadempimento garantendo con ciò l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione (61), l’obiettivo dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE è «stimolare maggiormente gli Stati membri ad attuare le direttive nei termini fissati dal legislatore e garantire così che la legislazione dell’Unione produca realmente i suoi effetti» (62).

151. Inoltre, tale metodologia non può arrecare pregiudizio agli Stati membri poiché, secondo la costante giurisprudenza sviluppata nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, già ricordata supra, la Corte dispone, in definitiva, di un ampio potere discrezionale in materia di imposizione di sanzioni finanziarie. Di conseguenza, come ho già precedentemente segnalato, orientamenti come quelli contenuti nelle comunicazioni della Commissione non vincolano la Corte, ma contribuiscono a garantire la trasparenza, la prevedibilità e la certezza del diritto con riferimento all’azione condotta da tale istituzione (63).

152. In tale contesto, le proposte della Commissione costituiscono semplici indicazioni (64) o una base di riferimento utile (65).

153. Fermo restando che, in base al testo del secondo comma dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, l’importo indicato dalla Commissione in applicazione di tale articolo costituisce un limite che non può essere superato dalla Corte – contrariamente all’ipotesi di cui all’articolo 260, paragrafo 2, TFUE –, mi sembra che detta giurisprudenza possa essere applicata in entrambe le fattispecie, poiché nei due paragrafi la formulazione del Trattato è identica.

154. Infatti, da un lato, l’articolo 260, paragrafo 2, secondo comma, TFUE dispone che «[l]a Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità» (66) e, dall’altro, l’articolo 260, paragrafo 3, secondo comma, TFUE prevede che, «[s]e la Corte constata l’inadempimento, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione» (67).

155. Mi sembra, peraltro, che detta limitazione riguardi non soltanto l’importo della misura scelta dalla Commissione, ma altresì la scelta dello stesso strumento. In altri termini, ritengo che, qualora la Commissione scelga di chiedere alla Corte la condanna di uno Stato membro soltanto al pagamento di una penalità, la Corte non possa decidere di comminargli il pagamento di una somma forfettaria.

156. In terzo ed ultimo luogo, i criteri adottati dalla Commissione per la determinazione di una penalità sono non solo identici nella sua comunicazione relativa all’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, da un lato, e in quella relativa all’applicazione dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, dall’altro, ma altresì conformi a quelli adottati dalla Corte nella sua giurisprudenza costante.

157. Tali elementi di valutazione sono, in linea di principio, la gravità dell’infrazione, la sua durata e la necessità di garantire l’effetto dissuasivo della sanzione (68), ossia, secondo l’espressione della Corte, la sua «natura coercitiva» (69). La gravità dell’infrazione dipenderà dall’importanza della norma del diritto dell’Unione in questione e dalle conseguenze della mancata esecuzione sugli interessi pubblici e privati (70).

158. Se la Corte ritenesse, per contro, che l’unico elemento che autorizza la condanna al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE debba essere la mancata comunicazione delle misure di recepimento, il coefficiente di gravità dovrebbe essere, logicamente, identico per ogni inadempimento di questo tipo, poiché esso non sarebbe in nessun caso connesso al contenuto della direttiva.

159. L’urgenza di indurre lo Stato membro interessato a conformarsi ai suoi obblighi è altresì un fattore decisivo, così come la capacità finanziaria dello Stato membro in questione (71).

160. In conclusione, ritengo che l’utilizzo da parte della Commissione di un’identica metodologia nel contesto dell’applicazione dei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 260 TFUE rientri in una gestione coerente degli strumenti messi a sua disposizione dal Trattato per garantire un’applicazione effettiva del diritto dell’Unione. Tale scelta conduce, inoltre, a una maggiore prevedibilità per gli Stati membri e, di conseguenza, a una maggiore certezza del diritto.

VI – Sulla determinazione della penalità nel caso di specie

A –    La proposta della Commissione

161. Nel caso di specie, la Commissione nel suo ricorso aveva stabilito un coefficiente di gravità pari a 10 (su una scala da 1 a 20) e un coefficiente di durata pari a 2,7 (su un massimo di 3, calcolato in funzione di un moltiplicatore di 0,10 per ogni mese di ritardo tra il 6 dicembre 2010 – il giorno successivo alla scadenza del termine per il recepimento stabilito dall’articolo 27 della direttiva 2009/28 – e la data in cui la Commissione ha deciso di adire la Corte, ossia il 21 marzo 2013). Secondo la versione aggiornata della comunicazione allora utilizzata dalla Commissione (72), il fattore «n» della Repubblica di Polonia era di 7,71 e l’importo forfettario di base uniforme di EUR 640 al giorno. In funzione di tali criteri, la Commissione proponeva un importo di 640 x 10 x 2,7 x 7,71 = EUR 133 228,80.

162. In seguito alla sua decisione del 1° ottobre 2014 di circoscrivere l’oggetto del proprio ricorso, la Commissione ha altresì adeguato l’importo della penalità richiesta. Da un lato, essa ha aggiornato l’importo forfettario di base uniforme e il fattore «n» in funzione della sua ultima comunicazione (73) e, dall’altro, ha adeguato il fattore di durata e ridotto il coefficiente di gravità. In funzione di tali nuovi criteri, la Commissione chiede una penalità di 660 x 4 x 3 x 7,75 = EUR 61 380 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione delle disposizioni violate.

B –    Valutazione

163. La Corte non è tenuta a presentare i dettagli concernenti il suo calcolo (74). Essa può anche scegliere di comminare il pagamento di un importo valutando le circostanze di causa ex aequo et bono (75). In ogni caso, considerato lo specifico disposto dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, dovrà rimanere entro i «limiti dell’importo indicato dalla Commissione» (articolo 260, paragrafo 3, secondo comma, ultima parte della prima frase, TFUE).

164. Per le ragioni di prevedibilità, coerenza e certezza del diritto esposte in precedenza, sono favorevole alla fissazione dell’importo della penalità dovuta nel caso di specie sulla base del calcolo della Commissione, senza che ciò rimetta in discussione il potere discrezionale della Corte nella determinazione della penalità o della somma forfettaria. Esso costituisce, per riprendere l’espressione dell’avvocato generale Kokott, «un buon punto di partenza» (76). Anche la dottrina sembra sensibile a tale approccio che garantisce la trasparenza (77).

1.      La valutazione della gravità dell’inadempimento

165. La Commissione giustificava il coefficiente di gravità pari a 10 con l’importanza della direttiva 2009/28 nel pacchetto «energia e clima». Secondo la Commissione, il mancato recepimento di detta direttiva da parte della Repubblica di Polonia impedirebbe la promozione del consumo di energia da fonti rinnovabili nei settori dell’elettricità, del riscaldamento, del raffreddamento e dei trasporti. Inoltre, i biocarburanti e i bioliquidi eventualmente sostenuti e presi in considerazione dalla Repubblica di Polonia non rispetterebbero necessariamente i criteri di sostenibilità previsti dalla direttiva 2009/28. Tale situazione favorirebbe la prosecuzione del massiccio sviluppo dell’energia da fonti convenzionali, il che sarebbe in contrasto con la politica dell’Unione europea in materia di clima ed energia e pregiudicherebbe gli interessi dei consumatori e degli investitori o degli operatori economici attivi nel settore.

166. La tutela dell’ambiente costituisce il nucleo della direttiva 2009/28. Infatti, «[i]l controllo del consumo di energia europeo e il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, congiuntamente ai risparmi energetici e ad un aumento dell’efficienza energetica, costituiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare il protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici» (78). Il miglioramento dell’efficienza energetica è un obiettivo chiave dell’Unione (79).

167. Il fondamento giuridico della direttiva 2009/28 lo conferma. Adottata in base all’articolo 175 CE (divenuto articolo 192 TFUE), detta direttiva rappresenta necessariamente un’azione intrapresa in vista della realizzazione degli obiettivi contemplati all’articolo 191 TFUE, ossia la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, la protezione della salute umana o, ancora, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.

168. Orbene, la Corte ha già avuto occasione di insistere sul fatto che, quando un inadempimento è tale da arrecare pregiudizio all’ambiente, esso riveste una particolare gravità (80).

169. Dopo aver circoscritto l’oggetto del ricorso, la Commissione ha ridotto il coefficiente di gravità da 10 a 4. All’udienza del 7 ottobre 2014, essa ha giustificato tale riduzione con la sensibile diminuzione del numero di articoli della direttiva 2009/28 che non erano stati ancora recepiti.

170. Certamente, sebbene l’entità dell’inadempimento della Repubblica di Polonia sia significativamente minore al momento dell’esame dei fatti, ritengo che una siffatta riduzione del coefficiente di gravità sia un segnale negativo poiché, contrariamente all’obiettivo punitivo della somma forfettaria, la penalità mira a un’attuazione completa e il più possibile rapida del diritto dell’Unione.

171. Inoltre, mi chiedo se sia ancora necessario ricordare la fondamentale importanza della tutela dell’ambiente e l’assoluta necessità di attuare rapidamente soluzioni pratiche per garantire la produzione di energia sostenibile.

172. Ciò premesso, poiché la Corte è comunque vincolata, nel contesto specifico dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, dal limite dell’importo proposto dalla Commissione, ritengo che quantomeno il coefficiente riconosciuto dalla Commissione non sia certamente sovrastimato.

173. Infine, rilevo che la Repubblica di Polonia, nonostante fosse stata avvertita fin dall’inizio della fase precontenziosa del rischio di vedersi comminare una penalità, non ha ritenuto necessario collaborare utilmente con la Commissione né accelerare il processo di recepimento della direttiva 2009/28 prima del mese di luglio del 2013.

174. In tale contesto, la gravità dell’inadempimento, da un lato, e la necessità di garantire la natura coercitiva della penalità, dall’altro, giustificano come minimo il fattore di gravità proposto dalla Commissione.

2.      La valutazione della durata dell’inadempimento

175. Conformemente al punto 27 della comunicazione e alla comunicazione del 2005, la Commissione aveva inizialmente fissato un coefficiente di durata pari a 2,7.

176. Tale coefficiente era stato calcolato in funzione di un moltiplicatore di 0,10 per ogni mese di ritardo tra il 6 dicembre 2010 – giorno successivo alla scadenza del termine per il recepimento fissato dall’articolo 27 della direttiva 2009/28 – e la data in cui la Commissione ha deciso di adire la Corte, ossia il 21 marzo 2013.

177. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, la Corte determina la durata dell’inadempimento tenendo conto del momento in cui essa esamina i fatti e non di quello in cui è adita dalla Commissione (81).

178. Nel caso di specie, alla data dell’udienza sono trascorsi 46 mesi. Il coefficiente di 3, infine proposto dalla Commissione nella sua lettera del 1° ottobre 2014, è dunque giustificato.

3.      L’importo forfettario di base uniforme e l’indicazione della capacità finanziaria

179. I coefficienti di gravità e di durata sono noti. Per la rigida osservanza dei principi, occorre applicare i dati aggiornati riportati nell’ultima comunicazione della Commissione intitolata «Aggiornamento dei dati utilizzati per il calcolo delle somme forfettarie e delle penalità che la Commissione propone alla Corte di giustizia nell’ambito dei procedimenti d’infrazione» (82).

180. Tale aggiornamento consente, infatti, di tener conto in modo ottimale della capacità finanziaria dello Stato membro in questione alla luce degli ultimi dati economici disponibili (83).

181. Pertanto, dovrebbero essere effettivamente riconosciuti un importo forfettario di base uniforme pari a EUR 660 e un fattore «n» di capacità finanziaria pari a 7,75.

4.      Conclusione sull’importo della penalità

182. Come ho già indicato, nel contesto dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, la proposta della Commissione costituisce un limite massimo imposto alla Corte nell’ambito della sua valutazione della penalità che deve essere comminata.

183. Orbene, la valutazione che ho appena effettuato non può indurmi a suggerire alla Corte une penalità inferiore a quella proposta dalla Commissione. Propongo dunque alla Corte di comminare alla Repubblica di Polonia una penalità giornaliera pari a EUR 61 380 per ogni giorno di ritardo fintantoché essa non comunichi alla Commissione le misure che garantiscono il recepimento della direttiva 2009/28.

C –    La determinazione della data in cui l’obbligo di pagamento diviene esigibile

184. Conformemente al secondo comma dell’articolo 260, paragrafo 3, TFUE, spetta ancora alla Corte precisare esplicitamente nella propria sentenza la data in cui il pagamento sarà esigibile.

185. A tal proposito, suggerisco di seguire la linea di condotta recentemente adottata dalla Corte e consistente nell’ordinare il pagamento della penalità a decorrere dalla sua sentenza, a condizione che l’inadempimento «persista alla data della pronuncia» (84).

VII – Sulle spese

186. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

187. Nel caso di specie, la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica di Polonia e quest’ultima è risultata sostanzialmente soccombente. Occorre dunque condannarla all’integralità delle spese.

188. Il Regno dei Paesi Bassi sopporterà le proprie spese ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

VIII – Conclusione

189. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)         La Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, poiché, alla data della scadenza del termine assegnato dalla Commissione europea nel parere motivato, non ha né comunicato alla Commissione né adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

2)         La Repubblica di Polonia, poiché, al momento dell’esame dei fatti, non ha ancora comunicato alla Commissione né recepito nel diritto interno gli articoli 13, paragrafi 2, 4, 5 e 6; 14, paragrafi 2, 5 e 6; 17, paragrafi 3, 4 e 5, e 18, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, persiste nel proprio inadempimento e, di conseguenza, è condannata a versare alla Commissione, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», una penalità giornaliera pari a EUR 61 380 a decorrere dall’emananda sentenza, a condizione che l’inadempimento persista alla data della pronuncia, e ciò fintantoché non comunichi alla Commissione le misure che garantiscono il recepimento della direttiva 2009/28.

3)         La Repubblica di Polonia è condannata alle spese.

4)         Il Regno dei Paesi Bassi sopporta le proprie spese.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 – GU L 140, pag. 16.


3 –      In proposito, rilevo la mancanza di interesse degli Stati membri riguardo a tale questione. Infatti, soltanto il Regno dei Paesi Bassi è intervenuto. Analogamente, ad eccezione della Repubblica estone, nessun altro Stato membro era intervenuto nella causa Commissione/Romania (C‑405/13), la cui udienza era stata inizialmente fissata al 7 ottobre 2014 e che poneva lo stesso problema interpretativo. La Commissione ha rinunciato a tale ricorso il 2 ottobre 2014, ritenendo che la Romania le avesse comunicato le misure di attuazione della direttiva in questione.


4 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (GU L 140, pag. 63).


5 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio nonché l’introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE (GU L 140, pag. 88).


6 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Italia (79/72, EU:C:1973:70, punto 7).


7 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Germania (C‑59/89, EU:C:1991:225, punto 18); Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51); Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683, punto 21) e Commissione/Portogallo (C‑277/13, EU:C:2014:2208, punto 43).


8 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Germania (C‑137/96, EU:C:1997:566, punto 8) e Commissione/Polonia (C‑362/10, EU:C:2011:703, punto 58).


9 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 26).


10 –      Ibidem (punto 27).


11 –      Ibidem (punto 29).


12 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Irlanda (C‑282/02, EU:C:2005:334, punto 40) e Commissione/Germania (C‑152/05, EU:C:2008:17, punto 15).


13 –      V. in tal senso, per un comportamento perfettamente identico della Repubblica di Polonia, condannato dalla Corte, sentenza Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683, punti 25 e 26).


14 –      Punto 19.


15 –      Sentenza Commissione/Polonia (C‑326/09, EU:C:2011:155, punto 20). V., altresì, punti 18 della presente sentenza per un richiamo dei principi e 15 della sentenza Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683).


16 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Italia (C‑456/03EU:C:2005:388, punto 27).


17 –      «La mancanza di risposta, entro un termine ragionevole, ai quesiti posti dalla Commissione, ha reso più difficile l’espletamento dei compiti attribuitile ed integra pertanto una violazione dell’obbligo di collaborazione istituito dall’art. [4, paragrafo 3, TUE]» (sentenza Commissione/Grecia, C‑137/91, EU:C:1992:272, punto 6).


18 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Lussemburgo (C‑32/05, EU:C:2006:749, punti da 52 a 56).


19 –      Punti 43 e 44 del controricorso della Repubblica di Polonia.


20 –      Sentenze Commissione/Polonia (C‑326/09, EU:C:2011:155, punto 22) e Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683, punto 23), nonché i riferimenti citati alla nota 8 delle presenti conclusioni. V., altresì, sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres (C‑444/09 e C‑456/09, EU:C:2010:819), in cui la Corte, in occasione di una domanda di pronuncia pregiudiziale, dopo aver ricordato l’obbligo per gli Stati membri di adottare un atto positivo di trasposizione qualora una direttiva preveda espressamente che le disposizioni di trasposizione della stessa contengano un riferimento ad essa o siano corredate di un siffatto riferimento all’atto della loro pubblicazione ufficiale, ha dichiarato che «è vero che gli Stati membri possono, nell’ambito di un ricorso per inadempimento proposto in forza dell’art. 258 TFUE, essere condannati per non aver adempiuto agli obblighi ad essi incombenti in forza dell’[articolo che prevede tale obbligo di riferimento alla direttiva]» (punto 63). Tuttavia, la Corte ha aggiunto che «a ciò non consegue necessariamente (...) che una misura nazionale la quale non faccia riferimento, nel suo preambolo, alla direttiva in parola non possa essere considerata una misura valida di trasposizione di quest’ultima» (punto 63).


21 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda (C‑374/11, EU:C:2012:827, punto 33), in cui l’inadempimento consisteva nella «mancata esecuzione di una precedente sentenza».


22 –      Il corsivo è mio.


23 –      Sentenza Commissione/Polonia (C‑281/11, EU:C:2013:855, punto 105).


24 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Germania (C‑96/95, EU:C:1997:165, punti 36 e 37).


25 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Polonia (C‑311/10, EU:C:2011:702, punti 49 e 50).


26 –      Articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/28.


27 –      In tal senso, a proposito dell’adeguatezza della penalità al fine di garantire la completa esecuzione di una prima sentenza che rileva l’inadempimento di uno Stato membro, v. in particolare, sentenze Commissione/Spagna (C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 114) e Commissione/Lussemburgo (C‑576/11, EU:C:2013:773, punto 45).


28 –      Secondo l’Osservatorio legislativo del Parlamento europeo, la direttiva 2009/28 è stata adottata secondo la «procedura legislativa ordinaria (ex codecisione)» (accessibile in Internet al seguente indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference= 2008/0016(COD)&l=FRtab-0). Anche la banca dati del Consiglio inserisce la direttiva in questione tra quelle adottate secondo la procedura legislativa ordinaria (disponibile in Internet al seguente indirizzo: http://www.consilium.europa.eu/policiesold/ordinary-legislative-procedure/search-in-database/by-specific-dossier?command=Result&lang=fr&cmsid=&code= 2008/0016&keywords=&president=&dgc=&coreper=-1).


29 –      V., in tal senso, sentenza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 61). In tale sentenza, approvando l’analisi del Tribunale che esclude dall’ambito di applicazione dell’articolo 263, quarto comma, in fine, TFUE gli atti legislativi, la Corte conferma implicitamente che il regolamento in questione in tale causa, adottato in base all’articolo 251 CE, corrisponde ad un atto legislativo a norma del Trattato di Lisbona (punto 61 dell’ordinanza del Tribunale). Infatti, al punto 61 dell’ordinanza controversa, il Tribunale aveva ritenuto che la procedura definita all’articolo 294 TFUE, denominata «procedura legislativa ordinaria», riprendesse sostanzialmente quella definita all’articolo 251 CE. Esso ne aveva tratto la conclusione che il regolamento controverso, il quale era stato adottato secondo la procedura contemplata in quest’ultimo articolo, doveva, nell’ambito delle categorie di atti giuridici previste dal Trattato FUE, essere qualificato come atto legislativo.


30 –      «The ordinary legislative procedure replaces the former “co-decision procedure” set out in Art. 251 EC»(Lenaerts, K., e van Nuffel, P.), European Union Law, 3a ed., Sweet & Maxwell, 2011, pag. 663); «In definitiva, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la procedura di codecisione è diventata “la procedura legislativa ordinaria” (art. 289, par. 1, TFUE) (...)» (van Raepenbusch, S., Droit institutionnel de l’Union européenne, Larcier, Bruxelles, 2011, pag. 288).


31 –      V., in tal senso, Materne, T., La procédure en manquement d’État, guide à la lumière de la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne, Larcier, Bruxelles, 2012, pag. 41, nonché Blanc, D., «Les procédures du recours en manquement, le traité, le juge et le gardien: entre unité et diversité en vue d’un renforcement de l’Union de droit», in Mahieu, S., (dir.), Contentieux de l’Union européenne, questions choisies, Larcier, Bruxelles, 2014, pagg. 429‑461, in particolare pag. 447.


32 –      L’articolo 10 del protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie precisa che l’articolo 258 TFUE non potrà essere applicato agli atti adottati nell’ambito del 3° pilastro prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.


33 –      Sentenza Commissione/Grecia (C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 42). V., altresì, sentenza Commissione/Francia (C‑304/02, EU:C:2005:444) in cui la Corte ha condannato la Repubblica francese a pagare una penalità e una somma forfettaria per non aver eseguito la sentenza emessa l’11 giugno 1991 nella causa Commissione/Francia (C‑64/88, EU:C:1991:240). Nel presente caso, il procedimento precontenzioso ha avuto inizio il 27 gennaio 2011, ossia dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.


34 – SEC (2010) 1371 def. (GU 2011, C 12, pag. 5).


35 –      Punto 31 della comunicazione, il corsivo è mio.


36 –      Punto 16 della comunicazione.


37 –      Punto 17 della comunicazione, il corsivo è mio.


38 –      V., per un esempio di affermazione di tale potere che conduce all’irricevibilità di un ricorso per carenza, sentenza Star Fruit/Commissione (247/87, EU:C:1989:58, punto 11) e all’irricevibilità di un ricorso di annullamento, sentenza Lütticke e a./Commissione (48/65, EU:C:1966:8).


39 –      V., in tal senso, van der Jeught, S., «L’action en manquement “renforcée”: sanctions pécuniaires en cas de non‑transposition des directives européennes», Journal de droit européen, 2011, pagg. 68‑70, in particolare pag. 70.


40 –      Sentenza Commissione/Francia (C‑121/07, EU:C:2008:695, punto 63). V., per un recente richiamo del principio, sentenza Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659, punto 51).


41 –      Il corsivo è mio.


42 –      Sentenza Commissione/Italia (C‑531/06, EU:C:2009:315, punto 24); il corsivo è mio. Tuttavia, attualmente vi è chi chiede che la Commissione, in occasione del ricorso per inadempimento contro uno Stato membro, descriva lo stato di applicazione o di violazione della disposizione del diritto dell’Unione in questione negli altri Stati membri (e abbia dunque esaminato la situazione prima della presentazione del ricorso). In risposta al quesito formulato a tal proposito all’udienza del 7 ottobre 2014, la Commissione ha dichiarato che, riguardo alla direttiva 2009/28, oltre al presente procedimento, solo due Stati membri erano oggetto di un procedimento contenzioso (cause Commissione/Austria, C‑663/13, e Commissione/Irlanda, C‑236/14) e che, peraltro, era ancora in corso un procedimento precontenzioso nei confronti di altri due Stati membri: il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica ceca.


43 –      In un caso particolare, ma di fronte a un’obiezione analoga (secondo cui l’imposizione cumulativa di una penalità e di una somma forfettaria costituirebbe una lesione della parità di trattamento poiché non era stata precedentemente presa in considerazione), la Corte ha altresì deciso che le spettava valutare alla luce delle circostanze del caso di specie le sanzioni pecuniarie da adottare e ha dichiarato che, «[d]i conseguenza, il fatto che un cumulo di misure non sia stato inflitto in cause decise in precedenza non può costituire, di per sé, un ostacolo all’imposizione di un siffatto cumulo in una causa successiva, qualora, alla luce della natura, della gravità e della persistenza dell’inadempimento accertato, un cumulo del genere appaia adeguato» (sentenza Commissione/Francia, C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 86).


44 –      V. considerazioni nel prosieguo (D. La determinazione dell’importo della penalità o della somma forfettaria).


45 –      Il corsivo è mio.


46 –      V., in tal senso, Materne, T., La procédure en manquement d’État, guide à la lumière de la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne, Larcier, Bruxelles, 2012, pag. 42.


47 –      V., in tal senso, Materne, T., op. cit., pag. 42. L’autore, dal canto suo, rinvia a Joris, T., e van der Jeught, S., «Tien jaar financiële sancties in de Europese inbreukprocedure ex artikel 260 lid 2 VWEU», Tijdschrift voor Europees en economisch recht (SEW), novembre 2010, pag. 435. V., altresì, in tal senso, van der Jeught, S., «L’action en manquement “renforcée”: sanctions pécuniaires en cas de non‑transposition des directives européennes», Journal de droit européen, 2011, pagg. 68‑70, in particolare pag. 69, nonché Blanc, D., «Les procédures du recours en manquement, le traité, le juge et le gardien: entre unité et diversité en vue d’un renforcement de l’Union de droit», in Mahieu, S., (dir.), op. cit., pagg. 429‑461, in particolare pag. 446. Ho trovato un solo autore che si è espresso in senso contrario (Everling, U, «Rechtsschutz in der Europäischen Union nach dem Vertrag von Lissabon», Europarecht, 2009, Beiheft 1, pagg. 71‑86, segnatamente pag. 82).


48 –      Nota n. 1, pag. 16. V. altresì, in tal senso, Segretariato della Convenzione europea, Relazione finale del Circolo di discussione sul funzionamento della Corte di giustizia, del 25 marzo 2003, CONV 636/03, punto 28, pag. 11 e nota n. 2.


49 –      Punto 19 della comunicazione. Il corsivo è mio.


50 –      Esprimendosi a proposito di tale scelta della Commissione, Wenneras, P., rileva altresì che «[d]rawing a line between notification of incomplete transposition measures and notification of incorrect transposition measures does not appear straightforward in practice, however» (Wenneras P., «Sanctions against Member States under Article 260 TFEU: Alive, but not kicking?», Common Market Law Review, 2012, vol. 49, pagg. 145‑176, in particolare pag. 167).


51 –      Sentenza Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


52 –      V., in tal senso, sentenza Commissione/Germania (C‑59/89, EU:C:1991:225, punto 18).


53 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Germania (C‑59/89, EU:C:1991:225, punto 24); Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51); Commissione/Polonia (C‑551/08, EU:C:2009:683, punto 21), nonché Commissione/Portogallo (C‑277/13, EU:C:2014:2208, punto 43).


54 –      Punto 70 della sua replica.


55 –      Come ho precedentemente segnalato, la Commissione ha rinunciato a tale ricorso il 2 ottobre 2014, ritenendo che la Romania le avesse comunicato misure che costituivano un recepimento completo della direttiva in questione.


56 –      Punto 29 della replica depositata dalla Commissione nella causa Commissione/Romania (C‑405/13).


57 –      Punto 19 della comunicazione. Il corsivo è mio.


58 –      V., per un recente richiamo a proposito della somma forfettaria, sentenza Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punto 49) e, per un richiamo generale che si applica sia alla somma forfettaria che alla penalità, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162, paragrafo 104).


59 –      V., per un esempio di applicazione, sentenza British Telecommunications (C‑392/93, EU:C:1996:131, punti da 43 a 46).


60 –      V. segnatamente, in tal senso, sentenza Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punto 50), nonché conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162, paragrafo 104).


61 –      Sentenza Commissione/Francia (C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 80).


62 –      Punto 7 della comunicazione. Il corsivo è mio. Secondo le informazioni comunicate dalla Commissione all’udienza del 7 ottobre 2014, la mera minaccia dell’utilizzo della penalità fin dalla lettera di diffida sembra efficace. Su 1 575 procedimenti aperti dalla pubblicazione della sua comunicazione, soltanto 41 casi hanno dovuto essere portati dinanzi alla Corte, ossia solo il 2,6%.


63 –      V. la giurisprudenza citata alla nota n. 60 delle presenti conclusioni.


64 –      Sentenza Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punto 50).


65 –      Sentenza Commissione/Grecia (C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 89).


66 – Il corsivo è mio.


67 – Il corsivo è mio.


68 –      Punto 6 della comunicazione del 2005 e punto 13 della comunicazione. La presa in considerazione del criterio della gravità e della durata è sviluppata ai punti 16 e 17 della comunicazione del 2005. Il punto 23 della comunicazione, dal canto suo, rinvia in generale ai punti da 14 a 18 della comunicazione del 2005 per la determinazione della penalità. Per il richiamo di tali criteri da parte della Corte, v., segnatamente, sentenze Commissione/Grecia (C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 92); Commissione/Francia (C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 104), nonché Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punto 73).


69 –      V., in particolare, sentenze Commissione/Grecia (C‑387/97, EU:C:2000:356, punto 92); Commissione/Francia, (C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 104), nonché Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punto 73).


70 –      Punto 16 della comunicazione del 2005.


71 –      Punto 18 della comunicazione del 2005. V., in tal senso, la giurisprudenza citata alla nota n.°69 delle presenti conclusioni, nonché le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162, paragrafo 148).


72 –      Comunicazione della Commissione del 31 agosto 2012 [C(2012) 6106].


73 –      Comunicazione della Commissione del 27 settembre 2014 (2014/C 338/02, GU C 338, pag. 18).


74 –      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Commissione/Repubblica ceca (C‑241/11, EU:C:2013:181, punto 43).


75 –      Entrambe le soluzioni sono state applicate dalla Corte per determinare l’importo delle penalità nel contesto dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE.V., nel senso di un’applicazione del metodo di calcolo della Commissione, sentenza Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659, si confrontino i punti 2 e 72) e, nel senso di una valutazione ex aequo et bono, sentenza Commissione/Portogallo (C‑76/13, EU:C:2014:2029, punti 75 e 76). Per quanto concerne la fissazione delle somme forfettarie, la Corte sembra rifiutarsi di motivare la propria decisione rispetto al metodo matematico della Commissione a favore di una valutazione generale ex aequo et bono dei criteri ritenuti appropriati.


76 –      Al paragrafo 150 delle sue conclusioni nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162).


77 –      V., in tal senso, a proposito della sentenza nella causa Commissione/Repubblica ceca (C‑241/11, EU:C:2013:423), in cui la Corte ha condannato la Repubblica ceca al pagamento di una somma forfettaria, Rigaux, A., «Sanctions pécuniaires du manquement», Europe, agosto 2013, vol. 8, commento 334.


78 –      Considerando 1 della direttiva 2009/28.


79 –      Considerando 17 della direttiva 2009/28.


80 –      V. in particolare, in tal senso, sentenza Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659, punto 56), nonché paragrafo 158 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162).


81 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Francia (C‑177/04, EU:C:2006:173, punto 71); Commissione/Portogallo (C‑70/06, EU:C:2008:3, punto 45), nonché Commissione/Spagna (C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 120).


82 –      V., in tal senso, paragrafo 151 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Italia (C‑196/13, EU:C:2014:2162).


83 –      V. in particolare, in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda (C‑279/11, EU:C:2012:834, punto 78).


84 –      V., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio (C‑533/11, EU:C:2013:659, punto 3 del dispositivo); Commissione/Lussemburgo (C‑576/11, EU:C:2013:773, punto 3 del dispositivo) e Commissione/Grecia (C‑378/13, EU:C:2014:2045, punto 2 del dispositivo).